Il sovraindebitamento e le prospettive di riforma

Niccolò Nisivoccia
24 Ottobre 2018

L'Autore si sofferma sulle novità riguardanti la disciplina del sovraindebitamento contenute nelle bozze di riforma circolate.
Premessa

La legge fallimentare potrebbe subire a breve una riforma radicale, ed è anzi molto verosimile che la subirà. La riforma riguarderebbe anche la disciplina del sovraindebitamento, vale a dire della gestione della crisi dei soggetti esclusi dal fallimento.

L'Autore si sofferma sulle novità riguardanti appunto tale disciplina del sovraindebitamento quali contenute nelle bozze di riforma circolate.

Il “Codice della crisi e dell'insolvenza”

Come il titolo di quel bellissimo libro di racconti di Raymond Carver, “Di cosa parliamo quando parliamo d'amore” (nella versione originale, “What we talk about when we talk about love”), anche noi per prima cosa potremmo – o meglio, dobbiamo – chiederci: di cosa parliamo quando parliamo della riforma della legge fallimentare?

Intanto dobbiamo essere precisi sulle fonti: i princìpi che avrebbero dovuto, o dovrebbero, ispirare la riforma erano contenuti in una legge che delegava il Governo a provvedervi, adottando “uno o più decreti legislativi per la riforma organica delle procedure concorsuali (…) e della disciplina sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento (…) nonché per la revisione del sistema dei privilegi e delle garanzie”; poi, in esecuzione di tale delega il Governo precedente a quello attualmente in carica aveva approntato la bozza di un decreto legislativo intitolato “Codice della crisi e dell'insolvenza”, che ora – dopo aver subìto alcune variazioni – è stato recentemente discusso nel Consiglio dei Ministri. Parlare della riforma del diritto fallimentare significa, allo stato, parlare di questa bozza, di questo “Codice”.

Fino a poco tempo fa la sorte di questo “Codice” era poco meno che un mistero: non sapevamo se il nuovo Governo intendesse darvi seguito né, nel caso in cui lo avesse voluto, se lo avrebbe fatto lasciandolo invariato o rimettendovi mano. Non sapevamo se una decisione fosse stata già presa, se vi si stesse pensando, se vi si stesse già rimettendo mano né, in questo caso, come. Appariva improbabile che, se mai la riforma fosse stata attuata, lo sarebbe stata secondo il testo precedente, anche solo per il fatto che qualunque riforma legislativa risente del tempo in cui è immersa e ne viene politicamente condizionata. Possiamo osare ancora di più: il diritto è figlio della politica, nel suo esprimere una visione del mondo, e questo vale anche in relazione al diritto fallimentare, nel suo esprimere una visione circa il modo in cui debba essere trattata la crisi d'impresa nell'economia di un Paese. E quel che è certo è che l'attuale governo è molto lontano, politicamente, dal precedente. Era allora lecito domandarsi anche se e come eventuali variazioni, da parte del governo attuale, alla bozza di decreto approntata dal governo precedente avrebbero potuto reggere al vaglio dei limiti imposti dalla legge delega, in esecuzione della quale quel decreto era stato appunto scritto. Sarebbe stato ragionevole immaginare addirittura la redazione di una nuova legge delega? Insomma, parlare della riforma fallimentare significava, fino a poco tempo fa, parlare come minimo di un'incognita: di una bozza che non sapevamo bene dove collocare né che fine avrebbe fatto (la situazione era assimilabile, pur su tutt'altro terreno, a quella concernente la riforma dell'ordinamento penitenziario, a sua volta rimasta inattuata nella scorsa legislatura). Ora le cose sono molto più certe, in un senso inaspettato se si vuole (se è vero quello che si diceva): non solo sembra ora sicuro che la riforma, in effetti, verrà approvata, ma il testo in procinto di essere discusso nel Consiglio dei Ministri, perdipiù, non sembra affatto stravolgere la versione precedente, pur apportandovi alcune variazioni.

