Impugnazione dei crediti ammessi solo se il creditore ha proposto analoga richiesta in sede di verifica dinanzi al G.D.

29 Ottobre 2018

Ai fini dell'impugnazione dei crediti ammessi ex art. 98 l.fall., il creditore che intenda ottenere con tale rimedio di carattere impugnatorio un provvedimento di esclusione di altri creditori ammessi al passivo, ha l'onere di formulare specifica domanda o eccezione in tal senso già nella fase di verifica dei crediti dinanzi al Giudice Delegato tramite le osservazioni ex art. 95, comma 2, l.fall., tempestivamente depositate, o in sede di udienza fissata per la verifica dei crediti ex art. 95, comma 3, l.fall..
Massima

Ai fini dell'impugnazione dei crediti ammessi ex art. 98 l.fall., il creditore che intenda ottenere con tale rimedio di carattere impugnatorio un provvedimento di esclusione di altri creditori ammessi al passivo, ha l'onere di formulare specifica domanda o eccezione in tal senso già nella fase di verifica dei crediti dinanzi al Giudice Delegato tramite le osservazioni ex art. 95, comma 2, l.fall., tempestivamente depositate, o in sede di udienza fissata per la verifica dei crediti ex art. 95, comma 3, l.fall..

In difetto di ciò, secondo i principi generali in tema di impugnazioni, non è configurabile un provvedimento del Giudice Delegato che abbia deciso in modo difforme dalla richiesta del creditore, il quale non può essere considerato soccombente sul punto e non ha quindi legittimazione ad impugnare il provvedimento che ha ammesso al passivo gli altri creditori.

Il caso

Un creditore ammesso al passivo di un fallimento impugnava ex art. 98-99 l.fall. alcuni crediti ammessi di altri creditori domandandone l'esclusione o in subordine la degradazione al chirografo.

I creditori si costituivano chiedendo il rigetto dell'impugnazione.

Il Tribunale respingeva il gravame interposto perché il ricorrente non aveva contestato durante il procedimento di accertamento del passivo davanti al Giudice Delegato l'ammissione dei crediti impugnati, né con osservazioni ex art. 95, comma 2, l.fall., né durante l'udienza di verifica ex art. 95, comma 3, l.fall..

La decisione del Tribunale di Massa

Secondo i Giudici toscani il rimedio è inammissibile dato che il ricorrente difettava della legittimazione ad impugnare i crediti ammessi in quanto non soccombente.

Questi i passaggi fondamentali della decisione.

In primo luogo il Collegio sposa l'orientamento giurisprudenziale predominante ad avviso del quale i procedimenti ex art. 98 l.fall. hanno carattere eminentemente impugnatorio.

Si tratta cioè di veri e propri gravami, seppur differenti dall'appello ex artt. 339 e ss. c.p.c., con una disciplina specifica dettata dalla legge fallimentare (in questi termini ex multis Cass. 11392/2016; Cass. 24489/2016; Cass. 9617/2016; Cass. 7918/2012; Trib. Milano, 19.2.2018; Trib. Milano, 4.3.2008; anche in dottrina prevale la tesi del carattere impugnatorio dei rimedi ex art. 98 l.fall., si vedano Montanari, Impugnazioni dello stato passivo, in Il nuovo diritto fallimentare, Commentario diretto da Jorio, I, Bologna, 2006, 1482 ss.; Costa, L'accertamento del passivo e dei diritti personali e reali dei terzi su beni mobili e immobili, in Il diritto fallimentare riformato, a cura di Schiano di Pepe, Padova, 2007, 379; Zoppellari, Artt. 98-99, in La legge fallimentare, Commentario teorico-pratico a cura di Ferro, Padova, 2007, 706).

Trattandosi di impugnazioni, secondo il Tribunale occorre considerare i principi generali del nostro ordinamento in materia per verificare se sussistano in capo al ricorrente ex art. 98 l.fall. i presupposti processuali relativi, cioè la legittimazione ad impugnare e l'interesse ad impugnare.

La mancanza anche di uno solo dei due requisiti nel caso concreto determina l'inammissibilità dell'impugnazione.

Come declinare tali principi però nel procedimento peculiare di verifica crediti?

