TD e termine per relationem: nessuna conversione ove permanga la causale dell'assenza del lavoratore sostituito, a prescindere dal mutare del titolo
12 Ottobre 2018
Il caso
Una lavoratrice assunta con contratto a termine ai fini della sostituzione di una dipendente temporaneamente assente per gravidanza e puerperio adiva il Tribunale di Roma per sentir pronunciare l'illegittimità dell'apposizione del termine causata dalla prosecuzione dell'attività lavorativa dopo il rientro in servizio della dipendente sostituita e dopo che quest'ultima aveva presentato le proprie dimissioni.
La Corte territoriale, nel riformare la sentenza di primo grado emessa in favore della lavoratrice in sostituzione, accertava che nel caso di specie il termine apposto al contratto era da ricollegarsi alla necessità della sostituzione per maternità di una dipendente; sul punto, il giudice di secondo grado ribadiva, per consolidata giurisprudenza, che risulta pienamente legittima la prassi di non prevedere un termine specifico nel caso in cui la sostituzione debba proseguire sino ad un evento certo, la cui precisa data sia però incerta; aggiungeva che, nel caso di specie, la prosecuzione del rapporto era dipesa comunque da ragioni connesse alla maternità, quali l'assenza per ferie e per la malattia del bambino.
Accertava, inoltre, la Corte di merito che le due dipendenti – contrariamente a quanto asserito dalla lavoratrice a termine - non avevano mai prestato servizio contemporaneamente, concludendo, dunque, per la legittimità del contratto a tempo determinato.
Sulla stessa sentenza v. anche la nota di F. Saverio Giordano, La motivazione per relationem nei contratti a tempo determinato stipulati per ragioni sostitutive.
Le questioni
La fattispecie in oggetto ha posto all'attenzione della Suprema Corte le seguenti questioni:
1) E' legittima, nel caso del contratto a tempo determinato, la previsione del cd. termine mobile, ovverosia di un termine finale “incertus quando” individuato genericamente con il rientro del lavoratore sostituito con diritto alla conservazione del posto?
2) Può configurarsi il rimedio della conversione a tempo indeterminato ove il rapporto a termine prosegua al mutare della causale dell'assenza originariamente indicata in contratto? Le soluzioni giuridiche
Secondo la Corte di cassazione è congruo il ragionamento svolto dalla Corte d'appello, avendo quest'ultima concretamente accertato che, in sede di stipula del contratto, il termine era stato previsto in coincidenza con il “rientro della lavoratrice sostituita” o, comunque, con il “cessare della causa che lo ha determinato”.
Sulla scorta del consolidato orientamento, la Suprema Corte ha chiarito, innanzitutto, che la prassi di fissare un termine mobile, ricollegato solo alla data del non meglio prefissato rientro del lavoratore sostituito (cd. termine “incertus quando”) è certamente legittima ed ha poi precisato altresì che è pienamente legittima la prosecuzione del rapporto in caso di prolungamento del periodo di assenza del lavoratore sostituito, ancorché muti il titolo dell'assenza, atteso che tale eventuale mutamento non è idoneo, in concreto, ad inficiare le esigenze di sostituzione manifestate dal datore di lavoro.
Fissati tali principi, il Giudice di legittimità ha escluso, dunque, la possibilità di trasformazione del rapporto a tempo indeterminato e ha rigettato il ricorso, precisando che la conversione sarebbe invece stata possibile ove le due dipendenti – sostituta e sostituita - avessero lavorato, anche per un breve periodo, contemporaneamente; circostanza che, tuttavia, non si era verificata nel caso di specie, dal momento che la lavoratrice a termine era stata mantenuta in servizio fino alla data delle dimissioni della lavoratrice sostituita. Osservazioni
Con la sentenza in commento la Cassazione torna innanzitutto a ribadire, condivisibilmente, un principio più volte affermato in tema di contratto a termine, quello secondo cui è possibile per le parti individuare il termine finale con riferimento ad un evento il cui verificarsi è certo, ma del quale ne è incerta la data precisa.
In tali casi si suole parlare del cd. termine per relationem, al quale ben può ricorrere il datore di lavoro ove nutra l'esigenza di sostituire una risorsa con diritto alla conservazione del posto che si assenti per causa momentanea (come ad esempio, nella fattispecie in esame, per congedo di maternità).
