Sanatoria della procura alle liti e procura rilasciata all'estero

Francesco Bartolini
11 Ottobre 2018

Nella pronuncia in commento, alla Suprema Corte vengono posti plurimi quesiti. Uno di essi concerne la mancata applicazione del disposto dell'art. 182 c.p.c., nella parte che impone al giudice di consentire la sanatoria dell'irregolarità della procura difensiva entro un termine perentorio. Un altro ha ad oggetto l'asserita omessa osservanza di un principio (assunto come generale ed implicito nell'ordinamento processuale) di sanatoria dei difetti della procura alle liti per il raggiungimento dello scopo.
Massima

La sanatoria della nullità della procura, ex art. 182, comma 2, c.p.c., è consentita esclusivamente per i giudizi instaurati dopo la data di entrata in vigore della l. 18 giugno 2009, n. 69, in forza della disposizione innovativa dettata dal suo art. 58, comma 1 (fattispecie in tema di procura notarile rilasciata all'estero).

Il caso

La Corte d'appello di Roma ha dichiarato inammissibile l'impugnazione proposta avverso la sentenza che aveva ritenuto improcedibile il ricorso proposto da un prestatore di lavoro per conseguire ratei di pensione asseritamente maturati a suo favore e non percepiti. La decisione ha trovato ragione nella constatata assenza di una valida procura ad litem che, conferita all'estero, era priva tanto della legalizzazione della firma quanto della formalità della “apostille” richiesta quale certificazione di convalida sul piano internazionale dell'autenticità di un atto pubblico. Avverso tale pronuncia l'originario ricorrente ha proposto impugnazione per cassazione deducendo a motivo la violazione o falsa applicazione, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., dell'art. 182, comma 2, e dell'art. 20 della l. 12 agosto 1962, n. 1368. Si è addebitato al provvedimento impugnato di non avere applicato il principio della sanabilità del vizio afferente alla procura alle liti e, inoltre, di aver ritenuto necessarie sia la legalizzazione che la “apostille” della procura, nonostante essa fosse stata resa in forma di atto notarile.

La questione

Il motivo di ricorso, formulato come unico, poneva alla Suprema Corte plurimi quesiti. L'uno di essi concerneva la mancata applicazione del disposto dell'art. 182 c.p.c., nella parte che impone al giudice di consentire la sanatoria dell'irregolarità della procura difensiva entro un termine perentorio. Un altro aveva ad oggetto l'asserita omessa osservanza di un principio (assunto come generale ed implicito nell'ordinamento processuale) di sanatoria dei difetti della procura alle liti per il raggiungimento dello scopo. Infine, un ulteriore quesito implicava una pronuncia sul contenuto della normativa in tema di atti di fede pubblica redatti all'estero e da far valere nel contesto di un giudizio intrapreso in Italia. La l. 20 dicembre 1966, n. 1253 (successiva a quella n. 1368/1962, richiamata dal ricorrente), ha ratificato e dato esecuzione alla Convenzione sull'abolizione della legalizzazione degli atti pubblici stranieri, adottata a l'Aia il 5 ottobre 1961, la quale ha sostituito quella formalità con l'altra della apposizione di una “apostille” sull'atto stesso o su un foglio di allungamento, secondo un modello prestabilito e a cura dell'autorità diplomatica o consolare.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione ha osservato che il ricorrente non aveva trascritto il testo della procura cui si riferiva la sentenza impugnata, non aveva depositato l'atto contestualmente al ricorso né aveva fornito indicazioni per un facile reperimento dell'atto, con conseguente violazione del disposto degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c.. L'omissione impediva di verificare la decisività delle questioni prospettate, sia sotto il profilo della sussistenza di un vizio di nullità piuttosto che di inesistenza, come tale astrattamente sanabile ex art. 182 c.p.c., sia in relazione alle modalità di rilascio della procura che si assumeva avvenuta con atto notarile. Nonostante la conseguente palese inammissibilità del ricorso, la Corte si è sentita in dovere di pronunciarsi su di un aspetto di interesse più generale riguardante la sanabilità, in astratto, delle irregolarità della procura alle liti.

Sul punto il Collegio ha preliminarmente escluso la dedotta erroneità della sentenza di appello per la mancata applicazione del dettato dell'art. 182, comma 2, c.p.c. che impone al giudice di assegnare alle parti un termine perentorio entro il quale sanare i difetti della rappresentanza o dell'assistenza in giudizio ovvero per il rilascio della procura o della sua rinnovazione. L'introduzione della controversia era avvenuta anteriormente alla data di entrata in vigore della l. n. 69/2009 che, a modifica (art. 46) del testo del citato art. 182, vi aveva introdotto la dapprima inesistente disposizione concernente la sanatoria della nullità della procura, con effetti per i soli giudizi successivi alla data suddetta (art. 58). Esclusa, dunque, nella specie, la possibilità di riferire una eventuale sanatoria ad una norma di diritto positivo (per ragioni di ordine temporale), doveva altresì dichiararsi infondato l'assunto relativo ad un inosservato principio generale di regolarizzazione delle nullità degli atti del processo e, in particolare, della procura. L'effetto chiaramente innovativo delle regole processuali dovuto alla l. n. 69/2009 imponeva, ha affermato in proposito la Corte, di escludere che la sanatoria del mancato rilascio della procura o della sua nullità corrispondesse ad una regola immanente nell'ordinamento già prima di tale provvedimento. In questo senso già la Corte si era più volte pronunciata, secondo un orientamento al quale si intendeva dare continuazione.

