Appunti sistemici sui rapporti convulsi fra esecuzione fondiaria e fallimento

Salvo Leuzzi
19 Ottobre 2018

Nell'ambito di un'azione esecutiva iniziata o proseguita dal creditore fondiario, ai sensi dell'art. 41 del D.lgs. n. 385/1993, nei confronti del debitore fallito, il curatore che intenda ottenere la graduazione di crediti di massa maturati in sede fallimentare a preferenza di quello fondiario, e quindi l'attribuzione delle relative somme con decurtazione dell'importo attribuito all'istituto procedente, dovrà costituirsi nel processo esecutivo e documentare l'avvenuta emissione da parte degli organi della procedura fallimentare di formali provvedimenti che (direttamente o quanto meno indirettamente, ma inequivocabilmente) dispongano la suddetta graduazione.
Massima

Nell'ambito di un'azione esecutiva iniziata o proseguita dal creditore fondiario, ai sensi dell'art. 41 del d.lgs. n. 385/1993, nei confronti del debitore fallito, il curatore che intenda ottenere la graduazione di crediti di massa maturati in sede fallimentare a preferenza di quello fondiario, e quindi l'attribuzione delle relative somme con decurtazione dell'importo attribuito all'istituto procedente, dovrà costituirsi nel processo esecutivo e documentare l'avvenuta emissione da parte degli organi della procedura fallimentare di formali provvedimenti che (direttamente o quanto meno indirettamente, ma inequivocabilmente) dispongano la suddetta graduazione.

Il caso specifico nel contesto globale

Nel giudizio definito con la sentenza n. 23482 del 28 settembre 2018, la Corte di Cassazione si è occupata del caso di un creditore fondiario, che aveva proseguito nei confronti di un fallimento l'esecuzione individuale avviata in precedenza nei confronti di una società in bonis. Una fattispecie quasi “tradizionale” anche sul piano delle contestazioni da cui germinava la controversia: quelle del curatore che, dinanzi al magistrato dell'esecuzione, aveva insistito affinché il computo della porzione del ricavato della vendita “incapiente” da riconoscere al procedente fondiario fosse considerato al netto dei crediti prededucibili acclarati già in sede concorsuale e che, altrimenti, sarebbero rimasti, perlomeno nell'immediato, drasticamente insoluti (si trattava dell'ammontare dell'ICI versato dall'organo concorsuale avuto riguardo al cespite venduto forzosamente e degli oneri condominiali ad esso correlati, nonché del compenso spettante al curatore fallimentare).

Ai giudici di Piazza Cavour si è offerto il destro per addentrarsi nel contesto dell'intersecazione tra l'espropriazione individuale coltivata dal fondiario e il fallimento sopravvenuto del debitore. L'approdo è stata l'enucleazione di alcuni principi essenziali di governo dell'aggrovigliata materia; essi, in parte ispirati ad un apprezzabile realismo, meritano alcune riflessioni (il quadro delle interferenze fra l'espropriazione del fondiario perseverante e la procedura fallimentare che frattanto abbia investito il debitore è articolato e complesso: in tema v. di recente Piras, I rapporti fra l'esecuzione fondiaria e il fallimento, in Dir. Fall., 2016, 2, 573 e Penta, I rapporti tra esecuzione concorsuale ed esecuzione individuale. Il credito fondiario, in Dir. Fall., 2010, 3-4).

La cornice di riferimento in materia è stata ritratteggiata ormai undici anni fa, allorché il c.d. “decreto correttivo” n. 169 del 2007 arricchì di comma ad hoc, il terzo, l'art. 52 l. fall., sancendo in modo inequivoco il principio della declinazione meramente processuale del privilegio consegnato al creditore fondiario dall'art. 41 del TUB: costui ha la prerogativa d'avviare una procedura esecutiva individuale o di portarla innanzi, sui beni coperti dalla garanzia, pur in pendenza del fallimento del proprio debitore; egli, tuttavia, non usufruisce di esoneri rispetto alla procedura di accertamento dei crediti contemplata dal capo V della legge fallimentare, cui deve sottoporre, al pari di tutti gli altri, la propria pretesa.

Ciò significa che il fondiario va ammesso al passivo (prendendo parte al concorso formale), per poi essere collocato a riparto nel fallimento (dunque soggiacendo pure al concorso sostanziale).

Sono profili tenuti ben in conto dalla sentenza in commento, trasfusi nella sottolineatura di un dato saliente: solo il fondiario che abbia visto riconoscersi il proprio credito dal giudice delegato in sede di verifica del passivo, e che, di poi e per di più, sia stato utilmente inserito nella graduazione operata in sede fallimentare, è legittimato a trattenere quanto il giudice dell'esecuzione gli abbia attribuito, sia pure a titolo provvisorio, attingendolo dal ricavato dall'espropriazione singolare.

La pronuncia riprende e rafforza aspetti già in parte sedimentati nella giurisprudenza di legittimità, che da anni va predicando la natura processuale del privilegio del fondiario, il quale può seguitare a dar corso all'esecuzione individuale, ferma e impregiudicata, su un piano sostanziale, l'incidenza, pure per detto creditore, del principio di esclusività della verifica concorsuale dei crediti, fissato dalla richiamata norma cardine dell'art. 52 l. fall. (Cass., 11 ottobre 2012, n. 17368; Cass. 17 dicembre 2004, n. 23572; Trib. Monza, 13, aprile 2015; Trib. Bari, 18 novembre 2013; Trib. Mantova, 26 gennaio 2006). Ne esce ribadita una regola essenziale: l'assegnazione endoesecutiva ha un carattere rigorosamente provvisorio, mostrandosi suscettibile di diventare definitiva solo per l'importo e secondo la graduazione dei crediti riconosciutale nell'ambito della procedura concorsuale.

L'aspetto di reale novità della pronuncia – che vale finalmente a regolare il “traffico” dei rapporti fra esecuzione individuale e fallimento, mettendo ordine nell'intricata sovrapposizione – sta in ciò, che l'attribuzione in favore del titolare del credito fondiario del ricavato della vendita forzosa cessa di atteggiarsi a monade, non essendo più isolata e immunizzata rispetto alla necessaria influenza dei riparti endofallimentari e delle relative previsioni distributive, al cui contenuto deve, di contro, adeguarsi.