Ciò detto, dobbiamo osservare che la disciplina relativa al sovraindebitamento – sulla quale qui concentriamo la nostra attenzione, e sulla quale il testo nella versione attuale è praticamente invariato rispetto alla versione precedente – non avrebbe comunque avuto, né comunque avrebbe, moltissimo da perdere, tutto considerato, dalla mancata attuazione della riforma. Anzi, proprio questa è la prima osservazione da compiere, in via preliminare e generale: il “Codice” non prevede rivoluzioni rispetto alla disciplina contenuta nella legge del 2012, bensì si limita perlopiù a trascriverla, com'era d'altronde richiesto dalla legge delega. Sia chiaro: vi vengono introdotte delle novità, questo sì, alcune anche importanti o molto importanti; vengono risolte alcune oscurità della disciplina precedente, e vengono modificati i nomi di alcuni istituti (un po' come il fallimento dovrebbe assumere la nuova denominazione di “liquidazione giudiziale”). E tuttavia l'impianto, nei suoi elementi portanti, rimane il medesimo. Si noti: nell'affermare che la disciplina sul sovraindebitamento “non avrebbe avuto, né avrebbe, moltissimo da perdere dalla mancata attuazione della riforma” non si intende né sminuire la portata della riforma né esprimere un giudizio. Si tratta, al contrario, di una pura e semplice constatazione, per quanto approssimativa: la riforma, lo si ripete, lascerebbe invariata la disciplina sul sovraindebitamento nella sua struttura di base, aldilà dei singoli elementi di novità e comunque la si pensi al riguardo.

Semmai, l'elemento più importante di cui prendere atto consiste nel fatto che tale disciplina, uguale o diversa che sia, venga in ogni caso confermata, perché non sarebbe stato così sorpredente che il “Codice”, viceversa, la abrogasse: e questo per due motivi, che in realtà sono due lati di una stessa medaglia. Primo motivo: il cosiddetto fallimento del debitore civile non appartiene alla nostra tradizione, come appartiene invece alla tradizione di altri Paesi, quali ad esempio gli Stati Uniti, l'Inghilterra e la Germania. Il nostro ordinamento ne ha fatto a meno per secoli, prima della sua introduzione proprio attraverso la legge del 2012. Secondo motivo: la disciplina sul sovraindebitamento, in questi pochi anni successivi alla sua introduzione, ha ricevuto una scarsissima applicazione. Di più: forse, sono perfino pochissimi coloro che ne conoscono l'esistenza, al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori. Ma la medaglia è la stessa perché probabilmente una delle spiegazioni di tale scarsa applicazione della disciplina sul sovraindebitamento, dal 2012 ad oggi, risiede né più né meno che nella sua estraneità alla tradizione (senz'altro non può essere l'unica spiegazione, ma è una delle più verosimili). E sembra allora lecito credere che nessuno avrebbe gridato allo scandalo se il “Codice” avesse eliminato la disciplina sul sovraindebitamento dal novero delle procedure concorsuali, restituendo i debitori civili (così come, più in generale, tutti i soggetti esclusi dal fallimento) al destino che l'ordinamento aveva sempre riservato loro fino al 2012: quello dell'esecuzione individuale, con tutti i vantaggi e tutti gli svantaggi che l'esecuzione individuale comporta rispetto alla disciplina concorsuale, tanto dal punto di vista del debitore quanto dal punto di vista dei suoi creditori. Il “Codice”, in definitiva, nel confermare la disciplina sul sovraindebitamento dimostra di voler scommettere sulla possibilità della sua assimilazione culturale da parte del sistema.

