Il privilegio IVA professionale fra questione di costituzionalità e possibili correttivi

Danilo Galletti
Alberto Cimolai
15 Ottobre 2018

È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, con riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 2751-bis, n. 2, c.c. (come recentemente modificato dall'art. 1, comma 474, della legge 27.12.2017, n. 205), nella parte in cui estende anche al credito per rivalsa I.V.A. il privilegio generale ivi attribuito al credito per le retribuzioni dei professionisti.
Massima

È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, con riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 2751-bis, n. 2, c.c. (come recentemente modificato dall'art. 1, comma 474, della legge 27.12.2017, n. 205), nella parte in cui estende anche al credito per rivalsa I.V.A. il privilegio generale ivi attribuito al credito per le retribuzioni dei professionisti.

Il caso

L'ordinanza che si commenta rileva, nell'ambito di un procedimento di verifica del passivo fallimentare, la illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 474, della L. n. 205/2017, là dove il disposto ha interpolato l'art. 2751-bis, n. 2, c.c., aggiungendo dopo le parole “le retribuzioni dei professionisti” il periodo “compresi il contributo integrativo da versare alla rispettiva cassa di previdenza ed assistenza ed il credito di rivalsa per l'imposta sul valore aggiunto”.

Il Giudice remittente ha delibato la rilevanza della questione nel giudizio a quo, attesa la necessità, nell'interpretazione data dal Tribunale, di fare applicazione del privilegio nello stato passivo anche a fronte dell'insinuazione di pretese creditorie per prestazioni già rese prima dell'apertura del concorso (con ciò collocandosi consapevolmente contro l'orientamento giurisprudenziale di merito che parrebbe allo stato dominante).

Osserva il G.D. che il credito per rivalsa IVA già godrebbe del privilegio speciale di cui all'art. 2758 c.c., sulla base delle pronunzie ormai sedimentate della S.C.; tutela che tuttavia nella quasi generalità dei casi non conduce ad alcun trattamento prioritario per il professionista, attesa la normale inesistenza di beni su cui esercitare in concreto la prelazione; l'estensione del privilegio generale di cui al n. 2 dell'art. 2751-bis, invece, accomuna nel trattamento riservato a prestazioni “lavorative” una pretesa che potrebbe effettivamente apparire non eterogenea rispetto alla voluntas legis (il contributo previdenziale), ed un'altra (la rivalsa IVA) che invece non presenta alcuna possibile parentela funzionale.

Resterebbero, pare, comunque escluse dal nuovo trattamento le somme per spese generali e per anticipazioni, la cui “caratura” chirografaria non è suscettibile di aggiornamento.

La recente scelta normativa, se da un lato può apparire giustificata dall'esigenza di tutelare una categoria, quella appunto dei professionisti, che nel diritto vigente non trova “di fatto” notoriamente una copertura “equilibrata”, posto che l'art. 2758 c.c. costituisce come già visto una guarentigia “vuota”, e la ricostruzione giurisprudenziale consolidata onera il creditore di versare, al momento del riparto parziale, in cui trova soddisfacimento la sola componente privilegiata del credito ammesso, l'IVA che non riceve dalla procedura (e che probabilmente non riceverà mai); dall'altro però realizza un'evidente disarmonia sistematica, estendendo una causa di prelazione eterogenea rispetto alla reale “qualità” del credito, non assecondando parimenti le analoghe aspirazioni di altri creditori titolari di ragioni simili: fra questi non tanto i prestatori di opera non professionale, i quali potrebbero ragionevolmente beneficiare in via interpretativa “adeguatrice” del privilegio (conf. Sanzo- Burroni, La nuova disciplina nel trattamento degli accessori dei crediti professionali, in questo portale, 2018), sulla base dell'esegesi ormai stratificata del n. 2 dell'art. 2751-bis, bensì i portatori di ragioni pure “di lavoro” in senso ampio di cui ai successivi numeri dell'art. 2751-bis, per i quali nessuna estensione esegetica appare possibile né consentita (e che nemmeno sono per lo più titolari di trattamenti ad opera di una “cassa” di previdenza specifica).

Il parametro di legittimità viene dunque rinvenuto nell'art. 3 Cost., tanto sotto il profilo della diseguaglianza, quanto della “ragionevolezza” del nuovo trattamento normativo.

Le questioni giuridiche

Il Tribunale, come si è visto, ha ritenuto che il privilegio sia applicabile anche alle fattispecie creditorie in cui la prestazione sia stata posta in essere prima dell'apertura del concorso.