Segnatamente, secondo la sentenza in commento la deduzione di questioni relative alla graduazione endofallimentare dei crediti deve avvenire su iniziativa del curatore fallimentare, senza che il giudice dell'esecuzione individuale possa rilevarle d'ufficio. Ma la relativa decisione, nondimeno, postula una ricognizione dell'esistenza o meno di provvedimenti degli organi della procedura fallimentare che effettivamente dispongano, in modo diretto o quantomeno implicito, ma inequivoco, l'anzidetta graduazione. Quest'ultima, in altri termini, dalla sede concorsuale si proietta in quella individuale, condizionando la misura della quota di ricavato che il fondiario è legittimato a conseguire.

Accertamento concorsuale del credito e attribuzione endoesecutiva provvisoria

L'art. 41, comma 2, del TUB non chiarisce se la soddisfazione del creditore fondiario debba aver luogo in ambito fallimentare o se, per converso, sebbene con effetti provvisori, la distribuzione del ricavato dell'alienazione forzosa vada eseguita nel contesto dell'esecuzione individuale fondiaria. Tra gli studiosi si è riscontrata non a caso una dualità di posizioni, ritenendo qualcuno che ciascuna questione distributiva del ricavato si presti ad essere definita nel luogo elettivo del processo d'esecuzione individuale fondiaria (Saletti, L'espropriazione per credito fondiario nella nuova disciplina bancaria, in Riv. dir. proc., 1994, 1004), reputando altri, invece, che al riparto fallimentare vada conservata centralità, perlomeno ai fini della determinazione del quantum di spettanza del creditore fondiario in rapporto agli altri (Bonfatti, La disciplina dei crediti speciali nel testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, in Giur. comm., 1994, I, 1020).

Certamente interdire l'opportunità per il fondiario di ottenere in concessione provvisoria le somme ricavate in sede esecutiva dalla vendita condotta su suo impulso e considerare specularmente imprescindibile la consegna di esse al fallimento, perché si occupi di distribuirle nelle proprie sedi, equivale ad una velata soppressione dell'art. 41, comma 2, TUB.

È vero, infatti, che un privilegio soltanto processuale non può trasmodare in un privilegio sostanziale, atto a consentire a chi ne goda di soddisfarsi al di fuori di quel concorso che in ambito fallimentare si regge su modalità anche formali sue proprie (e che presuppongono compresenza e contraddittorio tra i creditori); tuttavia che l'intero ricavato dell'esecuzione fondiaria sia riversato al fallimento ed ivi spartito secondo le regole della procedura concorsuale tratteggia in concreto una prospettiva tanto rigida, da svuotare di orizzonte l'opportunità che l'art. 41 del TUB concede al fondiario. Detta opportunità si riduce a prerogativa troppo angusta, come di chi è abilitato a dare impulso alla liquidazione in sede individuale del bene, per poi dover accedere, comunque, a quella concorsuale, ai fini della distribuzione del ricavato.

Propugnabile, piuttosto, un'ottica – che è quella corroborata dall'arrêt annotato – che riporta il sistema ad un punto di pragmatico bilanciamento: si può in tal senso consentire la distribuzione provvisoria in sede di esecuzione fondiaria del ricavato della vendita, ma senza smarcarla dalla graduazione, effettuata in sede fallimentare e correlata al singolo bene liquidato. È una soluzione concreta certo, ma che tiene insieme le esigenze sistemiche espresse dalle norme della legge fallimentare, senza sacrificare, fino a sgombrarla di contenuto, quella di cui all'art. 41 del TUB.

Su queste premesse, è nel solco di quanto già considerato in passato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 17.12.2004, n. 23572 e altre successive conformi, tra cui v.: Cass. 5.4.2007, n. 8609; Cass. 14.5.2007, n. 11014; Cass. 11.6.2007, n. 13663; Cass. 11.10.2012, n. 17638; Cass. 21.3.2014, n. 6738; Cass. 30.3.2015, n. 6377), che la sentenza di che trattasi contiene l'avallo all'attribuzione al fondiario dell'incasso dell'alienazione del bene garantito, avvenuta in sede d'espropriazione singolare; detta attribuzione viene qualificata, peraltro, come intrinsecamente provvisoria.

Non potrebbe essere altrimenti, del resto: la temporaneità è un profilo consustanziale all'assegnazione, avuto riguardo all'ordinamento concorsuale, che non accetta in proposito letture difformi. D'altronde, la dichiarazione di fallimento cagiona, a tenore dell'art. 52, comma 1, l. fall., essenzialmente l'apertura del concorso dei creditori sul patrimonio del fallito, cui è sottratto, ex art. 42, comma 1, il potere di amministrare e di disporre dei propri beni, per converso concentrato in capo al curatore. Da lì in avanti, la procedura fallimentare poggia su due obbligatorie certezze: il rigore del concorso formale, in ragione del quale tutti i creditori sono onerati di far verificare le rispettive ragioni secondo le modalità di cui agli artt. 92 e ss. l. fall. (al concorso formale è subordinato qualunque credito, ancorché prelatizio: i crediti c.d. di massa - in ipotesi in cui siano oggetto di contestazione sulla collocazione o sull'importo -, ogni diritto reale o personale mobiliare, i diritti reali immobiliari - gli ultimi due da accertarsi secondo le forme e le modalità prevedute dall'art. 103 -, i crediti esentati dal divieto delle azioni esecutive individuali ed i crediti che siano stati fatti valere in riconvenzionale da un creditore del fallito contro il quale il curatore abbia proposto una domanda giudiziale recuperatoria di un credito del fallito medesimo. V. per una articolata analisi Celentano, Effetti del fallimento per i creditori, su Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da Fauceglia e Panzani, Torino, 2009, 488 e ss.); l'imprescindibilità del concorso sostanziale, a mente del quale i creditori si soddisfano proporzionalmente sul ricavato della vendita dei beni del fallito, non casualmente, ma secondo le rispettive cause di prelazione.

