Concorso di circostanze eterogenee a effetto speciale e ragguaglio della pena pecuniaria

Paolo Pittaro
29 Ottobre 2018

Nella disciplina della fattispecie concreta, del tutto corretti sono i riferimenti alle norme del codice della strada. La questione giuridica sorge, invece, in ordine all'applicazione dell'art. 63, comma 4, c.p. Tale disposizione, come è noto, sancisce la disciplina del concorso omogeneo delle circostanze (così come l'art. 69 c.p. viene a disporre del concorso eterogeneo). Se, dunque, concorrono circostanze dello stesso segno...
Massima

In tema di guida in stato di ebbrezza alcolica, quando concorrano le circostanze aggravanti previste rispettivamente dai commi 2-bis e 2-sexies dell'art. 186 del codice della strada, deve trovare applicazione l'art. 63, comma 4, c.p. In tal caso il giudice dovrà, ai sensi dell'art. 186, comma 2-bis,cod. strada raddoppiare le sanzioni previste dal comma 2 (sia arresto e ammenda) e potrà poi, dandone conto in motivazione, ai sensi dell'art. 63, comma 4,c.p. operare un aumento fino ad un terzo della pena risultante, sia per quanto riguarda la componente detentiva che quella pecuniaria. Tuttavia, nel determinare tale ulteriore aumento, per il principio di legalità della pena e del favor rei, il quantum di aumento relativo all'arresto dovrà essere poi ragguagliato in pena pecuniaria ai sensi dell'art. 135 c.p.

Il caso

L'imputato guidava la sua autovettura in stato di ebbrezza, conseguente all'assunzione di sostanze alcoliche, accertato tramite analisi presso la struttura ospedaliera, per un valore di 2,69 grammi/litro, con l'aggravante di aver commesso il fatto dopo le ore 22 e prima delle ore 7, provocando altresì un incidente stradale.

La Corte d'appello confermava quanto disposto in giudice di prime cure, richiamando le norme penali violate e stabilendo la relativa sanzione.

L'art. 186 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (codice della strada) vieta (comma 1) la guida in stato di ebbrezza in conseguenza dell'uso di bevande alcoliche, stabilendo, al comma 2, lett. c), le pene congiunte dell'ammenda da euro 1.500 a euro 6.000 e dell'arresto da sei mesi ad un anno, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (come nel caso che ci occupa), oltre alla sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni.

Inoltre, il comma 2-bis dispone che se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale, le sanzioni di cui al comma 2 sono raddoppiate, con la revoca della patente di guida ove sia stato superato il suddetto tasso alcolemico.

Infine, il successivo comma 2-sexies stabilisce che l'ammenda prevista dal comma 2 è aumentata da un terzo alla metà quando il reato è commesso dopo le ore 22 e prima delle ore 7 (tale comma è stato inserito dall'articolo 3, comma 55, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94).

In applicazione delle suddette disposizioni la Corte stabiliva la pena base di mesi sei e giorni quindici di arresto ed euro 1.500 di ammenda (ai sensi dell'art. 186, comma 2, codice della strada), con il raddoppio ad anni uno e mesi uno di arresto ed euro 3000 di ammenda (ai sensi del comma 2-bis del medesimo articolo). A questo punto, trovandosi di fronte alla seconda aggravante di cui al comma 2-sexies del suddetto art. 186 cod. strada, dovendo dare applicazione all'art. 63, comma 4, c.p., il quale dispone che se concorrono più aggravanti ad effetto speciale (ossia con un aumento superiore a un terzo della pena) «si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave, ma il giudice può aumentarla», fissava un ulteriore aumento di mesi uno di arresto e di euro 1000 di ammenda, per una sanzione totale di anni uno e mesi due di arresto e di 4000 euro di ammenda, con la correlata revoca della patente di guida.

La questione

Nella disciplina della fattispecie concreta, del tutto corretti sono i riferimenti alle norme del codice della strada. La questione giuridica sorge, invece, in ordine all'applicazione dell'art. 63, comma 4, c.p.

Tale disposizione, come è noto, sancisce la disciplina del concorso omogeneo delle circostanze (così come l'art. 69 c.p. viene a disporre del concorso eterogeneo).

Se, dunque, concorrono circostanze dello stesso segno, il codice effettua alcune distinzioni, a seconda che esse siano a effetto comune (aumento o diminuzione fino ad un terzo) ovvero a effetto speciale (con un aumento o una diminuzione superiore a un terzo); e alle circostanze a effetto speciale sono equiparate quelle con pena di specie diversa.