Il tema è intrigante, anche perché la posizione prevalente della giurisprudenza fallimentare sembrerebbe di segno contrario (cfr. per tutti Lamanna, La legge di bilancio 2018 e il nuovo privilegio generale dei professionisti per iva e contributi, in questo portale, 24 gennaio 2018; e la Circolare del Tribunale fallimentare di Milano del 23 gennaio 2018; contra ad es. De Cristofaro, Sul regime intertemporale della modifica legislativa dell'art. 2751-bis n. 2, in Il caso, 10 febbraio 2018; Pezzano- Ratti, Bussola orientativa ad una lettura senza preconcetti del privilegio professionale per cap e iva, ivi, 16 febbraio 2018).

Il problema si è posto anche per i crediti di cui all'art. 8-bis l. n. 33/2015, che sancisce come “il diritto alla restituzione, nei confronti del beneficiario finale e dei terzi prestatori di garanzie, delle somme liquidate a titolo di perdita dal fondo di garanzia di cui all'art. 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, costituisce credito privilegiato e prevale su ogni altro diritto di prelazione” (redatto sulla falsariga dell'art. 9, commi 4 e 5, d. lgs. n. 123/1998).

Le fattispecie genetiche dei suddetti crediti possono infatti essere state poste in essere molto prima dell'entrata in vigore della citata modifica normativa; ma è anche vero che il diritto alla restituzione potrebbe invece essere nato ben dopo il suddetto momento, per effetto della disposta revoca del beneficio.

Certo quanto alla natura consapevolmente retroattiva del suddetto intervento normativo possono nutrirsi seri dubbi, giacché il Legislatore era certo consapevole della sfortunata conclusione delle vicende giudiziarie che avevano riguardato soggetti “pubblici” come Sace/Simest, e potrebbe sostenersi che abbia voluto intervenire in sede interpretativa, e non già innovativa (In tal senso v. Trib. Como, 28 settembre 2016, in Il caso).

Ma a livello generale la possibilità di fare applicazione retroattivamente della disciplina che introduca un nuovo privilegio non trova affatto indicazioni univoche, argomentandosi la soluzione favorevole sulla base della natura processuale dell'istituto, dunque sottoposto al principio tempus regit actus.

Anche a livello giurisprudenziale purtroppo non si registrano orientamenti convergenti, atteso che, se da un lato la S.C. ha reputato di recente inapplicabile la nuova disciplina del privilegio “artigiano” alle fattispecie antecedenti (Cass., Sez. Un., n. 5685/2015; Cass., 17 gennaio 2017, n. 1034; Id., 4 luglio 2012, n. 11154; conff. App. Milano, 15 dicembre 2009, in Il caso; Trib. Padova, 19 giugno 2014, ivi): dall'altro la Corte Costituzionale, anche in un caso assai noto, inerente ai privilegi “fiscali”, ha statuito nel senso che “secondo i principi generali delle procedure fallimentari l'introduzione di un nuovo privilegio da parte del Legislatore deve sempre ricevere immediata applicazione da parte del Giudice Delegato, dal momento che le norme processuali sulla gradazione dei crediti si individuano avendo riguardo al momento in cui il credito viene fatto valere” (Corte Cost., 1 luglio 2013, n. 170; in senso conf. parrebbero interpretabili Cass., 24 giugno 2015, n. 13090; Id., 10 aprile 2013, n. 8683; più di recente Corte Cost., 13 luglio 2017, n. 176).

Il problema dunque è assai serio, ed ogni soluzione purtroppo gravida di conseguenze applicative difficilmente districabili.

Così, ove si ritenesse la nuova prelazione applicabile alle fattispecie pregresse, “critica” sarebbe la posizione di quei creditori che siano già stati ammessi definitivamente allo stato passivo, posto che la intangibilità del giudicato, anche se “endofallimentare”, si concilia in modo assai difficile con le aspettative di tutela del creditore, addirittura di quello più “tempestivo”, e dunque meno “colpevole”, la cui ammissione sia già divenuta definitiva.

Le apparenti aperture giurisprudenziali relative alla possibilità di ottenere il riconoscimento della natura privilegiata pur dopo l'accertamento della qualità chirografaria, del resto, riguardano o fattispecie assai peculiari, di sapore “equitativo” (cfr. Cass., n. 13090/2015), oppure ipotesi in realtà differenti da quella “estrema”, ipotesi cioè in cui ancora tale giudicato non si era ancora formato, essendo pendente il giudizio di opposizione, ed ove dunque la soluzione “di rottura” riguarda il meccanismo delle allegazioni processuali (al creditore opponente si consente di dedurre nell'impugnazione una qualità non vantata nella fase preliminare), non direttamente la sfera del giudicato.

Persino l'efficacia ai nostri fini della revocazione “straordinaria” ai sensi dell'art. 98, comma 4, l.fall.,, deve misurarsi con la scarsa recettività dell'istituto processuale generale ad operare rispetto allo ius superveniens, proprio per la normale intangibilità del giudicato rispetto a tali eventi, che potrebbero mettere in crisi altrimenti la definitività di qualsiasi accertamento giurisdizionale.

