Rappresentante fiscale e triangolazioni IVA

19 Ottobre 2018

La triangolazione nazionale è quella fattispecie in cui il primo acquirente è residente nello stesso Stato membro del cedente ed effettua l'acquisto nello Stato, con il vincolo del successivo trasferimento ad altro soggetto passivo, indicato, ab origine, quale cessionario finale, residente in un diverso Stato membro, nel territorio del quale il bene viene direttamente spedito o trasportato.
Massima

La triangolazione nazionale è quella fattispecie in cui il primo acquirente è residente nello stesso Stato membro del cedente ed effettua l'acquisto nello Stato, con il vincolo del successivo trasferimento ad altro soggetto passivo, indicato, ab origine, quale cessionario finale, residente in un diverso Stato membro, nel territorio del quale il bene viene direttamente spedito o trasportato. Fin dalla sua origine l'operazione deve essere quindi voluta come cessione nazionale, in vista di trasporto a cessionario residente all'estero.

Il caso

L'Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, che, in parziale accoglimento dell'appello proposto dalla società contribuente e in reiezione di quello incidentale proposto dalla medesima Agenzia, aveva dichiarato parzialmente illegittimi, limitatamente ad alcune delle riprese fiscali effettuate, due avvisi di accertamento con cui erano state contestate, relativamente all'anno 2002, violazioni in materia di Iva e, relativamente all'anno 2003, anche in materia di Irpeg e Irap.

Il giudice di primo grado aveva confermato i rilievi dell'Ufficio quanto all'Iva e annullato l'avviso di accertamento quanto alle ulteriori imposte, limitatamente ai rilievi concernenti l'indeducibilità di ammortamenti relativi a terreni industriali, la plusvalenza non contabilizzata derivante dalla cessione gratuita di un bene strumentale, sopravvenienze indeducibili, erogazioni liberali a favore di università e rimborsi chilometrici indeducibili.

La Commissione Tributaria Provinciale aveva, inoltre, ritenuto non dovute le sanzioni relative all'omessa applicazione dell'Iva sulle operazioni in triangolazione.

La Commissione Tributaria Regionale aveva, poi, escluso anche la fondatezza dei rilievi aventi ad oggetto l'omessa applicazione dell'Iva alle cessioni di automobili effettuati in favore di casa automobilistica estera, l'indeducibilità di costi sostenuti per prestazioni di revisione contabile e di attività notarile e sopravvenienze passive, omessa applicazione dell'Iva a servizi di consulenza tecnica resi in favore di società estera, e indebita detrazione dell'Iva relativa ai costi sostenuti per servizi usufruiti dai dipendenti.

Nel proporre ricorso per cassazione, l'Agenzia delle Entrate, per quanto di interesse, denunciava la violazione o falsa applicazione degli artt. 1 e 8, comma 1, lett. a), d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e 58, D.l. 30 agosto 1993, n. 331, conv., con modif., nella L. 29 ottobre 1993, n. 427, per aver la sentenza impugnata ritenuto non imponibili le operazioni di cessione di veicoli effettuate in favore della società automobilistica estera.

In particolare, l'Amministrazione finanziaria censurava la sentenza per aver il giudice di appello ritenuto non imponibili tali operazioni, benché la merce compravenduta non fosse stata trasportata presso il cessionario non residente, ovvero spedita a questi a nome o cura del primo cedente nazionale.

Secondo l'Agenzia delle Entrate, invece, visto che una società nazionale rivestiva il ruolo di rappresentante fiscale in Italia della società automobilistica estera, le operazioni di cessione dovevano considerarsi intervenute tra soggetti fiscalmente residenti, con la conseguenza che la loro non imponibilità poteva essere riconosciuta solo alla condizione - non ricorrente nel caso di specie - che si inserissero nell'ambito di una cd. triangolazione nazionale.

Secondo l'Amministrazione non ci si trovata, infatti, in presenza di una siffatta operazione, in quanto i soggetti che vi intervenivano erano quattro:

  • la società contribuente quale primo cedente;
  • il cessionario (nazionale) del primo cedente;
  • il cessionario comunitario (francese);
  • il cessionario finale estero, soggetto passivo in altro Stato comunitario.

Pertanto, secondo la tesi dell'Agenzia, la Commissione Tributaria Regionale aveva errato nel ritenere applicabile l'art. 58, D.l. n. 331/1993, anche ad operazioni di triangolazione comunitaria intervenute tra soggetti appartenenti a tre Stati diversi, includendo nella triangolazione anche una cessione interna imponibile.

Il ricorso, secondo la Suprema Corte, era infondato.

La questione

Secondo i giudici di legittimità, la tesi dell'Agenzia ricorrente non trovava riscontro nella ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito, il quale aveva espressamente escluso la presenza, nella catena degli acquisti, di altra società italiana, la quale aveva agito quale mero vettore dei beni compravenduti.

La CTR aveva poi accertato che l'operazione era preordinata al trasporto dei beni in altro Stato membro (la Francia), essendo destinati, infine, al cessionario finale, soggetto passivo in altro Stato comunitario ed essendo quindi rispetti i canoni della triangolazione.

Così inquadrata la vicenda, appariva allora corretta la qualificazione della stessa quale operazione triangolare nazionale, in ragione dell'intervento di due soggetti entrambi identificati ai fini Iva in Italia (la contribuente e la società francese, per il tramite del suo rappresentante fiscale in Italia) e il trasporto dei beni in altro Stato membro.

