La Corte costituzionale prosegue l'opera di smantellamento delle preclusioni “rigide” all'accesso ai benefici penitenziari
22 Ottobre 2018
Massima
Il beneficio penitenziario dell'assistenza esterna ai figli minori con età inferiore ai 10 anni, stabilito dall'art. 21-bis della legge 354/1975 (ordinamento penitenziario), non può prevedere preclusioni assolute e rigide per le madri detenute per i gravi reati previsti dall'art. 4-bis, commi 1, 1-ter, 1-quater, ord. pen., poiché la norma censurata si pone in contrasto con l'art.31, comma 2, Cost., non essendo concesso al giudice di bilanciare in concreto le esigenze di difesa sociale con il migliore interesse del minore, che essa intende invece tutelare. Il caso
Le questioni di legittimità costituzionale sono state sollevate dal magistrato di sorveglianza di Lecce e Brindisi chiamato a decidere il reclamo presentato, ex art. 35-bis della l. 354/1975, da una donna, madre di tre figli minori (tutti di età inferiore ai sei anni), condannata in via definitiva alla pena di quattro anni e dieci mesi di reclusione per i delitti di cui agli artt. 73 e 74 del testo unico degli stupefacenti. La condannata aveva chiesto all'amministrazione penitenziaria di essere ammessa all'assistenza all'esterno dei figli minori ai sensi dell'art. 21-bis della l. 354/1975 ma tale istanza è stata rigettata in quanto la donna non aveva ancora espiato un terzo della pena, come invece richiesto dall'art. 21, comma 1, ord. pen. a cui rinvia la disposizione da ultimo citata, per i detenuti condannati per uno dei reati elencati all'art. 4-bis, commi 1, 1-ter e 1-quater, della l. 354/1975. L'eventuale illegittimità costituzionale dell'art. 21-bisord. pen., nel caso di specie è stata ritenuta rilevante ai fini della decisione di merito, in quanto la condannata comunque non poteva ancora accedere al beneficio della detenzione domiciliare speciale ex art. 47-quinquies, ord. pen. (altro istituto previsto in favore delle condannante, madri di prole di età non superiore ad anni dieci, inciso di recente dalla sentenza della Corte cost. 76/2017), attesa l'esiguità della pena espiata, che non consentiva di preparare un progetto adeguato per l'avvio della fruizione del beneficio. La questione
Il giudice rimettente ha rilevato nella norma censurata l'esistenza di un «automatismo di preclusione assoluta» all'accesso al beneficio prima che sia stato espiato un congruo periodo di pena, ritenendo, perciò, che essa si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 29, 30 e 31 Cost. e, in particolare, con il diritto del minore a mantenere un rapporto con la madre all'esterno del carcere (diritto, peraltro, già riconosciuto dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007). In particolare, l'art. 21-bis della l. 354/1975 sarebbe in contrasto con il principio secondo cui il «superiore e preminente» interesse del minore può essere «limitato», in occasione di decisioni assunte «da autorità pubbliche o istituzioni private», solo a seguito di un bilanciamento con interessi contrapposti (come quelli di difesa sociale sottesi all'esecuzione della pena), da valutare di volta in volta. Le soluzioni giuridiche
In primo luogo va ricordato che l'art. 21-bis della l. 354/1975 è stato introdotto dall'art. 5 della legge 8 marzo 2001, n. 40 (Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori), al fine di ampliare le possibilità, per la madre detenuta che non abbia ottenuto la detenzione domiciliare ordinaria o la detenzione domiciliare speciale, di provvedere alla cura dei figli, in un ambiente non carcerario, per un periodo di tempo predeterminato nel corso della giornata. Il suddetto beneficio può essere però concesso solo alle condizioni previste dall'art. 21 della stessa legge (che disciplina l'assegnazione al lavoro esterno), come espressamente dispone il primo comma dell'art. 21-bis ord. pen., e quindi subordinando l'ammissione all'espiazione di una frazione di pena, salvo che venga accertata una qualche forma di collaborazione attiva con la giustizia. Le sollevate questioni sulla norma in tema di accesso all'assistenza all'esterno ai figli in tenera età hanno posto all'attenzione della Consulta il seguente quesito: se sia costituzionalmente corretto che i requisiti previsti per ottenere un beneficio prevalentemente finalizzato a favorire, al di fuori della restrizione carceraria, il rapporto tra madre e figli in tenera età siano identici a quelli prescritti per l'accesso al diverso beneficio del lavoro all'esterno, il quale è esclusivamente preordinato al reinserimento sociale del condannato, senza immediate ricadute su soggetti diversi da quest'ultimo. La sentenza in commento affronta le questione di legittimità costituzionali di cui sopra richiamando in primo luogo i principi espressi da alcune precedenti proprie decisioni, in particolare le sentenze Corte cost. n. 239/2014 e n. 76/2017 che hanno affrontato il tema delle preclusioni rigide all'accesso ai benefici penitenziari (riferite ad altri istituti dell'ordinamento penitenziario), procedendo al loro progressivo smantellamento con dichiarazioni di illegittimità costituzionale. Ad esempio la sentenza della Corte costituzionale n. 239/2014 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3, 