L'amministratore ad acta per risolvere le crisi gestorie nel condominio
12 Ottobre 2018
Il quadro normativo
L'art. 1105, comma 4, c.c. prevede, in tutti i casi ivi contemplati (ossia se non si forma una maggioranza, se la delibera adottata non viene eseguita e se non si prendono i provvedimenti necessari per la cosa comune), che l'autorità giudiziaria provveda in camera di consiglio, potendo anche nominare un amministratore - sia se manchi quello che doveva nominare l'assemblea, sia per sostituire quello esistente, sia per affiancare quello in carica - tanto per l'ordinaria amministrazione dei beni (quando la composizione della comunione e le divergenze tra i partecipanti lascino prevedere una permanente difficoltà di gestione), quanto in relazione a singoli atti da eseguire. Tale nomina dovrebbe ricorrere nei casi più gravi, perché finisce con il sostituire coattivamente la volontà negoziale con una scelta ab estrinseco fatta dall'autorità; si tratta, pur sempre, di un potere discrezionalein capo al giudice, che è arbitro di valutare l'opportunità o meno di un simile provvedimento, previa un'adeguata indagine allo scopo di stabilire se possano essere adoperati altri strumenti per ovviare alla disfunzione in atto, purché, beninteso, vi sia uno dei tre menzionati presupposti di cui all'art. 1105, comma 4, c.c. (in ciò differenziandosi dall'ipotesi contemplata nell'art. 1129, comma 1, c.c. in cui lo stesso giudice “deve” provvedere; in altri termini, la nomina non è obbligatoria, ma facoltativa, essendo rimesso al prudente apprezzamento del giudice rinvenire, nella fattispecie sottoposta al suo esame, l'opportunità di provvedere alla nomina del predetto amministratore. Ausiliario del giudice
Sul punto, va registrata una divergenza di opinioni in ordine all'inquadramento della figura di tale amministratore. Secondo una tesi, l'amministratore nominato ai sensi dell'art. 1105 citato, affinché supplisca alla manchevole attività dei partecipanti nell'amministrazione della cosa comune, non può configurarsi come un semplice mandatario dei partecipanti, quando sia investito di tale funzione dall'autorità giudiziaria, giacché, in tal caso, egli non trae la legittimazione dei suoi poteri da un mandato privatistico conferitogli dalle parti interessate, onde sembra corretto riconoscere che la natura delle sue funzioni (che devono essere svolte nell'interesse dei partecipanti alla comunione) assuma una particolare “colorazione” dalla specialità dell'investitura, che la legge demanda all'autorità giudiziaria (in sede di volontaria giurisdizione) al fine di tutelare il pubblico interesse ad una normale ed ordinata gestione dei beni, appartenenti a gruppi di privati (Trib. Vicenza 28 gennaio 1971). In linea con tale orientamento, si è osservato (Zaccagnini) che, quando il giudice interviene per inserire nell'amministrazione della cosa comune una persona che, nell'interesse di tutti e di ciascuno, si premuri di prendere i provvedimenti necessari, si attivi affinché venga ovviato il difetto di formazione della maggioranza, o esegua le delibere già adottate, o ristabilisca l'ordine turbato dalla prepotenza di alcuni o la legalità compromessa, o appiani i contrasti relativi alla regolarità della gestione, e simili, si deve ritenere che egli debba sostituire l'assemblea, prescindere da essa e regolarsi in virtù di poteri e attribuzioni che gli derivano immediatamente e direttamente dal decreto di nomina, conseguendone che lo stesso opera con i poteri dell'officium (di diritto privato), dovendo rispondere solo al giudice della propria gestione.