Sempre in via preliminare, una seconda osservazione da compiere è la seguente: nell'importare dentro di sé la disciplina sul sovraindebitamento lasciandola sostanzialmente invariata, il “Codice” ha voluto confermare la scelta di fondo già compiuta dal legislatore del 2012, aldilà delle norme di dettaglio. Vale a dire: la scelta di dedicare al debitore civile una procedura concorsuale diversa da quella generale, anziché unificare le discipline (come successo ad esempio in Spagna, dove le iniziali discipine parallele erano state in un secondo momento amalgamate in una sola). Ed è anche questa una pura e semplice constatazione, salvo il fatto che qui alla pura constatazione potrebbe essere aggiunta una considerazione nel merito: e cioè che in verità una disciplina unitaria sarebbe forse più razionale sotto molti profili, a cominciare da una forma di economia normativa (in ossequio al principio del rasoio di Occam, secondo cui “entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem”).

Non solo. L'impressione che una disciplina unitaria sarebbe più razionale rispetto alla compresenza di diverse discipline parallele è ancora più forte alla luce del modo in cui il sovraindebitamento risulta disciplinato all'interno del “Codice”, dove le norme che lo riguardano non sono caratterizzate da una compattezza organica, bensì vengono disseminate lungo tutto il testo in una molteplicità di luoghi, con la conseguenza che spetta all'interprete il compito di dar loro una coesione, rintracciandole qua e là. In altre parole, sotto questo profilo la disciplina sul sovraindebitamento prevista nel “Codice” sembra peccare di irrazionalità in sé stessa, non nel merito ma per il modo in cui è stata concepita; e questo proprio per il fatto di non esservi stata inserita unitariamente, come del resto è stato sùbito autorevolmente notato (da Giovanni Lo Cascio), “cosicché dovrebbe essere individuata in tutta la sua articolazione nell'ambito dell'intero provvedimento, rendendolo privo di coordinamento ed organicità”.

Andiamo dunque in cerca delle novità, ora, o quantomeno delle novità più importanti, per passarle in rassegna.

Rassegna delle novità

Come nella disciplina contenuta nella legge del 2012, anche nel “Codice” le procedure destinate a regolare il sovraindebitamento sono tre, ma hanno nomi diversi da quelli previsti dalla legge del 2012: quella che la legge del 2012 chiama “accordo di composizione della crisi” è chiamata "concordato minore", il “piano del consumatore” viene trasformato in "ristrutturazione dei debiti del consumatore" e la “liquidazione” diventa "liquidazione controllata del sovraindebitamento". Ma le novità, come si è già detto, sono perlopiù solo nominali, perché, dietro i nomi diversi, a ciascuna di queste tre procedure continua in realtà a corrispondere, grossomodo, la disciplina che le regolava prima.

Più nominale che sostanziale è anche la novità consistente nella definizione del presupposto oggettivo delle procedure, il “sovraindebitamento”: se la legge del 2012 definisce lo stato di “sovraindebitamento” come “una situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente”, il “Codice” lo definisce come uno “stato di crisi o di insolvenza” tout court (art. 2). E tuttavia le nozioni di crisi e di insolvenza sono già implicite nell'attuale definizione di “sovraindebitamento”, se è vero che la legge del 2012 fa già riferimento tanto alla difficoltà di adempiere regolarmente le obbligazioni, nella quale consisterebbe la crisi, quanto alla “definitiva incapacità”, nella quale consisterebbe l'insolvenza. Vero è che la “crisi” troverebbe a sua volta, nel “Codice”, una definizione di cui ad oggi risulta priva nella legge fallimentare, considerato che la legge fallimentare si limita a fare riferimento alla “crisi” senza mai definirla, mentre il “Codice” la definisce espressamente (sempre nell'art. 2) come uno “stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l'insolvenza e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”. Ma il discorso non cambia: sono nuove le definizioni, non sono nuovi i concetti. Il “Codice”, piuttosto, li esplicita.