29, 30 e 31 Cost., l'art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 nella parte in cui non escludeva dal divieto di concessione dei benefici penitenziari, da esso stabilito, la misura della detenzione domiciliare speciale prevista dall'art. 47-quinquies della medesima legge a favore delle condannate madri di prole di età non superiore a dieci anni. A tal fine è stato osservato che nella misura della detenzione domiciliare speciale, infatti – pur essendo presente una finalità di reinserimento sociale del condannato, costituente l'obiettivo comune di tutte le misure alternative alla detenzione – assume un rilievo del tutto prioritario l'interesse di un soggetto debole, distinto dal condannato e particolarmente meritevole di protezione, quale quello del minore in tenera età a instaurare un rapporto quanto più possibile "normale" con la madre (o, eventualmente, con il padre) in una fase nevralgica del suo sviluppo. Assoggettando anche la detenzione domiciliare speciale al regime "di rigore" sancito dall'art. 4-bis, comma 1, della legge 354/1975 che subordina la concessione dei benefici penitenziari solo ove vi sia collaborazione con la giustizia a norma dell'art. 58-ter della medesima legge, il Legislatore aveva accomunato fattispecie tra loro profondamente diversificate. Tale omologazione di trattamento è stata ritenuta dalla Consulta senz'altro lesiva dei parametri costituzionali evocati alla luce della ratio storica primaria del regime in questione, rappresentata dalla incentivazione alla collaborazione, quale strategia di contrasto della criminalità organizzata. Con la successiva sentenza n. 76/2017 la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo – per violazione dell'art. 31, comma 2, Cost. – l'art. 47-quinquies, comma 1-bis, della l. 354/1975 (che disciplina la detenzione domiciliare speciale sempre per le madri con prole di età non superiore ad anni 10), limitatamente alle parole Salvo che nei confronti delle madri condannate per taluno dei delitti indicati nell'articolo 4-bis. La disposizione censurata – che, nel significato reso palese dalla sua formulazione letterale, impediva in assoluto alle predette condannate, anche laddove si fosse verificata la condizione della collaborazione con la giustizia, di espiare la frazione iniziale di pena detentiva secondo le modalità agevolate ivi previste (presso un istituto a custodia attenuata, o, ricorrendone le condizioni, nel domicilio o presso luoghi di cura, assistenza o accoglienza) – introduceva un automatismo preclusivo dell'accesso a un beneficio penitenziario, come la detenzione domiciliare speciale, primariamente volto alla salvaguardia del rapporto della madre condannata con il minore in tenera età. La Corte costituzionale ha ritenuto che, lungi dal costituire bilanciamento di contrapposti interessi di rilievo costituzionale, tale preclusione assoluta – non consentendo al giudice di verificare la sussistenza in concreto, nelle singole situazioni, delle esigenze di difesa sociale sottese alla necessaria espiazione della pena detentiva da parte delle madri di minori infradecenni condannate per uno dei gravi reati inclusi nell'elenco (complesso, eterogeneo, stratificato e di diseguale gravità) dell'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario – pretermetteva e sacrificava totalmente l'interesse del minore a instaurare un rapporto quanto più possibile "normale" con la madre, nonché la stessa finalità di reinserimento sociale della condannata (non estranea alla detenzione domiciliare speciale, quale misura alternativa alla detenzione). È stato quindi ribadito che: «l'istituto della detenzione domiciliare speciale, pur partecipando della finalità di reinserimento sociale del condannato, è primariamente indirizzato a consentire l'instaurazione, tra madri detenute e figli in tenera età, di un rapporto quanto più possibile "normale". In tal senso, si tratta di un istituto in cui assume rilievo prioritario la tutela di un soggetto debole, distinto dal condannato e particolarmente meritevole di protezione, qual è il minore». Riprendendo queste considerazioni la decisione relativa al caso dell'accesso all'assistenza all'esterno dei figli minori era per certi versi obbligata. Infatti per le detenute per uno dei reati elencati all'art. 4-bis, comma 1, della l. 354/1975 l'accesso al beneficio di cui all'art. 21-bis della l. 354/1975 era subordinato, quale requisito imprescindibile, all'effettiva collaborazione con la giustizia, svolta secondo le indicazioni contenute nell'art. 58-ter ord. pen. Infatti, quand'anche la condannata avesse scontato una parte della pena, in assenza di siffatta collaborazione non avrebbe potuto accedere al beneficio, condizionando in via assoluta e presuntiva la tutela del rapporto tra madre e figlio in tenera età a un indice legale del "ravvedimento" della condannata. La sentenza n. 174/2017 afferma perciò che «[…] se pur sia possibile condizionare alla collaborazione con la giustizia l'accesso a un beneficio, laddove quest'ultimo abbia di mira in via esclusiva la risocializzazione dell'autore della condotta illecita, una tale possibilità non vi è quando al centro della tutela si trovi un interesse "esterno", e in particolare il peculiare