È sicuramente per rispetto all'urgenza di preservare la graduazione dei crediti – oltre che all'opportunità di arginare gli effetti dirompenti delle iniziative in ordine sparso dei creditori free riders – che l'art. 51 l. fall. dispone il blocco delle azioni esecutive individuali quali che siano (immobiliari, mobiliari, per consegna o rilascio - artt. 605 e ss. c.p.c. -, per esecuzione degli obblighi di fare e non fare - artt. 612 e ss. c.p.c. -, per esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c.). Ed è in coerenza con la norma evocata che il comma 6 dell'art. 107 marchia d'improcedibilità le azioni esecutive (o cautelari) intraprese dopo fallimento e sanziona di improseguibilità quelle già pendenti a tale data, salvo che il curatore non reputi discrezionalmente di subentrarvi (alcuni “esoneri” dal divieto di dare inizio o ulteriore corso alle azioni esecutive sono tratteggiati da altre norme della legge fallimentare: sono aggredibili individualmente, per quanto sia stato dichiarato il fallimento, innanzitutto, i beni che, ai sensi dell'art. 104-ter, comma 7, l. fall., il curatore abbia ritenuto di non acquisire all'attivo e quelli che abbia rinunciato a liquidare per manifesta non convenienza; vengono in evidenza, inoltre, i beni sopravvenuti in capo al fallito in costanza di procedura fallimentare, alla cui acquisizione alla massa la curatela, del pari, abdichi, ai sensi dell'art. 42, comma 3, l. fall., in ragione del maggiore impatto dei costi di acquisto e conservazione rispetto al presumibile valore di realizzo).

È, allora, nel nitore di questa prospettiva di sistema che l'ultimo comma dell'art. 52 l. fall. ha previsto che l'onere di sottoporsi al concorso viene in evidenza anche a carico dei creditori esentati dal divieto appena narrato. Del resto, è coerente che la disposizione de qua sia stata riaffermata dall'art. 110, comma 1, l. fall., che nel testo licenziato dal “decreto correttivo” del 2007, implica che le pretese di detti creditori siano indicate anch'esse nel progetto di riparto delle somme. L'ultima parte del comma in questione dispone testualmente che "nel progetto sono collocati anche i crediti per i quali non si applica il divieto di azioni esecutive e cautelari di cui all'art. 51". La norma è segno ulteriore che la vera e propria ripartizione delle somme ricavate dalla liquidazione dell'immobile pignorato ed ipotecato a garanzia del creditore fondiario, nel più ampio contesto della ripartizione degli importi ricavati dalla liquidazione dell'intero patrimonio fallimentare, non può che avvenire innanzi al giudice dell'esecuzione concorsuale e tener conto, ove si compia altrove, delle graduazioni che quest'ultimo anche implicitamente effettui.

Lo schema tratteggiato dalla sentenza in commento si mostra perspicuo nella sua sequenza logica: è la procedura fallimentare la sede naturale dell'accertamento dei crediti nei confronti del fallito e del relativo grado; al creditore fondiario è ascritto, primus inter pares, l'onere di fare accertare il proprio credito secondo le regole del concorso (V. in particolare, Cass., 9 luglio 2014, n. 15606: ha precisato che qualora il creditore fondiario ometta di insinuarsi al passivo o se il curatore invochi l'incapienza del ricavato dalla vendita a coprire sia i crediti prededucibili o i crediti aventi rango poziore, spetta alla curatela il diritto di chiedere al predetto creditore la restituzione della somma assegnata); con l'ammissione al passivo la banca consegue a titolo provvisorio il diritto ad ottenere il quantum riconosciutogli in ambito fallimentare; l'attribuzione al fondiario non può prescindere, ma deve adattarsi alla graduazione propria del riparto fallimentare e ai provvedimenti che anche implicitamente l'abbiano definita, riconoscendo importi a creditori di rango poziore rispetto al fondiario stesso (sul punto v. le riflessioni di Bozza, Criteri di liquidazione selettiva dell'attivo come strumenti di gestione rapida ed efficiente del fallimento, in Fallimento, 2010, 1080; V. Sangiovanni, Le particolarità fallimentari del credito fondiario, in Fallimento, 2011, p. 1146 s., per il quale "in tal modo si opera un soddisfacente raccordo fra l'esecuzione singolare e la procedura fallimentare: sui beni oggetto dell'esecuzione individuale, infatti, possono esservi diritti di altri creditori, sicché il conflitto fra tali crediti e i crediti per cui si è proceduto in sede di esecuzione singolare non può trovare altra soluzione che nell'ambito dei riparti fallimentari").

Le attribuzioni endoesecutive nel quadro delle graduazioni fallimentari

Sullo scenario ordinamentale che si è prima abbozzato la pronuncia in commento fissa due punti fermi e condivisibili: quello per cui la graduazione va necessariamente effettuata all'interno del fallimento; quello per cui la distribuzione in favore del fondiario non può non tenerne conto, dovendo, anzi, avvenire in sede esecutiva conformemente ad essa.

In tal modo, vengono saldati il “privilegio di riscossione” del fondiario e la concorsualità fallimentare: il giudice dell'esecuzione non può accertare crediti contro il fallito, ma non può non prendere atto di quanto stabilito da chi quell'accertamento, per competenza funzionale, è deputato a condurlo.

Per vero, nel caso che ha occupato la Corte, le contestazioni del curatore, tese a far rispettare le prededuzioni maturate in relazione al bene liquidato, erano state disattese dal giudice dell'esecuzione individuale, che si era peritato di convalidare un progetto di distribuzione orientato a riconoscere al fondiario l'intera provvista della vendita coattiva, “al lordo” di pretese a credito che pure stavano indubitabilmente davanti al relativo credito sul piano della graduazione fallimentare. È significativo che, a fronte dell'impugnazione del predetto provvedimento ai sensi del combinato disposto degli artt. 512 e 617 c.p.c., l'opposizione scontasse la medesima reiezione delle contestazioni che l'avevano precorsa: il tribunale adduceva, da un lato, che ai sensi dell'art. 41, comma 4, del TUB, il creditore fondiario è legittimato a farsi assegnare, ancorché a solo titolo provvisorio, il ricavato complessivo della vendita, sia pur nei limiti del credito munito di privilegio; dall'altro lato, osservava che i crediti riconosciuti (e in parte anche soddisfatti) in prededuzione nell'ambito del fallimento, non godrebbero di alcun privilegio in sede di esecuzione individuale.

La sentenza in commento capovolge questa prospettiva, proprio in quanto essa traduce un arnese processuale anacronistico in un'esenzione contingente dalle regole del concorso, che pure esistono in funzione della graduazione dei crediti: una graduazione che è esplicita ogni qualvolta consta una ripartizione parziale; una graduazione che, viceversa, si fa implicita, allorché il giudice delegato disponga il pagamento di un credito “targato” dalla prededuzione, concernente l'immobile pignorato dal fondiario, ove il curatore assolva all'onere di provarne la sussistenza del predetto attributo. Del resto, la graduzione ab implicito del credito non può essere meno impegnativa di quella espressa per quanti, a concorso ormai in atto, ambiscano a conseguire somme rivenienti dalla liquidazione di beni tendenzialmente appresi alla massa.