Ancora più seria, anche se forse “speculare”, la situazione nei concordati preventivi, ove come è noto non esiste accertamento del passivo, sicché la portata oggettiva del potere “conformativo” del decreto di omologazione (art. 184 l.fall.) si esaurisce normalmente con la falcidia, laddove la prelazione è suscettibile di essere accertata in un giudizio ordinario, non subendo il creditore concorrente asseritamente privilegiato alcuna preclusione dal non avere svolto opposizione avverso un concordato che non gli riconosceva apparentemente tale qualità; anzi, l'opposizione svolta esclusivamente sulla base di tale argomento sarebbe addirittura inammissibile, in quanto estranea alla funzione dell'istituto.

Dunque nei concordati il sopravvenire della prelazione sembra dover essere gestita come una normale “sopravvenienza”, che dovrà essere apprezzata per la sua capacità o meno di minare in modo irrimediabile il conseguimento degli obiettivi concordatari.

E' inutile aggiungere che in genere tali situazioni trovano soluzione o tramite un accordo transattivo, oppure nel giudizio di risoluzione ex art. 186 l.fall.

Anche sostenendo che la nuova prelazione non si applichi alle fattispecie anteatte, del resto, si aprono problemi di non agevole soluzione: ad es. il diritto deve considerarsi sorto al momento in cui inizia l'esecuzione della prestazione, oppure quando essa termina (ed il diritto al compenso, divenendo attuale, inizia a prescriversi?), od ancora quando il creditore emette la fattura?

L'anteriorità della matrice genetica, infatti, regola come si è visto gli effetti della compensazione, talvolta la natura prededucibile del credito, ma non necessariamente la sua qualità privilegiata o meno.

A noi pare che, ragionando in questi termini, e dovendo mirare l'attribuzione legale del privilegio, se riconosciuta in termini non “retroattivi”, anche ad incentivare il prestatore a collaborare con il debitore decotto, debba applicarsi la logica della “spaccatura” del rapporto, riconoscendosi la prelazione alle sole attività poste in essere dopo l'introduzione del nuovo privilegio.

Nel caso opposto, ove cioè la prelazione sia applicata anche alle procedure concorsuali in corso, e comunque in relazione alla vigenza della disciplina del privilegio, ci pare che ne esca armonizzata anche l'applicazione del diritto delle procedure transfrontaliere, ove l'accertamento del privilegio viene naturalmente attratto alla “legge del concorso”, e dunque alla legge nazionale della procedura “principale”.

D'altro canto se il privilegio (soprattutto generale) costituisce tradizionalmente una “qualità” del credito, tale qualità si inserisce in una fattispecie complessa, al contempo sostanziale e processuale, ove essa si combina con una distinta situazione giuridica attiva del creditore di tipo pretensivo sul patrimonio del debitore, derivante dall'art. 2740 c.c., e che nel concorso non può che essere esercitata con le forme tipiche “speciali”, nelle quali si “trasforma” e alle quali si conforma la pretesa esecutiva.

Il Giudice Delegato, nella verifica, accerta tanto il credito, e dunque la situazione sostanziale, quanto la situazione pretensiva di cui sopra, che invece ha rango processuale; nelle procedure transfrontaliere il Giudice rileva la presenza del privilegio attraverso la legge nazionale, sostanziale, del creditore, e poi lo “decodifica” in una causa di prelazione presente nel nostro sistema, al fine di “graduarla” con tutte le altre.

Si vede bene, dunque, come tale doppia natura, sostanziale e processuale, delle situazioni del creditore, possa consentire in teoria entrambe le soluzioni, in tema di retroattività; eppure, si tratta di qualità che attengono sì alla matrice sostanziale del diritto di credito … ma che possono essere azionate soltanto nel processo, e dunque a nostro avviso l'applicazione del principio del tempus regit actum si impone come quello più armonico con il contesto giuridico complessivo.

Con un'attenuazione della normale efficacia incentivante, ex ante, che il privilegio irradia sull'attività dei privati, ed un potenziamento degli effetti ex post, che redistribuiscono anche la ricchezza del debitore dopo l'apertura del concorso.

Osservazioni critiche

Se dovesse esserne infine dichiarata l'incostituzionalità, la situazione che si presenterebbe riproporrebbe peraltro tutte le complesse problematiche che l'attribuzione del privilegio si proponeva di superare, problematiche che, attesa l'interpretazione prevalente, restano comunque attuali per tutte le prestazioni professionali rese anteriormente all'entrata in vigore della norma.

