La nullità della sentenza per mancata integrazione del contraddittorio in caso di litisconsorzio necessario processuale

Sergio Matteini Chiari
15 Ottobre 2018

La Corte Suprema di cassazione si è occupata di stabilire se in sede di giudizio di legittimità possa/debba essere dichiarata la nullità della sentenza gravata emessa all'esito di giudizio in cui sia stato omesso di ordinare l'integrazione del contraddittorio e, in caso affermativo, se ciò possa essere disposto in tutte le ipotesi in cui si configuri litisconsorzio necessario oppure solo in alcune di tali ipotesi.
Massima

Qualora il giudizio di appello sia introdotto in violazione dell'art. 331 c.p.c. e né la parte che ha proposto il gravame né le altre né il giudice abbiano rilevato la nullità, la sentenza è suscettibile di ricorso deduttivo della violazione della norma soltanto qualora la violazione della medesima abbia riguardato o una situazione di litisconsorzio necessario iniziale ex art. 102 c.p.c. o una situazione di litisconsorzio necessario processuale determinata dall'ordine del giudice ex art. 107 c.p.c.. In tal caso, la violazione può essere denunciata con ricorso principale o incidentale e ciò perché non può operare la regola dell'art. 157, comma 3, c.p.c., in quanto la violazione degli artt. 102 e 107 in appello è rilevabile d'ufficio dalla Corte di cassazione, il che esclude che la parte perda il potere di impugnare al riguardo ancorché abbia provocato la nullità o non l'abbia rilevata. Viceversa, in ogni altro caso di violazione dell'art. 331 c.p.c. in appello e dunque con riferimento a situazioni di litisconsorzio necessario processuale (sia da inscindibilità sia da dipendenza), poiché la Corte di cassazione non ha il potere di rilevare d'ufficio detta violazione, la regola dell'art. 157, comma 3, c.p.c. opera ed esclude che tanto la parte che aveva introdotto l'appello determinando la violazione dell'art. 331 c.p.c. quanto le altre parti che non rilevarono a loro volta la violazione, possano proporre ricorso principale o incidentale deducendo la violazione.

Il caso

AAA proponeva, unitamente a BBB, opposizione a decreto ingiuntivo di pagamento somma a titolo di canoni relativi ad immobile locato da CCC a BBB.

AAA deduceva l'insussistenza della sua obbligazione fideiussoria in favore di BBB e quest'ultimo chiedeva dichiararsi la risoluzione del contratto per grave inadempimento del locatore, nonché condanna del medesimo al risarcimento di danni o, in subordine la compensazione della pretesa creditoria con quanto riconosciuto al predetto titolo.

CCC, costituitosi in giudizio, chiedeva respingersi l'opposizione e proponeva domanda riconvenzionale con cui instava per la risoluzione per inadempimento del contratto di locazione, sulla base di una clausola risolutiva espressa, nonché per il pagamento di una penale contrattualmente prevista, di una indennità di occupazione sine titulo dell'immobile e di una somma a titolo di risarcimento del danno.

Il tribunale adito respingeva l'opposizione ed accoglieva la domanda riconvenzionale di risoluzione e di pagamento somme.

In sede di gravame, proposto unicamente da AAA nei confronti di CCC ed ove veniva dato atto che BBB era nelle more fallito, la Corte di merito adita accoglieva parzialmente le doglianze dell'appellante, riducendo la somma posta a suo carico dal primo giudice, con conferma nel resto della sentenza gravata.

Avverso tale pronuncia AAA proponeva ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento.

CCC resisteva.

La questione

La questione giuridica sottoposta alla Corte Suprema di cassazione, che interessa in questa sede, è stata quella di stabilire se in sede di giudizio di legittimità possa/debba essere dichiarata la nullità della sentenza gravata emessa all'esito di giudizio in cui sia stato omesso di ordinare l'integrazione del contraddittorio e, in caso affermativo, se ciò possa essere disposto in tutte le ipotesi in cui si configuri litisconsorzio necessario oppure solo in alcune di tali ipotesi.

Le soluzioni giuridiche

i) Parte ricorrente (AAA) aveva eccepito la nullità della sentenza della Corte di merito per omessa integrazione del contraddittorio ai sensi dell'art. 331 c.p.c. nei confronti di BBB, dichiarato fallito dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado, che doveva, a suo avviso, ritenersi litisconsorte necessario nel giudizio di appello.

