Indennità di buonuscita e TFR: entrambi pignorabili
25 Ottobre 2018
Massima
Anche dopo la riforma del settore disposta con il d.lgs. n. 252/2005, le quote accantonate del trattamento di fine rapporto, tanto che siano trattenute presso l'azienda, quanto che siano versate al Fondo di Tesoreria dello Stato presso l'INPS ovvero conferite in un fondo di previdenza complementare, sono intrinsecamente dotate di potenzialità satisfattiva futura e corrispondono ad un diritto certo e liquido del lavoratore, di cui la cessazione del rapporto di lavoro determina solo l'esigibilità, con la conseguenza che le stesse sono pignorabili e devono essere incluse nella dichiarazione resa dal terzo ai sensi dell'art. 547 c.p.c.. Tale principio, valevole per i lavoratori subordinati del settore privato, si estende anche ai dipendenti pubblici, stante la totale equiparazione del regime di pignorabilità e sequestrabilità del trattamento di fine rapporto o di fine servizio susseguente alle sentenze della Corte cost. n. 99/1993 e n. 225/1997. Il caso
Tizio aveva sottoposto a pignoramento l'indennità di fine servizio dovuta dall'INPDAP a Caio, dipendente del Miur ancora in servizio. Stante l'omessa comparizione del terzo pignorato ha chiesto procedersi all'accertamento dell'obbligo di quest'ultimo. In primo grado la domanda era accolta, ma, impugnata la decisione, la Corte d'appello di Bari dichiarava l'inefficacia del pignoramento affermando la non assoggettabilità al pignoramento di somme non ancora esigibili. Avverso questa decisione proponeva ricorso Tizio. La questione
La questione in esame riguarda la assoggettabilità o meno a procedure di pignoramento e sequestro di crediti che, se pur non attuali e immediatamente esigibili, siano comunque riferiti e compresi nella sfera del debitore ed abbiano le caratteristiche della possibilità identificativa e della loro liquidità, e tra questi le quote accantonate dal lavoratore ai fini del TFR o della indennità di fine servizio. In tale contesto deve altresì chiedersi se anche dopo la riforma del settore disposta con il d.lgs.n. 252/2005, le quote accantonate del trattamento di fine rapporto, tanto che siano trattenute presso l'azienda, quanto che siano versate al Fondo di Tesoreria dello Stato presso l'INPS, ovvero conferite in un fondo di previdenza complementare, siano intrinsecamente dotate di potenzialità satisfattiva futura e corrispondano ad un diritto certo e liquido del lavoratore, di cui la cessazione del rapporto di lavoro determina solo l'esigibilità, con la conseguenza che le stesse risultino pignorabili e debbano essere incluse nella dichiarazione resa dal terzo ai sensi dell'art. 547 c.p.c.. Le soluzioni giuridiche
L'ordinanza in commento chiarisce che, seppure sia mutato il sistema di accantonamento del trattamento di fine rapporto e sia intervenuta la possibilità che il lavoratore opti per un sistema di previdenza complementare, ex d.lgs. n.252/2005, l.n.296/2006, (qualora di tratti di azienda con almeno 50 dipendenti il TFR viene versato al Fondo Tesoreria dello Stato presso l'Inps), resta ferma la natura del trattamento di fine rapporto quale credito che il lavoratore matura già in costanza di rapporto di lavoro sebbene la sua esigibilità sia subordinata al momento della cessazione del rapporto stesso. La diversa allocazione del TFR non altera la sua natura e funzione solo consentendo un differente impiego delle somme accantonate. Il principio vale anche per i dipendenti pubblici stante la totale equiparazione del regime di pignorabilità e sequestrabilità del trattamento di fine rapporto o di fine servizio susseguente alle sentenze della Corte costituzionale n. 99/1993 e n. 225/1997. Già in precedenza la sezione lavoro del Supremo Collegio (sentenza n. 1049/1998) aveva chiarito come tali somme fossero intrinsecamente dotate di potenzialità satisfattiva futura, e corrispondenti ad un diritto certo e liquido di cui la cessazione del rapporto di lavoro determina solo l'esigibilità, rilevando d'altro canto la garanzia del vincolo di indisponibilità derivante dal pignoramento, con riguardo alla possibilità per il lavoratore di ottenere delle anticipazioni su detto trattamento nel corso del rapporto. L'orientamento era stato successivamente confermato da Cass. civ., n. 5235/2004 che ulteriormente specificava che oggetto dell'espropriazione forzata non è tanto un bene suscettibile di esecuzione immediata quanto una posizione giuridica attiva dell'esecutato, sicché l'espropriazione presso terzi può configurarsi anche con riguardo a crediti illiquidi o condizionati ma suscettibili di una capacità satisfattiva futura (confermato anche da Cass. civ., n. 19976/2005; Cass. civ., n. 19501/2009). Ancor più di recente l'ordinanza n. 15607/2017 ha soggiunto che «l'esecuzione mediante espropriazione presso terzi può riguardare anche crediti non esigibili, condizionati e finanche eventuali, con il solo limite della loro riconducibilità ad un rapporto giuridico identificato e già esistente». Alcun dubbio hanno dunque manifestato i Giudici di legittimità sulla assoggettabilità a procedure di pignoramento dei crediti che, se pur non attuali e immediatamente esigibili e fruibili, siano comunque riferiti e compresi nella sfera del debitore ed abbiano le caratteristiche della possibilità identificativa e della loro liquidità. A tale novero di crediti sono certamente riconducibili le quote accantonate dal lavoratore nel corso del rapporto di lavoro presso un terzo soggetto e di