Pare dunque opportuno riesaminare i profili normativi ed interpretativi allo stato riscontrabili per rilevare criticità e proporre eventuali correttivi in riferimento alla possibile incidenza impropria dell'imposta.

Per quanto attiene alla normativa I.V.A., punto di partenza risultano sicuramente il 3° ed il 4° comma dell'art. 6 del d.pr. n. 633/72 che, nel determinare il momento di emissione della fattura, così testualmente prevedono:

….

  1. le prestazioni di servizi si considerano effettuate all'atto di pagamento del corrispettivo;
  2. se anteriormente al verificarsi degli eventi indicati nei precedenti commi, o indipendentemente da essi, sia emessa fattura o sia pagato in tutto o in parte il corrispettivo, l'operazione si considera effettuata, limitatamente all'importo fatturato o pagato, alla data della fattura o a quella del pagamento.

Viceversa, nell'ipotesi di fattura già emessa prima dell'apertura della procedura (caso che riguarda principalmente i fornitori di beni, per i quali l'obbligo di emissione del documento sorge all'atto della consegna), la norma di riferimento è l'art. 26 del decreto Iva che così prevede in caso di mancato pagamento dell'imponibile: …se un'operazione per la quale è stata emessa la fattura ...se ne riduce l'imponibile...per mancato pagamento in tutto o in parte...a causa di procedure concorsuali...il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione...l'imposta corrispondente alla variazione...

Per quanto concerne la posizione interpretativa assunta dall'Agenzia delle entrate, si riscontrano molteplici ma univoci interventi; in particolare, con riferimento al pagamento del professionista in sede di riparto, l'Agenzia è intervenuta con la circolare n. 127 del 3.4.2008 stabilendo che, nell'ipotesi in cui il riparto fallimentare regoli solo una parte del corrispettivo (di norma, nel caso dei professionisti, la parte privilegiata), il pagamento debba essere assunto alla stregua di un acconto e quindi, fiscalmente (e difformemente dal libero quanto legittimo accordo fra le parti o da una norma che così dispone, in questo caso la regola sulla graduazione dei privilegi), debba necessariamente comprendere una quota di imponibile e la corrispondente (secondo l'aliquota di riferimento) aliquota di imposta. Ciò in forza del principio di inscindibilità dell'imponibile dall'imposta (preveduto dal comma 4 dell'art. 6 del decreto Iva per l'ipotesi di acconto ma analogicamente applicabile in qualsiasi caso di pagamento parziale) in ossequio al quale anche se fra le parti fosse convenuto diversamente (ad esempio un pagamento parziale della sola imposta o del solo imponibile o di una qualsivoglia combinazione fra i due) per presunzione tributaria assoluta il pagamento parziale non potrà che risultare comunque costituito da una quota di imponibile e una quota di imposta determinata secondo l'aliquota sua propria; testualmente, nella circolare,…ne consegue che se il piano di riparto, approvato dal giudice fallimentare, dispone il pagamento parziale del credito riguardante le prestazioni professionali rese ante fallimento, ancorché lo stesso faccia riferimento alla sola voce imponibile iscritta tra i crediti privilegiati, sotto il profilo fiscale, i professionisti emetteranno fattura per un importo complessivo pari a quello ricevuto dal curatore, dal quale andrà scorporata l'Iva relativa. In altre parole, se l'importo liquidato dal giudice fallimentare risulta inferiore all'ammontare complessivo del credito professionale, comprensivo dell'IVA, il professionista al momento dell'emissione della fattura ridurrà proporzionalmente la base imponibile e la relativa imposta. Ciò in quanto… dal punto di vista degli adempimenti fiscali, il professionista che si insinua al passivo nell'ambito di una procedura concorsuale, è portatore di un credito complessivo per prestazioni professionali, composto da imponibile ed imposta sul valore aggiunto, elementi strettamente collegati tra loro da un nesso inscindibile.

Per quanto viceversa attiene alla disciplina della nota di variazione, regolata dall'art. 26 del decreto Iva, la posizione dell'erario è rilevabile dalla circolare 77E del 17.4.2000 (successivamente confermata dalle analoghe 89E del 18.3.2002 e 26E del 22.3.2002) la quale, sul presupposto che per l'operazione sia già stata emessa la fattura prima dell'apertura della procedura, così dispone:…per quanto attiene, in particolare, all'ipotesi di mancato pagamento, in tutto o in parte, a causa di procedure concorsuali, rimaste infruttuose, dell'importo fatturato, è da rilevare, in via generale, che tale circostanza viene giuridicamente ad esistenza allorquando il soddisfacimento del creditore attraverso l'esecuzione collettiva sul patrimonio dell'imprenditore viene meno, in tutto o in parte, per insussistenza di somme disponibili, una volta ultimata la ripartizione dell'attivo… Ultimazione che viene più oltre così precisata…pertanto al fine di individuare l'infruttuosità della procedura occorre fare riferimento alla scadenza del termine per le osservazioni al piano di riparto, oppure, ove non vi sia stato, alla scadenza del termine per il reclamo al decreto di chiusura del fallimento stesso.

