Motivazione per relationem alla sentenza di primo grado e condizioni legittimanti
17 Ottobre 2018
Massima
La sentenza pronunziata in sede di gravame è legittimamente motivata per relationem ove contenga espliciti riferimenti alla pronuncia di primo grado, facendone proprie le argomentazioni in punto di diritto, e fornisca, pur sinteticamente, una risposta alle censure formulate, nell'atto di appello e nelle conclusioni, dalla parte soccombente, risultando così appagante e corretto il percorso argomentativo desumibile attraverso l'integrazione della parte motiva delle due sentenze. Il caso
Un lavoratore proponeva appello avverso la sentenza di primo grado con la quale era stata rigettata la domanda di accertamento della illegittimità del licenziamento. Il giudice d'appello nel confermare la sentenza di primo grado aveva richiamato per relationem le risultanze probatorie di prime cure, ritenendo le stesse idonee a dimostrare gli addebiti contestati al dipendente che avevano portato al suo licenziamento. Nel proporre ricorso in Cassazione, il ricorrente si doleva del «laconico richiamo alla motivazione del giudice di prime cure». La questione
La questione in esame è la seguente: quali sono i limiti della motivazione per relationem? Le soluzioni giuridiche
La Corte di cassazione rigetta il ricorso, richiamando i principi che ormai costituiscono ius receptum in tema di motivazione per relationem, sul rilievo che nel caso in esame il giudice del gravame aveva riprodotto le ragioni che sostenevano la sentenza impugnata, dando atto specificatamente della doglianze formulate dal lavoratore. La Corte con la pronuncia in commento ribadisce il principio per cui è legittima la motivazione per relationem della sentenza pronunciata in sede di gravame, purché il giudice d'appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto. Pertanto, il giudice può anche adottare una motivazione per relationem riferita ad altra causa, purché la motivazione sia “autosufficiente”, riproducendo i contenuti mutuati e rendendoli oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa controversia (Cass. civ., n. 107/2015). È dunque necessario che il rinvio sia effettuato in modo tale da rendere possibile il controllo della motivazione per relationem (Cass. civ., n. 10007/2013; Cass. civ., n.14786/2016). Nel caso di specie sottoposto all'attenzione dei Giudici di legittimità, quindi, si ricade nell'ipotesi invero frequente, e già conosciuta dal nostro ordinamento, secondo cui è possibile per il giudice rinviare per relationem alla motivazione in fatto di altra decisione (talvolta già ammessa dalla giurisprudenza soprattutto con riferimento ai rapporti tra la sentenza di appello e quella di primo grado: Cass. civ., Sez. Un., n. 15483/2008) o ai risultati di una consulenza tecnica (Cass. civ., n. 5416/2011; Cass. civ., n. 10222/2009, per la quale non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che recepisca per relationem le conclusioni e i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d'ufficio di cui dichiari di condividere il merito) od anche all'atto di una delle parti (Cass. civ., n. 22562/2016: la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte, senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all'organo giudicante e risultino in modo chiaro). In tale contesto assume rilievo il nuovo tenore dell'art. 118 disp. att. c.p.c. (così come emerge dalla riforma ad opera della l. n. 69/2009), nel cui testo, rivolto alla struttura da seguire nella motivazione della sentenza, si è aggiunto l'aggettivo “succinta” al sostantivo “esposizione” dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione e si è precisato “anche con riferimento a precedenti conformi”. L'indicazione che la motivazione debba essere succinta ha una vera e propria liaison con l'art. 132, comma 4, c.p.c. (anch'esso riformato dalla l. n. 69/09 nella parte in cui ha eliminato la necessità del riferimento all'esposizione dello svolgimento del processo) ove si richiede che l'esposizione debba essere concisa. L'ammissibilità della motivazione per relationem è funzionale alla necessità di celerità, di giusto processo e di semplificazione della fase deliberativa, che ha sempre più caratterizzato il processo civile degli ultimi anni, tanto che il legislatore ha ritenuto di suggellare in una norma la legittimità del riferimento a precedenti conformi da parte degli organi giudiziari, ove il termine “riferimento” è costituito appunto da altri provvedimenti giurisprudenziali alla cui motivazione il giudice fa rinvio. Al riguardo deve precisarsi che la giurisprudenza di legittimità dopo un'importante pronuncia (Cass. civ., n. 979/2009), aveva già – prima della novella legislativa del 2009 – ritenuto ammissibile la motivazione riferita, pur specificando che l'atto verso cui si operava il rinvio doveva essere completo e doveva consentire di rinvenire agevolmente le ragioni della decisione, così da poter considerare il primo atto parte integrante del secondo. La ratio veniva fatta discendere dai Giudici di legittimità da un principio generale dell'ordinamento tratto dall'art. 3, l. n. 241/90 e dell'art. 7, l. n. 212/00 per gli atti amministrativi e valido, a maggior ragione, per l'attività del giudice, in forza dell'art. 111 Cost. (Cass. civ., n. 3367/2011). Corollario era tuttavia il fatto che il rinvio venisse operato in modo tale da rendere possibile ed agevole il controllo della motivazione per relationemad