I particolari e leciti modi di utilizzo delle parti comuni del fabbricato da parte dei condomini
26 Ottobre 2018
Il quadro normativo
L'art. 1102 c.c. - il cui testo è rimasto invariato anche dopo la Riforma del 2013 - previsto per la comunione ma applicabile alla realtà condominiale in forza del rinvio del successivo art. 1139 c.c., a ben vedere, contempla i limiti imposti al singolo nell'utilizzo del bene comune, ma non specifica le concrete modalità di godimento da parte dei condomini. Al riguardo, va premesso che, con riferimento alle parti comuni dell'edificio, il contenuto del relativo diritto in capo ai suddetti condomini si configura diversamente, secondo le funzioni che ciascuna delle predette parti svolge nell'àmbito condominiale. Al riguardo, i giudici di legittimità (Cass. civ., sez. II, 1 marzo 2000, n. 2255) hanno avuto modo di precisare che il termine “godimento” designa due differenti realtà: quella dell'utilizzazione oggettiva della res e quella del suo godimento soggettivo in senso proprio; con la prima intendendosi l'utilità prodotta (indipendentemente da qualsiasi attività umana) in favore delle unità immobiliari dall'unione materiale o dalla destinazione funzionale delle cose/servizi/impianti (suolo, fondazioni, muri maestri, tetti, lastrici solari, cortili), la seconda concretantesi nell'uso delle parti comuni quale effetto dell'attività personale dei titolari delle unità immobiliari esclusive (utilizzazione di anditi, stenditoi, ascensori, impianti centralizzati di riscaldamento e condizionamento). Nondimeno, talune delle parti comuni elencate nell'art. 1117 c.c. (solitamente destinate a fornire utilità oggettiva ai condomini) sono, talora, suscettibili anche di un uso soggettivo, particolare ed anomalo, diverso cioè da quello connesso con la funzione peculiare di tali parti ed indipendente dalla relativa funzione strumentale (i muri maestri utilizzati, ad esempio, per l'applicazione di vetrine o insegne luminose), con la conseguenza che - ad esempio - i cortili, funzionalmente destinati a fornire aria e luce al fabbricato (destinazione “oggettiva”), ben possono essere destinati (anche) ad un uso soggettivo (sistemazione di serbatoi, deposito merci, parcheggio auto), di talché, pur costituendo “normalmente” oggetto di trasferimento consequenziale al trasferimento della proprietà del piano o porzione di piano, purtuttavia possono, ex titulo, formare, quanto al relativo godimento soggettivo, oggetto di diversa pattuizione, quale, ad esempio, l'esclusione dal trasferimento della relativa quota di comproprietà dell'uso (soggettivo) come parcheggio auto, specie qualora il cortile stesso non risulti sufficiente ad ospitare le autovetture di tutti i condomini. Esistono, pertanto, cose comuni che presuppongono l'uso (di solito, paritario) da parte dei condomini - come i portoni di ingresso - ed altre la cui funzione può esercitarsi prescindendo da tale uso - come il tetto, che assolve una funzione di protezione - cui si possono aggiungere quelle che possono utilizzarsi esclusivamente da alcuni condomini, i quali si trovano in una particolare situazione di fatto per poterne godere; così, ognuno può usare da solo i muri maestri nel perimetro che delimita il suo appartamento relativamente sia alle pareti interne sia alle parti esterne, purché non alteri la funzione di sostegno e di decoro né impedisca il pari uso degli altri, aprendo finestre, apponendo tubazioni, costruendo manufatti, ecc. Orbene, la realtà condominiale offre numerosi esempi di uso della cosa comune, che possiamo distinguere, in base alle anzidette premesse, in uso normale, uso più intenso e uso abusivo. L'uso normale consiste nell'utilità che il condomino trae dalla parte comune in condizioni di parità con gli altri partecipanti, senza l'esecuzione di alcun intervento modificativo del bene e tramite facoltà conformi alla sua destinazione attuale, imposta per caratteri naturali, per tipologia costruttiva, per deliberazione assembleare o per regolamento (si pensi al transito nell'androne condominiale, all'uso delle scale per accedere ai piani alti dell'edificio, all'utilizzo del giardino per far giocare i bambini, e quant'altro). L'uso più intenso si attua allorché si ottengono dal bene