Secondo i giudici di Massa, l'udienza di esame e di formazione dello stato passivo equivale all'udienza di precisazione delle conclusioni e il decreto che dichiara esecutivo lo stato passivo “coincide” con la sentenza.

In altri termini, questo è il provvedimento che definisce il “primo grado” della verifica crediti dinanzi al Giudice Delegato. La seconda fase eventuale è quella di impugnazione con i rimedi previsti dall'art. 98 l.fall.

Trattandosi per l'appunto di veri e propri gravami, essi sono riservati esclusivamente alla parte soccombente in “primo grado”, cioè davanti al Giudice Delegato.

In tali giudizi la soccombenza andrebbe valutata confrontando ciò che il creditore ha chiesto all'udienza di verifica crediti con ciò che il Giudice Delegato ha disposto nel provvedimento che rende esecutivo lo stato passivo. Se la tutela concessa dal giudice è almeno equivalente a quella richiesta, la parte non può dirsi soccombente e la sua impugnazione sarà inammissibile per difetto di legittimazione ad impugnare.

Nel caso di specie il creditore ricorrente non aveva partecipato all'udienza di verifica crediti e non si era avvalso della facoltà ex art. 95, comma 2, l.fall. di presentare osservazioni scritte (con eventuali documenti) al progetto di stato passivo predisposto dal curatore fallimentare.

La parte quindi, nella fase di “primo grado” della verifica crediti dinanzi al giudice delegato, non aveva mai chiesto l'esclusione dei crediti impugnati con il ricorso ex art. 98-99 l.fall., né aveva obiettato alcunché in merito.

Il ricorrente – secondo i giudicanti - non poteva dunque essere considerato soccombente e pertanto non era legittimato ad esperire il rimedio dell'impugnazione dei crediti ammessi (con conseguente pronuncia di inammissibilità).

Osservazioni

La decisione in esame si pone in contrasto con l'opinione prevalente, travalicando la lettera della stessa legge fallimentare.

In effetti non si rinvengono pronunce simili, se non un precedente dello stesso Tribunale citato nel provvedimento in commento (Tribunale di Massa, 21.4.2017).

Si evidenziano pertanto gli orientamenti difformi rispetto alle motivazioni del decreto in commento, prima con riferimento ai concetti generali di soccombenza e interesse ad impugnare, poi in relazione alle specificità del procedimento di verifica crediti nella sua duplice fase (necessaria dinanzi al G.D. ed eventuale di impugnazione al Collegio).

Come detto, il Tribunale opta per una scissione netta tra soccombenza e interesse ad impugnare, abbraccia una definizione formale della prima ed esclude l'ammissibilità dell'impugnazione ove manchi anche uno solo dei due requisiti menzionati.

Simili approdi non sono però unanimemente condivisi in dottrina e in giurisprudenza.

1) In primo luogo i “confini” tra soccombenza e interesse ad impugnare non sono sempre stati delineati in modo chiaro e netto come ritenuto dai giudici toscani, anzi sovente l'interesse viene direttamente ricondotto alla soccombenza formale o sostanziale (si vedano Chiovenda, Principi di diritto processuale civile, Jovene, 1923, 982 e ss. e Redenti, Diritto Processuale Civile, II, Milano, 1953, 318 e ss.).

2) Sotto altro profilo, anche considerando soccombenza e interesse ad agire come elementi distinti, dottrina e giurisprudenza hanno rilevato che non sempre devono sussistere entrambi per fondare la legittimazione ad impugnare.

La dottrina ha infatti individuato casi di interesse ad impugnare in assenza di soccombenza.

Ciò avviene ad esempio nelle ipotesi di inesistenza della sentenza per mancata sottoscrizione del giudice (Attardi, Sulla legittimazione a proporre regolamento di competenza, in Giur. It., 1975, I, 1, 1357; Lancellotti, Premesse alla definizione della soccombenza come requisito di legittimazione alle impugnazioni di parte, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1978, 1569) e nel caso della sentenza che dichiara l'incompetenza rilevata d'ufficio.

