Trasferimento del lavoratore che assiste familiare disabile: la prova delle ragioni del diniego alla luce della normativa nazionale e sovranazionale
12 Ottobre 2018
Il caso
Spina V., attore, dipendente con mansioni di portalettere presso la filiale di Triggiano di Poste Italiane s.p.a., convenuta, in quanto convivente con padre portatore di handicap in situazione di gravità e madre con certificati disturbi psico-fisici, chiedeva al proprio datore di lavoro il trasferimento presso una sede più vicina al proprio comune di residenza, ossia Brindisi, al fine di potere prestare una migliore assistenza ai propri genitori.
Il lavoratore chiedeva in via d'urgenza, ex art. 700, c.p.c., che fosse ordinato alla parte convenuta la propria assegnazione presso uno degli uffici dislocati nel Comune di Brindisi, o altro più prossimo a quello di residenza, con disponibilità ad un eventuale mutamento di mansioni, recte da portalettere ad operatore di sportello o specialista commerciale, avendo partecipato alla procedura c.d. di job posting, selezione volta a definire il bacino di risorse alla quale attingere per l'assegnazione ai compiti indicati dall'attore, nonché idonei titoli di studio.
Poste Italiane s.p.a. si costituiva in giudizio sostenendo il difetto de presupposti necessari per la tutela cautelare, ossia contestando la sussistenza del fumus bonis iuris ed il periculum in mora, e chiedendo quindi la reiezione della domanda attorea.
Entrambi i presupposti vengono ritenuti sussistenti nel caso in esame: non essendo stati espressamente contestati ex art. 115, c.p.c., sia la situazione di handicap del padre, Spina E., nonché la fruizione da parte del figlio dei permessi ex art. 33, comma 3, l. n. 104 del 1992, essi si presentano come fatti pacifici dai quali emerge l'effettività dell'assistenza prestata ai propri familiari, che non può non essere oggetto di valutazione da parte del datore di lavoro, destinatario di una richiesta di trasferimento del lavoratore presso una sede più vicina, in forza del comma 5 dell'articolo prefato il quale, inoltre, subordina il mutamento della sede lavorativa, disposta dalla parte datoriale, al consenso del dipendente (cfr. Cass. 12 ottobre 2017, n. 24015).
Diritto questo che gli stessi giudici sono consapevoli non essere assoluto ed illimitato, in quanto il testo normativo prevede che il trasferimento venga accordato “ove possibile”, richiedendo la conciliabilità con l'interesse dell'impresa.
Relativamente al periculum in mora, viene invece posta in evidenza la rilevanza costituzionale dei diritti coinvolti, dal momento che la reiezione della domanda comporterebbe gravi e irreparabili danni principalmente alla persona del disabile assistito, con ripercussioni anche per il lavoratore, la cui attività di assistenza e di cura verrebbe aggravata eccessivamente dalla distanza dal proprio domicilio rispetto alla sede lavorativa. La questione
La questione sottoposta all'esame è la seguente: nella valutazione della richiesta del lavoratore di trasferimento presso una sede più vicina, ex art. 33, comma 5, l. n. 104 del 1992, come si declina in concreto il bilanciamento degli opposti interessi in gioco, recte una migliore assistenza e cura del familiare disabile e le diverse esigenze connesse all'attività economica? Soluzioni giuridiche
Secondo una giurisprudenza costante, la relatività del diritto del lavoratore comporta a carico della parte datoriale l'onere di provare quali siano in concreto le ragioni ostative il trasferimento, indicando dunque le specifiche esigenze tecniche, produttive o organizzative, connesse alla propria attività.
Indicazione che non potrà ovviamente essere generica né spogliata da elementi oggettivamente valutabili, al fine di potere operare un controllo giudiziale sulla effettività dei motivi addotti a giustificazione del diniego alla richiesta del lavoratore di essere assegnato ad una sede più vicina, tale da consentire una assistenza migliore al proprio familiare (ovvero fondanti la decisione datoriale di trasferimento in assenza del consenso dello stesso).
Nel caso di specie Poste Italiane s.p.a. ha presentato due prospetti a dimostrazione della maggiore percentuale di portalettere presso la sede di Brindisi (sede oggetto della richiesta di Spada V.), rispetto alle zone di recapito, con conseguente sovradimensionamento. Non vengono però esplicitati i criteri di determinazione delle percentuali di copertura, difettando inoltre la necessaria specificità dei dati utilizzati.
Una difesa, quindi, insufficiente sul piano probatorio, con impossibilità di verificare l'effettività delle dedotte ragioni ostative all'accoglimento della richiesta attorea, non essendo accertabile la correttezza dei dati impiegati per difetto di indicazione circa le modalità di acquisizione ed elaborazione degli stessi. Informazioni facilmente reperibili dalla convenuta, applicandosi il principio della vicinanza della prova.
Mancano riferimenti a situazioni di possibile scopertura di organico, come l'assenza di lavoratori con diritto alla conservazione del posto di lavoro, né è stata considerata l'anzianità di servizio di ciascun occupato. Poste Italiane s.p.a., inoltre, non ha tenuto in considerazione la manifestata disponibilità del lavoratore al mutamento delle proprie mansioni, tranciando tale ipotesi per asserito difetto dei titoli necessari i quali, però, non vengono dalla stessa precisati, escludendo semplicemente che la partecipazione alla procedura c.d. di job posting comportasse il diritto di assegnazione alle stesse. Anche su tale punto, dunque, i motivi addotti non risultano soddisfare l'onere probatorio.