Tre le ipotesi previste. Se concorrono circostanze a effetto comune, l'aumento o la diminuzione di pena si opera sulla quantità di essa risultante dall'aumento o dalla diminuzione precedente (comma 2). Se, invece, concorrono una circostanza a effetto speciale ed una circostanza a effetto comune, prima si effettua l'aumento o la diminuzione prevista dalla circostanza ad effetto speciale e poi, su tale risultato, l'aumento o la diminuzione di cui alla circostanza ad effetto comune (comma 3). Infine, se abbiamo più circostanze a effetto speciale che concorrono fra di loro, si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave nel caso di aggravanti (comma 3), ovvero quella più ampia nel caso di attenuanti (comma 4), ma in ambedue le ipotesi il giudice può, rispettivamente, aumentare o diminuire ulteriormente la pena, scilicet, ai sensi degli artt. 64 e 65 c.p., fino ad un terzo.

In altri termini, quando concorrono circostanze a effetto speciale fra di loro quella che prevede, rispettivamente, l'aumento ovvero la diminuzione di maggiore portata viene ad assorbire quella minore, evitando in tal modo, almeno secondo l'intenzione del legislatore, di giungere ad una pena di entità sproporzionata nella sua gravità ovvero levità. Sorgendo, tuttavia, in tale ipotesi, una questione relativa al principio di legalità e, soprattutto, di uguaglianza, per cui chi ha commesso il fatto con due circostanze ad effetto speciale verrebbe punito come colui che lo ha commesso con una sola circostanza ad effetto speciale, posto che questa viene ad assorbire la minore, il legislatore ha correttamente disposto che il giudice, in tale caso, può aumentare o diminuire ulteriormente la pena fino ad un terzo, ovviamente secondo la sua discrezionalità guidata dai noti parametri dell'art. 133 c.p.

Nel caso che ci occupa, ci si trova di fronte a due circostanze aggravanti a effetto speciale: la prima prevede un raddoppio della pena base (art. 186, comma 2-bis, cod. strada), mentre la seconda prevede un aumento da un terzo alla metà (art. 186, comma 2-sexies, cod. strada). La questione giuridica sorge nel fatto che la norma base (art. 2, comma 2, c.p.) prevede una pena congiunta dell'arresto e dell'ammenda; che la prima aggravante prevede il raddoppio di tale pena base (id est: le due pene congiunte), mentre la seconda aggravante prevede l'aumento della sola ammenda di cui alla pena base.

Allora, quid iuris, in ordine all'applicazione dell'art. 63, comma 4, c.p.?

Le soluzioni giuridiche

La soluzione dei giudici di merito. I giudici di merito hanno risolto la questione effettuando l'aumento discrezionale di cui all'art. 63, comma 4, c.p., in relazione alle due pene congiunte dell'arresto e dell'ammenda, quali risultanti dall'applicazione della prima aggravante, ossia aumentando sia la misura dell'arresto sia quella dell'ammenda. In altri termini, riconoscendo che la prima aggravante effettua l'aumento più grave, posto che dispone il raddoppio della pena base, l'aumento di cui alla seconda aggravante, essendo di entità minore (da un terzo alla metà) viene ad essere assorbito nel raddoppio di cui alla prima aggravante. Tuttavia, dato che il codice attribuisce la discrezionalità di aumentare ulteriormente la pena, si è disposto tale aumento su ambedue le pene dell'effettuato raddoppio, anche se la norma prevedeva sì la seconda aggravante, ma in riferimento alla sola ammenda.

Il ricorso della difesa. La difesa ricorre per Cassazione lamentando, per la parte che qui ci interessa, l'erronea applicazione dell'art. 63, comma 4. c.p., in quanto il giudice del gravame, a fronte di una circostanza ad effetto speciale quale quella dell'art. 186, comma 2-sexies, cod. strada, che prevede l'aumento della sola pena pecuniaria, ha operato, in applicazione dell'art. 63, comma 4, c.p., un aumento anche della pena detentiva.

Infatti, una volta raddoppiata, ai sensi dell'art. 186, comma 2-bis, sia la pena detentiva che quella pecuniaria, l'applicazione dell'ulteriore aggravante di cui al successivo comma 2-sexies, comporterebbe l'aumento della sola pena pecuniaria. Pertanto, agendo in conformità del disposto dell'art. 63, comma 4, c.p., una volta applicato l'aumento della prima e più grave circostanza ad effetto speciale, l'ulteriore incremento discrezionale avrebbe dovuto investire solo ed esclusivamente la pena pecuniaria e non anche quella detentiva.