La giurisprudenza analogamente ha ammesso l'impugnazione nel caso di sentenza che abbia dichiarato l'estinzione del processo (Cass. 478/1976), nel caso in cui la pretesa della parte sia stata riconosciuta dall'avversario (Cass. 1965/1978) e persino nell'ipotesi in cui la parte soccombente nel merito abbia impugnato la decisione per difetto di giurisdizione del giudice adito dalla parte medesima (Cass. Sezioni Unite 26129/2010, fino però al révirement di Cass. Sez. Unite 21260/2016). Recentemente si è ammessa anche la possibilità per il convenuto di impugnare la sentenza sebbene lo stesso abbia aderito nel corso del giudizio alle domande dell'attore (soprattutto nel caso di controversie in tema di diritti indisponibili, in giurisprudenza si vedano Cass. 2509/2009 e Cass. Sez. Lav. 9684/1998).

Vi sono poi ipotesi di soccombenza solo "teorica" in cui la parte, pur vittoriosa, ha però visto respingere alcune tesi o eccezioni, ovvero accogliere conclusioni per ragioni diverse da quelle prospettate.

Così recentemente ha ricordato Cass. 20451/2017 secondo la quale in simili casi la parte difetta dell'interesse a impugnare e deve invece riproporre le domande o eccezioni respinte o dichiarate assorbite nel giudizio di primo grado per evitare le decadenze ex art. 346 c.p.c.

Analogamente deve escludersi per la parte integralmente vittoriosa l'interesse ad impugnare la sentenza con il solo fine di ottenere una modifica delle motivazioni, a meno che da queste ultime possa dedursi un'implicita statuizione contraria all'interesse della parte medesima (si vedano Cass. 26921/2008; Cass. 13381/2011; per una dettagliata casistica si rimanda a Santini, in Le impugnazioni civili - a cura di Luiso-Vaccarella, Torino, 2013, 61 e ss.).

3) Infine, la decisione in commento pare essere ispirata ad una concezione formale di soccombenza da valutare, come detto, solo in relazione alle effettive domande della parte.

In realtà si ammette anche una nozione di soccombenza più ampia e meno "tecnica", legata "alla concreta posizione delle parti che hanno trovato la loro determinazione nella sentenza" (Satta, Commentario al codice di procedura civile, II, 2, 1959, 20).

Ciò che rileva non è quindi solo la domanda proposta, ma anche il più ampio complesso delle eccezioni, istanze e questioni rilevabili d'ufficio (si rimanda per tale distinzione ex multis a Salvaneschi, Soccombenza materiale e soccombenza processuale: spunto per una riflessione intorno all'interesse a impugnare, in Riv. Dir. Proc., 1983, 570).

Una soccombenza dunque "sostanziale", "correlata al pregiudizio che la parte subisca a causa della decisione da apprezzarsi in relazione all'utilità giuridica che può derivare al proponente il gravame dall'eventuale suo accoglimento" (Cass. 13395/2018); “…una nozione sostanziale e materiale di soccombenza che faccia riferimento non già alla divergenza tra le conclusioni rassegnate dalla parte e la pronuncia, ma agli effetti pregiudizievoli che dalla medesima derivino nei confronti della parte” (così Cass. Sez. Lavoro, 29578/2017).

Da quanto precede (soprattutto con riferimento al punto 3) si deduce che la soccombenza che legittima all'impugnazione emerge propriamente in tutti i casi di statuizioni capaci di recare pregiudizio alla parte.

Con riferimento specifico al giudizio di impugnazione dei crediti ammessi ex art. 98 l.fall. si è quindi rilevato che "ogni qualvolta viene accolta la domanda di un creditore, ossia ogni qualvolta viene riconosciuto il diritto di concorrere nella distribuzione dell'attivo, tutti gli altri creditori, in astratto, sono soccombenti rispetto a tale riconoscimento che contrasta con la loro pretesa di soddisfarsi, in tesi integralmente, sul patrimonio del fallito" (così Tribunale di Udine 21.7.2011).

Se infatti si esamina la disciplina specifica dell'impugnazione dei crediti ammessi prevista dagli artt. 98-99 l.fall. si rileva la distanza della decisione del Tribunale di Massa rispetto agli orientamenti oggi maggiormente condivisi sull'argomento.

A) In primo luogo l'art. 98 l.fall. consente il rimedio dell'impugnazione dei crediti ammessi semplicemente ai creditori che sono stati ammessi al passivo, senza alcun riferimento al requisito della soccombenza.