Tali conclusioni erano già state raggiunte dalla giurisprudenza della Suprema Corte, la quale, nella sentenza del 16 maggio 2016, n. 10009, aveva già rilevato che: “l'assunzione di un lavoratore allo scopo di sostituire temporaneamente un dipendente assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro può avvenire con la fissazione di un termine finale al rapporto, o anche con l'indicazione di un termine per relationem con riferimento al ritorno in servizio del lavoratore sostituito”.
Il giudice di legittimità aveva affrontato la questione anche in una sentenza meno recente, pronunciando che l'assunzione disposta per sostituire in via temporanea un dipendente assente con diritto alla conservazione del posto potesse avvenire tanto fissando un termine finale tanto attraverso l'indicazione di un termine per relationem, con riferimento al ritorno in servizio del lavoratore sostituito (così Cass., n. 11921 del 2003).
Orbene, appare evidente che la sentenza in commento abbia confermato l'orientamento consolidatosi sul punto, sancendo ancora una volta che è ragionevole la previsione di un termine individuabile solo in relazione ad eventi futuri, incerti e, comunque, esterni al contratto, dal momento che un tale tipo di clausola sembrerebbe soddisfare le reali esigenze di flessibilità sottese al contratto a termine, così come disegnato dal d.lgs. n. 368 del 2001.
Nella commentata sentenza la Corte ha risolto anche la seconda questione inerente la problematica del mutamento del titolo, risolvendola nel senso di considerare legittima, al permanere dell'assenza del sostituito, per causa diversa da quella indicata in contratto, la prosecuzione del rapporto del lavoratore in sostituzione.
La mutazione del titolo dell'assenza, dunque, non è idonea ad inficiare l'intima ratio connessa alla previsione del termine. Essa è ravvisabile pur sempre nell'esigenza di sostituzione, a prescindere dalle motivazioni che in concreto trattengono in assenza il dipendente con diritto alla conservazione del posto (nella specie, gravidanza e puerpuerio piuttosto che malattia della lavoratrice assente o del proprio bambino).
Verrebbe da domandarsi se le soluzioni percorse dalla Cassazione non siano state superate atteso che il d.lgs. n. 368 del 2001, applicabile al caso in esame ratione temporis, è stato profondamente modificato, dapprima dalla l. n. 92 del 2012 e l. n. 78 del 2014, poi dal successivo d.lgs.n. 81 del 2015.
Invero, le recenti modifiche normative su richiamate hanno infatti introdotto il regime dell'acausalità del contratto a termine e sembrerebbero dunque avere superato in radice il problema emerso nella sentenza in oggetto, introducendo la possibilità di concludere il contratto a termine in assenza delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo in origine prescritte dall'art. 1, d.lgs. n. 368 del 2001.
Il legislatore ha quindi voluto svincolare il contratto a termine dalla sua originaria funzione economico-sociale, svincolando l'accordo delle parti dalle ragioni giustificatrici del tempo determinato prima richieste a pena di nullità.
Tuttavia, con il c.d. “decreto dignità” (d.lgs. n. 87 del 2018), convertito dalla l. n. 96 del 2018, il legislatore sembrerebbe aver fatto “dietrofront”, reintroducendo il regime delle causali.
L'ultima riforma parrebbe aver fatto riemergere, almeno in linea di principio, le due questioni affrontate dalla Corte nel caso in esame; occorrerà infatti capire se, vigente la nuova normativa, il datore di lavoro potrà ricominciare a fare ricorso alla motivazione ed al termine, anche per relationem, e se sarà possibile la prosecuzione del rapporto di lavoro determinato, al mutare della causale originariamente fissate in contratto, anche in considerazione del fatto che l'art. 19, d.lgs. n. 81 del 2015, parla oggi, seccamente, di “sostituzione di lavoratori” (senza specificare se “con diritto alla conservazione del posto”) e non fa nemmeno più riferimento alla fissazione “diretta o indiretta” del termine.
Insomma, si fanno strada nuovi interrogativi. Minimi riferimenti bibliografici
- N. Niglio, La non applicabilità della nuova disciplina relativa al contratto di lavoro a tempo determinato acausale nella pubblica amministrazione. Una prima riflessione sull'articolo 1 del decreto legge n. 34/2014 convertito nella legge n. 78/2014. |