Infatti, evidenzia la Suprema Corte, l'art. 58, d.l. n. 331/1993, dispone che non sono imponibili le cessioni di beni, anche tramite commissionari, effettuate nei confronti di cessionari o commissionari di questi, se i beni sono trasportati o spediti in altro Stato membro a cura o a nome del cedente, anche per incarico dei propri cessionari o commissionari di questi, laddove tale disposizione si applica anche se i beni sono stati sottoposti per conto del cessionario, ad opera del cedente stesso o di terzi, a lavorazione, trasformazione, montaggio, assiemaggio o adattamento ad altri beni.

Tale fattispecie si caratterizza, in sostanza, per l'intervento di tre distinti operatori economici e per il fatto che la merce oggetto della cessione, e che deve essere spedita o trasportata dal territorio dello Stato membro di partenza in quello dello Stato membro del cessionario, non è utilizzata direttamente dall'acquirente, ma è, fin dall'origine, vincolata alla consegna ad un terzo soggetto passivo, che la immette al consumo o la destina agli impieghi della propria attività economica nello Stato membro di destinazione della merce, per cui la cessione viene effettuata non al destinatario finale della merce, ma ad un soggetto passivo, realmente interposto, che effettua l'acquisto esclusivamente in funzione della successiva esportazione, ovvero della operazione intracomunitaria, in quanto a ciò giuridicamente vincolato dall'accordo stipulato con il cedente (cfr. Cass. 17 febbraio 2016, n. 3099).

Le soluzioni giuridiche

L'art. 58, comma 1, cit., prende in considerazione la peculiare fattispecie della triangolazione in cui il «primo acquirente» è residente nello stesso Stato membro del cedente ed effettua l'acquisto nello Stato, con il vincolo del successivo trasferimento ad altro soggetto passivo, indicato «ab origine» quale cessionario finale, residente in un diverso Stato membro, nel territorio del quale il bene viene direttamente spedito o trasportato.

La finalizzazione della cessione nazionale al trasporto a cessionario residente all'estero, secondo la Suprema Corte, deve quindi guidare l'interpretazione dell'espressione letterale «a cura» del cedente, contenuta nel predetto art. 58, comma 1, nel senso che l'operazione, fin dalla sua origine e nella sua rappresentazione documentale, deve essere voluta, nella comune volontà degli originari contraenti, come cessione nazionale in vista di trasporto a cessionario residente all'estero e non anche che la spedizione o il trasporto devono avvenire in esecuzione di un contratto concluso direttamente dal cedente o in rappresentanza di quest'ultimo (cfr., sul tema, Cass. 23 febbraio 2018, n. 4408; Cass. 24 giugno 2011, n. 13951).

Osservazioni

In termini generali, laddove dall'esame delle cessioni comunitarie non emerga la prova del trasporto o comunque della consegna della merce al cliente comunitario formalmente destinatario della merce, l'Ufficio, potrà comunque procedere alla contestazione della omessa Iva.

Compete infatti al contribuente l'onere di dimostrare, nei confronti dei rilievi mossi dall'Amministrazione Finanziaria, l'effettività dei rapporti commerciali intracomunitari.

E la società verificata deve essere in grado di esibire documenti comprovanti il trasferimento fisico della merce fuori dal territorio nazionale, come ad esempio le lettere di vettura internazionale (CMR) controfirmate dalla ditta acquirente.

Resta effettivamente la considerazione che la prova della quale si ravvisa la mancanza può in certi casi essere una vera e propria probatio diabolica, laddove il cedente deve verificare la destinazione della merce, una volta che questa è stata ceduta.

Tale prova, però, a ben vedere, non così complessa, visto che, nella pratica commerciale, la prova del trasferimento dei beni può essere agevolmente fornita con una serie di mezzi.

Così accade, per esempio, con il documento di trasporto internazionale "CMR", firmato sia dal trasportatore, per presa in carico della merce, sia dal destinatario, per ricevuta (la cui copia può essere richiesta al cliente comunitario con attestazione della ricevuta della merce).

Ed ancora, nel caso non si riesca ad avere copia del CMR firmato dal destinatario, può provvedersi all'invio di un fax al cliente estero, richiedendo allo stesso di confermare, stesso mezzo (anche semplicemente con firma in calce al fax ricevuto), la ricezione della merce, con riferimento alla specifica fattura.

In ogni caso, come evidenziato dalla Suprema Corte (si veda, per tutte: Cass. Sez. V, n. 3603/2009), l'onere di provare l'esistenza dello scambio intracomunitario è, in tali casi, sicuramente a carico del contribuente, anche in ragione del principio generale secondo il quale l'onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto, che legittimano la deroga al normale regime impositivo, è sempre a carico di chi detta deroga invochi.

Sicché, in presenza della disciplina che prevede in via ordinaria l'assoggettamento ad IVA delle cessioni, incombe sul soggetto che intenda fruire del regime di non imponibilità, la dimostrazione dell'esistenza dei requisiti essenziali per la configurazione dell'invocata fattispecie non imponibile.

Sul tema anche la Corte di Giustizia comunitaria ha peraltro, più volte espresso il principio generale secondo il quale l'onere della prova che i beni siano stati transitati in altro Stato membro ricade sul fornitore.

La Corte di Giustizia ha infatti in particolare affermato che "l'esenzione della cessione intracomunitaria diventa applicabile solo quando il potere di disporre del bene come proprietario è stato trasmesso all'acquirente e quando il fornitore prova che tale bene è stato spedito o trasportato in altro Stato membro e che, in seguito a tale spedizione e trasporto, esso ha lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione" (cfr: sentenza del 27.09.2007, C-409/04, punto 42; nello stesso senso: sentenza del 27.09.2007, C-184/05, punto 23).

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