Alla ricerca di uno statuto definitivo per il danno non patrimoniale

30 Ottobre 2018

Quasi un intero decennio ci separa dalle sentenze con le quali la Cassazione, a Sezioni Unite, si era proposta il compito di scolpire lo statuto relativo al risarcimento del danno non patrimoniale. Malgrado il lungo tempo trascorso, la materia appare ancora lungi dall'aver assunto una sistemazione definitiva. Prova ne sia il fatto che i giudici di legittimità continuano ad intervenire su tale argomento, stilando nuove liste di regole non sempre corrispondenti a quelle dettate nelle pronunce del novembre 2008..
Le voci del danno non patrimoniale

Quasi un intero decennio ci separa dalle sentenze con le quali la Cassazione, a Sezioni Unite, si era proposta il compito di scolpire lo statuto relativo al risarcimento del danno non patrimoniale. Malgrado il lungo tempo trascorso, la materia appare ancora lungi dall'aver assunto una sistemazione definitiva. Prova ne sia il fatto che i giudici di legittimità continuano ad intervenire su tale argomento, stilando nuove liste di regole non sempre corrispondenti a quelle dettate nelle pronunce del novembre 2008: come sottolineato nell'intervento del Dott. Spera, Time out: il “decalogo” della Cassazione sul danno non patrimoniale e i recenti arresti della Medicina legale minano le sentenze di San Martino (in Ridare.it). Di particolare impatto, sotto questo punto di vista, appare la recente sentenza n. 901/2018, nonché la successiva ordinanza n. 7513/2018 della S.C.: provvedimenti all'interno dei quali i giudici di legittimità sembrano intenzionati a definire, una volta per tutte, cosa debba intendersi per danno non patrimoniale e quale significato assuma il riconoscimento della natura unitaria di tale pregiudizio da parte delle Sezioni Unite.

Le menzionate decisioni puntano a riconoscere – come, peraltro, già avvenuto varie volte in passato (v., ad esempio, Cass. civ., n. 20292/2012; Cass. civ., n. 22585/2013; Cass. civ., n. 11851/2015; Cass. civ., n. 7766/2016) – che l'area non patrimoniale del pregiudizio comprende le distinte componenti del danno morale e del danno dinamico-relazionale. Viene superata, in maniera del tutto condivisibile, la generica definizione del pregiudizio attraverso la sola qualifica della “non patrimonialità”: che di per sé – in quanto connotata esclusivamente in termini negativi – non consente di identificare in maniera compiuta le caratteristiche che connotano le compromissioni suscettibili di risarcimento. Nelle summenzionate pronunce, la S.C. riconosce come si tratti di ripercussioni facenti capo a fenomeni i quali vengono a diversificarsi sul piano ontologico, per cui andranno ricondotti a componenti separate. Al di là delle apparenze, una simile prospettiva non viene - in realtà - a collidere con le indicazioni delle sentenze di San Martino. In effetti, anche queste ultime operavano una distinzione tra le varie voci non patrimoniali, pur preoccupandosi di sottolineare la valenza puramente descrittiva di tale diversificazione. Lo scopo di una simile precisazione era, a ben vedere, non già quello di negare la diversità intercorrente tra le varie poste del pregiudizio, bensì quello di evitare che venisse praticata, per le stesse, una differenziazione sul piano disciplinare; si voleva, in buona sostanza, garantire che tutto il danno non patrimoniale venisse ricondotto sotto l'ombrello unitario dell'art. 2059 c.c. Ora, è evidente che l'applicazione di una regola risarcitoria univoca può essere perseguita anche a fronte del riconoscimento circa l'esistenza di pregiudizi riconducibili a differenti ambiti fenomenologici: si tratta, semplicemente, di sottolineare che gli stessi vengono comunque a ricadere nella più generale categoria del danno non patrimoniale. Ed è a quest'ultima, intesa nel suo complesso, che andrà applicata la disciplina selettiva.

Danno morale

Per quel che concerne il danno morale, le summenzionate pronunce della Cassazione si rifanno all'idea che entro tale area debbano ricadere le sofferenze provocate dall'illecito: in entrambi i provvedimenti si fa riferimento, infatti, a una molteplicità di stati d'animo negativi innescati dal torto, quali dolore dell'animo, vergogna, paura, disperazione, rimorso, malinconia, tristezza, disistima di sé, e via dicendo.