Più importante è la novità riguardante il presupposto soggettivo. In primo luogo, va sottolineato che anche in relazione a tale presupposto il “Codice” è più esplicito di quanto non sia la legge del 2012, nel senso che la legge del 2012 prevede la propria applicabilità, genericamente, a tutte le “situazioni di sovraindebitamento non soggette né assoggettabili” ad altre procedure concorsuali, mentre il “Codice”, nell'art. 2, la prevede più dettagliatamente a favore “del consumatore”, “del professionista” e “dell'imprenditore minore” (vale a dire dell'imprenditore al disotto delle soglie di fallibilità, come chiarito di nuovo dallo stesso art. 2), salvo conservare il riferimento a “ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale” quale formula di chiusura. Ma la novità importante è un'altra, e consiste nell'estensione della disciplina sul sovraindebitamento ai soci illimitatamente responsabili, nei limiti dei debiti estranei a quelli sociali (secondo il combinato disposto degli articoli 2 e 65). Questa non è una novità solo nominale, una pura esplicitazione di un concetto già acquisito, ma è una novità sostanziale. Di più: sarebbe lo scioglimento di un nodo, perché tuttora è molto controversa la legittimità dell'estensione. I contrari all'estensione osservano che la disciplina sul sovraindebitamento dovrebbe rimanere riservata ai soggetti esclusi dalle altre procedure concorsuali, e tali non sono i soci illimitatamente responsabili, i quali possono fallire per estensione ai sensi dell'art. 147 l. fall.; i favorevoli obiettano che l'applicazione della disciplina sul sovraindebitamento dovrebbe essere favorita anziché ostacolata, nell'ottica di agevolare il ricorso da parte del debitore a strumenti che gli consentano l'esdebitazione. E quest'ultima evidentemente è l'ottica del legislatore, confermata ad esempio anche dal fatto che l'esdebitazione, a sua volta, viene estesa dalle persone fisiche, alle quali la legge del 2012 la circoscrive, alle persone giuridiche (art. 278). Quel che è certo, comunque, è che, quand'anche mai la riforma dovesse rimanere inattuata, la circostanza che, quantomeno in bozza, il “Codice” preveda senza mezzi termini l'estensione del sovraindebitamento al socio illimitatamente responsabile potrebbe fornire un argomento ulteriore a coloro che già sostengono questa tesi.

Una seconda importante novità è rappresentata dalla possibilità, concessa ai “membri di una stessa famiglia”, di presentare “un unico progetto di risoluzione della crisi da sovraindebitamento”, e cioè di invocare l'applicazione di un'unica procedura, quale che sia (art. 66). La qual cosa non può non evocare, seppur fatte le debite proporzioni, la novità consistente nel fallimento (o meglio, nella liquidazione giudiziale) e nel concordato di gruppo, previsti altrove nello stesso “Codice”. In un caso e nell'altro si tratta pur sempre, mutatis mutandis, di consentire l'applicazione di un'unica procedura a fronte di situazioni di crisi riferibili a soggetti diversi: persone fisiche, nel caso della famiglia; persone giuridiche nel caso del gruppo. E la logica comune alle due ipotesi è dimostrata dal fatto che, tanto in relazione al gruppo familiare quanto in relazione al gruppo di imprese, il “Codice” si premura di precisare che le masse attive e passive devono comunque rimanere distinte (com'è già previsto nelle leggi sull'amministrazione straordinaria, che per prime avevano introdotto la disciplina unitaria dell'insolvenza di gruppo all'interno del nostro ordinamento).

