Spese (criteri generali di ripartizione)Fonte: Cod. Civ. Articolo 1101
17 Ottobre 2018
Inquadramento
Prendendo le mosse dall'art. 1123 c.c., si rileva che quest'ultimo, al comma 1, stabilisce che le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini “in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno”. La previsione in esame va completata con l'art. 68 disp. att. c.c. che, per gli effetti indicati dagli artt. 1123, 1124, 1126 e 1136 c.c., assegna al regolamento di condominio il compito di precisare in apposita tabella il valore proporzionale, espresso in millesimi, di ciascuna porzione di proprietà esclusiva. Invero, le regole sulla ripartizione delle spese tra i condomini sono generalmente contenute nel regolamento di condominio, che deve specificatamente contenere le disposizioni che consentono la distribuzione proporzionale degli oneri tra i vari partecipanti della comunione edilizia, nonché la definizione dei valori proporzionali delle singole proprietà attraverso le tabelle millesimali. Il regolamento condominiale definisce, di solito, i criteri in base ai quali, nelle ipotesi di beni, impianti o servizi destinati a servire i condomini in misura diversa, deve effettuarsi la ripartizione, e contiene tabelle differenziate in base alle quali è stabilita la ripartizione delle spese in relazione ad alcune “voci”, in modo da rendere possibile una ripartizione che tenga conto delle differenti modalità di utilizzazione. Così, accanto alla tabella generale dei millesimi di proprietà (di solito, denominata tabella A), che, di regola, è applicata alle spese di carattere generale, come quelle attinenti all'amministrazione, all'assicurazione, alle riparazioni degli elementi strutturali comuni, troviamo altre tabelle relative a spese particolari, come quelle concernenti il servizio di portierato, il riscaldamento, l'ascensore, le scale, ecc. (che prendono il nome di tabelle B, C, D e via dicendo). Dunque, la norma di cui all'art. 1123 c.c. relativa alla ripartizione delle spese è rivelatrice dell'accezione codicistica dell'istituto condominiale. Nello specifico, secondo quanto stabilito nel comma 1 del medesimo disposto, le spese relative alle parti ed ai servizi comuni sono distribuite tra i partecipanti in proporzione al valore economico delle rispettive unità abitative, mentre i commi 2 e 3, avuto riguardo a cose o impianti destinati a servire i condomini in misura diversa, ovvero solo una parte dell'intero fabbricato, addossano, invece, il carico delle spese ai soli condomini che ne facciano uso o ne traggano utilità. Semplificando al massimo, possiamo rilevare che, posto che ogni condomino ha il dovere di contribuire alle spese necessarie per mantenere in funzione il condominio di cui fa parte, il legislatore ha optato per un criterio che tenga conto sia del rapporto di comproprietà che lega i condomini tra di loro (come è per la comunione), sia in base al vantaggio ed all'utilità che ciascun proprietario di unità immobiliari può trarre dalle cose comuni (che è una caratteristica del condominio). Il valore della quota
Nelle pronunce della Suprema Corte, si afferma abitualmente che l'obbligo del condomino di contribuire - ex art. 1123, comma 1, c.c. in proporzione della rispettiva quota, indipendentemente dalla misura dell'uso - alle spese necessarie alla conservazione ed al godimento delle parti comuni dell'edificio, alla prestazione dei servizi nell'interesse comune e alle innovazioni deliberate dalla maggioranza, ha origine nella comproprietà delle parti comuni dell'edificio indicate dall'art. 1117 c.c., ovvero, più in generale, delle cose che servono per l'esistenza e l'uso delle singole proprietà immobiliari. L'obbligo dei condomini di sostenere pro quota tali spese trova così fondamento nel collegamento strumentale tra cose, impianti o servizi comuni, e diritti dominicali sulle unità individuali comprese nell'edificio; il riferimento può farsi, più genericamente, alle c.d. spese generali, così definendosi tutti gli esborsi che riguardano il godimento delle cose comuni: per esse, il criterio di riparto applicabile è sempre quello stabilito dal comma 1 dell'art. 1123 c.c., in base al valore della proprietà di ciascun condomino, e mai quello dell'uso differenziato offerto dal comma 2 dello stesso articolo; né potrebbe l'assemblea, in difetto di apposita convenzione adottata all'unanimità ed espressione, perciò, dell'autonomia contrattuale, suddividere le spese generali con criterio c.d. capitario (Cass. civ., sez. II, 4 dicembre 2013, n. 27233; Cass. civ., sez. II, 18 marzo 2002, n. 3944). Anche se non riguardano beni, impianti e servizi comuni, si reputa comunque che altri determinati oneri, siccome concernenti prestazioni di interesse collettivo, siano sopportati dalla comunità condominiale: tra questi, rientrano le spese relative al compenso dell'amministratore e tutte le spese da questi affrontate per lo svolgimento della sua attività in seno al condominio (come, ad esempio, le