Il postulato di riferimento è presto scoperto: la partecipazione al concorso implica l'assoggettamento alla graduazione dei crediti prevista dagli artt. 111 e ss. l. fall.

La legge fallimentare, del resto, conosce un solo tipo di procedimento per la determinazione del concorso dei creditori sull'attivo e per la partecipazione dei concorrenti alla ripartizione: detto procedimento coinvolge tutti i creditori, compresi gli istituti di credito esercenti il credito fondiario, e comprende tutto l'attivo, incluso quello assegnato in via provvisoria dal giudice dell'esecuzione. L'ossequio a tali basilari principi implica la negazione di qualsivoglia accertamento in sede di esecuzione individuale sull'entità dei crediti, sui relativi titoli di prelazione, sulla prededucibilità delle pretese, che possa in qualche modo incidere sulla partecipazione al concorso aperto con la dichiarazione di fallimento e ciò a prescindere dalle domande svolte in quel giudizio dalle parti.

Ed allora, il giudice dell'esecuzione rimane onerato da due sole incombenze: intanto, dall'ufficio di verificare se constino e che contenuto abbiano eventuali riparti endofallimentari o – dietro indicazione del curatore “parte diligente” – provvedimenti degli organi della procedura concorsuale che si siano incaricati, anche indirettamente, di graduare i crediti, assegnando loro un grado poziore a quello proprio del fondiario; inoltre, dal compito di allineare ciascuna distribuzione provvisoria al rispetto di tali provvedimenti, limitandosi alla loro presa d'atto, quindi astenendosi da ogni sovrapposizione di propri apprezzamenti alle valutazioni degli organi fallimentari. L'esercizio delle incombenze risulta più agevole quando in sede fallimentare consti un riparto parziale che postuli una graduazione espressa dei crediti; risulta, comunque, non abdicabile qualora la graduzione sia, nondimeno, desumibile da un provvedimento del giudice delegato che riconosca la qualità prededuttiva di un credito: l'esemplificazione è nel caso dell'autorizzazione al curatore a procedere al pagamento dell'IMU dovuta.

E comunque – ecco il congegno basilare di raccordo – ogni deduzione di questioni afferenti alla graduazione dei crediti dovrà avvenire su iniziativa del curatore fallimentare, non potendo il giudice dell'esecuzione rilevare dette questioni d'ufficio. La relativa decisione si fonderà, allora, su un'indagine idonea ad appurare l'esistenza o meno di provvedimenti degli organi della procedura fallimentare che effettivamente dispongano, in modo diretto o quanto meno indiretto, seppure inequivoco, la suddetta graduazione.

Sotto questo aspetto assumeranno rilievo non soltanto gli accertamenti espliciti delle prededuzioni effettuati in sede concorsuale (sebbene, in ipotesi, sulla scorta di provvedimenti non definitivi); piuttosto dovrà tenersi conto pure di quanto discende dall'avere gli organi della procedura autorizzato dei pagamenti relativi a crediti di massa gravanti su un determinato bene.

In realtà, benché la sentenza in commento ometta di considerarla tale, la prededuzione implicita sembrerebbe dover venire in rilievo anche allorché un credito di grado anteriore dovesse risultare dallo stato passivo, posto che la ripartizione non può non rispecchiarlo.

Nell'incaricarsi di rinvenire una chiave del raccordo fra esecuzione fondiaria e fallimento, la pronuncia ritiene di rintracciarla, nondimeno, nella convergenza di due profili: l'accoglimento della domanda di ammissione al passivo del credito del fondiario, che individua anche l'importo della pretesa; l'adeguamento dell'attribuzione alla graduazione dei crediti eseguita in sede fallimentare – siccome articolatasi nei provvedimenti del giudice della procedura concorsuale – che segna il “netto” suscettibile di corresponsione al fondiario stesso.

L'impostazione è la sola che, nell'attuale ordinamento, si mostra in qualche modo plausibile: nulla può essere versato, per quanto transitoriamente, ad un soggetto che sia sprovvisto di un titolo giuridico di partecipazione al “concorso formale”, riconosciutogli in esito alla verifica dei crediti; quel titolo abilita a partecipare al concorso entro i limiti della graduazione che quest'ultimo contempla, non già a sovvertirla ab externo, nel contesto di un processo appartato e solipsistico. Soltanto l'insinuazione accolta, presupponendo l'opponibilità al fallimento del privilegio processuale fondiario, consegna al titolare di quest'ultimo la legittimazione a vedersi assegnato in via provvisoria il ricavato della vendita in sede di esecuzione individuale; la spendibilità di quella legittimazione avviene entro i confini offerti dalla graduazione endofallimentare dei crediti, non in transitorio spregio a quest'ultima.

Da questo punto di vista la necessità, evidenziata dalla sentenza in commento, che il creditore fondiario documenti ai fini dell'assegnazione provvisoria il provvedimento favorevole del giudice delegato al fallimento è un aspetto avvalorato dal sistema, al pari della necessità di tenere in conto, qualora veicolati nel processo esecutivo dal curatore, i provvedimenti anche impliciti che abbiano riconosciuto crediti poziori rispetto a quello in testa al procedente. In altri termini, ogni qualvolta il giudice delegato liquida una spesa del curatore riconducibile all'art. 111 l. fall. non può non tenersene conto nell'esecuzione individuale, qualora l'organo concorsuale dimostri, in detta sede, che si tratta di graduazione implicita riferibile all'immobile liquidato in sede esecutiva. Detto onere, agevole per definizione in relazione all'IMU o agli oneri condominiali connessi al cespite, si complica per altre spese. Tuttavia, si tenga, al riguardo, presente un aspetto: l'art. 111-bis, comma 2, l. fall. dispone che "i crediti prededucibili vanno soddisfatti ... con il ricavato della liquidazione del patrimonio immobiliare e mobiliare, tenuto conto delle rispettive cause di prelazione, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti". La norma va letta unitamente alla previsione di cui all'art. 111-ter, comma 2, l. fall., in virtù del quale "Il curatore deve tenere un conto autonomo delle vendite dei singoli beni immobili oggetto di privilegio speciale e di ipoteca e dei singoli beni mobili o gruppo di mobili oggetto di pegno e privilegio speciale, con analitica indicazione delle entrate e delle uscite di carattere specifico e della quota di quelle di carattere generale imputabili a ciascun bene o gruppo di beni secondo un criterio proporzionale". Lo strumento utile a individuare le spese prededucibili, prevenendo le controversie sul punto, è, allora, il conto speciale che il curatore deve tenere per tutti i beni gravati da una prelazione di carattere speciale; è proprio in ragione di tale disciplina che viene in evidenza l'imprescindibilità dell'individuazione del netto distribuibile di detti beni, che è dato dal ricavo derivante dalla vendita dell'immobile, sottratti (perlomeno) i costi funzionali al realizzo e alla gestione dello stesso.