Per quanto invece attiene alla modalità di emissione della nota, la circolare conclude prevedendo chela variazione in diminuzione in rassegna deve essere operata sia riguardo all'imponibile che alla relativa imposta. Ciò discende oltre che dalla formulazione dell'art. 26, secondo comma, anche dalla ulteriore considerazione che i due presupposti (mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose) sono inscindibilmente legati alla cessione del bene o alla prestazione del servizio già eseguite e il loro verificarsi importa l'effetto di far venire meno, in tutto o in parte, ai soli fini dell'IVA, l'originaria operazione imponibile.

Ripetuta in plurime pronunce e ormai assolutamente consolidata (ripresa anche recentemente nell'ordinanza n. 1034 del 2017), la posizione della Corte di cassazione si risolve nel seguente principio di diritto: la disposizione dell'art. 6 del dpr 633 del 1972, secondo cui le prestazioni di sevizi si considerano effettuate all'atto del pagamento del corrispettivo, non pone una regola generale rilevante in ogni campo del diritto, cosicchè in particolare dal punto di vista civilistico la prestazione professionale conclusasi prima della dichiarazione di fallimento resta l'evento generatore del credito di rivalsa Iva, autonomo rispetto al credito per la prestazione, ma ad esso soggettivamente e funzionalmente connesso. Il medesimo credito di rivalsa può giovarsi quindi del suo privilegio speciale di cui all'art. 2758 c.c. comma secondo”.

Qui si rende assolutamente evidente come il credito Iva, pur fiscalmente sorto all'atto del pagamento ex art. 6 d.P.R. n. 633/72, mai potrà essere ritenuto prededucibile ex art. 111, comma 2 (in tanto in quanto, come era stato ipotizzato dagli opponenti, sorto in occasione di una procedura concorsuale) ma avrà natura necessariamente concorsuale.

Per quanto attiene alla normativa comunitaria, l'art. 90 della sesta direttiva (2006/112/CE), che ha introdotto nell'ambito dell'unione l'imposta sul valore aggiunto, così testualmente dispone:

1. in caso di…non pagamento totale o parziale…dopo il momento in cui si effettua l'operazione, la base imponibile è debitamente ridotta alle condizioni stabilite dagli stati membri;

2. in caso di non pagamento totale o parziale gli stati membri possono derogare al paragrafo 1;

preceduto dagli articoli 63, 65 e 66 che così, viceversa, dispongono:

  • art. 63 - Il fatto generatore dell'imposta si verifica e l'imposta diventa esigibile nel momento in cui è effettuata…la prestazione di servizi
  • art. 65 -In caso di pagamento di acconti anteriore alla…prestazione di servizi, l'imposta diventa esigibile al momento dell'incasso, a concorrenza dell'importo incassato.
  • art. 66 - In deroga agli articoli 63, 64 e 65, gli stati membri possono stabilire che per talune operazioni o per talune categorie di soggetti passivi, l'imposta divenga esigibile in uno dei momenti seguenti:

b) non oltre il momento dell'incasso del prezzo.

La posizione della Corte di giustizia europea, più volte intervenuta nei conflitti fra autorità fiscali nazionali e contribuenti, si riassume, nei suoi tratti essenziali, in una recente pronuncia che riguarda proprio un contribuente italiano (causa C-246/16, Di Maura ) a seguito della pregiudiziale avanzata dalla commissione tributaria di Siracusa; nell'ambito delle proprie motivazioni la Corte si sofferma, in particolare, sulla portata della facoltà di deroga alla riduzione della base imponibile in caso di mancato pagamento concessa agli stati membri dal 2° comma dell'art. 90, per concludere favorevolmente sull'impugnativa statuendo la non conformità dell'indirizzo interpretativo dell'autorità fiscale italiana con i principi comunitari.