comune utilità maggiori ed aggiuntive, anche differenti, rispetto ai benefici che, in via generale, possono derivare a tutti gli altri condomini, ferma restando la duplice condizione della mancata alterazione della destinazione e del rispetto del pari uso degli altri partecipanti, come estrinsecazione del generico dovere del neminem laedere; in concreto, l'intensificazione del godimento del bene comune può avvenire o mediante l'estrinsecazione di facoltà più ampie nel contenuto o con un loro esercizio più frequente rispetto al godimento degli altri condomini - si pensi al parcheggio di due auto anziché una nel cortile o all'apposizione di tubazioni di più ampia portata - oppure mediante una modificazione della consistenza del bene (Cass. civ., sez. II, 5 settembre 1994, n. 7652). L'uso abusivo consiste nel godimento che permetta a chi lo esercita di trarre utilità in violazione dei limiti sopra accennati per l'uso più esteso o intenso, tale, quindi, da alterare, trasformare o distruggere (in tutto o in parte) la consistenza fisica della cosa comune o da sottrarla alla sua normale destinazione; si pensi al deposito di materiali vari in area verde che ne impedisca l'uso e deturpi l'aspetto dell'edificio, o all'inclusione di un pianerottolo in un appartamento privato che escluda la funzione di raccordo tra le rampe delle scale, oppure all'interramento nel sottosuolo di una centrale termica del proprio impianto di riscaldamento (fattispecie, quest'ultima, analizzata da Cass. civ., sez. II, 26 febbraio 2007, n. 4386). Le modalità di godimento della cosa comune - nei limiti delineati dall'art. 1102 c.c. - possono, dunque, consistere in un uso diretto o indiretto; nel primo caso, l'uso può essere promiscuo o frazionato (nello spazio o nel tempo): analizziamo partitamente le singole ipotesi. Per quanto riguarda l'uso collettivo, la cosa comune, se le caratteristiche lo consentano, può essere goduta contemporaneamente dalla collettività dei condomini (c.d. uso promiscuo): si pensi al giardino comune, che può essere utilizzato indiscriminatamente da ciascuno, poiché difficilmente si creeranno questioni di sovraffollamento, e ciò a prescindere dalla caratura millesimale di appartenenza. Altrettanto non può dirsi, ad esempio, per l'uso del cortile comune per il parcheggio di auto e moto, nel qual caso, verificata l'impossibilità di utilizzo contemporaneo da parte della collettività condominiale, per soddisfare le esigenze di tutti i partecipanti, occorre frazionare l'uso (Cass. civ., sez. II, 11 luglio 2011, n. 15203). Tale frazionamento può avvenire sotto il profilo dello spazio, nel senso che, ferma restando la comproprietà da parte del singolo su tutto il bene comune, quest'ultimo viene diviso materialmente assegnando a ciascuno il godimento di una parte soltanto, ad esempio, delimitando con apposite strisce le aree di parcheggio del cortile (per ipotesi concrete, v. Cass. civ., sez. II, 9 dicembre 1988, n. 6673; Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 1977, n. 697); il godimento c.d. spaziale, o a zone, può verificarsi, altresì, allorché vi siano dei vani cantina predisposti in modo che ciascun appartamento dello stabile condominiale ne abbia uno per uso proprio, tuttavia l'uso della cosa comune, da parte del singolo condomino, non può estendersi all'occupazione permanente di una parte del bene comune, tale che, nel concorso degli altri requisiti di legge, possa portare all'usucapione della parte occupata (Cass. civ., sez. II, 5 febbraio 1982, n. 663). Non si tratta, però, di un'assegnazione definitiva che, in buona sostanza, si traduce in una divisione del bene comune: non si passerebbe da una communio pro indiviso ad una communio pro diviso, altrimenti, la comunione cesserebbe ed ognuno sarebbe proprietario esclusivo della porzione assegnatagli; i condomini continuano ad essere titolari di tutto il bene, solo che si sono accordati (o è stato loro imposto) di rinunciare al godimento delle zone assegnate agli altri partecipanti: se un partecipante non si serve della porzione assegnata, gli altri possono sempre farlo in sua vece, appunto perché ne sono ancora titolari. In quest'ordine di principi, appare pienamente condivisibile quanto di recente affermato dai