spese postali e quelle di cancelleria, quelle per le fotocopie, quelle bancarie, quelle relative all'affitto del locale per le riunioni assembleari, ecc.); le spese relative all'assicurazione del fabbricato (contro incendi, crolli, fulmini ed eventuali altri eventi imprevedibili); le tasse (per l'occupazione del suolo pubblico, per passi carrabili, per il trasporto di rifiuti solidi urbani, per la prevenzione incendi, per l'Ici/Imu, ecc.). Per quanto concerne, in particolare, le spese relative all'adeguamento degli impianti (riscaldamento, ascensore, ecc.) alla normativa di settore, si ritiene che le stesse attengono pur sempre alla proprietà ed all'integrità del bene, sicché debbano ripartirsi proporzionalmente al valore delle singole proprietà esclusive secondo il criterio dettato dal comma 1 dell'art. 1123 c.c. (Cass. civ., sez. II, 18 ottobre 2001, n. 12737, in ordine alla spesa per la messa a terra dell'impianto elettrico condominiale; Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 2001, n. 2301, che aveva censurato la ripartizione in parti uguali, decisa da una deliberazione assembleare adottata a mera maggioranza, di una spesa relativa all'adeguamento dell'impianto di automazione del portone). Trattasi, infatti, di spese che arricchiscono il bene, migliorandolo - ad esempio, predisponendo quegli accorgimenti tecnici necessari al raggiungimento degli standards di sicurezza imposti dalle varie legislazioni di settore succedutesi in materia - a prescindere dall'uso che di esso faccia ciascun condomino. Orbene, si sostiene prevalentemente che l'obbligo dei condomini di contribuire alle spese ex art. 1223, comma 1, c.c., in proporzione della rispettiva quota, trova la sua origine nella comproprietà delle parti comuni, o delle cose che servono per l'esistenza e l'uso delle singole proprietà immobiliari; in quest'ottica, le spese per la conservazione della cosa comune costituirebbero obligationes propter rem, caratterizzandosi per l'irrinunciabile collegamento tra l'obbligo e la res, senza interferenza di elementi soggettivi, e quindi per la sola proporzionalità tra la prestazione e la quota. Nel codice civile, quindi, non si è ricorso alla suddivisione paritaria tra i vari condomini per ragioni di equità, dal momento che, di regola, negli stabili coesistono unità immobiliari di varia grandezza, sicché la ripartizione delle spese in base al numero degli appartamenti, anziché in base ai valori millesimali delle singole proprietà, creerebbe un'ingiustificata disparità di trattamento, in particolare, per le unità immobiliari più piccole che verrebbero poste allo stesso piano di quelle più grandi. È stata, invece, ritenuta corretta la ripartizione in parti uguali delle spese per l'installazione dell'impianto di televisione centralizzato, trattandosi di servizio destinato a servire i condomini in parti uguali, quanto meno per l'antenna e la centralina, mentre le c.d. discese restano a carico di ciascun condomino a seconda del numero di prese per ogni appartamento, e lo stesso dicasi per le spese concernenti i citofoni e le cassette postali. Vanno, tuttavia, fatte salve le c.d. spese personali o individuali, da porsi cioè a carico del singolo condomino, in ordine alle quali, a rigore, non dovrebbe configurarsi alcuna competenza dell'assemblea riguardo alla relativa ripartizione; si pensi, ad esempio, alle spese postali, per avviso di convocazione (se sono indirizzate a quel condomino che risiede fuori dell'immobile, dove invece abitano tutti gli altri partecipanti), o per risposta a continui solleciti, o quelle per diffide ad adempiere in caso di persistente morosità, o quelle per soddisfare la richiesta di documentazione contabile avanzata non nella sede “istituzionale” di approvazione del bilancio annuale, aderendo ai rilievi di quell'orientamento (v., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 26 agosto 1998, n. 8460), che considera legittima tale istanza in ogni tempo, addossandone però i costi delle relative operazioni finalizzate a prendere visione ed estrarne copia al condomino richiedente (v., ora, il disposto dell'art. 1130-bis, comma 1, c.c., come introdotto dalla l. n. 220/2012). Quando, invece, si tratti di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, il criterio di ripartizione delle spese non è quello previsto dal comma 1 dell'art. 1123 c.c., ma quello della proporzionalità tra spese ed uso, stabilito dal comma 2 del medesimo articolo. La regola di ponderazione dell'obbligo del partecipante in rapporto all'uso che ciascuno può fare della cosa è spiegata come disposizione speciale rispetto al principio generale della comunione (art. 1100 c.c.), in forza del quale le spese debbono gravare su tutti i partecipanti in proporzione al valore delle quote di ciascuno di essi, che si presume eguale quando non risulti diversamente, ed è inspirata, quindi, ad un'esigenza di disciplina più adatta alle specifiche caratteristiche del condominio negli edifici, ove le parti