Contratto di cash pooling. La Cassazione interviene per la prima volta e segna i confini del penalmente rilevante
16 Ottobre 2018
Massima
Il ricorso, nell'ambito di un gruppo di imprese, al c.d. cash pooling deve ritenersi, alla luce delle finalità che tale gestione unitaria della tesoreria del gruppo intende perseguire, lecito ma a condizione che vi sia una antecedente puntuale regolamentazione contrattuale dei rapporti interni al gruppo, dovendosi stipulare un contratto con indicazioni relative alle modalità e ai termini con cui i saldi dei conti correnti periferici delle consociate devono essere trasferiti al conto corrente accentrato, nonché alle modalità e ai termini entro i quali il pooler deve restituire la liquidità ricevuta sul conto accentrato di cui è titolare e anche all'ammontare dei tassi in base ai quali maturano gli interessi attivi e passivi, sui crediti annotati nel conto comune, alle modalità con cui gli interessi verranno corrisposti e all'eventuale commissione spettante al pooler per lo svolgimento dell'attività di tesoriere.
Fonte: ilSocietario.it Il caso
Gli amministratori di una società fallita e facente parte di un gruppo societario erano condannati per il delitto di bancarotta fraudolenta preferenziale in relazione a una serie di pagamenti fatti a favore della società controllante allo scopo di favorirla a danno dei creditori; in particolare, approfittando della confusione tra la gestione finanziaria della fallita e quella delle altre società del medesimo gruppo, nonostante l'esistenza di creditori muniti di privilegio, rimborsavano alla predetta società finanziamenti per un significato importo, mediante cessioni di crediti che la società fallita vantava nei confronti di altre società del gruppo. In sede di ricorso per cassazione, le difese degli imputati censuravano la decisione di condanna sostenendo che la vicenda qualificata dai giudici di merito come ipotesi di bancarotta preferenziale altro non era che l'esecuzione di un contratto di cash pooling. A sostegno di tale conclusione, si evidenziava in primo luogo come l'andamento del debito della società fallita nei confronti della capogruppo avesse seguito nel corso degli anni una linea altalenante, elemento indicativo della gestione infragruppo adottata e anzi nel corso dell'anno in cui vi sarebbero stati supposti rimborsi illegittimi in favore del gruppo, i debiti della società fallita verso il gruppo erano invece aumentati quasi del doppio, con contemporanea decrescita dei debiti verso i terzi, dovendosi così concludere che la capogruppo fungeva da tesoreria del gruppo, in essa confluendo le partite di dare e avere, al fine di evitare il ricorso a istituti di credito, con i costi relativi. In particolare, nei ricorsi è dato di legge come le società del gruppo, ivi compresa quella fallita, avessero ceduto alla controllante tutti i loro crediti e i loro debiti e, a seguito di compensazione, a ciascuna società del gruppo veniva imputato il saldo, il tutto nell'ambito di una operazione pienamente legittima posto che nessuna violazione della par condicio creditorum si era realizzata attraverso il descritto meccanismo della compensazione. Nel caso in esame, infatti, si era in presenza di una compensazione di fatture emesse per beni o servizi da società del gruppo verso altre società del gruppo, situazione ben diversa del caso di rimborsi di conferimenti ai soci, in quanto nel caso del cash pooling la controllante non trattiene al suo interno i crediti ma estingue le obbligazioni passive assunte dalla singola società nei confronti delle altre società del gruppo, le quali, come fornitrici, hanno interesse a rientrare dei loro crediti, anche presentando richiesta di fallimento e le operazioni che rientrano nella strategia di alleggerire la pressione dei creditori, in vista di un ragionevole equilibrio finanziario e patrimoniale, non sono compatibili con la bancarotta preferenziale. Infine, le difese osservavano come un tale accentramento della tesoreria delle società del gruppo in capo alla capogruppo presentasse anche vantaggi compensativi che avrebbero dovuto essere considerati nella logica