giudici di Piazza Cavour (Cass. civ., sez. II, 31 marzo 2015, n. 6573), secondo i quali la delibera assembleare che adibisce l'area cortilizia a parcheggio ed assegna i singoli posti auto non determina la divisione del bene comune, limitandosi a renderne più ordinato e razionale l'uso paritario, sicché essa non richiede il consenso di tutti i condomini, né attribuisce agli assegnatari il possesso esclusivo della porzione loro assegnata. Una peculiare modalità di ripartizione spaziale della cosa comune è attualmente contemplata dall'art. 1122-bis, comma 3, c.c. - così come introdotto dalla l. n. 220/2012 - il quale, ai fini dell'installazione degli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio delle singole unità immobiliari, ha previsto che, a richiesta degli interessati, l'assemblea, con il quorum di cui all'art. 1136, comma 5, c.c., «provvede a ripartire l'uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni, salvaguardando le diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio o comunque in atto». Sempre che la natura del bene comune non consenta un simultaneo godimento di tutti i condomini, tale frazionamento può avvenire anche sotto il profilo del tempo, nel senso che il godimento si estende su tutta la cosa comune ma è limitato ad una determinata turnazione - fissata dal regolamento, dall'assemblea o dall'amministratore o praticata di fatto dai condomini - ad esempio, con l'avvicendamento di uno o un gruppo di condomini nell'uso del lastrico solare per stendere i panni a giorni prefissati per ciascuna unità immobiliare (non escludendo, in caso di incapienza, eventuali assegnazioni periodiche mediante una graduatoria formata per sorteggio); anche qui, come nella divisione c.d. topografica, non succede nulla se un condomino utilizza la cosa comune in un turno diverso qualora il partecipante assegnatario non ne approfitti (il patto di godimento frazionato nel tempo è, invece, il connotato precipuo del fenomeno della multiproprietà, accennato nell'incipit del nuovo art. 1117 c.c., dove si parla appunto di “diritto a godimento periodico”). Fino a quando, però, non vi sia richiesta di un uso turnario da parte degli altri comproprietari, il semplice godimento esclusivo ad opera di taluni non può assumere l'idoneità a produrre un qualche pregiudizio in danno di coloro che abbiano mostrato acquiescenza all'altrui uso esclusivo, salvo che risulti provato che i comproprietari che hanno avuto l'uso esclusivo del bene, ne abbiano tratto anche un vantaggio patrimoniale (Cass. civ., sez. II, 19 luglio 2012, n. 12485; Cass. civ., sez. II, 4 dicembre 1991, n. 13036; Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 1981, n. 243, in materia di comunione in generale, ma con principi “esportabili” anche a quella edilizia). Comunque, nessuna norma impone di ragguagliare la “porzione” di cosa comune o la “durata” dei periodi di godimento all'entità delle quote di comproprietà dei condomini, nel senso che, stando agli esempi di cui sopra, il proprietario di un'unità immobiliare con tanti millesimi debba avere necessariamente diritto a più posti auto o più giorni alla settimana per stendere i panni (a meno che non sussista un accordo unanime tra tutti partecipanti al condominio). In ordine alla maggioranza richiesta per stabilire queste ultime modalità di godimento, si ritiene sufficiente il quorum dell'art. 1136, commi 2 e 3, c.c. - salva l'ipotesi di cui all'art. 1122-bis, comma 3, c.c. di cui sopra - non essendo necessaria l'unanimità sul mero presupposto che tali modalità incidono in qualche misura sui diritti del singolo, specie con riferimento alla diminuzione del quantum di godimento rispetto a quello previsto nell'atto di acquisto (contra, sembra Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 1985, n. 139); invero, si tratta solo di determinare il miglior godimento della cosa comune, per cui, accertato che l'uso promiscuo e diretto di tutti e di ciascuno non è materialmente possibile, l'assemblea (a maggioranza) interviene scegliendo la soluzione più adeguata e ragionevole al caso de quo (divisione spaziale o temporale), così realizzando la conciliazione dei vari interessi in una situazione idonea a provocare contrasti tra i partecipanti al condominio.