Mandatario dei condomini
Tale opinione è stata criticata per il fatto di omettere di spiegare per quale motivo l'amministratore di una comunione semplice nominato dall'autorità giudiziaria exart. 1105, comma, c.c. debba avere una veste giuridica diversa da quella che si riconosce all'amministratore nominato dalla stessa autorità giudiziaria nell'edificio in condominio ai sensi dell'art. 1129, comma 1, c.c.; infatti, essendo, poi, nei due casi, uguali i compiti, non si comprende (ad avviso di Salis) perché, nel caso della comunione semplice, l'amministratore sia tenuto a dar conto della sua gestione al giudice (senza contraddittorio degli interessati ed in sede di volontaria giurisdizione), mentre si ammette che lo stesso esercita le sue funzioni nell'interesse di tutti i condomini ed ha l'obbligo di dare esecuzione alle deliberazioni “già adottate” dagli stessi condomini. Si è, al riguardo, obiettato che, a ben vedere, la natura delle funzioni attribuite dall'amministratore non cambia allorché la sua nomina è fatta dai condomini interessati o dal giudice, in quanto le attribuzioni sono precisate dalla legge; l'autorità giudiziaria non ha il potere di ampliarle o modificarle, ma si limita ad indicare il soggetto al quale dette funzioni devono essere riconosciute; la nomina, quindi, ha carattere meramente sostitutivo dell'attività dell'assemblea che, con la sua inerzia, non rende possibile il superamento di situazioni pregiudizievoli per la cosa comune (Cass. civ., sez. II, 27 ottobre 1965, n. 2279, nel senso che l'amministratore nominato dal giudice ex art. 1105, comma 4, c.c. ha la stessa posizione di quello nominato dalle parti, sicché può agire giudizialmente nell'interesse della collettività senza la preventiva autorizzazione dell'assemblea). Nell'ipotesi particolare dell'art. 1105, comma 4, c.c., la nomina dell'amministratore rappresenta, per il giudice, l'estremo rimedio cui è dato ricorrere per permettere il funzionamento del condominio, e cioè per permettere ai singoli interessati di godere delle cose comuni secondo il loro diritto e nei limiti di questo; la nomina va fatta, pertanto, nel caso in cui al magistrato non sia possibile precisare i provvedimenti adatti per una corretta amministrazione della cosa comune o per dare esecuzione ad una deliberazione che i partecipanti al condominio hanno adottato nei modi e nelle forme di legge. Alla luce di quest'ultima interpretazione, si riconosce, quindi, che l'amministratore nominato dal giudice ex art. 1105 citato non sia un ausiliario del giudice, ma un mandatario dei partecipanti alla comunione; non basta che la nomina avvenga mediante un provvedimento del giudice per definire giudiziaria un'amministrazione, in quanto è tale quella che è collegata con un fine di giustizia in presenza della sottrazione dei beni amministrati alla libera disponibilità dei soggetti privati (ad esempio, nel caso di sequestro o di amministrazione giudiziaria di beni pignorati) e nell'interesse anche di soggetti diversi dai titolari (si pensi al sequestrante), mentre nell'amministrazione delle cose comuni, non solo non vi è alcuna limitazione dell'indisponibilità dei beni, ma è evidente che essa si svolge nell'interesse esclusivo dei comunisti (Trib. Bari 14 marzo 1977). È vero che l'amministratore giudiziale si trova, di solito, di fronte ad un'assemblea mal funzionante, perché inerte o dilaniata da insanabili contrasti, e che perciò sia una contraddizione in termini pensare che egli possa rispondere all'assemblea; se lo stesso fosse vincolato, come il fiduciario, alle delibere dell'assemblea e fosse un semplice organo esecutivo di quest'ultima, il suo intervento a poco gioverebbe, e ben scarso significato avrebbe la sua nomina - fatta, per esempio, allo scopo di ristabilire l'ordine e la legalità turbata dall'assemblea - quando egli fosse tenuto alle delibere di quest'ultima (dalla posizione di sostanziale autonomia funzionale dai partecipanti alla comunione, si dovrebbe desumere la revocabilità dell'amministratore giudiziario solo da parte del giudice e non dell'assemblea, salvo il potere del condomino di sollecitare la revoca ex art. 742 c.p.c; in giurisprudenza, Trib. Tempio Pausania 29 agosto 1985, circa la nomina di un amministratore di un villaggio residenziale). In questa prospettiva, è