comuni hanno una precipua funzione strumentale rispetto alle parti in proprietà esclusiva dei singoli condomini, delle quali esse sono a servizio consentendone l'esistenza e l'uso (v., tra le altre,Cass. civ., sez. II, 19 giugno 2000, n. 8292). In tale ipotesi, il metro di riparto delle spese non è quello previsto dal comma 1 dell'art. 1123 c.c., ma quello della proporzionalità tra spese ed uso; questa contrapposizione tra i primi due commi dell'art. 1123 c.c. costituirebbe ulteriore conferma della rilevanza del fine che l'obbligazione di contribuire alle spese persegue nel regime condominiale; un precetto ha origine nel fondamento delle spese imposte dalla conservazione del valore capitale dei beni comuni, o dall'esigenza di tutela o di ripristino della loro integrità, spese che non possono che imputarsi ai rispettivi proprietari, mentre l'altro precetto, invece, trovando il proprio fondamento negli esborsi correlati al godimento delle cose, non può che registrare come destinatari chi eserciti l'uso. La regola di ponderazione dell'obbligo del partecipante in rapporto all'uso che ciascuno può fare della cosa è spiegata - come visto - come disposizione speciale rispetto al principio generale della comunione, in forza del quale le spese debbono gravare su tutti i partecipanti in proporzione del valore delle quote di ciascuno. Possono qualificarsi spese per la conservazione quelle attinenti alla tutela dell'integrità materiale e, quindi, del valore capitale del bene comune; solo allora le spese per la conservazione sarebbero propriamente descritte come obbligazioni propter rem, non rilevando alcun elemento soggettivo nel nesso corrente tra l'obbligo di contributo ed il bene, perciò la spesa di conservazione è essenzialmente misurata sulla quota, e cioè sulla quantità dell'appartenenza. Le spese per l'uso delle parti comuni, viceversa, derivano dal dato mutevole e fattuale del godimento soggettivo del bene, e perciò si suddividono in proporzione all'utilizzo, indipendentemente dal valore della proprietà; in altri termini, il debito relativo all'uso prescinde dall'attribuzione della res, in quanto non dipende da una predeterminata situazione di contitolarità. Ulteriore conferma si trarrebbe dal novellato art. 1118, comma 3, c.c., secondo il quale “il condomino non può sottrarsi all'obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti comuni, neanche modificando la destinazione d'uso della propria unità immobiliare, salvo quanto disposto da leggi speciali”; la disposizione fa espresso riferimento alle spese per la conservazione, e non a quelle per l'uso, giacché queste insorgono soltanto quale conseguenza della fruizione delle cose, degli impianti e dei servizi. Pertanto, in deroga al principio generale del collegamento proporzionale tra spese e quota di proprietà, si permette di graduare, tra i condomini, l'onere delle spese di manutenzione di alcuni beni o di funzionamento di determinati impianti, in relazione alle caratteristiche oggettive quando gli stessi siano destinati a servire, in misura diversa (maggiore o esclusiva), alcuni condomini o gruppi di condomini rispetto agli altri, pur rimanendo tutti i partecipanti al condominio comproprietari di una quota pari al valore dell'appartamento. In quest'ordine di concetti, il comma 2 dell'art. 1123 c.c., che nell'ipotesi di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, dispone che le relative spese sono ripartite in proporzione dell'uso da ciascuno fattone, non può subire deroga per la circostanza che l'unità immobiliare sia compresa nella tabella millesimale generale dell'edificio condominiale, in quanto tali tabelle, formate in base al solo valore delle singole unità immobiliari, servono solo per il riparto delle spese generali e di quelle che riguardano l'edificio comuni a tutti i condomini, ma non sono utilizzabili per il riparto delle spese che non sono comuni a tutti i condomini in ragione del diverso uso delle cose condominiali (in una fattispecie particolare, Cass. civ., sez. II, 18 novembre 1987, n. 8484, ha confermato la pronuncia della corte di merito che aveva ritenuto non dovute dalla parte attrice, la cui proprietà era pure inclusa nelle tabelle millesimali, le spese per la manutenzione delle fognature, in quanto il suo locale situato nel piano interrato era sfornito di servizi igienici). Così, anche se la proprietà del cortile, dell'ascensore, del tetto, ecc. appartiene a tutti i condomini, nessuno escluso, la spesa per la loro manutenzione dovrà far carico solamente (o in misura maggiore) a coloro che utilizzano detti beni o impianti in via esclusiva (o maggiore), in relazione alle caratteristiche oggettive degli stessi; di contro, se si esclude la possibilità di un uso differenziato - ad esempio, una conduttura di scarico interessante tutti gli appartamenti dello stabile che dispongono di un identico numero di immissioni - le relative spese dovranno essere ripartite secondo il valore delle singole proprietà individuali.