La locazione
La Corte di Cassazione è costante nel sostenere che, ove non sia possibile o ragionevole l'uso promiscuo della cosa comune, e questa non sia tale da permettere una ancorché approssimativa divisione (nel tempo o nello spazio) del suo godimento tra i vari partecipanti alla comunione, sorge l'esigenza di ricorrere al c.d. godimento indiretto, che tende appunto a sopperire all'impossibilità di procedere ad una conveniente utilizzazione diretta da parte dei vari comproprietari. Il godimento indiretto postula, peraltro, non solo che sia impossibile, non ragionevole, dannoso, in forma promiscua o frazionata, ma anche che esso sia stato deliberato, o consensualmente sia pure con il sistema maggioritario, oppure mediante un provvedimento del giudice; l'obbligo, da parte dei vari partecipanti, di non esercitare il godimento diretto della cosa comune, che di norma compete a ciascun partecipante ai sensi dell'art. 1102 c.c., sorge, quindi, solo se sia stato deciso e solo dal momento della delibera, in sede di amministrazione della cosa comune, di procedere alla sua utilizzazione con il sistema del godimento indiretto (ex multis, Cass. civ., sez. II, 7 ottobre 1974, n. 2902). L'ipotesi tipica dell'uso indiretto - che si esplica anche attraverso l'acquisto dei frutti che la cosa stessa produce (v., di recente, Cass. civ., sez. II, 5 settembre 2013, n. 20394) - è quella della locazione che, pertanto, presuppone che la cosa comune non sia suscettibile di godimento diretto di tutti i partecipanti, promiscuamente oppure con il sistema dei turni temporali o del frazionamento degli spazi, pena, altrimenti, trattandosi di incidere sull'estensione del diritto reale che ciascun condomino possiede sull'intero bene indiviso, l'invalidità della relativa delibera assembleare (Cass. civ., sez. II, 5 novembre 2002, n. 15460; Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 1994, n. 8528; Cass. civ., sez. II, 22 novembre 1984, n. 6010; Cass. civ., sez. II, 18 gennaio 1982, n. 312), salvo il caso in cui la decisione sia adottata all'unanimità. Incidentalmente, si evidenzia che la Riforma del 2013 ha contemplato un'ipotesi particolare di locazione della cosa comune nell'art. 1120, comma 2, n. 2), c.c., laddove ha previsto che l'assemblea, con la maggioranza di cui all'art. 1136, comma 2, c.c. possa realizzare interventi «per la produzione di energia mediante l'utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili da parte … di terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto … personale di godimento del lastrico solare o di altra idonea superficie comune». Per fare un esempio, non si potrebbe tout court concedere in locazione (ad alcuni condomini o a terzi) lo spazio di parcheggio condominiale sulla semplice constatazione che lo stesso sia insufficiente per la sosta di tutte le autovetture dei condomini, essendo irrilevante che al condomino non utente derivi pur sempre un'utilità dalla diminuzione degli oneri condominiali in relazione a quanto percepito a titolo di canoni di locazione dal predetto parcheggio; qualora, invece, la locazione sia legittima - ad avviso degli ermellini (Cass. civ., sez. II, 22 marzo 2001, n. 4131) - non sussiste violazione dell'art. 1102 c.c. se al condomino aspirante ad essere conduttore della cosa comune sia preferito un terzo, perché la predetta norma tutela l'uso diretto di ciascun condomino sulla medesima e non quello indiretto, come nel caso della maggioranza dei condomini decida di locare la cosa comune ad un terzo, ancorché a condizioni meno vantaggiose per il condominio rispetto a quelle offerte dal condomino, non essendovi il limite del pregiudizio agli interessi dei condomini, come invece, per le innovazioni, al potere di scelta della maggioranza (Secondo Cass. civ., sez. II, 29 agosto 1998, n. 8622, non è innovazione ma solo diversa utilizzazione che l'assemblea può deliberare, la locazione ad uso abitativo di un locale condominiale, in precedenza concesso ad un condomino per uso deposito). A questo punto, è legittimo interrogarsi cosa succeda nell'ipotesi del locale adibito originariamente all'alloggio del portiere e rimasto inutilizzato a seguito della soppressione del relativo servizio. Abbiamo visto che, a ciascun condomino, compete il diritto al godimento diretto ma promiscuo (cioè non esclusivo) della cosa comune, ma non essendo un obbligo, l'assemblea non può imporlo quando sia impossibile, dannoso o irragionevole, mentre ogni diversa modalità di utilizzazione o godimento (ad esempio, divisione nello spazio, nel tempo, o godimento indiretto) va deliberata dai condomini secondo il sistema organizzativo interno stabilito dall'art. 1136 