coerente dedurre che, per servire alla bisogna, il predetto amministratore debba godere di una certa autonomia rispetto all'assemblea, precisando che deve poter operare e deliberare indipendentemente dalla volontà della maggioranza, e deve rispondere esclusivamente al giudice (al quale chiederà l'autorizzazione per gli atti di straordinaria amministrazione, presenterà periodiche relazioni sulla sua gestione, sottoporrà il bilancio consuntivo per l'approvazione, ecc.), ed il giudice stesso, alla scadenza del termine, è tenuto a decidere se revocare o meno l'amministrazione giudiziaria, sulla scorta delle informazioni del suo fiduciario, della documentazione da lui prodotta, ed eventualmente di notizie altrimenti desunte. Nella stessa linea interpretativa, si è notato (Terzago) che, se le fattispecie previste per la eventuale nomina dell'amministratore giudiziario sono quelle di cui all'art. 1105, comma 4, c.c., l'amministratore deve godere di diversi e più ampi poteri rispetto a quello nominato dall'autorità giudiziaria ex art. 1129, comma 1, c.c.; il primo, infatti, sostituisce l'assemblea, prescinde da essa, e si regola in virtù dell'incarico conferito dal giudice; c'è un conflitto da appianare, una inerzia da vincere, delle irregolarità da accertare, talché sarebbe illogica una sua sottoposizione al volere assembleare, per cui lo stesso deve operare autonomamente dalla maggioranza e rendere conto solo ed esclusivamente al giudice. Tuttavia, risulta altrettanto vero (secondo Cipriani) che la nomina dell'amministratore non è una sanzione comminata nell'interesse pubblico a tutela o cautela di un diritto soggettivo, sicché, anche se la stessa avviene nei casi più gravi, sono sempre situazioni che, per il fatto di rientrare nell'art. 1105, comma 4, c.c., ben poco hanno a che vedere con l'ordine e la legalità da ristabilire, le prepotenze da reprimere e le irregolarità di qualunque genere da sindacare; a questi fini provvedono tutt'altre norme, che implicano tutte un giudizio contenzioso (se non addirittura un processo penale), non certo un semplice provvedimento di volontaria giurisdizione che, come tale, mira soltanto ad aiutare i condomini ad amministrare la cosa comune. Se, quindi, l'amministratore, specie nei casi in cui non si formi una maggioranza, deve godere di una certa autonomia rispetto all'assemblea, tale autonomia non va esasperata concludendo nel senso che il primo risponda esclusivamente all'autorità giudiziaria; anzi, l'assemblea, cui deve rispondere, può sempre revocarlo, ed è significativo che la legge tace sui rapporti, successivi alla nomina, tra amministratore e giudice, in difetto dei quali non si può accostare il primo tra gli ausiliari del secondo per il semplice fatto che non si può essere ausiliari di un giudice che potrà tornare a provvedere ex art. 1105 c.c. solo su nuovo ricorso dei condomini; qualora, per una qualsiasi ragione, poi, non volesse o non potesse amministrare, l'amministratore non deve far altro che rinunciare all'incarico, lasciando i condomini ai loro problemi ed ai loro litigi. Il soggetto legittimato ad erogare il compenso
Il diverso inquadramento della figura dell'amministratore nominato dall'autorità giudiziaria ex art. 1105, comma 4, c.c., si riflette sull'individuazione del soggetto legittimato ad attribuire l'eventuale compenso alla persona nominata. Secondo la prima impostazione, escludendo che la natura delle funzioni conferite a quest'ultima sia riconducibile nello schema del mandato privatistico ed assimilando l'amministratore al consulente o al custode, il compenso deve coerentemente essere stabilito con decreto dallo stesso giudice che ha nominato l'ausiliario - dovrebbero, quindi, essere applicati gli artt. 24, 52 e 53 disp. att. c.p.c. che disciplinano la liquidazione del compenso degli ausiliari - valutando se le prestazioni da compensare rientrino o meno nei limiti delle funzioni attribuite allo stesso amministratore, essendo irrilevante che ciò avvenga senza la previa audizione dei partecipanti alla comunione, e cioè coloro a carico dei quali la spesa è posta, potendo gli stessi far valere le loro ragioni in sede di reclamo, o di revoca e modifica, trattandosi di provvedimento di volontaria giurisdizione. Qualora, poi, il regolamento condominiale stabilisce