I possibili correttivi

Dal quadro appena delineato possono allora individuarsi i seguenti possibili correttivi alla palese iniquità dell'imposta così come attualmente applicata:

1. Fornitori di beni (imprenditori) - legittimazione all'emissione della nota di variazione fin dall'avvio della procedura

L'emissione della nota di variazione all'avvio della procedura (già per due volte introdotta nel nostro ordinamento ma fatta abortire in limine dell'entrata in vigore), seppur fortemente contrastata dall'amministrazione finanziaria anche a fronte di interpretazioni estensive del disposto di cui all'art. 26 del decreto iva, risulta pienamente allineata alla posizione della Corte di giustizia che, nella causa sopra citata, ha legittimato tale comportamento, e questo in ossequio:

  • al principio di neutralità dell'imposta (…nella sua qualità di collettore d'imposta per conto dello stato, l'imprenditore deve essere sgravato interamente dall'onere dell'imposta dovuta o pagata nell'ambito delle sue attività economiche a loro volta soggette ad Iva;
  • al principio di

    proporzionalità

    (…in base al principio di proporzionalità…i mezzi impiegati per l'attuazione della sesta direttiva devono essere idonei a realizzare gli obiettivi perseguiti da tale testo e non devono eccedere quanto è necessario per conseguirli);
  • all'obiettivo di armonizzazione (…un termine simile (quello di possibile durata di una procedura superiore a dieci anni, n.d.r.) è in ogni caso tale da far sopportare agli imprenditori soggetti a detta legislazione, nei casi di non pagamento di una fattura, uno svantaggio in termini di liquidità rispetto ai loro concorrenti di altri stati membri manifestamente in grado di compromettere l'obiettivo di armonizzazione fiscale perseguito dalla sesta direttiva);

alla luce di questo precedente, per le cessioni o prestazioni già fatturate, l'emissione della nota di variazione fin dall'avvio della procedura concorsuale può considerarsi certamente facoltizzata, nonostante il diverso orientamento dell'Agenzia delle Entrate italiana

Nulla vieterà poi, nella successiva ipotesi in cui intervenga un pagamento parziale o totale, di poter rivalutare la base imponibile mediante una variazione in positivo della nota come sopra emessa, con addebito della correlata imposta.

2. Prestatori di servizi (professionisti) - legittimazione all'emissione di fattura con iva e contestuale nota di variazione all'atto del pagamento per le fatture da emettere.

La facoltà all'emissione di fattura con contestuale nota di variazione all'atto della regolazione del credito, che riguarda in particolare i professionisti, non risulta viceversa espressa da alcun passaggio delle sentenze della corte e deve dunque esserne valutata la praticabilità alla luce delle sue linee interpretative.

Il problema, in questo caso, si pone però in maniera affatto diversa perché tale categoria non risulta, in realtà, incisa da alcun tributo già versato e non può dunque essere invocata alcuna compromissione al diritto di rivalsa, il cui esercizio in tempi abnormi è ritenuto in violazione del principio di proporzionalità e di neutralità e l'obiettivo di armonizzazione; la criticità, in realtà, emerge solo all'atto del pagamento di parte del corrispettivo (di regola la parte imponibile privilegiata) ponendosi in termini di ammissibilità della scissione fra il pagamento dell'imponibile ed il pagamento dell'imposta nel caso di regolazione, appunto, parziale.

In altri termini, e più semplicemente, va giudicato se sia fiscalmente ammissibile il pagamento di una parte o di tutto l'imponibile senza che si debba considerare implicitamente pagata anche la corrispondente parte di imposta; ovvero, in una diversa prospettiva, se l'imputazione di pagamento preveduta da una legge (in questo caso il primo comma dell'art. 111 l.fall.) possa essere sovvertita da una presunzione tributaria (in questo caso il 4° comma dell'art. 6 del decreto Iva) in caso di pagamento parziale anteriore o successivo alla prestazione.

La direttiva comunitaria, in realtà, regola solo il pagamento anticipato di un acconto, prevendendo all'art. 65 (norma sostanzialmente trasfusa nel 4° comma dell'art. 6 del dpr 633) che…in caso di pagamento di acconti anteriore alla…prestazione di servizi, l'imposta diventa esigibile al momento dell'incasso, a concorrenza dell'importo incassato....; ma appare evidente che anche il pagamento parziale di una prestazione eseguita ripropone, di fatto, la medesima situazione. La norma europea sembrerebbe dunque confermare la piena opponibilità della presunzione di inscindibilità alle regole concorsuali italiane (nella indiscussa considerazione che, nella gerarchia delle fonti del diritto, una direttiva comunitaria risulta sovraordinata rispetto alle norme interne).

L'interpretazione della Corte di giustizia, in prima lettura, sembrerebbe aprire uno spiraglio quando, nella sentenza sulla causa C-330/95 (Goldsmith) afferma, che…tale disposizione (…) costituisce l'espressione di un principio fondamentale della sesta direttiva, secondo cui la base imponibile è data dal corrispettivo realmente ricevuto…ed il cui corollario è che l'Amministrazione finanziaria non può riscuotere a titolo di Iva un importo superiore a quello percepito dal soggetto passivo... ; ma l'assunto potrebbe prestarsi anche ad una lettura del tutto diversa, posto che, nella prima parte, la Corte richiama pur sempre la base imponibile, che quindi presuppone il contestuale addebito anche della corrispondente imposta.

