Fusione societaria per incorporazione e conseguenze processuali
21 Giugno 2018
Fusione per incorporazione di una S.p.A., Alfa (incorporata) in altra S.p.A., Beta (incorporante). Nell'atto di fusione si prevede, con una specifica clausola, che Beta subentrerà in tutti i mandati rilasciati dall'incorporata e nei correlati poteri attribuiti ad essa o dalla stessa conferiti, oltreché in generale in tutti gli atti dell'incorporata attributivi di facoltà e di poteri, nonché nelle relative procure, ivi comprese quelle per la rappresentanza processuale e sostanziale. Riguardo a tale ipotesi, si chiede se: 1) in una causa già pendente in cui è parte la società incorporata è necessaria la costituzione in giudizio della incorporante ai fini della prosecuzione della medesima causa? Secondo la giurisprudenza di legittimità sembrerebbe che non sia indispensabile, potendo nello stesso grado di giudizio continuare la causa la società incorporata; 2) supponendosi la risposta negativa al quesito sub 1) [e quindi nel caso non sia necessaria la costituzione], in caso di impugnazione della sentenza che definisca quel grado di giudizio, il gravame dovrà essere necessariamente proposto dalla incorporante e, per converso, l'atto di impugnazione dovrà essere notificato alla stessa incorporante?
La fusione societaria configura una operazione mediante la quale si assiste alla unificazione di più enti societari. Con la fusione societaria l'ente incorporante mantiene la propria soggettività giuridica, mentre la società incorporata si evolve in un soggetto giuridico diverso. L'operazione descritta può distinguersi in differenti tipologie. A titolo esemplificativo si pensi alla fusione per incorporazione inversa, ove la società partecipante è incorporata nella società partecipata. Con la fusione per incorporazione anomala, invece, una società si fonde ad un'altra di cui possiede l'intero compendio azionario. In particolare, in tale fattispecie l'ente societario, ex novo costituito, ottiene in modo totalitario il controllo amministrativo, gestionale e patrimoniale della diversa società incorporata. Questa, dunque, si differenzia dalla incorporazione inversa nella quale, invece, i soci della partecipante ricevono azioni della partecipata per annullamento del patrimonio della prima. Risulta ammissibile anche l'operazione di fusione a seguito di acquisizione con indebitamento, c.d. leverage buy out. Le forme di fusione sono regolate dalla disciplina dell'art. 2501 c.c., il quale recita che l'operazione in esame può avvenire attraverso la costituzione di una nuova società, oppure con l'incorporazione di una con le altre. Talvolta, nelle fusioni per incorporazione i regolamenti contrattuali di tali operazioni specificano, con determinate clausole, il subentro della società incorporante in tutti i contratti di mandato a suo tempo siglati dalla società incorporata. Ciò comporta conseguentemente la continuità dei rapporti giuridici ab origine instaurati e dell'efficacia delle procure alle liti rilasciate dalla prima società oramai incorporata nel nuovo ente societario, in quanto la società incorporante è espressione dell'evoluzione meramente modificativa della società incorporata.
Gli effetti processuali della fusione per incorporazione Può accadere che durante lo svolgimento di un giudizio di natura civilistica un soggetto si sostituisca ad un altro e subentri nel rapporto processuale del primo. Ciò accade nelle ipotesi in cui si assiste alla fusione per incorporazione fra differenti enti societari. Una prima problematica che si pone in tali fattispecie consiste nella necessaria o meno costituzione in giudizio ex novo della società incorporante, al fine di garantire la corretta prosecuzione della controversia già a priori incardinata. La dottrina prevalente sostiene che all'operazione in esame possano essere applicate le disposizioni di cui all'art. 110 c.p.c., il quale dispone che quando la parte viene meno per morte o per altra causa, il processo è proseguito dal successore universale. Il medesimo orientamento dottrinale ritiene altresì che l'evento di fusione, avvenuto prima della chiusura della discussione, ai sensi dell'art. 300 c.p.c., determini effetti nel giudizio in corso ove unicamente dichiarato o notificato alle altre parti. In caso contrario, il processo prosegue fra i soggetti originari pur determinando effetti nei confronti del soggetto successore universale, ossia la società incorporante. Sul punto si è espressa la Corte di Cassazione (sent. S.U. 8 febbraio 2006, n. 2637), la quale ha statuito che la fusione per incorporazione non determina l'estinzione della società incorporata, non crea un nuovo soggetto di diritto nell'ipotesi di fusione paritaria, ma si assiste all'unificazione mediante integrazione contestuale delle società partecipanti. Si configura, quindi, una vicenda meramente evolutiva modificativa dello stesso soggetto giuridico, il quale conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo. Deve essere escluso, perciò, che la fusione per incorporazione determini l'interruzione del processo per perdita della capacità processuale ex art. 300 c.p.c., poiché in tale fattispecie si assiste ad una prosecuzione del giudizio a cui prende parte la società incorporante. Quanto affermato è stato in seguito ribadito anche dalla Corte di Cassazione (sent. S.U. 17 settembre 2010, n. 19698), la quale ha statuito che in tema di fusione, l'art. 2504 bis c.c.., introdotto