Quindi, da un lato, la qualificazione dell'obbligo delle spese gravante sui condomini in termini di obbligazione propter rem - cioè la stretta connessione tra detto obbligo e la contitolarità dei diritto di proprietà che ciascun condomino vanta sui beni comuni, con accollo a chiunque subentri in tale diritto - esclude, in sostanza, che possa ritenersi esonerato dal pagamento delle spese il partecipante che, pur potendo godere della cosa comune, di fatto non la utilizzi (non si può sottrarre al pagamento delle spese di pulizia delle scale il condomino che adduca di non abitare l'appartamento). Per converso, proprio il principio di proporzionalità fra spese ed uso è invocato al fine di negare l'onere del condomino di contribuire alle spese di gestione del bene comune, allorché, avuto riguardo alla destinazione della quota immobiliare di proprietà esclusiva, sia impedita, per ragioni strutturali o attinenti alla destinazione oggettiva, indipendenti dalla libera scelta del condomino, la stessa possibilità dell'uso della res (ad esempio, si potrebbe sostenere l'esclusione dai proprietari dei negozi dal concorrere alle spese relative ai servizi di condominiali di giardinaggio e piscina cui non abbiano accesso). Il comma 3 dell'art. 1123 c.c., infine, dispone che, quando si tratta di cose che, benché comuni, sono destinate a servire solo una parte dell'intero fabbricato, deve seguirsi il criterio secondo cui le spese vanno poste soltanto a carico dei condomini che traggono utilità dalla cosa (la norma parla di scale, lastrici solari, cortili, ma è ovvio che, in tale regime, possono essere attratte in via analogica anche altre parti comuni non richiamate). Tale disposto trova il suo fondamento nel collegamento strumentale, materiale e funzionale, e, in altri termini, nella relazione di accessorio a principale, con le singole unità immobiliari, per cui le cose, servizi ed impianti necessari per l'esistenza e l'uso delle predette unità di una parte soltanto dell'edificio appartengono ai proprietari di queste unità e non agli altri, riconoscendo così la cittadinanza nel nostro ordinamento alla figura del c.d. condominio parziale. Nulla esclude, però, che si possa ipotizzare un'apposita clausola del regolamento volta ad attribuire soltanto ad un gruppo di condomini la proprietà di un bene o di un impianto, oppure ad accertarne la titolarità esclusiva in forza della destinazione oggettiva della cosa stessa, dando conto delle conseguenze gestionali di tale situazione di condominio parziale. Secondo la giurisprudenza, in siffatte ipotesi, diviene automaticamente configurabile la fattispecie del condominio parziale ex lege: tutte le volte, cioè, in cui un bene - come detto - risulti, per le sue obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato al servizio e/o al godimento, in modo esclusivo, di una parte soltanto dell'edificio in condominio, esso rimane oggetto di un autonomo diritto di proprietà, venendo in tal caso meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene. Le sentenze, pur dando per scontata l'ammissibilità di una situazione giuridicamente rilevante di “condominio parziale”, prescegliendone una definizione astratta quale strumento di semplificazione dei rapporti gestori interni alla collettività, giustificato dall'appartenenza di determinati beni o servizi soltanto ad alcuni condomini, si limitano, in realtà, a dare soluzione ai singoli casi di specie (v., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 24 novembre 2010, n. 23851, relativa alle spese di rifacimento di un tetto; Cass. civ., sez. II, 18 aprile 2005, n. 8066., sulle spese dei singoli corpi di fabbrica di un complesso di edifici raggruppati in blocchi; Cass. civ., sez. II, 28 aprile 2004, n. 8136., concernente un corridoio comune soltanto a parte del fabbricato; Cass. civ., sez. II, 2 febbraio 1995, n. 1255., riguardo i proprietari dei box contenuti in un immobile che, benché posto all'interno del perimetro condominiale delimitato da un muro di cinta, separato dall'edificio con le unità