Non sembrerebbe decisivo nemmeno il richiamo al principio di neutralità, invocandone la violazione sul presupposto che lo scorporo dell'Iva dall'importo erogato a titolo di imponibile rappresenti un costo improprio per il percipiente in tanto in quanto inciso da un'imposta che dovrebbe rimanere comunque neutra, posto che, in realtà, il tema si riproporrebbe sempre nella medesima forma: al di là del titolo di pagamento (la parte privilegiata) derivante dalle regole interne (le norme sul riparto) cui risulta sottoposto il soggetto erogante (la procedura concorsuale) comunque di un pagamento parziale sempre si tratta, il che ci riporta inevitabilmente al trattamento tributario dell'acconto il cui principio di inscindibilità fra imponibile ed imposta, allo stato delle norme comunitarie, sembra non ammettere deroghe.

3. Prestatori di servizi (professionisti) - prededucibilità per disposizione di legge dell'iva riveniente dalle fatture emesse dopo l'avvio della procedura.

Evocata da più parti, e nel passato fatta propria anche da alcune importanti corti territoriali, la prededucibilità dell'iva addebitata sulle fatture emesse in sede di riparto del solo imponibile è stata negata dalla giurisprudenza della suprema corte con molteplici arresti (cfr. da ultimo Cass. 1043/2017, già sopra richiamata ) in quanto il credito tributario è stato ritenuto insorgere all'atto della prestazione del servizio e non all'atto dell'emissione della fattura (la distinzione fra genesi del tributo all'atto della prestazione e sua esigibilità all'atto del pagamento risulta presente anche nella direttiva).

Va nondimeno considerato che un sistema può ritenersi realmente in equilibrio in tanto in quanto anche tutte le sue componenti lo risultino, e nel caso che ci occupa se può dirsi salvaguardato il principio della concorsualità ,resta disallineata e incoerente la causale del riparto (pagamento dell'imponibile) con l'obbligo tributario imposto al creditore (scorporo dell'iva dall'imponibile e riversamento allo stato di un'imposta mai percepita) cui viene arrecato un danno economico del tutto iniquo. E quindi la stabilità del sistema non può dirsi raggiunta.

Pare dunque che l'unica soluzione praticabile per neutralizzare il danno improprio senza traslarlo a nessuna controparte sia disporre per legge l'obbligo in capo alla procedura di corresponsione dell'Iva quale somma aggiuntiva prededucibile rispetto all'imponibile.

Un intervento normativo che richiamasse il secondo comma dell'art. 111 bis per l'imposta esposta in caso di riparto concorsuale non parrebbe, infatti, costituzionalmente incoerente, in quanto:

  • non farebbe emergere alcun elemento di disparità, posto che il diritto tutelerebbe qualsiasi soggetto emittente;
  • nemmeno si presterebbe a rilievi sulla sua ragionevolezza, non estendendo alcun identico privilegio a crediti di natura diversa.

Neanche sotto il profilo tributario parrebbero emergere incongruenze, trattandosi:

  • per l'ordinamento nazionale, dell'applicazione di quanto previsto dal 4° comma dell'art. 6;
  • per l'ordinamento comunitario, anche qui dell'applicazione di quanto previsto dalla lettera b) dell'art. 66 della sesta direttiva.

Nemmeno, infine, in ambito concorsuale si registrerebbero ripercussioni improprie posto che, come è noto, l'iva erogata genererebbe un simmetrico credito che la procedura potrebbe rapidamente recuperare, cosi rendendosi l'operazione perfettamente neutra sotto ogni profilo.

Va tuttavia attentamente considerato un altro elemento, che spesso sfugge e che è una derivata diretta della più volte citata posizione della corte di legittimità: allo stato, l'iva esposta nelle parcelle emesse in sede di riparto potrà ritenersi liberamente detraibile da eventuali debiti d'imposta della procedura, o alternativamente chiesta a rimborso, solo in totale assenza di crediti vantati dall'Agenzia.

Non va infatti trascurato che, affermata (dalla suprema corte) la natura concorsuale di detta imposta, il credito riveniente dal suo pagamento risulterà pienamente e legittimamente compensabile ex art. 56 l.fall. dall'Erario con i propri controcrediti e, dunque, ogni suo utilizzo da parte della curatela che ne presupponga la libera disponibilità potrà essere ritenuto illegittimo e corrispondentemente sanzionato (similmente a quanto accadrebbe se, sempre in presenza di crediti erariali, la curatela portasse in detrazione dai propri debiti tributari il credito riveniente dalla dichiarazione prefallimentare).