c.c., escludendo, quindi, la legittimità di iniziative in tal senso da parte del singolo condomino o dell'amministratore; si ammette soltanto la possibilità di questi ultimi, in caso di locazione in atto, di dare la disdetta o agire per il rilascio, anche senza deliberazione assembleare, sulla base di un mandato tacito ricevuto dagli altri partecipanti. La possibilità della locazione del bene comune evidenzia così quella nota peculiare che caratterizza la posizione relativa al diritto del condomino sullo stesso, che incontra tutti i limiti imposti dal godimento solidale, spingendosi talvolta fino ad una vera e propria impossibilità di utilizzo del bene comune, sostituito soltanto dalla percezione degli eventuali frutti che lo stesso è idoneo a conferire (nel caso di specie, il ricevimento, pro quota, del corrispettivo all'altrui godimento sotto la forma di canone di locazione). Orbene, la decisione di locare l'immobile già destinato ad abitazione del portiere deve essere presa dalla maggioranza dei condomini - sembra prevalere il quorum semplice trattandosi di atto di ordinaria amministrazione, se di durata non eccedente i nove anni, come è dato desumere a contrario dagli artt. 374, n. 4), e 1108, comma 3, c.c. (Cass. civ., sez. II, 22 marzo 2001, n. 4131; contra, Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 1977, n. 385) - ma potrebbe darsi che «non si formi una maggioranza» al riguardo, sicché soccorre l'ultimo comma dell'art. 1105 c.c. che prevede in tal caso la possibilità di un ricorso all'autorità giudiziaria. In altri termini, nulla quaestio se vi sia un bene comune suscettibile di godimento diretto, spazialmente circoscritto, di una pluralità dei condomini, poiché lo stesso è tale da consentire un uso collettivo, oppure una materiale divisione approssimativamente corrispondente alla consistenza delle quote o un uso turnario; qualora, invece, vi sia un solo locale comune, che non può essere oggetto di godimento della collettività o dell'uso esclusivo di uno di essi - l'uso promiscuo richiederebbe la necessaria coabitazione delle rispettive famiglie dell'edificio o il diritto dell'uno di abitare l'unità immobiliare potrebbe essere paralizzato dal pari diritto dell'altro condomino - oppure qualora la cosa comune, per le sue caratteristiche strutturali, non sia tale da consentire una materiale divisione - l'appartamento è formato da due camere, cucina ed un solo bagno - oppure un uso temporalmente limitato, essendoci disaccordo tra i condomini, appare legittimo, per porre fine alla situazione di stallo, il ricorso al magistrato ai sensi dell'art. 1105, ultimo comma, c.c., affinché individui, anche con la nomina di un amministratore, una diversa modalità (indiretta) di godimento del bene, appunto attraverso la locazione dell'immobile (in favore di uno degli stessi condomini o di un terzo). In conclusione
I casi finora esaminati presuppongono che un'assemblea sia stata convocata, ma che non si pervenga (per i motivi più disparati) ad una valida maggioranza per deliberare la diversa utilizzazione del bene comune che non può formare oggetto di godimento promiscuo; nulla esclude, però, che, se non si possano adottare tali provvedimenti, stante, a monte, la mancata partecipazione di uno o più condomini, rappresentanti quorum che precludono la costituzione dell'assemblea, o comunque nel pieno disinteresse dai primi manifestato nella gestione della parte dell'edificio, si proceda sùbito alla nomina di un amministratore ex art. 1105, ultimo comma, c.c., al fine di “adottare i provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune”, tra i quali si può annoverare l'uso indiretto, mediante la locazione, della predetta parte trascurata. Monegat, Per il godimento esclusivo del bene comune il comproprietario deve agli altri un corrispettivo, in Immob. & proprietà, 2013, 596; Celeste - Salciarini, I beni comuni. L'individuazione e l'utilizzo, Milano, 2009, 197; Bordolli, Uso indiretto e locazione del bene comune, in Immob. & proprietà, 2009, 631; Terzago, La caratura millesimale e l'utilizzo delle parti comuni, in Immob. & diritto, 2007, fasc. 5, 31; De Tilla, Sull'uso frazionato del bene comune, in Arch. loc. e cond., 2007, 303; Carbone, Giurisprudenza rigorosa nel vietare l'uso sproporzionato della cosa comune, in Corr. merito, 2005, 253; Capponi, Sulla locazione dell'uso di una parte comune al fine di installarvi una insegna pubblicitaria, in Arch. loc. e cond., 2003, 611; Zerilli, Cortile condominiale insufficiente e sosta autovetture: locazione ad alcuni condomini o uso turnario?, in Arch. loc. e cond., 1988, 161; Gentili, Ancora sull'uso più intenso della cosa comune, in Giur. it., 1984, I, 2, 617. |