interesse del figlio minore, garantito dall'art. 31, comma 2, Cost., adun rapporto quanto più possibile normale con la madre (o, in via subordinata, con il padre)». Si afferma perciò che «Qualunque sia la scelta della madre detenuta in punto di collaborazione con la giustizia, la disposizione censurata esibisce un contenuto normativo in contrasto con l'art. 31, comma 2, Cost.». In tal caso, la situazione della detenuta, madre di figli di età non superiore agli anni dieci, ricade nelle valutazioni già compiute dalla Corte cost. nella sentenza 239/2014, di cui si è fatto cenno sopra. In definitiva, secondo il giudice delle leggi i requisiti normativi previsti per l'accesso a un beneficio prevalentemente finalizzato a favorire, al di fuori della restrizione carceraria, il rapporto tra madre e figli in tenera età, non possono coincidere con quelli per l'accesso al diverso beneficio del lavoro all'esterno, il quale è esclusivamente preordinato al reinserimento sociale del condannato, senza immediate ricadute su soggetti diversi da quest'ultimo. Osservazioni
Come già detto la decisione della Corte costituzionale esaminata appare del tutto in linea con i precedenti della Consulta, e può essere ricompresa nell'ormai frequente fenomeno delle dichiarazioni di incostituzionalità degli automatismi legislativi (basta ricordare le numerose pronunce relative alle presunzioni presenti in tema di misure cautelari personali). L'eliminazione delle preclusioni rigide nei confronti di autori di gravi delitti, come quelli indicati dall'art. 4-bis ord. pen., non deve peraltro destare un particolare allarme sociale, in quanto la concessione del beneficio penitenziario resta pur sempre affidata al prudente apprezzamento del magistrato di sorveglianza, chiamato ad approvare il provvedimento disposto dall'amministrazione penitenziaria; in tale ambito l'autorità giudiziaria dovrà valutare l'esistenza del rischio concreto che la condannata ammessa all'assistenza all'esterno ai figli commetta altri reati, ad esempio perché non risulta aver interrotto il legame con il sodalizio criminoso nei reati associativi. Quanto alle preclusioni riguardanti la madre con prole al seguito, è stato osservato da autorevole dottrina che «[…] l'esecuzione carceraria è espiazione di una pena sproprorzionata e contraria al senso di umanità, che aggiunge alla sofferenza connessa allo status detentionis il disagio dovuto all'impossibilità di assolvere il compito di educatore in un ambiente che annulla l'autorevolezza della figura genitoriale e priva l'individuo dell'autonomia decisionale. D'altra parte, l'esclusione del genitore dal processo di formazione del minore può pregiudicare irrimediabilmente la crescita sana ed equilibrata del fanciullo, così come l'introduzione del figlio all'interno dell'istituto penitenziario, pur garantendo la vicinanza con la madre, determina l'ingiustificabile sacrificio di un soggetto innocente, recluso in un ambiente ostile e privo di stimoli». Anche sulla base di queste considerazioni la sentenza della Corte costituzionale n. 174/2018 appare del tutto condivisibile. Infine pare il caso di ricordare che proprio la materia delle misure alternative – e la disciplina dell'esecuzione penale in generale – sono state oggetto di recente interessamento. La legge 23 giugno 2017, n. 103 contiene la delega al governo per la riforma dell'ordinamento penitenziario, da esercitare entro un anno dalla sua entrata in vigore (poi esercitata solo in parte). Tra i criteri di delega più significativi si ricordano proprio quelli attinenti alla revisione dei presupposti di accesso alle misure alternative, all'eliminazione di preclusioni assolute e, più in generale, all'introduzione di norme a tutela della dignità umana del detenuto, in linea con le decisioni della Corte Costituzionale che sono state sopra segnalate e con la dottrina più accreditata. DELVECCHIO F., La detenzione domiciliare speciale fra rapporto genitoriale e istanze punitive statali, in Processo Penale e Giustizia, 2017, fasc.4, pagg.584 ss.; FARINELLI E., Verso il superamento delle presunzioni penitenziarie tra ragionevolezza in concreto e prevalenza dello “speciale interesse del minore”, in Processo Penale e Giustizia, 2017, fasc. 5, pagg. 866 ss.; MARRA G., Dubbi di costituzionalità sulla disciplina delle limitazioni alla concessione della detenzione domiciliare speciale, in ilPenalista del 17/09/2018; MENGHINI A., Cade anche la preclusione di cui al comma 1-bis dell'art. 47-quinquies ord. penit., in Diritto Penale e Processo, 2017, fasc. 8, pagg. 1047 ss.; PACE L. La scure della flessibilità colpisce un'altra ipotesi di automatismo legislativo. La Corte dichiara incostituzionale il divieto di concessione della detenzione domiciliare in favore delle detenute madri di cui all'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario”, in Giur. Cost., 2014, fasc. 5, pagg. 3948 ss.; TIBERIO M., La detenzione domiciliare speciale nella lettura della Corte costituzionale, in Archivio della Nuova Procedura Penale , 2017, fasc. 6, pagg. 593 ss.; TOGNAZZI S., La detenzione domiciliare della madre: bilanciamento tra tutela della collettività e tutela del minore, in Diritto Penale e Processo, 2018, fasc. 8, pagg. 1034 ss. |