Con riguardo al turbamento emotivo, controversa è apparsa – in passato - la demarcazione tra danno morale e danno psichico, quale specie di danno biologico. Sul punto, le Sezioni Unite del novembre 2008 affermano che la sofferenza soggettiva potrebbe essere liquidata autonomamente - sotto la veste di danno morale - ove confinata a livello di turbamento dell'animo e dolore intimo; mentre nel caso in cui si verifichino degenerazioni patologiche, tale pregiudizio rientrerebbe nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente. Sulla scorta di tali considerazioni - nonché dell'idea secondo cui costituirebbe duplicazione risarcitoria, in caso di lesione alla salute, la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale – le Sezioni Unite finivano per affermare la perdita di autonomia di quest'ultima voce nelle ipotesi di illecito lesivo dell'integrità psico-fisica della persona. Alle diatribe innescate da tale affermazione puntano a porre fine le recenti pronunce della S.C., dove l'autonomia del danno morale viene esplicitamente riconosciuta anche nei casi in cui le sofferenze di carattere emotivo conseguano alla lesione della salute. Trattandosi di compromissioni che si differenziano dal danno biologico, è utile sottolineare che non potranno essere rappresentate come un elemento di personalizzazione di quest'ultimo, in quanto personalizzare significa aumentare o diminuire la liquidazione relativa a una determinata posta del pregiudizio in ragione delle caratteristiche individuali del soggetto leso, e non già fagocitare entro una componente dell'area non patrimoniale riflessi pregiudizievoli propri di un'altra voce. A tale conclusione si perviene analizzando, in primo luogo, la definizione normativa del danno biologico: la quale risulta comprensiva della negativa incidenza della menomazione sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, ma non fa alcun riferimento alle ripercussioni riguardanti la sfera emotiva di quest'ultimo. Il fatto che la sofferenza emotiva sia indotta da una lesione della salute non viene, dunque, per alcun verso a mutarne la natura. La conclusione – sottolineata dall'ordinanza n. 7513/2018 – è che, in caso di lesione alla salute, costituiscono componente autonoma rispetto al danno biologico i pregiudizi incarnati dalla sofferenza interiore, i quali “non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente”.

È importante sottolineare che la diversità tra le due componenti del pregiudizio investe il piano fenomenologico. Si tratta, in ogni caso, di compromissioni scaturenti dalla lesione all'integrità psico-fisica della vittima: per cui non appare condivisibile l'idea di ricollegare l'autonomia del danno morale (provocato da uno stato di invalidità della vittima) a una presunta diversità dell'interesse leso in capo al danneggiato. Fuorviante risulta, da questo punto di vista, riconoscere – quale fonte del danno morale – una lesione della dignità della persona. È ben vero che quest'ultima è stata, talora, evocata dalla giurisprudenza di legittimità; ma ciò allo scopo di includere nell'area morale del pregiudizio una dimensione diversa da quella strettamente sofferenziale. In questa prospettiva, si punta a riconoscere la ricorrenza di uno specifico profilo di danno nei casi in cui l'illecito abbia determinato un oltraggio, nei confronti della vittima, corrispondente al disconoscimento del suo valore di persona: una conseguenza negativa, dunque, diversa e indipendente dal turbamento emotivo patito dal danneggiato, corrispondente a una ripercussione di carattere oggettivo percepibile a livello di coscienza sociale. Nulla ha a che vedere un simile pregiudizio con il turbamento emotivo discendente dalla menomazione alla salute.

Passando al piano della quantificazione del danno derivante dalla lesione all'integrità psico-fisica, va sottolineato che il riconoscimento della diversità ontologica ricorrente tra danno biologico e danno morale non impedisce di fare ricorso a un calcolo di carattere unitario. Così avviene in seno alle tabelle del Tribunale di Milano: le quali, avendo ben presente la distinzione concettuale tra le due componenti, hanno convogliato entrambe, per quel che riguarda la quota standard, nella determinazione del valore del punto di invalidità; riservando, nel contempo, al giudice la possibilità di personalizzare la liquidazione tenendo conto, lungo entrambi i profili del pregiudizio, delle compromissioni peculiari patite dalla vittima. Risulta, quindi, del tutto condivisibile l'affermazione secondo cui “la liquidazione congiunta di tutti tali pregiudizi non comporti necessariamente la negazione della loro distinta entità ed ontologica autonomia” (v. Spera, op. cit., § 4).