Alla luce della genericità e insufficienza della difesa di Poste Italiane s.p.a., nel bilanciamento dei contrapposti interessi aventi copertura costituzionale, non potranno risultare soccombenti le esigenze di assistenza e di cura del familiare disabile, non essendo stati forniti elementi probatori tali da acclarare la effettività delle ragioni aziendali giustificanti il diniego della richiesta di mutamento della sede lavorativa ed insuscettibili di essere diversamente soddisfate.
In merito è possibile constatare un atteggiamento più rigido, rispetto al lavoratore, dei giudici amministrativi: essendo il richiedente il trasferimento legato da un rapporto di lavoro pubblico, vengono in rilievo ulteriori interessi, e precisamente quello della collettività all'efficiente organizzazione degli uffici e al buon andamento della pubblica amministrazione (cfr. Cass. 27 marzo 2008, n. 7945; T.A.R. Campania, sez. VI, 20 febbraio 2014, n. 1111; Cons. Stato, sez. IV, 28 marzo 2012, n. 1828; Cons. Stato 11 febbraio 2011, n. 923).
Sostenendosi la legittimità del diniego datoriale non solo qualora sussistano situazioni oggettivamente impeditive, ma anche per valutazioni discrezionali o di opportunità, e a condizione che venga adeguatamente motivato dalla esistenza di interessi preponderanti rispetto a quello di assistenza e cura alla base della domanda di trasferimento (cfr. TAR Catania, sez. III, 18 marzo 2013, n. 807; TAR Reggio Calabria, sez. I, 24 ottobre 2012, n. 636).
Il Trib. di Bari procede ad una panoramica della normativa nazionale e sovranazionale in materia, in modo particolare richiamando l'art. 26, Carta di Nizza e la Convenzione ONU del 13 dicembre 2006 sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall'Italia con la l. n. 18 del 2009 e dall'Unione europea con decisione 2010/48/CE (analogamente: Cass. 22 marzo 2018, n. 7120; Cass. 7 giugno 2012, n. 9201).
L'accento è posto sull'art. 2 comma 4 della Convenzione, con il quale viene fornita la definizione di “accorgimenti necessari”, ai quali è fatto riferimento in diversi articoli della stessa: essi indicano le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati, i quali non impongono un onere sproporzionato o eccessivo, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per assicurare alle persone con disabilità il godimento e l'esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
Oggetto di attenzione è anche una decisione della Corte di giustizia UE, rectesent. 4 luglio 2013, C-312/11, Commissione c. Italia, con la quale è stata accertata la carenza della legislazione nazionale relativamente alle garanzie ed agevolazioni a favore dei disabili in materia di occupazione, con conseguente modifica nel 2013 del d.lgs. n. 216 del 2003: all'art. 3 è stato aggiunto il comma 3-bis, così prevedendosi espressamente per i datori di lavoro, privati e pubblici, l'obbligo di adottare soluzioni ragionevoli come definiti dalla Convezione ONU sopra citata.
È patente come, in forza della l. n. 104 del 1992, il riconoscimento da parte del legislatore di determinati diritti in capo al lavoratore che assiste un familiare disabile sia teleologicamente diretto ad assicurare a quest'ultimo la stabilità delle condizioni di assistenza e cura, ponendo inoltre attenzione all'obiettivo di garantire la socializzazione del soggetto disabile, fattore fondamentale per lo sviluppo della personalità e per la tutela della salute psico-fisica del portatore di handicap, con riconoscimento del ruolo essenziale della famiglia per il perseguimento di tali fini.
Secondo il Tribunale, tenuto conto di tale quadro normativo, non solo risulterebbe insufficiente la prova della reale sussistenza di esigenze aziendali, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte, ma la società convenuta non avrebbe nemmeno dedotto e provato che la richiesta del lavoratore avrebbe comportato un onere sproporzionato o eccessivo.
Conseguenza di tale conclusione è stato l'accoglimento del ricorso del lavoratore, con ordine di assegnazione presso una filiale più vicina al comune di residenza. Osservazioni
Punto cruciale si individua nel rilievo riconosciuto alla tutela del disabile a livello nazionale e sovranazionale, evidenziando l'esigenza di garantirne l'assistenza e la cura da parte del familiare-lavoratore, anche mediante l'accoglimento della richiesta di trasferimento di quest'ultimo, altresì qualora pervenga al datore in un momento successivo all'assunzione (cfr. Cass.18 febbraio 2009, n. 3896).
Fondamentale è il bilanciamento con gli interessi economici datoriali, sebbene sia richiesta una puntuale indicazione delle esigenze ostative al trasferimento, così da assicurare un controllo sulla effettività delle stesse, dovendosi inoltre dimostrare che il mutamento di sede comporti un onere sproporzionato o eccessivo a carico del datore di lavoro.
Una rigorosità probatoria certamente diretta ad ovviare il rischio della pretestuosità del diniego, con serio pregiudizio per i diritti della persona disabile. Per approfondire
F. Limena, Il diritto all'inamovibilità del lavoratore che presta assistenza a disabile, in Lav. giur., 2018, 6, 571 ss. V. Lamonaca, Le agevolazioni ed i limiti al trasferimento dei lavoratori che prestano assistenza ai disabili gravi, in Lav. giur., 2014, 12, 1051 ss. |