Ma anche qualora si disponesse espressamente in ordine alla prededucibilità legale dell'imposta sul valore aggiunto, ciò non potrebbe consentire sic et sempliciter il superamento di questo ulteriore ostacolo che, ad oggi (e soprattutto oggi, con l'alta probabilità di pagamento del debito d'imposta per effetto del privilegio), nella maggior parte dei casi (ossia in presenza di controcrediti erariali) non consentirebbe alle procedure di ottenere il recupero dell'esborso finanziario generato dal riparto. La giurisprudenza, infatti, ormai da tempo annette la possibilità di operare la compensazione “fallimentare” (art. 56 l.fall., applicabile anche al concordato in forza del rimando di cui all'art. 169 l.fall.) non già alla natura prededucibile o meno del controcredito (che del resto può spettare ormai anche per crediti nati prima del concorso, se legati ad esso da un adeguato vincolo funzionale), bensì alla anteriorità al concorso piuttosto della “matrice genetica” del rapporto (cfr., soltanto di recente, Trib. Firenze, 29 gennaio 2018, in Fallimenti e Società).

Dunque la compensazione risulta opponibile tanto se il debitore della procedura vanta una pretesa relativa al medesimo rapporto da cui nasce il credito della Massa (compensazione c.d. impropria), quanto se il controcredito nasce da un distinto rapporto, ma comunque di matrice antecedente l'apertura del concorso, anche se il diritto di credito in sé sia sorto dopo tale momento.

L'esempio dei contratti di locazione può agevolare tale conclusione: non c'è dubbio infatti che i crediti del locatore possano nascere dopo il concorso, ma essi sono comunque compensabili con i controcrediti della Massa, anche se sorti prima di quel momento.

E lo stesso è a dirsi per i rapporti ad esecuzione continuata o periodica, ove addirittura opera l'art. 74 l.fall., e dunque anche i crediti sorti prima dell'apertura della procedura vantano natura “prededucibile”.

Benché il credito Iva della Massa nasca, dal punto di vista dell'obbligazione, nel fallimento, esso scaturisce comunque da una matrice genetica (il contratto d'opera professionale) antecedente all'apertura del concorso, e non importa se non costituisca un “effetto” in senso stretto, dal punto di vista civilistico, ossia un'obbligazione od una prestazione, di quel contratto.

Dunque anche la configurazione di una causa “speciale” di prededuzione non potrebbe risolvere il problema per la Massa; la soluzione potrebbe giacere allora o in un divieto espresso pure di compensazione (che però potrebbe aprire ad ulteriori dubbi di costituzionalità), oppure, forse, in una regolamentazione analitica dell'operare di tale prededuzione, che ne condizioni gli effetti alla prova del concreto vantaggio (rectius neutralità) per la procedura, che sia effettivamente in grado di riscuotere il credito presso l'Amministrazione.

La soluzione riecheggia quella “partorita” dalla S.C. per il pagamento nel fallimento del credito del subappaltatore di contratti “pubblici”, ove si vorrebbe che la prededuzione fosse concretamente condizionata alla prova per cui, pagando il subappaltatore, il fallimento sia così abilitato a riscuotere il corrispettivo residuo presso la stazione appaltante (cfr. Cass., n. 3003/2006, sulla base del precedente n. 3402/2012; va detto però che il “principio” sembra messo in discussione più recentemente da Cass., nn. 19615/2017 e 7392/2017.).

Quello che qui rileva non è l'esattezza dell'orientamento giurisprudenziale in materia di appalti pubblici, che appare di per sé assai discutibile, ma piuttosto la possibilità di utilizzare un metodo simile quanto al credito di rivalsa per l'Iva.

Nella difficoltà pratica di dimostrare, già in sede di riparto parziale, le condizioni che influenzano la “neutralità” dell'interesse della Massa, la somma relativa all'Iva potrebbe essere non distribuita, ma provvisoriamente accantonata (dandosi così vita ad un nuovo accantonamento obbligatorio, ai sensi dell'art. 113 l.fall.).

Ma il problema potrebbe anche essere risolto, peraltro ben più agevolmente, mediante uno specifico intervento semplificativo (e fluidificante) sulle norme che disciplinano le compensazioni ed i rimborsi iva concorsuali, allo stato regolati dalle medesime disposizioni stabilite per le imprese in ordinaria attività che, all'evidenza, appaiono del tutto inadeguate (ad es. facoltizzando l'utilizzo del credito iva periodico in contestuale compensazione cd. orizzontale, cosi da poter agevolmente estinguere, in sede di riparto, i debiti per ritenute d'acconto con i crediti iva derivanti dalle medesime parcelle professionali, oggi consentita solo in termini cronologicamente disallineati e, dunque, inattuabile; ovvero, ancora, accordando alla procedura il rimborso integrale del credito derivante dalla dichiarazione annuale e non limitandolo al minore di quelli richiesti negli ultimi tre anni, come oggi la norma prevede.

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