L'assunto veniva sostenuto adducendo: a)che doveva ritenersi pacifico che tra l'obbligazione fideiussoria del ricorrente e quella del debitore principale sussisteva un rapporto che giustificava l'applicazione dell'art. 331 c.p.c., in quanto l'obbligazione del fideiussore AAA «era strettamente ed inscindibilmente collegata» a quella del debitore principale BBB ed alle eccezioni inerenti il rapporto di locazione, dal quale entrambe le obbligazioni traevano la propria fonte; b)che era «evidente» che l'accoglimento della domanda diretta ad ottenere la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento di CCC «avrebbe avuto ripercussioni anche sull'obbligazione accessoria del fideiussore».

ii) La Suprema Corte ha ritenuto la doglianza inammissibile (giacché sprovvista del carattere della specificità e non emergendo il presupposto fattuale processuale legittimante) e, comunque, infondata.

Tale opinione è stata sorretta, sul piano del diritto, dagli argomenti che seguono:

a) Preliminarmente, la Suprema Corte ha affermato che la regola di cui all'art. 157, comma 3, c.p.c., secondo la quale la parte che ha determinato la nullità non può rilevarla, non opera qualora si tratti di una nullità rilevabile anche d'ufficio, ma tale inoperatività, essendo correlata alla durata del potere officioso del giudice, dura fino a che esso persiste e, dunque, fino a quando il giudice davanti al quale la nullità si è verificata non decide omettendo di rilevarla. Una volta sopravvenuta tale decisione omissiva, la regola dell'art. 157, comma 3, c.p.c., invece, si riespande e, pertanto, «la parte che ha dato causa alla nullità con il suo comportamento ed anche quella che non l'ha rilevata così contribuendo al permanere della nullità non possono dedurla come motivo di nullità della sentenza, a meno che si tratti di una nullità per cui la legge prevede il rilievo officioso ad iniziativa del giudice anche nel grado di giudizio successivo che riceve l'impugnazione».

b) A seguire, la Suprema Corte ha affermato che, qualora il giudizio di appello sia introdotto in violazione dell'art. 331 c.p.c. e né la parte che l'ha introdotto, né le altre, né il giudice abbiano rilevato la nullità, la sentenza è suscettibile di ricorso principale o incidentale deduttivo della violazione della norma ad istanza della parte, ivi compresa quella che aveva introdotto l'appello, peraltro soltanto qualora la violazione della suddetta disposizione abbia riguardato o una situazione di litisconsorzio necessario iniziale ai sensi dell'art. 102 c.p.c. oppure una situazione di litisconsorzio necessario processuale determinata dall'ordine del giudice ai sensi dell'art. 107 c.p.c.. In tal caso, la violazione può essere denunciata con ricorso principale o incidentale non essendo operativa la regola dell'art. 157, comma 3, c.p.c., in quanto la violazione degli artt. 102 e 107 c.p.c. in appello è rilevabile d'ufficio dalla Suprema Corte, il che esclude che la parte perda il potere di impugnare al riguardo ancorché abbia provocato la nullità o non l'abbia rilevata. Viceversa, in ogni altro caso di violazione dell'art. 331 c.p.c. in appello e dunque con riferimento a situazioni di litisconsorzio necessario processuale (sia da inscindibilità sia da dipendenza), poiché la Suprema Corte non ha il potere di rilevare d'ufficio detta violazione, la regola dell'art. 157, comma 3, c.p.c. torna ad essere operativa ed esclude che tanto la parte che aveva introdotto l'appello determinando la violazione dell'art. 331 c.p.c. quanto le altre parti che non avevano rilevato a loro volta la violazione, possano proporre ricorso principale o incidentale deducendo la violazione stessa.

c) Applicando tali principi di diritto al caso concreto, la Suprema Corte ha rilevato che in esso, «a tutto voler concedere», la situazione venuta in essere in relazione alla domanda proposta dal creditore CCC contro AAA e BBB poteva ritenersi avere determinato, o per espressa richiesta da parte del creditore o dei due altri o per il semplice fatto delle contestazioni comuni concernenti il modo di essere del rapporto principale, soltanto una situazione di litisconsorzio necessario processuale.

Di conseguenza, l'ipotetica violazione dell'art. 331 c.p.c. verificatasi per effetto della proposizione dell'impugnazione in appello da parte di AAA e che egli stesso e la controparte, nonché il giudice d'appello, si erano astenuti dal rilevare, in base agli affermati principi di diritto non era deducibile, essendo rimasta questione preclusa per effetto della pronuncia di appello.

Osservazioni

i) Nei casi in cui una sentenza sia stata pronunciata in una causa con pluralità di parti, il problema di stabilire quali siano i soggetti che debbono partecipare al giudizio di impugnazione è stato risolto dal legislatore con l'adozione del criterio della natura del vincolo che ha determinato il litisconsorzio.

A tale riguardo viene posta distinzione tra cause inscindibili o tra loro dipendenti e cause scindibili.