Dal punto di vista testuale quindi non risultano "limitazioni" come quelle proposte dal Tribunale di Massa.

Del resto, pur trattandosi di rimedio di carattere impugnatorio, il rimedio in esame ha una disciplina specifica e tassativa contenuta negli artt. 98 e 99 l.fall., nell'ambito della quale non trova posto il requisito della soccombenza come proposto nel decreto in commento.

B) Sotto altro profilo l'art. 94 l.fall. precisa chiaramente che l'istanza ex art. 93 l.fall. - e solo essa - produce gli effetti della domanda giudiziale, sia sostanziali, sia processuali.

L'art. 93 l.fall. disciplina specificamente il contenuto della domanda di ammissione al passivo non prevedendo alcun onere o obbligo in capo al creditore istante di concludere a propria volta sulle insinuazioni al passivo altrui e sui crediti vantati dagli altri concorrenti. Quindi nella fase dinanzi al Giudice Delegato nei confronti del creditore impugnante non è proposta una domanda rispetto alla quale egli abbia l'onere di prendere posizione, con la conseguenza che non è neppure configurabile a suo carico una soccombenza in senso tecnico (così Menchini-Motto, L'accertamento del passivo e dei diritti reali e personali dei terzi sui beni, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da Vassalli, Luiso, Gabrielli, Vol. II, Giappichelli, Torino 2014, 582).

L'assenza di soccombenza (specie se intesa in senso “formale”) è poi coerente con chi considera l'impugnazione dei crediti ammessi un rimedio affine all'opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. (Pajardi – Paluchowki, Manuale di diritto fallimentare, 2008).

C) Così pure si è rilevato che l'art. 95 l.fall. impone esclusivamente al curatore di "concludere" sulle domande dei creditori, mentre gli altri creditori concorrenti possono tutt'al più formulare eccezioni.

Tale previsione tuttavia si ritiene conceda solo una facoltà ai creditori concorrenti, ma senza "conseguenze" di natura processuale in termini di decadenze o preclusioni circa la possibilità di esperire i rimedi di cui all'art. 98 L.F., nonché di produrre nuovi documenti e sollevare nuove eccezioni in sede di impugnazione (non operando i limiti di cui all'art. 345 c.p.c., si vedano da ultimo Cass. 17286/2016 e Cass. 321/2014).

Dal mancato svolgimento di eventuali osservazioni ex art. 95 l.fall. si è anche negato che possa discendere una acquiescenza rilevante ai sensi dell'art. 329 c.p.c. (in tal senso Cass. 5659/2012; Trib. Mantova 8.5.2012; Trib. Treviso, 4.2.2009) dato che essa potrebbe in ipotesi verificarsi solo dopo una decisione del giudice e non certo prima (così Tribunale di Udine 21.7.2011, si veda anche Cass. 83/1996).

A tutto concedere si è affermato che la mancata presentazione di osservazioni ex art. 95 l.fall. potrebbe al massimo rilevare sul piano probatorio ai danni del creditore non ammesso al passivo che intende svolgere opposizione (Giavarrini, Mancata presentazione di osservazioni al progetto di stato passivo e inammissibilità dell'opposizione, in Giur. Comm., 4, 2010, 726 e ss.), sebbene come detto simile soluzione sia oggi esclusa dal prevalente orientamento giurisprudenziale sopra citato (vedi Cass. 321/2014; Cass. 23462/2014).

L'assenza di preclusioni e decadenze nella fase necessaria dell'accertamento del passivo dinanzi al G.D. è inoltre coerente con la natura sommaria di tale procedura nell'ambito della quale non è neppure prevista la difesa tecnica per alcuna delle parti (così ricorda Amatore, Opposizione al passivo, impugnazione dei crediti e ripartizione dell'onere della prova, 8.10.2012).

D) Da ultimo, dal punto di vista strettamente “pratico”, la novella del 2012 (D.L. 179/2012 convertito in L. 221/2012) ha imposto ai creditori di inviare le domande di ammissione al passivo esclusivamente con modalità telematica a mezzo pec al curatore.