Diversamente argomentando, così come espresso dai giudici di merito, l'operatività del citato art. 63, comma 4, c.p. si risolverebbe in un trattamento contra reum non ammissibile alla luce dei princìpi dell'ordinamento penale sostanziale.

In definitiva, i giudici di appello avrebbero dovuto, una volta raddoppiata la sanzione determinata per la violazione del comma 2-bis, esercitare il potere discrezionale riconosciuto dal comma 4 dell'art. 63, operando un ulteriore aumento, ma soltanto della pena pecuniaria e non anche di quella detentiva: nella fattispecie anni uno e mesi uno di arresto e 4000 euro di pena detentiva.

La decisione della Suprema Corte. La Cassazione ritiene il gravame fondato, ma con conseguenze diverse da quelle prospettate dal ricorrente.

Gli ermellini, infatti, affermano di dover tener conto di quanto recentissimamente affermato dalle Sezioni unite nella sentenza Giglia ed altro: Cass. pen., Sez. unite, 24 settembre 2018, n. 40983 (per una prima lettura v. BERTOLESI, Le motivazioni delle Sezioni Unite in tema di continuazione tra reati puniti con pene eterogenee, in Dir. pen. cont., 9 ottobre 2018, GALASSO, Le Sezioni Unite risolvono la questione della continuazione tra reati puniti con pene eterogenee, in Dir. & Giust., 25 settembre 2018, e SCARCELLA, Continuazione tra reati puniti con pene eterogenee: le SS.UU. risolvono il contrasto, in Quotidiano giuridico, 27 settembre 2018).

Il tema, invero, concerneva la disciplina del reato continuato (art. 81, commi 2, 3 e 4, c.p.) e, più esattamente, se poteva effettuarsi l'aumento dell'aumento fino al triplo per la pena relativa alla violazione più grave in ipotesi di reati puniti con pene eterogenee per genere (pena detentiva e pena pecuniaria: reclusione/multa; arresto/ammenda) e non per specie (reclusione/arresto; multa/ammenda).

La questione era dibattuta e risalente nel tempo, oscillando fra varie soluzioni fra l'impossibilità di effettuare la continuazione ed applicazione del concorso materiale di reati fino all'aumento fino al triplo tout court della più grave pena detentiva, anche se tale aumento rischiava di violare il principio di legalità, in quanto il reato satellite, che prevedeva la sola pena pecuniaria, vedeva alla fine una condanna a pena detentiva. Molto più nitida la soluzione della maggioranza della dottrina, che da sempre sosteneva che l'aumento sulla pena detentiva doveva essere convertito in pena pecuniaria alla stregua del ragguaglio normativamente previsto (art. 185 c.p.).

A fronte di pronunce tuttora contrastanti delle singole sezioni (Cass. pen., Sez. V, 3 ottobre 2016, n. 46695: deve escludersi l'applicabilità dello speciale criterio di determinazione della pena, stabilito nei primi due commi dell'art. 81 c.p., nei casi in cui il concorso formale e la continuazione abbiano ad oggetto reati puniti con pene eterogenee o di specie diversa, poiché in tali ipotesi l'unificazione delle pene diverse, con relativo aumento di quella prevista per il reato più grave, determina la conversione delle pene per i reati satellite in pene più gravi per genere o specie, in violazione del principio del "favor rei" che ispira la disciplina del reato continuato; Cass. pen., Sez. V, 13 aprile 2017, n. 26450: ai fini del trattamento sanzionatorio del reato continuato occorre applicare una sola pena, dello stesso genere e della stessa specie di quella del reato più grave, anche quando l'aumento apportato ai sensi dell'art. 81, comma secondo, c.p. abbia ad oggetto reati satellite appartenenti a diverse categorie e puniti con pene eterogenee o di specie diversa), la questione veniva rimessa alla decisione delle Sezioni unite (Cass. pen., Sez. IV, 11 aprile 2018, n. 16104, in Dir. pen. cont., fasc. 5, 2018, p. 337, con nota di BERTOLESI, Alle Sezioni Unite la questione dell'ammissibilità della continuazione tra reati puniti con pene eterogenee).