infragruppo. Infatti, quand'anche le operazioni di compensazione potevano sembrare rivestire, se isolatamente considerate e in relazione alle singole imprese, estremi di un fatto penalmente tipizzato, l'intera operazione di cash pooling doveva ritenersi inoffensiva, in ragione dell'esistenza di compensazioni comunque realizzate in conseguenza della partecipazione al gruppo, secondo la logica dei vantaggi compensativi, essendovi evidenti benefici derivanti dal far parte di un gruppo di imprese legate da un rapporto di natura sinallagmatica. In proposito, si sottolineava come il nuovo art. 2497 c.c., prevedendo la responsabilità solidale della capogruppo con l'amministratore della società fallita per il ristoro del pregiudizio provocato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché all'integrità del patrimonio della controllata fallita, attribuisce una significativa efficacia riequilibratrice agli interessi dei creditori della società insolvente soggetta a eterodirezione, dando loro la possibilità di soddisfarsi sul patrimonio della holding, il che si concreta nella rimozione dell'ostacolo rappresentato dall'autonomia patrimoniale delle singole società aggregate al gruppo; detto concetto, quindi, secondo i difensori degli imputati, avrebbe consentito di superare la giurisprudenza precedente la riforma societaria, aprendo ad un'applicazione anche al settore del diritto penale fallimentare del principio dei vantaggi compensativi, come affermato da pronunce più recenti. In sostanza, secondo le difese, nel caso in esame, l'interesse sociale del gruppo complessivo sarebbe stato insito nella scelta di ricorrere al cash pooling e collegando tale interesse del gruppo a quello della società partecipata e fallitai AFL S.P.A., apparirebbe chiaro come le scelte gestorie in questione, concretatesi anche nella cessione del debito, non avessero affatto pregiudicato quest'ultima società, proprio per la compensazione in cui si sostanzia il cash pooling. La questione
Il contratto di cash pooling consiste nell'accentrare in capo a un unico soggetto giuridico la gestione delle disponibilità finanziarie di un gruppo societario, allo scopo di gestire la tesoreria aziendale in riferimento ai rapporti tra le società aderenti al gruppo e gli istituti di credito e ha la finalità di evitare squilibri finanziari per le singole società, attraverso una gestione unitaria della situazione finanziaria del gruppo; in tal modo il contratto permette di compensare i saldi attivi di conto corrente di alcune società con i saldi negativi di altre, realizzando un risparmio di interessi passivi, ottenendo il risultato indiretto di finanziare le società che presentano una posizione debitoria nei confronti degli istituti di credito. Il negozio giuridico in questione viene qualificato come contratto atipico, ai sensi dell'art. 1322 c.c., fondato sull'accordo, stipulato autonomamente da tutte le consociate di un gruppo, con la società capogruppo, che funge quale centro di tesoreria. Detto contratto ha per oggetto la gestione di un conto corrente unico e accentrato, sul quale vengono riversati i saldi dei conti correnti periferici di ciascuna consociata. La dottrina prevalente riconduce lo stesso a una particolare modalità di conto corrente non bancario, con elementi propri dei contratti di finanziamento, ove la causa mista e unitaria viene individuata specificatamente nella gestione della tesoreria di gruppo. Infatti, mentre il contratto di conto corrente segue lo schema di uno strumento per la gestione di crediti originati da un rapporto sottostante, distinto da quello di conto corrente, il cui oggetto, pertanto, è costituito dalla disciplina dei rapporti futuri ed eventuali, che potranno sorgere tra le parti, in virtù di altri atti giuridici, al contratto di cash pooling si aggiungono anche gli elementi tipici di un prestito in denaro, che viene attuato tramite il trasferimento di risorse finanziarie dai singoli conti periferici al conto corrente accentrato, gestito dal pooler. Ne consegue che il fondamento causale del negozio non è più solo la gestione dei rapporti che potranno sorgere tra le parti in virtù di