dalla riforma del diritto societario, D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 6 ha natura innovativa e non interpretativa. La Corte di Cassazione ha ribadito che la fusione tra società si risolve in una vicenda meramente modificativa dello stesso soggetto giuridico, ma che non può dirsi applicabile per le fusioni (per unione od incorporazione) anteriori all'entrata in vigore della nuova disciplina 1 gennaio 2004. Queste, tuttavia, pur dando luogo ad un fenomeno successorio, si diversificano dalla successione mortis causa, poichè la modificazione dell'organizzazione societaria dipende esclusivamente dalla volontà delle società partecipanti. Ciò implica che la società incorporata non è pregiudicata dalla continuazione di un processo del quale era perfettamente a conoscenza, così come nessun pregiudizio subisce la incorporante o l'ente risultante dalla fusione, il quale può intervenire nel processo ed impugnare la decisione sfavorevole. A tali società di conseguenza non si applica la disciplina dell'interruzione di cui agli artt. 299 ss. c.p.c.. Quanto enunciato dalle Sezioni Unite è stato ribadito di recente con la pronuncia della Corte di Cassazione, sez. III, 18 aprile 2012, n. 6058, la quale ha precisato che la fusione tra società non determina, nelle ipotesi di fusione per incorporazione, l'estinzione della società incorporata, nè crea un nuovo soggetto di diritto nell'ipotesi di fusione paritaria. L'interpretazione giurisprudenziale recente elaborata valorizza il dettato normativo di cui all'art. 2504 bis c.c. nel testo conseguente alla riforma del diritto societario, il quale non contiene più il riferimento all'effetto estintivo, prevedendo così che la società seguente alla fusione, o a quella incorporante, prosegue in tutti i rapporti, anche processuali. Tanto premesso, secondo il più recente e prevalente orientamento giurisprudenziale può essere affermato che in una causa già pendente, in cui era parte la società incorporata, la costituzione in giudizio ex novo, della società incorporante ai fini della prosecuzione del medesimo processo, non può dirsi indispensabile. Ciò implica che nello stesso grado di giudizio la legittimazione ad agire prosegue in capo alla società incorporante senza che risulti necessaria la nuova costituzione di quest'ultima. Si pone, quindi, un'ulteriore problematica inerente la fattispecie in esame, ossia se l'eventuale impugnazione della sentenza di primo grado, la quale definisce il giudizio in cui è parte processuale la società incorporante, debba essere promosso da quest'ultima. Prendendo le mosse dai principi summenzionati, deve essere ribadito che la società incorporante interviene sostituendosi in ogni rapporto giuridico di cui aveva preso parte l'ente incorporato. Ne discende che la statuizione del processo di primo grado pronunciandosi e definendo i contorni del diritto riconosciuto alla parte processuale riflette i suoi effetti sulla società incorporante. Giova precisare che la giurisprudenza di legittimità aveva sostenuto che in presenza di una società, costituita in primo grado a mezzo di procuratore fusa per incorporazione nel corso del giudizio di prime cure laddove il suo procuratore non avesse dichiarato in udienza l'avvenuta fusione o lo stesso non avesse notificato l'operazione all'altra parte, dovesse ritenersi valido l'atto di appello proposto nei confronti della società incorporata notificato al procuratore costituito. Ciò alla luce del particolare rapporto di continuità identitaria tra le società partecipanti alla fusione. In particolare, si sosteneva che la società risultante dalla fusione non poteva dirsi un soggetto estraneo al rapporto giuridico processuale intestato alla società fusa ed al connesso rapporto di mandato alle liti (così, Cass. Civ., 06 agosto 2008, n. 21161). L'interpretazione giurisprudenza prevalente successiva, in seguito, si è discostata dalla precedente formulazione. La Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 17 settembre 2010, n. 19698, cit., ha statuito che la società incorporata deve considerarsi a tutti gli effetti sostituita dalla società incorporante. Il precipitato di tale principio consiste nel subentro in ogni rapporto, anche processuale, della società incorporante in quelli instaurati dalla società incorporata. Sul punto, il Tribunale di Parma (pronuncia del 5 luglio 2017, n. 1020) ha statuito che la fusione mediante incorporazione determina una situazione giuridica corrispondente a quella della successione universale, con la conseguenza che la società incorporante subentra nella titolarità di tutti i rapporti giuridici attivi e passivi riconducibili all'incorporata. Stante quanto sino ad ora esaminato, può essere affermato che l'impugnazione della sentenza di primo grado del processo in cui ha preso parte la società incorporante deve essere promossa da quest'ultima. Quando, invece, la controparte intende promuovere il giudizio di appello, il destinatario dell'atto di citazione in appello rimane sempre l'ente incorporante. Con riguardo alla tematica in esame il Tribunale di Massa, con la sentenza del 22 dicembre 2017, n. 1086, ha affermato che sussiste la nullità insanabile di un atto di citazione notificato ad una società convenuta che, alla data della notifica, aveva cessato di esistere, poiché in precedenza vi era stata la fusione per incorporazione in un ente societario differente.
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