Ora, sol che si guardi all'attualità dell'ultimo comma dell'art. 52 l. fall., che fa sottostare all'accertamento del passivo anche i crediti esentati dal divieto di inizio/prosecuzione di azioni esecutive, se ne ricava che il vaglio positivo del credito nel procedimento ex art. 95 e ss. l. fall. è funzionale a misurare quel credito, non nella sua dimensione isolata, ma nella misura che ad esso è conferita anche dagli altri crediti in concorso, qualora lo sormontino nel grado e nel rango.

È evidente che l'attribuzione provvisoria si presti a consolidarsi solo qualora non si riveli superiore a quanto risulti spettante al creditore fondiario in sede di riparto fallimentare, palesandosi proprio il riparto alla stregua di momento fondamentale, per la determinazione degli eventuali altri crediti, suscettibili d'essere soddisfatti prima di quello garantito dal privilegio ipotecario.

Il legislatore del decreto correttivo, del resto, inserendo nel corpo dell'art. 110, comma 1, l. fall., immediatamente dopo il primo, un secondo periodo in base al quale “nel progetto sono collocati anche i crediti per i quali non si applica il divieto di azioni esecutive e cautelari di cui all'articolo 51”, ha mostrato – come evidenziato finanche nella relazione al d.lgs. n. 169 del 2007 – di comprendere tutte le conseguenze della portata puramente processuale del privilegio fondiario, sottolineando come, oltre all'ammissione al passivo (per il rispetto del “concorso formale”), il credito fondiario debba essere utilmente collocato nei riparti fallimentari (realizzandosi così il “concorso sostanziale”), perché sono i riparti de quibus che offrono di esso sia il pregio che la consistenza.

In tal senso, solo con l'esecutività del piano di riparto – contro il quale il creditore fondiario ben può dirsi legittimato a promuovere l'eventuale rimedio di cui all'art. 110 l. fall., ove dissenziente – l'attribuzione transeunte conseguirà adeguata cristallizzazione.

Va anche detto che la subordinazione del fondiario all'incidenza delle prededuzioni fa da controbilanciamento del riflesso vantaggioso che per costui astrattamente si collega all'insinuazione nel fallimento: qualora, infatti, il ricavato della vendita immobiliare fosse incapiente rispetto al credito dell'istituto bancario, questo ben potrebbe avvantaggiarsi dell'eventuale riparto a favore dei crediti chirografari, nel senso che il credito privilegiato non soddisfatto verrebbe soddisfatto al rango di chirografo, in ipotesi in cui la procedura avesse somme da ripartire.

La gestione pratica delle interferenze

Il coordinamento fra esecuzione individuale e collettiva è stato tradizionalmente assicurato attribuendo natura provvisoria all'assegnazione in sede esecutiva e correlativamente imponendo al creditore l'onere d'insinuarsi al passivo del fallimento per conservare il risultato dell'esecuzione privilegiata, condizionato all'insussistenza di crediti prededucibili o muniti di cause di prelazione di grado superiore al suo, e con l'obbligo di restituzione alla massa delle somme ottenute in eccesso rispetto a quelle riconosciute nel riparto fallimentare (Macagno, Rapporti tra esecuzione individuale e concorsuale di credito fondiario: conferme dal legislatore della Riforma, in Fall., 2009).

Se, invero, nel caso di specie le questioni afferivano al pagamento dell'IMU e degli oneri condominiali da parte del curatore, è evidente come le prededuzione attinenti al bene liquidato nell'esecuzione fondiaria hanno natura ricorrente, riguardando ordinariamente il compenso al curatore (per cui viene previsto un acconto, ex art. 109, comma 2, l. fall.), l'aliquota delle spese generali, le spese direttamente e specificatamente imputabili all'immobile pignorato e quelle occorse per l'intervento del fallimento nella procedura esecutiva individuale intrapresa dal fondiario.

È da dire, peraltro, che l'articolato rapporto tra l'esecuzione fondiaria e gli esborsi in prededuzione del fallimento fa ormai fulcro sul principio generale, in ragione del quale al fondiario vanno imputate le spese della liquidazione fallimentare sopportate in funzione conservativa del bene nonché i costi generali sostenuti nell'interesse del fondiario stesso (Cass. 17 dicembre 2004, n. 23572).

Rimane incerta la ripartizione delle spese generali della procedura concorsuale. In effetti, la giurisprudenza di legittimità ritiene che le spese di procedura prededucibili non incidano in misura analoga sul ricavato della vendita, dovendosi, volta per volta, verificare l'utilità delle attività svolte dal curatore a favore dei creditori garantiti (Cass. 10 maggio 1999, n. 4626; Cass. 6 giugno 1997, n. 5104), attività nel cui novero si iscrivono, perlomeno, i costi per l'accertamento del credito e per la predisposizione del riparto. E qualora si ritenga che la legge fallimentare non implichi riparti separati e distinti per la distribuzione del residuo attivo, pure i creditori fondiari concorrono a sostenerli, al pari degli altri creditori concorsuali; l'attivo ricavato, pertanto, confluisce in un'unica massa sulla quale concorrono tutti i creditori secondo l'ordine descritto dall'art. 111 l. fall., di talché l'unico criterio di ripartizione di tali costi in prededuzione che possa essere riconosciuto rimane quello dell'imputazione proporzionale, cioè quello del rapporto tra il ricavato dalla vendita di un bene e il realizzo complessivo della procedura fallimentare. In quest'ottica al creditore fondiario verrà imputata una percentuale dei costi data dal rapporto tra l'attivo fallimentare conseguito e il quantum ricavato dalla vendita del bene sul quale incideva il privilegio fondiario.