Un terzo ordine di importanti novità concerne la procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore. Sotto un primo profilo viene espressamente prevista la possibilità della “sistemazione dei debiti derivanti da contratti di finanziamento” (dai quali gran parte delle crisi familiari, e personali in generale, dipende) “con cessione del quinto dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione” (art. 67, comma 3). Sotto un altro profilo, viene però escluso il ricorso alla procedura se il debitore “è già stato esdebitato nei cinque anni precedenti la domanda, ha già beneficiato dell'esdebitazione per due volte, ovvero ha determinato la situazione di sovraindebitamento con grave colpa, frode o malafede”, il che aprirà il campo a valutazioni discrezionali rimesse, aldilà della formazione di una casistica giurisprudenziale che nel tempo farà da orientamento, alla sensibilità di volta in volta del singolo giudicante, in relazione alle mille variabili delle fattispecie, a maggior ragione tenuto conto del fatto che una crisi personale implica valutazioni anche umane e psicologiche, oltre che tecniche (art. 69). Infine, sotto un terzo profilo viene previsto che alla revoca dell'omologazione faccia seguito la sua conversione in liquidazione, su richiesta del debitore, oppure anche su richiesta dei creditori o del pubblico ministero nell'ipotesi in cui la revoca “consegue ad atti di frode o ad inadempimento” (art. 73).

Altre importanti novità, almeno tre, riguardano il concordato minore. La prima: il concordato minore dovrebbe rimanere riservato solo ai debitori diversi dai consumatori (art. 74, comma 1). La seconda: potrebbero accedervi solo i debitori i quali intendano proporre un concordato che consenta la prosecuzione della loro attività, imprenditoriale o professionale che sia, a meno che la proposta contempli “l'apporto di apprezzabili risorse esterne”, nel qual caso – sembra di capire – il concordato potrebbe anche escludere la prosecuzione dell'attività (art. 74, comma 2). La terza: la maggioranza necessaria ai fini del raggiungimento dell'accordo viene ridotta alla maggioranza dei crediti, dal sessanta per cento attuale (art. 79, primo comma). E questa riduzione, unita alla conferma della regola secondo cui il silenzio equivale a consenso (art. 79, comma 3), dice molto dell'intenzione del “Codice”, anche sotto questo profilo, di favorire il più possibile la soluzione concordata delle crisi personali, non meno delle crisi d'impresa.

Infine, anche la liquidazione controllata viene toccata da alcune importanti novità, la più eclatante delle quali è quella consistente nell'attribuzione anche a terzi, oltre che al debitore, della legittimazione a proporre istanza di accesso alla procedura: anche ai creditori, quando siano già pendenti procedure esecutive individuali; anche al pubblico ministero, quando l'insolvenza riguardi un imprenditore (art. 268). Anche sotto questo ulteriore profilo può essere notata una forma di equiparazione fra il trattamento della crisi personale e quello della crisi d'impresa. Vale a dire: sotto il profilo del venir meno dell'esclusività a decidere delle proprie sorti e dei propri beni. Sul terreno della crisi d'impresa, il velo dell'indissolubilità fra impresa e imprenditore era stato già squarciato nel 2015, quando è stata introdotta nel concordato preventivo la possibilità della formulazione di proposte concorrenti da parte dei creditori; e tale velo risulta ulteriormente squarciato, nel “Codice”, dalla disciplina delle procedure d'allerta, che possono essere richieste a loro volta anche da soggetti terzi. Come a dire che sempre di più la direzione sembra quella di sottrarre all'imprenditore la proprietà esclusiva della sua impresa, quantomeno nel momento della crisi, per rimetterla nelle mani, oltre che sue, anche dei suoi creditori e dei soggetti chiamati a svolgere funzioni di sorveglianza. E la medesima direzione sembra riguardare ora anche il debitore civile, se è vero che anche nel suo caso, come si è detto, il “Codice” prevede che l'assoggettamento alla procedura possa dipendere da iniziative assunte da altri. Il fine ultimo, in tutti i casi, risiede nel tentativo di attutire il più possibile la propagazione degli effetti della crisi; la contropartita è la separazione fra il diritto di proprietà e la legittimazione a disporne in via esclusiva, che del diritto di proprietà dovrebbe essere un attributo fondamentale (anche se, va riconosciuto, la procedura di liquidazione controllata è assimilabile al fallimento piuttosto che al concordato: e rientra nei princìpi il fatto che l'istanza di fallimento possa essere formulata anche da terzi).