Le Sezioni Unite hanno risolto il quesito con la citata sentenza n. 40983 (per un sintetico quadro dell'intera questione cfr., da ultimo e per tutti, MARINUCCI- DOLCINI-GATTA, Manuale di diritto penale, Parte generale, 7a ed., Milano, 2018, p. 567-569), stabilendo il seguente punto di diritto: «la continuazione, quale istituto di carattere generale, è applicabile in ogni caso in cui più reati siano stati commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso, anche quando si tratta di reati appartenenti a diverse categorie e puniti con pene eterogenee. Nei casi di reati puniti con pene eterogenee (detentive e pecuniarie) posti in continuazione, l'aumento di pena per il reato satellite va comunque effettuato secondo il criterio della pena unitaria progressiva per moltiplicazione, rispettando tuttavia, per il principio di legalità della pena e del favor rei, il genere della pena previsto per il reato satellite, nel senso che l'aumento della pena detentiva del reato più grave andrà ragguagliato a pena pecuniaria ai sensi dell'art. 135 c.p.».

La Corte di cassazione, pur riconoscendo correttamente che la situazione rimessa al suo scrutinio è simile, ma non esattamente la stessa di quella giudicata dalla Sezione Unite, ciononostante ritiene che quel decisum investa e sia applicabile al caso presente.

Afferma, infatti, la Corte che ove concorresse la sola aggravante di cui all'art. 186, comma 2-sexiescod. strada, sarebbe pacificamente aumentata solo la pena pecuniaria, mentre qualora concorrano, come nel caso in oggetto, le circostanze aggravanti di cui all'art. 186, comma 2-bis e comma 2-sexiescod. strada, si avrebbe un doppio aumento sia della pena detentiva che di quella pecuniaria. Il che è esattamente quanto sancito dalla sentenza oggetto del ricorso ma che porta a quella stortura propria di una situazione violativa del principio di legalità della pena e del favor rei affatto sovrapponibile a quella che richiamata pronuncia delle Sezioni Unite hanno voluto evitare.

Pertanto, il Supremo Collegio afferma il seguente principio di diritto: «In tema di guida in stato di ebbrezza alcolica di cui all'art. 186, comma 2, cod. strada quando concorrano le circostanze aggravanti previste rispettivamente dai commi 2-bis e 2-sexies del citato art. 186, deve trovare applicazione l'art. 63, comma 4, c.p. In tal caso, pertanto, il giudice dovrà, ai sensi dell'art. 186, comma 2-bis,cod. strada raddoppiare le sanzioni previste dal comma 2 (sia arresto e ammenda che durata della sanzione accessoria) e potrà poi, dandone conto in motivazione, ai sensi dell'art. 63 co. 4 c.p. operare un aumento fino ad un terzo della pena risultante, sia per quanto riguarda la componente detentiva che quella pecuniaria. Tale ulteriore aumento, pertanto, andrà comunque operato secondo il criterio della pena unitaria progressiva per moltiplicazione – e quindi, va ribadito, l'aumento dovrà riguardare entrambe le pene (arresto e ammenda) – ma, per il principio di legalità della pena e del favor rei, il quantum di aumento relativo all'arresto dovrà essere poi ragguagliato in pena pecuniaria ai sensi dell'art. 135 c.p. (Euro 250 di pena pecuniaria per ogni giorno di pena detentiva)».

In definitiva, la Suprema Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio che determina in anni uno e mesi uno di arresto ed euro 11.500 di ammenda: sanzione risultante dalla pena base raddoppiata (anni uno e mesi uno e euro 3000 di ammenda), aumentata, ai sensi dell'art. 63, comma 4, c.p. di un mese e di 1000 euro, ove il mese di aumento, secondo il criterio di ragguaglio di cui all'art. 135 c.p., viene trasformato in euro 7500, che sommati agli inziali euro 3000 più i 1000 euro di aumento arrivano agli 11.550 euro.

Osservazioni

A nostro sommesso avviso, la soluzione della Corte suscita una certa perplessità. Le due situazioni prospettate, per quanto presentino una certa similarità sono affatto diverse, anche se dobbiamo riconoscere che la Corte ne dà preliminarmente atto. Ma una questione è il rapporto fra illeciti diversi (reato base e reato satellite) puniti con pene di genere diverso, mentre altra questione concerne il concorso di circostanze eterogenee ad effetto speciale, ove la seconda circostanza è una sola e di tipo pecuniario. Fosse stato il successivo aumento, al pari del primo, riferibile ad ambedue le circostanze (detentiva e pecuniaria), nulla quaestio. Ma se il secondo aumento viene ad investire solo la circostanza a pena pecuniaria, non si vede perché l'aumento debba coinvolgere pure quella detentiva, per poi ragguagliarlo a pena pecuniaria. Se la ratio è quella del rispetto del principio di legalità e, soprattutto, del favor rei, la soluzione prospettata nel ricorso della difesa sembrerebbe più ragionevolmente corretta.