altra sentenza bene identificata. Ovviamente, tenuto conto anche del fondamento costituzionale dell'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali il richiamo ai precedenti resta ammissibile ma ciò solo a condizione che questi siano specificamente e puntualmente individuati, in modo da risultare conoscibili e verificabili per le parti e per il giudice del grado successivo. Proprio in tale direzione si è ritenuto di dover cassare la sola sentenza d'appello allorquando la laconicità della motivazione adottata, formulata in termini di mera adesione, non consenta in alcun modo di ritenere che all'affermazione di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l'esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass. civ., n. 15483/2008; Cass. civ., n.18625/2010; Cass. civ., n.11138/2011; Cass. civ., n. 22022/2017, a mente della quale deve considerarsi nulla la sentenza di appello motivata per relationem alla sentenza di primo grado, qualora la laconicità della motivazione non consenta di appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d'appello sia pervenuto attraverso l'esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello). Parimenti, la motivazione della sentenza per relationem è ammissibile, purché il rinvio venga operato in modo tale da rendere possibile ed agevole il controllo della motivazione, nella fattispecie ampiamente fattibile, essendo necessario che si dia conto delle argomentazioni delle parti e dell'identità di tali argomentazioni con quelle esaminate nella pronuncia oggetto del rinvio (Cass. civ., n. 7347/2012), non potendo ricorrere alcun difetto di esaustività nel modo con cui le ragioni della decisione debbono risultare (Cass. civ., Sez. Un., n. 642/2015). Secondo il principio testé richiamato, è stato affermato che il rinvio al precedente costituito da altra sentenza della stessa Commissione Tributaria, senza alcun riferimento ai termini delle questioni ivi trattate, si appalesa inadeguato a soddisfare l'obbligo di motivazione della sentenza, perché non consente l'individuazione del tema del decidere, né, quindi, la verifica della sua identità con il tema affrontato nella sentenza di riferimento (Cass. civ., n. 3547/2002; Cass. civ., n.13990/2003; Cass. civ., n. 25138/2005; Cass. civ., n.1573/2007; Cass. civ., n. 4294/2018: nel processo tributario, la motivazione di una sentenza può essere redatta per relationem rispetto ad altra sentenza non ancora passata in giudicato, purché resti “autosufficiente”, riproducendo i contenuti mutuati e rendendoli oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa, anche se connessa, causa, in modo da consentire la verifica della sua compatibilità logico-giuridica. La sentenza è, invece, nulla, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., qualora si limiti alla mera indicazione della fonte di riferimento e non sia, pertanto, possibile individuare le ragioni poste a fondamento del dispositivo). Osservazioni
La sentenza in commento si inserisce nel filone giurisprudenziale volto ad estendere la portata della motivazione per relationem, ritenendo che: --a) possa avere ad oggetto non soltanto le pronunce di legittimità ma anche le sentenze di merito, di modo che un giudice può così motivare una sentenza richiamando la motivazione di un'altra sentenza di merito (Cass. civ., n. 17640/2016); --b) possa avere ad oggetto anche atti o documenti della causa e non soltanto le questioni giuridiche o i principi di diritto che la sentenza a cui si rinvia contengono (Cass. civ., n. 18754/2016 a mente della quale la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un altro atto processuale (nella specie, un'ordinanza del giudice risultante dal verbale di causa), senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all'organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo; --c) possa consistere nel solo richiamo del precedente, senza necessità che questo sia riportato, nemmeno in riassunto, nella sentenza motivata per relationem (Cass. civ., n. 10007/2013). Tuttavia, per evitare la motivazione possa essere contratta, con conseguente potenziale lesione del giusto processo e del diritto all'azione e alla difesa, è necessario poter assicurare un principio di autosufficienza della sentenza: deve ritenersi che la sentenza, per non essere nulla, debba contenere indispensabilmente le premesse in fatto e il percorso logico-giuridico della decisione, senza onerare la parte ad andare a ricercare ciò in altri provvedimenti richiamati, che possono essere altresì di difficile reperibilità quando attengano a decisioni di merito. Così come il ricorso per cassazione deve essere autosufficiente, ovvero in grado di essere valutato senza necessità di accedere ad altri atti (Cass. civ., Sez. Un., n. 7074/2017; Cass. civ., n. 17640/2016), a maggior ragione il principio debba valere per le sentenze, che devono contenere tutti gli elementi essenziali previsti dall'art. 132 c.p.c. in combinato disposto con l'art. 111 Cost., ovvero l'esposizione sufficiente delle ragioni di fatto e di diritto della decisione assunta. Da quanto precede deve essere quindi sanzionata con la nullità la sentenza che si limiti, in parte motiva, alla mera indicazione della fonte di riferimento e non consentano alla parte di individuare le ragioni poste a fondamento del dispositivo e, ciò al fine di scongiurare lo scadimento della funzione giurisdizionale.
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