Accolta la richiesta di risarcimento dei congiunti del militare deceduto a causa dell’uranio impoverito, ma vale la regola del diffalco

Redazione Scientifica
10 Ottobre 2018

Certo il collegamento causale tra l'attività espletata in missione dal militare e l'evoluzione della patologia, rappresentante la causa primaria del decesso, è legittima la richiesta di risarcimento avanzata dai congiunti della vittima. Vale però la regola del diffalco dall'ammontare del risarcimento del danno, della posta indennitaria avente finalità compensativa.

IL CASO Un Caporal Maggiore dell'Esercito italiano muore di ritorno da una missione in Bosnia. I genitori e la sorella del militare si rivolgono al Tribunale di Roma per ottenere dal Ministero della Difesa, dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, dallo Stato Maggiore dell'Esercito italiano e dallo Stato Maggiore della Difesa il risarcimento sia iure proprio che iure ereditario, attribuendo la responsabilità del decesso ad una patologia tumorale frutto dell'esposizione a particelle di uranio impoverito utilizzate sui proiettili . Il Giudice di prime cure, accertata la responsabilità del Ministero della Difesa, lo condanna alla liquidazione del danno ai familiari del de cuius per aver omesso l'adozione di misure di prevenzione, precauzione e sicurezza idonee a ridurre al minimo i rischi per la salute dei componenti dell'esercito. La sentenza viene confermata in appello ed il Ministero della Difesa ricorre dunque per la cassazione della sentenza.

ACCERTATO IL NESSO CAUSALE TRA ESPOSIZIONE E PATOLOGIA TUMORALE La Suprema Corte, nell'analizzare congiuntamente i primi due motivi di ricorso, conferma quanto deciso dai giudici di merito, e dichiara che la correlazione tra l'esposizione all'uranio impoverito e la patologia tumorale non può essere oggetto di discussione. Alla luce delle relazioni conclusive della CTU, risulta infatti certo il «collegamento causale tra l'attività espletata in missione dal militare e l'evoluzione della patologia, rappresentante la causa primaria del decesso», che, allo stesso tempo, ritiene indiscutibile «il nesso causale tra il comportamento colposo dell'autorità militare (mancata informazione adeguata del personale militare in servizio, mancata pianificazione e valutazione degli elementi di rischio, mancata predisposizione e consegna delle misure di protezione individuale atte almeno a ridurre il rischio) e la patologia» che ha ucciso il militare.

COMPENSATIO LUCRI CUM DAMNO Con il terzo motivo il Ministero denuncia infine violazione e falsa applicazione del principio della compensatio lucri cum damno, chiedendo che le somme già erogate ai genitori a titolo indennitario venissero scorporate da quelle liquidabili a titolo di risarcimento del danno. La Cassazione ricorda le pronunce a Sezioni Unite n. 12564/2018 e n. 12565/2018, che hanno stabilito che la compensatio lucri cum damno «opera in tutti i casi in cui sussista una coincidenza tra il soggetto autore dell'illecito tenuto al risarcimento e quello chiamato per legge ad erogare il beneficio, con l'effetto di assicurare al danneggiato una reintegra del suo patrimonio completa e senza duplicazioni». Ed ancora che, pur in presenza di titoli differenti, nel caso in cui ci sia unicità del soggetto responsabile del fatto illecito fonte di danni ed al contempo obbligato a corrispondere al danneggiato una provvidenza indennitaria, vale la regola del diffalco, dall'ammontare del risarcimento del danno, della posta indennitaria avente finalità compensativa.

La Corte dunque rigetta i primi due motivi di ricorso e accoglie il terzo, cassando la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione.

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