Se questo, al di là del caso specifico tenuto in conto dalla Suprema Corte, è lo sfondo concettuale di riferimento, appare evidente come l'incombenza restitutoria in capo al curatore nei riguardi del fondiario che abbia ricevuto somme in esubero rischia di diventare, non una variabile, ma una costante di sistema. Ed allora ciò che risalta nella sentenza in commento è una risposta congrua ad interrogativi consueti: sono quelli afferenti alle modalità di gestione del rischio delle interferenze concrete fra esecuzione fondiaria e fallimento, palesandosi l'incomunicabilità fra graduazione endofallimentare e processo esecutivo individuale un'opzione inappagante.

La cifra significativa della pronuncia sta, perciò, nella sua attitudine a dare sostanza e spazio, in sede esecutiva individuale, ai crediti riconosciuti nel parallelo ambito fallimentare, che rimarrebbero obliterati, in assenza di una bretella di collegamento effettivo fra l'esecuzione individuale e quella concorsuale.

Nella carenza storica di un meccanismo di raccordo formale, la pronuncia annotata ne suggerisce uno “a bocce ferme”, che gemma da una concretezza d'approccio: è il curatore, infatti, a poter muovere nel processo esecutivo individuale contestazioni tese a far constare la priorità di prededuzioni riconosciute tali dal giudice fallimentare e che, pertanto, non si prestano a rimanere trascurate e neglette. La conseguenza è, infatti, nello scotto rappresentato dal sovvertimento delle regole del concorso e dalla cronicizzazione contestuale, tra i compiti del curatore, dell'incombenza dispendiosa del recupero di importi, conseguiti in esubero dal fondiario, perchè sottratti all'impatto delle prededuzioni anteposte al suo credito.

In altri termini, da questa impostazione complessiva deriverebbe un assetto fisiologico di rapporti fra esecuzione del fondiario e fallimento imperniato non su un fulcro, ma su un intralcio: quello patologico e permanente che germoglia dall'attribuzione al titolare del "privilegio di riscossione" di importi tendenzialmente esorbitanti rispetto a quelli riconoscibili al netto delle incidenze prededuttive. Da ciò sorgerebbe, sempre per tendenza ricorrente, la necessità sistemica per il curatore di richiedere indietro le somme versate in più, ai fini del riallineamento fra il quantum accertato in sede concorsuale e quello corrisposto ad abundantiam in ambito esecutivo. Più nel dettaglio, il curatore sarebbe addirittura obbligato all'esercizio dell'azione di ripetizione dell'indebito nei riguardi del fondiario, qualora quest'ultimo non si mostrasse disponibile, sua sponte, a restituire per le vie brevi l'ammontare ricevuto in più, in quanto virtualmente eroso dalle prededuzioni maturate in relazione al bene e tralasciate (il fallimento, per l'ipotesi di mancato spontaneo adempimento dell'obbligo di restituzione da parte del creditore fondiario che abbia transitoriamente ottenuto più di quanto il riparto fallimentare contempli per lui, è certamente legittimato ad agire per ottenere la restituzione di quanto il predetto creditore trattiene ormai sine titulo. In tal guisa trova senso compiuto l'ultimo periodo del secondo comma dell'art. 41 TUB. secondo cui “La somma ricavata dall'esecuzione, eccedente la quota che in sede di riparto risulta spettante alla banca, viene attribuita al fallimento”).

In realtà, se l'ammissione al passivo del creditore fondiario rappresenta il fatto costitutivo del diritto di quest'ultimo di ottenere, in sede di esecuzione individuale, l'assegnazione provvisoria di quanto spetta, l'esistenza di altri crediti della massa, meglio collocati, assume natura di fatto impeditivo di tale diritto, di talché, perchè il fondiario possa guadagnare l'attribuzione provvisoria del ricavato, sembra addirittura plausibile che, da un lato, il giudice dell'esecuzione esiga da lui la documentazione della positiva verifica del credito in sede fallimentare, dall'altro lato, si curi di riconoscerlo nella sua dimensione reale, che è quella che gli assegna il concorso fallimentare, secondo i provvedimenti di graduazione emanati nella relativa sede e veicolati alla sua cognizione dal curatore mediante le proprie contestazioni.

Non vi è titolo costitutivo del diritto, in altre parole, fuori dall'alveo del concorso, sicché l'onere di allegare, da parte del fondiario, il fatto costitutivo del proprio diritto non è rappresentato dal solitario possesso di un titolo esecutivo che ostenti un diritto accertato altrove, perché non esiste nulla di certo, liquido ed esigibile, a fallimento dichiarato, di un diritto che sia collocato nella “scala” del concorso. Ottenere un pagamento allorché il concorso è “spalancato” dal fallimento presuppone il dar conto dei termini della sua esatta e precisa connotazione, che non può rimanere né sfocata, né in ombra.

Ciò detto, necessita evidenziare, in un'ottica di ricostruzione complessiva del sistema, che il meccanismo di regolazione pratica dei rapporti fra esecuzione del fondiario e fallimento trova un proprio addentellato di sostegno nella facoltà, prevista dall'art. 41, comma 2, TUB, dell'intervento del curatore proprio nella procedura esecutiva fondiaria. La norma sull'intervento del curatore in sede esecutiva è orientata a garantire in sede fallimentare la par condicio creditorum, consentendo all'organo concorsuale di prendere parte al procedimento di esecuzione avviato dalla banca, al fine di esercitarvi ogni potere atto a tutelare la posizione della massa dei creditori; il curatore dovrà, segnatamente, tenere conto delle aspettative di tutti gli altri creditori, che – non godendo del privilegio processuale riconosciuto alle banche in materia di credito fondiario – sono costretti a cercare soddisfazione esclusivamente nel contesto della procedura fallimentare. Se non si vuole svalutare la funzione dell'intervento del curatore nella procedura esecutiva fondiaria, limitandone la portata alla mera informazione, priva di riflessi, sulla circostanza del sopravvenuto fallimento, nessun senso ragionevole sembra potersi attribuire alla facoltà del curatore se non quella di assicurare una congiunzione tra la procedura esecutiva e quella concorsuale, finalizzata alla preservazione, per iniziativa dell'organo concorsuale, della graduazione dettata dal concorso e maturata in sede fallimentare.