Negli ambiti delle cause inscindibili vengono comprese sia quelle che realizzano l'ipotesi di litisconsorzio necessario sostanziale (che ricorre laddove la necessità del litisconsorzio è espressamente prevista dalla legge o è dovuta al fatto che la sentenza, influendo su una situazione giuridica unica, indivisibile e comune a più persone, sarebbe inutiliter data qualora non fosse pronunciata nei confronti di tutti i soggetti interessati alla decisione), sia quelle, cui viene in tal modo esteso il concetto di causa inscindibile, che realizzano l'ipotesi di litisconsorzio necessario processuale (che ricorre allorché la presenza di più parti nel giudizio di primo grado debba necessariamente persistere in sede di impugnazione, al fine di evitare possibili giudicati contrastanti in ordine alla stessa materia e nei confronti di quei soggetti che siano stati parti del giudizio).

L'ipotesi di cause tra loro dipendenti ricorre allorché la decisione di una controversia si estende necessariamente all'altra, costituendone il presupposto logico e giuridico imprescindibile per il carattere di pregiudizialità, di dipendenza reciproca o di alternatività, che le questioni oggetto dell'una hanno rispetto alle questioni trattate nell'altra.

Infine, l'ipotesi di cause scindibili ricorrenel caso in cui vengano in rilievo più cause la cui trattazione cumulativa nella fase di prima istanza sia stata determinata da motivi contingenti (ad es., in ragione di un mero rapporto di connessione).

Tali cause sono separabili in fase di gravame, non essendo fra esse ravvisabile alcun legame di dipendenza, attenendo una pluralità di rapporti giuridici distinti ed autonomi, rilevando unicamente comunanza di questioni di diritto o di fatto (v., ex multis, Cass. civ., sez. III, 16 febbraio 2012, n. 2208).

ii) Qualora vengano in considerazione cause inscindibili o fra loro dipendenti, l'art. 331 c.p.c. dispone che il giudizio di impugnazione abbia la medesima struttura soggettiva del giudizio di primo grado e debba, pertanto, svolgersi nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato alla precedente fase; ciò al fine di evitare giudicati contrastanti nella stessa materia e tra soggetti già parti del giudizio.

Laddove, invece, si tratti di cause scindibili, il principio dell'unitarietà soggettiva del processo di impugnazione non è valevole, essendo possibili pronunce separate.

iii) Le cause aventi ad oggetto obbligazioni solidali trovano, di norma, collocazione nell'ambito della categoria delle cause scindibili.

Le obbligazioni solidali determinano la costituzione non già di un unico ed inscindibile rapporto obbligatorio con pluralità di soggetti dal lato passivo (o, mutatis mutandis, dal lato attivo), bensì di tanti rapporti obbligatori quanti sono gli obbligati in solido, e, sul piano processuale, non comportano l'inscindibilità delle cause e non danno luogo, né in primo grado né in sede di impugnazione, a litisconsorzio necessario.

Pertanto, in fase di appello, è operativo il disposto dell'art. 332 c.p.c. e non già quello del precedente art. 331.

Secondo l'orientamento tradizionale, il rapporto di solidarietà tra debitore principale e fideiussore non realizza un caso di litisconsorzio necessario comportante, come tale, qualora l'impugnazione fosse stata proposta da o contro uno solo di questi due soggetti, la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dell'altro (v. Cass. civ., sez. II, 21 novembre 2006, n. 24680; Cass. civ., sez. III, 30 agosto 2011, n. 17795;).

Peraltro, è stato recentemente affermato che il rapporto processuale tra creditore, debitore principale e fideiussore è facoltativo nella fase di introduzione del giudizio, potendo il creditore agire separatamente, a norma dell'art.1944, comma 1, c.c., nei confronti dei due debitori solidali, ma, una volta instaurato, dà luogo a un litisconsorzio processuale, che diviene necessario nei gradi d'impugnazione, qualora siano riproposti temi comuni al debitore principale e al fideiussore (v. Cass. civ., sez. I, 1 ottobre 2012, n. 16669; Cass. civ., sez. III, 20 luglio 2016, n. 14829).

Nella sentenza in commento, ove risulta essere venuto in rilievo rapporto fra creditore, debitore principale e fideiussore, vengono illustrate una pluralità di ipotesi in cui, in ragione delle domande proposte, possono riconoscersi realizzate fattispecie di litisconsorzio necessario processuale, che, in sede di gravame, rendono la vicenda riconducibile all'art. 331 c.p.c..

iv) In giurisprudenza è consolidato il principio secondo cui l'integrazione del contraddittorio, in fase di gravame, deve essere disposta non solo quando il giudizio di primo grado si sia svolto nei confronti di litisconsorti necessari di diritto sostanziale, e l'appello non sia stato proposto nei confronti di alcuni di essi, ma anche nel caso di litisconsorzio necessario processuale, quando l'impugnazione non sia stata proposta nei confronti di tutte le parti, non legate da litisconsorzio necessario sostanziale, purché si tratti di cause inscindibili o tra loro dipendenti, derivando la sua necessità dal solo fatto che le parti siano state presenti in primo grado (v., ex multis, Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 2010, n. 1535; Cass. civ., sez. I, 19 aprile 2016, n. 7732; Cass. civ., sez. V, ord. 8 novembre 2017, n. 26433).