altri atti giuridici ma anche la gestione della tesoreria, secondo modalità tali da compensare, sebbene temporaneamente, le carenze di liquidità di taluni partecipanti con le disponibilità degli altri, al fine di evitare o ridurre il ricorso all'indebitamento bancario, il che costituisce, senza dubbio, la caratteristica di un negozio di finanziamento. Appare dunque innegabile che nella fattispecie in esame si verifichi, sia pure con effetto collaterale, un'operazione di finanziamento a favore delle società del gruppo, che vedrebbero coprire le loro passività di conto per effetto della gestione accentrata delle liquidità del gruppo medesimo e infatti la vera ragione che sottende a tale contratto è, evidentemente, quella che, attraverso l'accentramento di risorse finanziarie, consente alla società pooler di gestire in modo ottimale i flussi di liquidità provenienti dalle varie società del gruppo, concedendo finanziamenti a tassi convenienti alle altre società. Plurimi sono gli aspetti, vantaggiosi per le parti, che emergono da detta struttura contrattuale, che, nella dinamica organizzazione dei servizi di tesoreria, tiene conto delle esigenze specifiche delle singole società aderenti, con conseguente, immediato assolvimento delle esigenze di liquidità delle varie società da parte del pooler, con correlativa riduzione e controllo del margine di indebitamento del gruppo nel suo complesso, oltre che, infine, un significativo decremento del carico fiscale in capo alle società del gruppo. Le soluzioni giuridiche
La Cassazione ha rigettato i ricorsi sostenendo l'infondatezza di entrambi gli asserti difensivi. In primo luogo, ed è la considerazione dirimente, la Suprema Corte ha escluso che nel caso di specie potesse rinvenirsi un fenomeno di cash pooling, dovendosi piuttosto rinvenire una censurabile «prassi del gruppo tesa alla gestione delle limitate risorse del gruppo stesso nella maniera più utile, al fine di limitare le conseguenze negative delle situazioni critiche, presentando le società nella maniera più vantaggiosa al fine di ottenere credito bancario». In particolare, secondo la Corte di legittimità dai documenti della società non risultava alcun contratto di cash pooling, escludendosi, quindi, al di là di generici ed impropri richiami alla fattispecie, la possibilità di inquadrare nella menzionata categoria contrattuale i rapporti tra la società fallita e la società capogruppo. In secondo luogo, la Corte di cassazione nel caso di specie non rinviene in capo alla società fallita alcun vantaggio compensativo derivante dalla suddetta (presunta operazione di cash pooling). In proposito, la sentenza in commento ricorda che per invocare la sussistenza dei vantaggi compensativi, non è sufficiente allegare la mera partecipazione a un gruppo societario, ovvero l'esistenza di un vantaggio per la società controllante, dovendo, invece, l'interessato dimostrare il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell'interesse del gruppo, elemento indispensabile per considerare lecita l'operazione temporaneamente svantaggiosa per la società depauperata; di contro, le difese non hanno saputo offrire alcuna dimostrazione, nel senso richiesto dalla giurisprudenza di legittimità, di tale concrete ed effettive ricadute positive in capo alla società fallita. Osservazioni
La sentenza in commento è la prima decisione della Cassazione in tema di rilevanza penale del c.d. fenomeno del cash pooling. Nel valutare tale decisione è bene fare una precisazione. Nonostante la Cassazione abbia confermato la decisione di condanna, la pronuncia non rappresenta una chiusura verso questa modalità di strutturazione della finanza aziendale nell'ambio dei gruppi di impresa e anzi in più parti della decisione la Suprema Corte esprime la consapevolezza dei vantaggi e degli obiettivi che con il cash pooling è possibile raggiungere. Tuttavia, i giudici di legittimità ritengono necessario precisare le condizioni perché possa parlarsi di adeguata costruzione di una finanza aziendale e non di illegittimo drenaggio di disponibilità economiche di una società a vantaggio di altre e rinvengono tale condizione, principalmente, nella