abitative, erano stati obbligati a concorrere alle spese di manutenzione della facciata di quest'ultimo. Rimangono, perciò, esonerati da ogni contribuzione i condomini che non intendano trarre vantaggi da tali innovazioni, e i costi vengono sostenuti dalla maggioranza dei condomini che le abbia deliberate; il condomino che non voglia partecipare alle spese per un'innovazione gravosa o voluttuaria, deve, in ogni modo, manifestare il suo dissenso in assemblea o con la tempestiva impugnazione della deliberazione. Il condomino dissenziente (come i suoi eredi e aventi causa) può, poi, esercitare il diritto potestativo di partecipare successivamente ai vantaggi delle innovazioni gravose o voluttuarie, contribuendo pro quota nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell'opera ragguagliate al valore attuale della moneta, onde evitare arricchimenti in danno dei condomini che hanno assunto l'iniziativa dell'opera. Diverso rimane il caso dell'impianto pur installato successivamente alla costruzione dell'edificio, ma con il consenso di tutti i condomini, essendo lo stesso di proprietà comune - secondo la presunzione di cui all'art. 1117, n. 3), c.c., in mancanza di titolo contrario - fra tutti i condomini in proporzione al valore dell'unità di proprietà esclusiva (art. 1118 c.c.) e la ripartizione delle spese relative è regolata dai criteri stabiliti dall'art. 1123 c.c. Comunque, dalle situazioni del c.d. condominio parziale derivano, poi, implicazioni inerenti la gestione dei beni, nel senso che non dovrebbe sussistere il diritto di partecipare all'assemblea da parte di coloro che non contribuiscono alle spese di conservazione e manutenzione delle cose, servizi ed impianti di cui non sono titolari, ragion per cui la composizione del collegio e delle relative maggioranze si dovranno modificare di conseguenza. È espressione di tale impostazione la pronuncia (Cass. civ., sez. II, 27 settembre 1994, n. 7885), secondo la quale i presupposti per l'attribuzione della proprietà comune a vantaggio di tutti i partecipanti vengono meno se le cose, i servizi e gli impianti di uso comune, per oggettivi caratteri materiali e funzionali, sono necessari per l'esistenza e per l'uso, oppure sono destinati all'uso o al servizio, non di tutto l'edificio, ma di una sola parte, o di alcune parti di esso, ricavandosi dall'art. 1123, comma 3, che le cose, i servizi, gli impianti, non appartengono necessariamente a tutti i partecipanti; ne consegue che, dalle situazioni di c.d. condominio parziale, derivano implicazioni inerenti la gestione e l'imputazione delle spese, in particolare non sussistendo il diritto di partecipare all'assemblea relativamente alle cose, ai servizi, agli impianti, da parte di coloro che non ne hanno la titolarità, ragion per cui la composizione del collegio e delle maggioranze si modificano in relazione alla titolarità delle parti comuni che della delibera formano oggetto. Casistica
Avigliano, Ripartizione delle spese condominiali, in Ventiquattrore avvocato, 2016, fasc. 10, 22; Iannone, Condominio parziale, parti comuni, innovazioni e ripartizione delle spese, in Riv. nel diritto, 2015, 1084; Frugoni, Il fondamento e l'applicazione del criterio di ripartizione delle spese condominiali in base all'uso ex art. 1123, 2º comma, c.c., in Amministrare immobili, 2015, fasc. 195, 15; Bordolli, La ripartizione delle spese condominiali, Milano, 2011; Pucci, Criteri di ripartizione delle spese per la conservazione delle parti e dei beni comuni: valore, uso e godimento, in Ventiquattrore avvocato, 2011, fasc. 11, 42; Guida, La proprietà condominiale e i criteri di ripartizione delle spese, in Immobili & diritto, 2009, fasc. 1, 112; Blangetti, La ripartizione delle spese condominiali, in Arch. loc. e cond., 2007, 565; Scripelliti, La ripartizione delle spese nel sistema normativo condominiale, in Arch. loc. e cond., 2007, 575; Terzago G. - Terzago P., La ripartizione delle spese, Milano, 2003. Lovati - Monegat - Nicolosi, La ripartizione delle spese condominiali, Rimini, 2000. |