L'eventuale intervento del curatore risponde allora all'obiettivo di salvaguardare, ab origine e senza affidarne la sorte a recuperi intempestivi, le somme di pertinenzadei titolari di crediti riconosciuti poziori rispetto al fondiario, tanto sulla base di provvedimenti del giudice delegato, quanto di disposizioni del tribunale fallimentare. Il riparto e, in generale, le graduazioni sottintese alle autorizzazioni ai pagamenti o in esse implicite, che tuttavia inequivocabilmente segnalino somme da destinare a soggetti che anticipino il fondiario sul piano del grado o della qualità del credito, si espongono ad una immediata presa d'atto da parte del giudice dell'esecuzione “minore”.

Non va, infine, trascurato che nello schema elaborato dalla pronuncia non vi è spazio per azzardi irreparabili: il giudice dell'esecuzione che compia a monte una valutazione inadeguata sulla natura prededuttiva dei crediti a detrimento del fondiario, vedrà correggere a valle il proprio errore; la sede fallimentare costituirà, in altri termini, la sede finale di recupero, sia che si tratti di assegnazione provvisoria incongrua in favore del fondiario, sia che si tratti di attribuzione in esubero agli altri creditori insinuati nel fallimento.

Le attribuzioni integrali del ricavato

La prospettiva tracciata giunge a definitiva composizione: la circostanza per cui la vicenda esecutiva singolare risulta circoscritta, al più, a due sole parti – creditore fondiario e curatore – apre il varco all'operatività della previsione del primo comma dell'art. 510 c.p.c., secondo cui il giudice dell'esecuzione può, sentito il curatore, limitarsi a disporre in favore del creditore fondiario il pagamento di quanto costui affermi spettargli per capitale, interessi e spese.

In altri termini, non vi è margine perché si faccia luogo ad un vero e proprio riparto. Del resto, l'art. 596 c.p.c. prevede che, qualora non si possa provvedere a norma dell'art. 510, comma 2, c.p.c., il giudice dell'esecuzione o il professionista delegato a norma dell'art. 591 bis c.p.c., non più tardi di trenta giorni dal versamento del prezzo, debba provvedere a formare un progetto di distribuzione contenente la graduazione dei creditori che vi partecipano.

Una situazione antitetica si delinea nel caso opposto in cui il credito asserito dal fondiario non sia stato ammesso al passivo (per negligenza del suo titolare o perché la relativa istanza per qualche ragione sia stata respinta): l'intero ricavato della vendita sarà attribuito agli organi della procedura. Il rinvio alle norme sull'esecuzione singolare è, ovviamente, filtrato da una clausola di compatibilità In tal senso, la distribuzione non è governata dagli artt. 541 ss. c.p.c. (nell'esecuzione mobiliare) e 596 ss. c.p.c. cod. proc. civ. (nell'esecuzione immobiliare), atteso che ciò comporterebbe l'attribuzione del ricavato a creditori non ammessi al passivo del fallimento e il soddisfacimento dei soli creditori concorrenti, in violazione del principio della par condicio creditorum, con compromissione delle regole del concorso formale e sostanziale, che connotano la disciplina del fallimento. Da ciò consegue che, nelle esecuzioni individuali in cui il fondiario non sia in condizione di esibire il credito, documentandone il titolo, l'intero ricavato sarà devoluto, al lordo delle spese sostenute nel processo, al curatore, affinché al riparto possa provvedere in sede fallimentare il giudice delegato.

La liquidazione degli ausiliari del giudice dell'esecuzione

La pronuncia chiarisce icasticamente che il giudice dell'esecuzione, nonostante il fallimento dichiarato, conserva il potere di liquidare i propri ausiliari, benché la distribuzione del ricavato debba avvenire secondo le peculiari prima passate in rassegna.

In realtà, sorge qualche dubbio sul fatto che gli importi liquidati ad appannaggio degli ausiliari dell'esecuzione singolare possano essere, non solo liquidati, ma, altresì, trattenuti dal ricavato in sede esecutiva individuale, con un'assegnazione al fondiario del ricavato della vendita al netto di tali importi.

Ciò in quanto la sentenza, per un verso, tiene pragmaticamente in piedi il sistema puntando sulla essenzialità della salvaguardia del concorso e delle graduzioni espresse in sede fallimento, per altro (poco compatibile) verso, sembra aprire un varco imprevisto, che finisce per agevolare la soddisfazioni di taluni creditori al di fuori delle regole del concorso.

Se si guarda al sistema, non è facile rinvenire una giustificazione normativa che, rebus sic stantibus, possa esonerare gli ausiliari dell'esecuzione individuale dalla partecipazione al riparto fallimentare, alla medesima stregua degli altri creditori della massa.

Del resto, l'applicabilità delle norme sull'esecuzione singolare è filtrato – salvo la deroga eccezionalmente tracciata dal legislatore per il fondiario – da una clausola di compatibilità con il concorso fallimentare, in guisa che la distribuzione non può essere governata dagli artt. 541 ss. c.p.c. (nell'esecuzione mobiliare) e 596 ss. c.p.c. cod. proc. civ. (nell'esecuzione immobiliare), atteso che ciò comporterebbe l'attribuzione del ricavato a creditori non ammessi al passivo del fallimento e/o il soddisfacimento prioritario di taluni di essi, in violazione del principio della par condicio creditorum (o di quel che ne rimane).

Appare evidente la compromissione delle regole del concorso formale e sostanziale, che informano la disciplina del fallimento e, se tanto è vero, ne consegue che, nelle esecuzioni individuali, l'intero ricavato debba essere devoluto, al lordo delle spese sostenute nel processo e di quanto attribuibile al fondiario, al curatore, di modo che al riparto possa provvedere in sede fallimentare l'organo concorsuale a ciò deputato.

In buona sostanza, nel caso del fondiario che persista nell'esecuzione intrapresa o ne avvii addirittura una nuova, in costanza di fallimento, a svolgersi secondo le norme codicistiche è la sola fase liquidatoria, giammai quella satisfattiva, che, per converso – al netto dell'attribuzione provvisoria al fondiario – si compendia nel versamento al curatore del prodotto monetario dell'alienazione forzosa.