cui lo stesso ha piena disponibilità solo al momento della cessazione del vincolo lavorativo. L'ordinanza in commento richiama il percorso giurisprudenziale in materia. Deve peraltro richiamarsi anche quanto disposto dall'art. 2120 c.c. sulla possibilità di anticipazione di una parte del TFR (non oltre il 70%) per il lavoratore con almeno otto anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro ed in presenza di particolari esigenze (Spese sanitarie, acquisto prima casa di abitazione per sé o per i figli). In questo quadro così articolato, anche contrassegnato dalla possibilità di anticipata erogazione di parte del TFR, non muta la titolarità del credito in capo al lavoratore e la maturazione dello stesso nel corso del rapporto di lavoro. Non diversamente che per il lavoratore privato, per il quale è tracciata la disciplina del TFR (art. 2120 c.c.), accade per il lavoratore pubblico dipendente che matura il diritto alla indennità di buonuscita. Sul punto era in altri anni intervenuta la Corte costituzionale con la sentenza n. 99/1993 nella quale, accertata la natura di retribuzione differita della indennità di buonuscita al pari del TFR, aveva concluso per l'irragionevole diversità di trattamento tra dipendente privato e quello pubblico, assoggettando anche l'indennità di buonuscita da quest'ultimo maturata, alla stessa regola della pignorabilità già vigente per il TFR (disciplinato dall'art. 545 c.p.c.). Con la successiva sentenza n. 225/1997 lo stesso Giudice delle leggi, chiamato a valutare la legittimità costituzionale dell'art. 21 del d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1032, che consentiva la pignorabilità e sequestrabilità della indennità di fine rapporto per i soli crediti da danno erariale, ha ribadito, in continuità con la precedente decisione, che, stante il progressivo processo di omogeneizzazione tra le discipline del rapporto di lavoro pubblico e quello privato (sia pur nel rispetto delle peculiarità di ciascun settore), anche per tali tipologie di crediti del dipendente nei confronti dello Stato, fosse comunque aggredibile l'indennità di buonuscita nei limiti imposti dall'art. 545 c.p.c.. La sentenza n. 438/2005 completa il percorso iniziato dalla Corte delle leggi con riguardo alla indennità di buonuscita dei dipendenti degli enti pubblici diversi dallo Stato. Anche per questi ultimi è sancita la pignorabilità e sequestrabilità nei limiti del disposto dell'art. 545 c.p.c., in quanto, spiega la Corte, «le varie categorie di indennità di fine rapporto proprie del settore pubblico hanno un carattere unitario - pur se governate da diversi meccanismi di provvista e di erogazione dei singoli trattamenti - in considerazione dell'analoga natura di retribuzione differita collegata ad una concorrente funzione previdenziale e della comune correlazione alle contribuzioni versate dai lavoratori e dalle rispettive pubbliche amministrazioni (…). Da tale carattere unitario consegue l'esigenza di equiparare dipendenti statali e dipendenti di enti pubblici diversi dallo Stato anche con specifico riferimento al regime dei limiti posti alla pignorabilità degli emolumenti traenti fonte dal rapporto di lavoro (v. sentenza n. 878/1988). Non sussiste, infatti, alcuna ragione che possa giustificare il più gravoso regime cui sono sottoposti i dipendenti degli enti pubblici diversi dallo Stato che, diversamente dai dipendenti statali, possono veder sequestrata e pignorata l'indennità di fine rapporto senza alcun limite». Osservazioni
Il quadro complessivo consegnato dalle sentenze della Corte delle leggi è della assoluta equiparazione del regime di pignorabilità e sequestrabilità degli emolumenti ed indennità dei dipendenti pubblici e privati. La tendenziale unitarietà della disciplina oltre che contrastare una irragionevole differenza tra crediti aventi eguale natura e finalità ( retribuzione differita posta a sostegno delle esigenze e difficoltà economiche conseguenti la cessazione della attività di lavoro), segue la tendenza più generale di compatibilizzare il più possibile i trattamenti dei lavoratori privati e pubblici ( pur nel rispetto delle peculiarità delle specifiche esigenze legate alla natura del datore di lavoro). Con l'ordinanza in commento la Corte di cassazione ha richiamato la composita articolazione delle pronunce intervenute, dando conto del divenire delle discipline e degli assetti conseguiti ed ha chiarito, come ultimo passaggio, il superamento del dettato normativo di cui al citato art. 21 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 ad opera della sentenza del Giudice costituzionale n. 99/1993 estensiva del regime di sequestrabilità e pignorabilità del trattamento di fine rapporto anche ai dipendenti pubblici, così come previsto, nei limiti dell'art. 545 c.p.c., per i lavoratori privati. La stabilità dell'assetto raggiunto non muta, come specificato dall'ordinanza in esame, neanche a seguito della possibilità data al lavoratore di optare per i differenti regimi di previdenza complementare. In tutti i casi le somme oggetto di indennità di buonuscita e TFR devono essere oggetto delle dichiarazioni cui è tenuto, ai sensi dell'art. 547 c.p.c., il terzo in possesso di beni del debitore (nel caso di specie l'Inps, v. Cass. civ., 22 giugno 2017,n. 15607). Il provvedimento dei Giudici di legittimità focalizza la materia in esame e segna un passo ulteriore verso la tendenziale uniformità dei trattamenti dei lavoratori pubblici e privati (ove possibile).
|