La sentenza n. 901/2018 sottolinea come la diversificazione tra sofferenza interiore e compromissioni relazionali resti ferma anche nelle tabelle normative disciplinate per le micropermanenti - causate da sinistri stradali e responsabilità sanitaria - dall'art. 139 cod. ass. e, per le lesioni di non lieve entità, dall'ancora inattuato art. 138 cod. ass. A tale riguardo, va osservato che - a differenza delle tabelle milanesi – quelle normative prevedono un criterio di calcolo che non consente di tener conto in maniera completa della componente morale del danno. Per quanto riguarda la tabella di cui all'art. 139 cod. ass. - destinata a governare, dopo la novella del 2017, l'intero danno non patrimoniale scaturente dalle micropermanenti – non ha avuto luogo alcuna rideterminazione volta a includere nella costruzione del valore del punto la dimensione standard del pregiudizio morale; di quest'ultima, peraltro, non si può tener conto nemmeno a livello di personalizzazione, visto che quest'ultima viene ricollegata esclusivamente alle sofferenze morali di particolare intensità. Per quel che concerne l'art. 138 cod. ass. – riformato per essere riferito al complessivo danno non patrimoniale discendente dalla lesione alla salute – si è assistito alla revisione del relativo metodo di calcolo, integrato attraverso l'inclusione nel valore del punto di una quota corrispondente alla componente morale del pregiudizio di carattere standard; la lacuna, in questo caso, riguarda la possibilità di personalizzare la liquidazione in ragione delle peculiari sofferenze della vittima, dal momento che la norma si riferisce alla sola dimensione dinamico-relazionale. Bisogna, pertanto, concludere che nelle due disposizioni – miranti a liquidare il danno non patrimoniale complessivamente inteso – non è stato applicato il rigore scientifico necessario per consentire la considerazione delle distinte componenti del pregiudizio derivante dalla lesione alla salute.

Un rilievo finale va riservato all'eventuale ruolo che può ricoprire il medico legale con riguardo all'accertamento del turbamento emotivo provocato dallo stato di invalidità (permanente o temporanea) della vittima. Va osservato che, in quanto soggetto deputato ad accertare sul piano scientifico la lesione dell'integrità psico-fisica come concretamente sofferta dalla vittima, il medico legale è in grado di fornire compiuti riscontri di carattere qualitativo utili per poter determinare l'ordine di grandezza dell'impatto emotivo che quel certo tipo di invalidità ha prodotto in capo a quella specifica persona. Si tratta, pertanto, di indicazioni delle quali il giudice dovrà tener conto all'atto della valutazione del danno non patrimoniale complessivamente inteso: per determinare, in particolare, se le compromissioni sofferenziali subite dalla vittima si spingano o meno oltre il limite della quota standard compresa nel calcolo tabellare.

Danno dinamico-relazionale

La componente del danno non patrimoniale che coinvolge la sfera esterna della vittima viene identificata, nelle più volte menzionate pronunce della S.C., nei termini di “danno dinamico- relazionale”. La scelta di un'etichetta del genere riflette il (non dichiarato) intento di evitare il richiamo a una voce come quella del danno esistenziale, oggetto di aperta ostilità da parte delle Sezioni Unite del novembre 2008. Una scelta lessicale del genere può, tuttavia, generare ambiguità di vario tipo, in virtù del possibile aggancio al danno alla vita di relazione, quale voce appartenente a un passato oramai remoto, che potrebbe riesumare questioni oramai archiviate da tempo. Il fatto che, parlando di danno dinamico-relazionale, i giudici di legittimità intendano in realtà riferirsi al danno esistenziale è esplicitato dalla sentenza n. 901/2018, la quale riconosce la sovrapposizione tra due concetti: precisando che il danno esistenziale, secondo le indicazioni giurisprudenziali corrisponde al “pregiudizio di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, inducendolo a scelte di vita diversa quanto alla espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno”. Sembrerebbe giunto il momento, allora, di archiviare le battaglie del passato, per riconoscere come la componente esterna del pregiudizio non patrimoniale possa essere pacificamente identificata con il nome di danno esistenziale.

Danno biologico

Sul piano fenomenologico i giudici di legittimità mettono in evidenza una contrapposizione, da un lato, tra danno morale, riguardante la dimensione interiore del pregiudizio, e, dall'altro lato, danno dinamico relazionale (rectius: esistenziale) e danno biologico - entrambi riguardanti la sfera esterna della persona. A differenziare queste ultime due voci sarà esclusivamente il tipo di interesse leso: che in caso di danno biologico è quello alla salute, mentre il danno dinamico-relazionale discende dalla violazione di altri interessi costituzionalmente protetti.