Purtroppo però il curatore, data la mole di documenti, provvede sovente al deposito digitale del solo progetto di stato passivo contenente le richieste avanzate dagli istanti, ma senza la documentazione probatoria relativa.

Ciò impedisce quindi ai creditori di visionare effettivamente l'intero fascicolo telematico del fallimento e limita fortemente la loro facoltà di proporre eccezioni o osservazioni sulle domande altrui ai sensi dell'art. 95 l.fall. (vedi in tal senso Nardecchia, L'accertamento telematico del passivo, 2015, in Il caso).

Rischia di rimanere così frustrata l'aspirazione ad un effettivo "contraddittorio incrociato" nel procedimento di verifica crediti dinanzi al giudice delegato, dato che tale principio presuppone la possibilità di conoscere per tempo le domande degli altri creditori, ma anche e soprattutto gli elementi di prova forniti a supporto.

Anche sotto questo aspetto quindi parrebbe eccessivo gravare i creditori di preclusioni e decadenze per non aver formulato osservazioni e/o eccezioni ex art. 95 l.fall. sulle domande altrui.

Conclusioni

In definitiva l'orientamento oggi maggiormente condiviso sul punto in dottrina e in giurisprudenza è difforme dalla decisione del Tribunale di Massa e fa discendere la legittimazione all'impugnazione dei crediti ammessi semplicemente dalla circostanza che l'impugnante sia a propria volta un creditore concorrente (cioè ammesso al passivo), mentre è irrilevante che nella fase necessaria della verifica crediti dinanzi al Giudice Delegato abbia preso posizione sulle domande altrui chiedendone il rigetto (si vedano in tal senso, Montanari, Le impugnazioni dello stato passivo, in Il nuovo diritto fallimentare, Commentario diretto da Jorio, I, Bologna, , 2006, 1482; Commisso, L'impugnazione dei crediti ammessi, 30.5.2016 e Motto-Menchini, L'accertamento del passivo e dei diritti reali e personali dei terzi sui beni, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da Vassalli, Luiso, Gabrielli, Vol. II, Torino 2014, 581-582).

Discorso diverso è quello dell'interesse ad impugnare.

Il Tribunale di Massa distingue tale requisito dalla soccombenza, ma non lo ha verificato nello specifico, non avendo giudicato, “a monte”, soccombente il creditore.

Nell'ambito dell'impugnazione dei crediti ammessi, infatti, si ritiene che il ricorrente debba avere un interesse concreto ed effettivo a proporre il gravame.

In questo senso si afferma che il creditore ha interesse ad impugnare se, con valutazione prognostica ex ante, dalla propria impugnazione – a prescindere dal merito della stessa – può conseguire per sé un'utilità maggiore di quella derivante dal provvedimento impugnato (Salvaneschi, L'interesse a impugnare, Milano, 1990, 351) o un risultato giuridicamente apprezzabile e non ottenibile altrimenti (Aa.Vv., Art. 69-103, in De Martino, Commentario teorico pratico alla legge fallimentare, Roma, I, 1971, 530).

L'opinione oggi prevalente è dunque nel senso che l'interesse all'impugnazione debba essere valutato con riferimento alla posizione creditoria effettiva del singolo impugnante (in passato invece si affermava che l'interesse all'impugnazione dei crediti ammessi risiedesse anche nel più generale fine pubblicistico di evitare dolose o erronee alterazioni del passivo; in tal senso si veda Cass. 3742/1986).

Ad esempio, si è ritenuto sussistente l'interesse in favore al creditore privilegiato che contesta crediti ammessi poziori o con i quali concorra (Cass. 2304/1968), oppure in capo al creditore chirografario che impugni un credito ammesso di rango privilegiato o un altro credito chirografario.

Di contro, si sono giudicate non ammissibili (o improcedibili): le impugnazioni di crediti chirografari da parte di un creditore privilegiato (Trib. Civitavecchia, 23.3.2001); le impugnazioni svolte dopo il passaggio in giudicato della sentenza di concordato fallimentare che prevede il pagamento integrale di tutti i creditori ammessi (Trib. Pavia, 26.4.2015); le impugnazioni coltivate da creditori ai quali sia stata formulata offerta di pagamento integrale dei relativi crediti da parte dei creditori impugnati (Trib. Torino, 7.1.1988).

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