Un ultimo ordine di novità riguarda l'esdebitazione, che è uno degli elementi più caratterizzanti della disciplina del sovraindebitamento. Innanzitutto ne viene prevista l'applicazione in qualunque ipotesi in cui la procedura abbia avuto ad oggetto la liquidazione dei beni e, come si era anticipato parlando del socio illimitatamente responsabile, l'estensione anche alle persone giuridiche (art. 278). In secondo luogo, in particolare nella liquidazione controllata ne viene prevista l'operatività di diritto, senza bisogno di richiesta, a seguito della chiusura della procedura, o anche prima della chiusura una volta decorsi tre anni dalla sua apertura (art. 282). In terzo luogo viene concesso al debitore di poter godere dell'esdebitazione anche quando “non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura”: ma “solo per una volta” e “fatto salvo l'obbligo di pagamento del debito entro quattro anni dal decreto del giudice”, vale a dire dal decreto che concede l'esdebitazione stessa, “laddove sopravvengano utilità rilevanti, che consentano il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore al dieci per cento” (art. 283).

Conclusioni

Il catalogo è questo, insomma, e come si vede è un catalogo molto ampio e vario. Ma basta? Basterà? Basterebbe? La disciplina non avrebbe avuto né avrebbe moltissimo da perdere dalla mancata attuazione della riforma, si diceva all'inizio; e si è già spiegato che questa affermazione non va intesa in senso sminuente, riduttivo. Ma ora la si può spiegare forse ancora meglio.

Ora che abbiamo visto le singole novità contenute nel “Codice”, possiamo infatti ribadire a maggior ragione un'affermazione a sua volta già compiuta, e cioè che alcune di queste novità sono molto importanti, sia dal punto di vista del contributo di chiarezza che portano alla materia, sia da un punto di vista di vera e propria innovazione. E tuttavia rimane forte l'impressione che la disciplina sul sovraindebitamento non ne gioverebbe in termini di maggior diffusione rispetto a quella ricevuta dal 2012 ad oggi. È questo che si voleva dire, anche se non significa che la riforma non sarebbe utile e perfino opportuna o necessaria, come sono sempre utili o necessarie le riforme che chiariscono e migliorano l'esistente. Ma il problema è che qui l'esistente è rappresentato da una realtà che era estranea ai nostri costumi, e dunque al nostro orizzonte ottico e mentale, fino a pochissimi anni fa. In altre parole: questo non è un caso nel quale la legge prende atto di un agire sociale già radicato, per istituzionalizzarlo o, al limite, per regolarlo meglio. Bensì è vero il contrario: qui la legge si augura di poter indirizzare un agire sociale, un costume, un'abitudine. Di poter inaugurare una pratica.

Sarebbe evidentemente fuori luogo, in questa sede, entrare nel merito di un discorso di natura più ampia, quale quello dei rapporti fra diritto e costumi, che a sua volta chiama in causa i rapporti fra etica e politica. Sarebbe troppo. Ma una cosa è certa: una maggior diffusione del ricorso alla disciplina sul sovraindebitamento – quantomeno da parte dei consumatori e delle loro famiglie – non potrà non dipendere anche dall'acquisizione di una consapevolezza e di una confidenza cui solo il tempo potrà dar vita. Altrettanto certo è che una buona legge, che davvero sappia trasformare il ricorso a tale disciplina in un'opportunità per tutti (per il debitore, per i creditori, per la tenuta del sistema), potrà agevolare il percorso. Più che certo, è addirittura ovvio.

Guida all'approfondimento

A. Castagnola, L'insolvenza del debitore civile nel sistema della responsabilità patrimoniale, in Analisi Giuridica dell'Economia, n. 2/2004; G. Lo Cascio, Legge fallimentare attuale, legge delega di riforma e decreti attuativi in fieri, in Fallimento, n. 5/2018; G. Rossi, Il gioco delle regole, Milano, 2006; G. Tarello, Storia della cultura giuridica moderna, Bologna, 1976.

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