Del resto, le spese anticipate che sorreggono il corso del processo d'esecuzione proseguito dal fondiario sono assistite, in sede fallimentare, dal beneficio della prededuzione ex artt. 2755 e 2770 c.c., militando in tal senso l'evidente circostanza per la quale dette spese appaiono effettuate nell'interesse della massa dei creditori, che si agevola, tanto del pignoramento e dei suoi effetti sostanziali (artt. 2113 e ss. c.c.), quanto degli atti esecutivi successivamente posti in essere. Senza trascurare che l'art. 111, comma 2, l. fall. considera prededucibili i crediti sorti “in occasione o in funzione delle procedure concorsuali” sicché, nella misura in cui il ceto creditorio si giova degli atti compiuti dal creditore pignorante, le relative spese devono stimarsi sostenute in funzione della proficua liquidazione fallimentare.

Nondimeno, gli esborsi “funzionali” anticipati dal creditore procedente non vanno prededotti dal ricavato della vendita, da riversare, di contro, interamente al curatore. Ciò in quanto la qualità del credito ex art. 2770 c.c. non può che essere sottoposta, al pari di esso, alla verifica del passivo e riconosciuta, se del caso, nel concorso tra tutti i creditori, dal giudice delegato.

In tal senso, si è indotti a ritenere che la regola in forza della quale le spese devono essere liquidate dal giudice davanti al quale si è svolto il processo sia soppiantata dalla lex specialis che riserva al giudice delegato l'accertamento del passivo (Cirulli, Espropriazione singolare e fallimento del debitore, Dir. Fall., 2016, 6, 1481), nel contraddittorio fra tutti i titolari delle pretese. Questi ultimi, in caso contrario, per contestare la qualità prededuttiva del credito, sarebbero costretti ad un intervento economicamente “in perdita” nel giudizio di esecuzione forzata. Di tale intervento, finalizzato a contestare la liquidazione del giudice dell'esecuzione, essi non recupererebbero gli esborsi necessari.

Ammissione sub iudice e direzione del processo

Ancorché solamente con l'esecutività del piano di riparto si dirima ogni incertezza nel rapporto tra credito fondiario e fallimento, s'è visto come l'attribuzione provvisoria presupponga essenzialmente l'ammissione al passivo.

Qualora la relativa istanza non sia ancora stata definita dal giudice delegato al fallimento, quello dell'esecuzione sarà tenuto a far uso dei propri poteri di direzione del processo esecutivo “onde garantire che la distribuzione del ricavato dalla vendita avvenga in modo corretto, all'esito dei necessari accertamenti da parte degli organi competenti in ordine alla determinazione dei relativi crediti”. Il fondamento normativo di tale potere è efficacemente individuato, dalla Corte Suprema, nell'art. 487 c.p.c..

Il giudice dell'esecuzione dirigerà il processo in modo da favorire l'esito ordinatodelle due procedure, adoperando ogni accorgimento utile a permettere che quanto conseguito dal fondiario in via provvisoria corrisponda per ammontare e grado a quanto accertato in sede concorsuale.

Certamente una criticità non irrilevante si invera nel fatto che il fallimento ben può essere dichiarato quando il corso dell'esecuzione individuale è assai inoltrato. Il coordinamento che il giudice dell'esecuzione forzata dovrà assicurare indubbiamente sarà suscettibile di innescare un freno allo svolgimento del processo, con riverberi piuttosto deleteri sul fronte della ragionevole durata e delle conseguenti azioni ex legge Pinto.

Conclusioni

La funzionalità della pronuncia in rassegna sta nel ritenere che alla natura provvisoria dell'assegnazione si associ l'attributo della sua necessaria corrispondenza alla distribuzione suscettibile di realizzarsi in sede concorsuale. In tal guisa, perché l'assegnazione sia munita di senso compiuto, non può non tener conto degli accertamenti effettuati in tale sede, i quali indefettibilmente devono, non solo corroborarla, ma anche indirizzarla.

Con qualche perplessità sul riconoscimento al giudice dell'esecuzione del potere di liquidare i propri ausiliari, soddisfacendoli di fatto al di fuori del concorso, la sentenza si mostra condivisibile sul piano sistemico, riportando la sede concorsuale ad essere il luogo naturale delle attribuzioni patrimoniali correlate alla liquidazione del patrimonio del fallito. Quel che viene in rilievo, non è soltanto la conseguente impellenza di tracciare un recinto ben marcato entro cui il diritto del fondiario possa trovare appropriata soddisfazione, ma anche quella di immaginare, in assenza di norme esplicite che la descrivano, una cinghia di trasmissione fra la graduazione operata dal giudice fallimentare e i versamenti di somme che, in parallelo, quello dell'esecuzione individuale possa autorizzare in favore del fondiario.

Proprio sotto questo aspetto, a farsi largo nella prospettiva rigorosa, eppur pragmatica della Corte, è il tentativo di conferire al sistema un equilibrio realistico, entro il quale non può che affievolirsi fortemente il rischio che il creditore fondiario conquisti, benché in via provvisoria, più di quanto concretamente gli tocchi, gravando di rimbalzo la curatela dell'onere di condurre azioni di recupero del surplus indebitamente trattenuto.

È in tal senso che nella sentenza opportunamente alligna un elemento di sistema: quello per cui l'attribuzione transitoria disposta dal giudice dell'esecuzione non può che riflettere quel che già appaia sancito in sede fallimentare, tanto in via definitiva, che, se del caso, in via provvisoria, di talché sia sterilizzato, o comunque diluito, il pericolo che la curatela fallimentare debba sforzarsi in recuperi postumi di somme.

La narrata esigenza, d'altronde, è in linea con un canone doveroso di economia processuale ex art. 111 Cost., che risparmia al fallimento dispendi di energie processuali e finanziarie.

L'obiettivo pratico è raggiunto, in quanto la previsione di un privilegio d'indole meramente processuale non può dare la stura all'opportunità della soddisfazione solitaria, profilando, piuttosto, quella ben più circoscritta, che consente al fondiario di giungere alla somma di propria spettanza attraverso la corsia preferenziale (e rassicurante) di un processo individuale già intrapreso e che vive sul suo impulso, anziché sulla “regia” esterna del curatore.

Ciò presuppone, nondimeno, che il fondiario prosegua nel senso di marcia tracciato dal concorso fallimentare, senza immaginarsi di percorrere una via segregata ed autonoma, che trascuri il parallelo incedere, sulla carreggiata del concorso fallimentare, di altri crediti già accertati e di rango poziore, che come tali vanno indefettibilmente trattati e tendenzialmente colmati.

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