Secondo l'ordinanza n. 7513/2018 il danno biologico verrebbe a corrispondere, in tutto e per tutto, alle compromissioni di carattere dinamico-relazionale provocate dalla lesione alla salute. Un'indicazione del genere finisce, tuttavia, per obliterare quella che in passato veniva identificata nei termini di componente statica del danno biologico, la quale trova ancor'oggi riscontro nella relativa definizione normativa. Ricordiamo che il legislatore identifica il danno biologico (anche) nei termini di lesione all'integrità psico-fisica: riferimento da leggere alla luce del principio generale, secondo cui ogni pregiudizio non patrimoniale rappresenta una conseguenza della lesione, e non può identificarsi con quest'ultima. Posto che la lesione alla salute incide, in prima battuta, sul corpo o sulla psiche della vittima, il danno viene a concretizzarsi, anzitutto, nella diminuita funzionalità degli stessi. È tale disfunzionalità a incarnare quella che in passato veniva definita componente statica del pregiudizio; cui andrà a sommarsi la proiezione negativa che la menomazione produce nella vita quotidiana del soggetto e, più ampiamente, nella dimensione dinamico-relazionale (espressione, questa, impiegata per la prima volta nell'art. 13 del d. lgs. 38/2000, ove viene utilizzata al fine di affermare che la tabella delle menomazioni, riguardando il danno biologico, deve comprendere anche tale aspetto del pregiudizio, con il preciso intento di escludere la risarcibilità, a fronte di una lesione alla salute, di un'ulteriore voce corrispondente al danno esistenziale). Ciò implica che un danno biologico dovrà essere liquidato ogni volta che ricorra una menomazione anatomo-funzionale, anche a prescindere dalla sussistenza di ulteriori riflessi dinamico-relazionali dalla stessa indotti (come – per fare un esempio - nel caso della giovane suora di clausura che riporti, a seguito di un errato intervento chirurgico, una menomazione permanente all'appartato riproduttivo: benché tale situazione non venga a ripercuotersi nella sua dimensione dinamico-relazionale, è innegabile che dovrà comunque essere liquidato il pregiudizio derivante dalla minorazione della complessiva validità della persona).

Sul versante delle compromissioni di carattere dinamico-relazionale, l'ordinanza n. 7513/2018 evidenzia la distinzione tra conseguenze standard, comuni a tutti i soggetti che dovessero patire quel certo tipo di invalidità, ed (eventuali) conseguenze peculiari, legate alla particolarità del caso concreto. Mentre queste ultime devono essere oggetto di specifica prova, e solo in tal caso il giudice potrà tenerne conto ai fini di un incremento della liquidazione, le compromissioni di carattere standard potranno essere date per scontate, sulla base di un ragionamento di carattere presuntivo. Resta da valutare la conclusione, cui pervengono i giudici di legittimità, secondo cui le compromissioni dinamico-relazionali di carattere ordinario risulterebbero comprese all'interno del calcolo tabellare, per cui in relazione alle stesse non potrebbe mai applicarsi alcun tipo di personalizzazione. L'interrogativo da porsi riguarda, allora, ciò che va inteso quale compromissione ordinaria (considerato che, nel caso di specie, la pronuncia n. 7513/2018 valutava a tal stregua la cura dell'orto e del vigneto da parte della vittima).

Le tabelle milanesi utilizzano un valore del punto comprensivo degli aspetti relazionali (così come quelli anatomo-funzionali e sofferenziali) medi. Ciò significa che, a un determinato livello di invalidità, viene fatto corrispondere un certo impatto relazionale (riguardante, rammentiamo, la sfera affettiva, le attività culturali, quelle sportive, gli hobby, e così via) che non abbisogna di prova, in quanto di norma ricollegabile a quel certo grado di menomazione. Parlare di valore medio non implica fare riferimento alle attività ordinarie: una determinata attività – pensiamo alla pratica sportiva della corsa – può essere comunemente diffusa presso la popolazione, ma nella situazione particolare della vittima è suscettibile di coinvolgere la dimensione esistenziale in maniera del tutto peculiare, laddove si tratti ad esempio di un atleta dilettante che abbia fatto di quello sport la sua ragione di vita e che nello stesso investa la maggior parte del suo tempo. È ovvio che, laddove l'invalidità incida su tale attività, sarà indispensabile personalizzare il danno; ove così non fosse, rischieremmo di valorizzare a livello di personalizzazione esclusivamente attività poco diffuse e/o stravaganti. Ogni volta che la vittima sia riuscita a dimostrare che la menomazione sofferta ha prodotto un rilevante rovesciamento della sua agenda di vita, sarà allora necessario tenerne conto a livello di personalizzazione, al di là di qualunque valutazione circa il carattere ordinario o straordinario dell'attività. Un ulteriore rilievo, quanto alla componente relazionale inclusa nelle tabelle, riguarda il fatto che - a ogni valore percentuale del punto – corrispondono menomazioni di carattere variegato; a parità di incidenza sulla complessiva validità dell'individuo, potremmo trovarci di fronte a menomazioni suscettibili di riflettersi con portata fortemente diversificata sul piano dinamico-relazionale. Nei casi in cui un certo tipo di menomazione comporti, ancorché sul versante ordinario, una ripercussione relazionale di particolare impatto, la quota di danno compresa in tabella finirebbe allora per non riflettere in maniera esaustiva il versante standard di tale pregiudizio, che dovrebbe essere recuperato a livello di personalizzazione dal giudice. È a quest'ultimo che tocca, quindi, tener conto di tutte le problematiche del caso per operare una liquidazione che, per tale motivo, non può mai essere confinata nell'automatismo tabellare.

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