Osservazioni

Il secondo comma dell'art. 182 c.p.c. prevedeva nella versione originale del suo testo il dovere del giudice, nel rilevarne il difetto, di assegnare alla parte un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l'assistenza o per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, salvo che si sia avverata una decadenza. La rubrica del detto articolo corrispondeva al suo contenuto precettivo, essendo formulata come “Difetto di rappresentanza o di autorizzazione” ed è rimasta la stessa nonostante l'intervento della l. n. 69/2009 che ha sostituito il comma secondo aggiungendovi l'estensione del potere-dovere giudiziale al consentire la sanatoria delle nullità della procura. L'art. 58 della legge citata ha precisato che la nuova normativa doveva applicarsi soltanto ai giudizi instaurati successivamente alla sua entrata in vigore e questa circostanza ha determinato la decisione di rigetto del ricorso che pretendeva l'applicazione di una disposizione ancora inesistente nel momento in cui la causa in esame era stata intrapresa. Dalla innovativa presa di posizione del legislatore derivava la conseguenza per cui gli effetti di essa (la sanatoria consentita) non potevano essere riferiti che alla precisa norma introdotta nell'ordinamento processuale: sì che doveva negarsi la possibilità di collegare la regolarizzazione ad un immanente e astratto principio preesistente.

Le regole vigenti specificano che l'osservanza del termine concesso dal giudice sana i vizi e che gli effetti sostanziali e processuali della sanatoria si producono fin dal momento della prima notificazione. Anche questa precisazione è frutto della modifica dovuta alla l. n. 69/2009: in precedenza la retroattività della sanatoria costituiva oggetto di contrasto interpretativo e giurisprudenziale, sì che ove fosse stata ritualmente prodotta la procura nella causa esaminata la Corte avrebbe avuto occasione di pronunciarsi al riguardo.

Una parte della giurisprudenza aveva affermato che la sanatoria ex tunc non poteva non incontrare l'insuperabile limite delle decadenze verificatesi nelle precedenti fasi intermedie del giudizio. In tal senso, ad esempio, si erano espresse: Cass. civ., sez. III, n. 3700/2012 con riferimento al difetto di legittimazione processuale e dell'intervenuta inutile maturazione del termine per proporre appello; Cass. civ., sez. lav., n. 12686/2016, a proposito della ratifica di atti processuali compiuti da un soggetto carente della capacità di stare in giudizio; nonché Cass. civ., n. 26465/2011. L'orientamento contrario appariva prevalente, sostenuto dalle Sezioni Unite con sent. n. 9217/2010, da Cass. civ., n. 26948/2017, Cass. civ., n. 4201/2012, Cass. civ., n. 23670/2008, Cass. civ., n. 15304/2007 e da Cass. civ., n. 20913/2005. Molto recisa, tuttavia, risulta la pronuncia di Cass. civ., n. 30245/2017, per la quale la possibilità di una ratifica degli atti posti in essere da un soggetto privo, anche parzialmente, del potere di rappresentanza con efficacia retroattiva non opera nel diritto processuale, ove la procura alle liti costituisce il presupposto della valida instaurazione del rapporto processuale e può essere conferita con effetti retroattivi solo nei limiti stabiliti dall'art. 125 c.p.c..

La mancata produzione nel giudizio di legittimità della procura rilasciata all'estero dal ricorrente ha impedito alla Corte di pronunciarsi sulle questioni relative alla necessità, o meno, della legalizzazione dell'autenticazione della firma del medesimo o, in sostituzione di questa formalità, della apostille richiesta dalle convenzioni internazionali. Può ricordarsi che ai sensi della Convenzione sull'abolizione della legalizzazione di atti pubblici stranieri, adottata a l'Aia il 5 ottobre 1961 e ratificata dall'Italia con la l. n. 1253/1966, la dispensa dalla legalizzazione è condizionata al rilascio, da parte dell'autorità designata dallo stato di formazione dell'atto, di una apposita apostille da apporre sull'atto stesso o su un foglio di allungamento, secondo il modello allegato alla Convenzione; in assenza di questa forma legale di autenticità del documento il giudice italiano non può attribuire efficacia validante a mere certificazioni provenienti da un pubblico ufficiale di uno stato estero, anche se aderente alla Convenzione (in questo senso Cass. civ.,sez. lav. n. 19100/2017; Cass. civ., n. 18290/2017 e Cass. civ., n. 7473/2013, con specifico riferimento alla procura difensiva; inoltre, Cass. civ., n. 34141/2011). Si è aggiunto che in ogni caso la procura rilasciata all'estero è nulla agli effetti dell'art. 12 della legge 31 maggio 1995, n. 218, relativo alla legge regolatrice del processo, ove non sia allegata la traduzione dell'attività certificativa svolta dal notaio e cioè l'attestazione che la firma è stata apposta in sua presenza da persona di cui egli ha accertato l'identità, in quanto vige anche per gli atti prodromici al processo il principio generale della traduzione in lingua italiana a mezzo di esperto: così Cass. civ., n. 11165/2015, di contrario avviso, però, a quanto in precedenza affermato da Cass. civ.,Sez. Un., n. 26937/2013.