In caso di mancata emissione dell'ordine di integrazione, sia laddove ricorra ipotesi di litisconsorzio sostanziale sia nella distinta ipotesi in cui ricorra litisconsorzio processuale, il gravame viene ritenuto ammissibile, ma si determina nullità dell'intero procedimento di secondo grado e della sentenza che lo ha concluso, vizio rilevabile d'ufficio anche in sede di legittimità.

Le parti devono essere rimesse dinanzi al giudice d'appello per un nuovo esame della controversia, previa integrazione del contraddittorio nei confronti della parte pretermessa (v. Cass. civ., sez. V, 15 giugno 2010, n. 14423; Cass. civ., sez. VI, 4 dicembre 2014, n. 25719; Cass. civ., sez. III, 19 ottobre 2015, n. 21070).

v) La soluzione prescelta nel caso concreto dalla Suprema Corte risulta fondata sul rilievo che dovesse escludersi che la nullità derivata dalla mancata integrazione del contraddittorio in fase di appello fosse rilevabile d'ufficio, non rientrando la fattispecie in alcuna delle ipotesi di litisconsorzio necessario che avrebbero legittimato l'intervento «sanzionatorio» ex officio, identificate unicamente con quella del litisconsorzio necessario sostanziale (art. 102 c.p.c.) e con quella del litisconsorzio determinato dalla chiamata in causa del terzo iussu iudicis (art. 107 c.p.c.).

vi) La sentenza in commento sembra discostarsi dai principi sino a ieri l'altro costantemente affermati dal Giudice di legittimità.

Appariva, sino a ieri l'altro, consolidato il pensiero secondo cui l'obbligatorietà dell'integrazione del contraddittorio nella fase dell'impugnazione, al fine di evitare giudicati contrastanti nella stessa materia e tra soggetti già parti del giudizio, sorge non solo quando la sentenza di primo grado sia stata pronunciata nei confronti di tutte le parti tra le quali esiste litisconsorzio necessario sostanziale e l'impugnazione non sia stata proposta nei confronti di tutte, ma anche nel caso del cosiddetto litisconsorzio necessario processuale, quando l'impugnazione non risulti proposta nei confronti di tutti i partecipanti al giudizio di primo grado, sebbene non legati tra loro da un rapporto di litisconsorzio necessario, sempre che si tratti di cause inscindibili o tra loro dipendenti, nel qual caso la necessità del litisconsorzio in sede di impugnazione è imposta dal solo fatto che tutte le parti sono state presenti nel giudizio di primo grado; conseguendone che, in entrambe le ipotesi, la mancata integrazione del contraddittorio nel giudizio di appello determina la nullità dell'intero procedimento di secondo grado e della sentenza che lo ha concluso, rilevabile d'ufficio anche in sede di legittimità (v., ex multis, Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 2010, n. 1535; Cass. civ., sez. VI, ord. 18 febbraio 2014, n. 3855; Cass. civ., sez. III, 19 ottobre 2015, n. 21070;Cass. civ., sez. I, 19 aprile 2016, n. 7732; Cass. civ., sez. V, 8 novembre 2017, n. 26433; Cass. civ., sez. II, 6 maggio 2015, n. 9150 e Cass. civ., sez. II, ord. 9 maggio 2018, n. 11156, secondo le quali, a seguito di intervento adesivo volontario, ex art. 105 c.p.c., pur ricorrendo un'ipotesi di cause sostanzialmente scindibili, si configura un litisconsorzio necessario processuale e la causa deve considerarsi inscindibile nei confronti dell'interveniente anche in grado di appello).

In conclusione, mentre secondo l'orientamento definito come «consolidato» la nullità dell'intero procedimento di secondo grado e della sentenza, determinata dalla mancata integrazione del contraddittorio in tutte le ipotesi di configurabilità di litisconsorzio necessario processuale, a condizione che si trattasse di cause inscindibili o tra loro dipendenti, doveva ritenersi rilevabile d'ufficio anche in sede di legittimità, secondo il pensiero espresso dalla sentenza in commento la rilevabilità d'ufficio della nullità sarebbe da ritenere circoscritta ai casi in cui si tratti di litisconsorzio necessario sostanziale o causato da intervento coatto per chiamata iussu iudicis; restando esclusa dall'intervento sanzionatorio da ultimo detto qualsiasi altra situazione di litisconsorzio necessario processuale, inclusa quella in cui, come sembra essere occorso nel caso di specie (v., a migliore illustrazione di tale assunto, il punto i) del precedente paragrafo).