la gratuità dell'incarico, il neo-amministratore dovrebbe essere consapevole della circostanza, per cui, se non intende prestare la sua opera gratis, deve o declinare l'incarico, o accettarlo a condizione che gli sia riconosciuto almeno un giusto compenso da parte del giudice (da ricordare che, per gli amministratori giudiziari di cui agli artt. 2409 c.c. e 592 c.p.c., sono espressamente previsti l'obbligo di rendere il conto al giudice che li ha nominati ex artt. 94, comma 2, e 103 disp. att. c.c., e 593 c.p.c., mentre il relativo diritto al compenso è tutelabile attraverso le agili forme di cui agli artt. 92, ultimo capoverso, e 103 disp. att. c.c. nonché 52 e 53 disp. att. c.p.c.). Seguendo la seconda impostazione, solo gli amministrati, i partecipanti al condominio, e cioè i mandatari possono stabilire quale compenso sia dovuto all'amministratore per l'opera da lui svolta, e solo in caso di dissenso, può intervenire il giudice - però, all'interno di un giudizio contenzioso - per stabilire se il compenso deliberato possa considerarsi proporzionato all'attività da lui svolta, ai vantaggi che dallo svolgimento di tale attività sono derivati ai condomini, alle tariffe professionali che eventualmente disciplinano l'espletamento delle predette funzioni e ne determinano il compenso ex artt. 1709 e 2260 c.c. (nel senso che l'amministratore nominato dal Tribunale, in sostituzione dell'assemblea che non vi provvede a seguito del ricorso di uno o più partecipanti al condominio ai sensi dell'art. 1129, comma 1, c.c., non riveste la qualità di ausiliario del giudice, né muta la propria posizione rispetto ai condomini, con i quali instaura, benché designato dal magistrato, un rapporto di mandato, sicché lo stesso deve rendere conto del proprio operato soltanto all'assemblea e la determinazione del suo compenso rimane regolata dall'art. 1709 c.c., v., da ultimo, Cass. civ., sez. II, 21 settembre 2017,n. 21966).
In conclusione
In termini concreti, l'amministratore nominato dal giudice, per tutelare il suo diritto al compenso, dovrà precisare ai condomini, in via preventiva, quale è il corrispettivo che richiede per lo svolgimento delle funzioni correlate al suo incarico e concordare con essi l'ammontare; se vi è un rifiuto in tal senso, l'amministratore potrà rinunciare alla nomina, non essendo obbligato a svolgere tali compiti gratuitamente, e sarà onere dei condomini scegliere un'altra persona (da sottoporre al giudice in sede di volontaria giurisdizione) che possa svolgerli gratis o al compenso da essi liquidato. Se, invece, l'amministratore giudiziario non ritenga di sollevare preliminarmente la questione del compenso, lo stesso accetterà l'incarico, svolgerà l'attività per espletarlo nei modi previsti dalla legge e, ad incarico compiuto, presenterà ai condomini il rendiconto con le spese della gestione, ivi compreso l'ammontare del compenso che ritiene dovuto; se i condomini contestino di dover corrispondere un qualunque compenso o di dover pagare l'ammontare richiesto, non rimarrà che ricorrere al giudice, in sede contenziosa (nei confronti dei condomini-mandanti) per verificare se il compenso medesimo sia dovuto ed eventualmente stabilirne il quantum. Terzago, Il condominio. Trattato teorico-pratico, Milano, 2015, 388; Spagnuolo, La nomina di un amministratore ad acta per l'attribuzione dei posti auto nelle aree condominiali, in Rass. loc. e cond., 2003, 428; Pironti, Sulla revoca del decreto di nomina dell'amministratore giudiziario, in Nuova giur. civ. comm., 1999, II, 139; Felici, Nomina giudiziaria dell'amministratore condominiale e contraddittorio, in Diritto e giustizia, 1999, 246; Chiocca - Capponi, Sulla nomina giudiziaria dell'amministratore di condominio, in Arch. loc. e cond., 1993, 215; Balzani, L'amministratore giudiziario del condominio negli edifici, in Arch. loc. e cond., 1984,383; Salis, Il compenso dell'amministratore della comunione nominato dall'autorità giudiziaria, in Riv. giur. edil., 1973, I, 53; Zaccagnini, Natura giuridica dell'amministratore giudiziario nella comunione e rimedi avverso il provvedimento che gli liquida il compenso, in Nuovo dir., 1972, 840; Cipriani, Sulla tutela giurisdizionale del diritto al compenso dell'amministrazione giudiziale della comunione, in Riv. dir. proc., 1971, 741. |