stipula di un adeguato negozio contrattuale in cui siano ricostruiti attentamente i doveri e i diritti delle diverse persone giuridiche rientranti nella medesima costellazione societaria. Nella sentenza in commento, infatti, si legge espressamente che la corretta gestione del cash pooling non possa prescindere da una puntuale regolamentazione contrattuale dei rapporti interni al gruppo, per l'esatta qualificazione giuridica degli accordi, dovendosi stipulare un contratto con indicazioni relative alle modalità e ai termini con cui i saldi dei conti correnti periferici delle consociate devono essere trasferiti al conto corrente accentrato, nonché alle modalità e ai termini entro i quali il pooler deve restituire la liquidità ricevuta sul conto accentrato di cui è titolare e anche all'ammontare dei tassi in base ai quali maturano gli interessi attivi e passivi, sui crediti annotati nel conto comune, alle modalità con cui gli interessi verranno corrisposti ed all'eventuale commissione spettante al pooler per lo svolgimento dell'attività di tesoriere. Se con riferimento all'attività del gruppo complessivamente inteso viene richiesta la stipula di un accordo unitario, che coinvolga tutte le società interessate, dal punto di vista delle singole persone giuridiche, invece, è richiesto che le stesse deliberino il contenuto dell'accordo di cash pooling nei rispettivi Consigli di amministrazione, definendone in particolare l'oggetto, la durata, i limiti di indebitamento, le aliquote relative agli interessi attivi e passivi e le commissioni applicabili, onde poi, per l'appunto, formalizzare tali clausole devono essere formalizzate nel contratto di conto corrente intersocietario tra le società del gruppo e la società incaricata di gestire la tesoreria, in cui le prime conferiscono mandato alla capogruppo – individuata come pooler o pool leader – per la gestione della tesoreria del gruppo. D'altronde, la trasmissione dei fondi da parte delle singole società alla capogruppo o alla tesoreria centrale può avvenire solo se le parti hanno conferito un mandato alle rispettive banche, atteso che il descritto trasferimento di fondi tra i conti correnti e il conto "accentrato" genera crediti reciproci tra le parti del contratto, che vengono annotati sul conto corrente non bancario. In conseguenza di tali operazioni, il saldo di ogni posizione di conto corrente, acceso dalle singole società presso il relativo istituto di credito, sarà necessariamente sempre pari a zero, avuto riguardo al trasferimento del relativo saldo in capo al rapporto intestato alla capogruppo. È solo sulla base di questi contratti che la società capogruppo, a sua volta, stipulerà un contratto con un istituto di credito, ovvero un pool account, su cui andranno a confluire tutti i movimenti che interessano le posizioni di conto corrente delle singole società. In base, poi, ai singoli contratti di conto corrente non bancario stipulati dalla società pooler con le società del gruppo, con cadenza predeterminata i saldi attivi e passivi dei singoli conti, facenti capo alle singole società, vengono trasferiti sul pool account della capogruppo o pooler. In sostanza, la decisione in commento segna un via libera per la tecnica del cash pooling ma una via libera fortemente condizionato per adeguatamente differenziare tale tecnica di gestione della tesoreria da condotte depredatorie che vanno invece qualificate come ipotesi di distrazione di fondi aziendali. BALP, I finanziamenti infragruppo: direzione e coordinamento e postergazione, in Riv. Dir. Civ., 2012, II, 329; BENCIVENGA - GALEOTTI FLORI, Il contratto di cash pooling, in Foro Toscano, 2007, VIII, 251; MACCI – SCAPPINI, La gestione di tesoreria tramite il contratto di cash pooling, in Fisco, 2013, 1282; MAUGERI, I finanziamenti "anomali" endogruppo, in Banca, Borsa e Tit. cred., 2014, I, 726; MORO VISCONTI, Il cash pooling e la gestione accentrata della tesoreria di gruppo, in Cons. Impr. Comm, 2004, 395; RUGGERI, Brevi note circa il cash pooling, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2011, I, 206.
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