Non è nulla la transazione sul credito per il rimborso di somme anticipate per il mantenimento del figlio minore
30 Ottobre 2018
Massima
Il genitore può legittimamente rinunciare al credito per il rimborso delle spese anticipate per il mantenimento del minore, trattandosi di credito entrato a far parte del suo patrimonio e, dunque, non qualificabile come indisponibile. Conseguentemente, non è affetta da nullità ai sensi dell'art. 1966, comma 2, c.c. la transazione avente ad oggetto il credito per il rimborso delle spese anticipate per il mantenimento del minore. Il caso
Tizia aveva proposto ricorso dinanzi al tribunale per ottenere il rimborso delle spese sostenute per il mantenimento del figlio minore nato dalla relazione more uxorio con Caio e la liquidazione di un assegno di mantenimento da porsi a carico del padre naturale. Sospeso il giudizio nell'attesa della definizione di altro procedimento pendente innanzi al tribunale dei minorenni concernente l'affidamento del minore, successivamente il tribunale dichiarava improcedibile il ricorso per tardiva riassunzione. Tizia proponeva reclamo, e la Corte d'appello lo accoglieva annullando il decreto e disponendo la prosecuzione del giudizio con il rito camerale. All'esito dell'istruttoria, la Corte accoglieva il reclamo condannando Caio al pagamento in favore di Tizia di una somma mensile a titolo di mantenimento per il figlio minore. La Corte d'appello aveva, in particolare, ritenuto nulla la transazione stipulata dalle parti con riguardo al mantenimento del figlio minore, poiché avente ad oggetto un diritto indisponibile. Caio proponeva ricorso in Cassazione deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1966 e 1419 c.c., atteso che il versamento preventivo di una somma da un genitore all'altro, per il mantenimento di un figlio minore in misura equivalente o superiore alle spese necessarie, non costituisce diritto indisponibile: conseguentemente, non potrebbe ritenersi nulla la transazione stipulata dalle parti con riguardo al mantenimento del figlio minore. La questione
La Cassazione ha esaminato la questione se il credito per il rimborso di somme anticipate da un genitore all'altro, per il mantenimento di un figlio minore in misura equivalente o superiore alle spese necessarie, costituisca o meno diritto indisponibile e, dunque, non sia suscettibile di transazione. Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte ha ritenuto che il genitore può legittimamente rinunciare al credito per il rimborso delle spese anticipate per il mantenimento del figlio minore, trattandosi di credito entrato a far parte del suo patrimonio e, dunque, non qualificabile come indisponibile. Pertanto, non può ritenersi affetta da nullità ai sensi dell'art. 1966, comma 2, c.c. la transazione avente ad oggetto il credito per il rimborso delle spese anticipate per il mantenimento del figlio minore. La soluzione adottata dai Giudici di legittimità appare conforme all'opinione della dottrina maggioritaria che reputa valido l'accordo transattivo avente ad oggetto il diritto al mantenimento, qualificato come diritto disponibile. Invece, con non riferimento al diritto agli alimenti ricondotto ai diritti indisponibili per legge, la dottrina ritiene che possano costituire oggetto di transazione solo i crediti relativi alle prestazioni arretrate, mentre ricadrebbe nella previsione dell'art. 1966, comma 2 la disposizione dei crediti non ancora maturati. Osservazioni
Il quesito relativo alla possibilità per i coniugi di ricorrere allo strumento transattivo per regolare i propri rapporti di diritto familiare è stato affrontato molteplici volte nel corso degli anni dalla giurisprudenza di legittimità, la cui posizione ha subito una lenta ma inesorabile evoluzione nel tempo. In passato la Suprema Corte aveva affermato che il preventivo accordo con cui i coniugi stabiliscono, in costanza di matrimonio, il relativo regime giuridico in caso di divorzio, anche in riferimento ai figli minori, convenendone l'immodificabilità per un dato periodo di tempo, è invalido, nella parte riguardante i figli, per l'indisponibilità dell'assegno dovuto ai sensi dell'art. 6 l. 1 dicembre 1970 n. 898, e, nella parte riflettente l'assegno spettante all'ex coniuge a norma del precedente art. 5, per contrasto sia con l'art. 9 della stessa legge, che non consente limitazioni di ordine temporale alla possibilità di revisione del suindicato regime, sia con l'art. 5 citato, che, fissando i criteri per il riconoscimento e la determinazione di un assegno all'ex coniuge, configura un diritto insuscettibile, anteriormente al giudizio di divorzio, di rinunzia o transazione, attesa l'illiceità della causa di un negozio siffatto, perché sempre connessa esplicitamente o implicitamente, all'intento di viziare, o quanto meno di circoscrivere, la libertà di difendersi in detto giudizio, con irreparabile compromissione di un obbiettivo d'ordine pubblico come la tutela dell'istituto della famiglia (Cass. civ., sez. I, 10 giugno 1981, n. 3777). Le decisioni in argomento concernevano soprattutto quelle convenzioni assunte in sede o in occasione della separazione ed attinenti al conseguente divorzio, in linea di principio invalide in particolare se riferite alla determinazione o alla rinuncia all'assegno divorzile, per il riconosciuto carattere assistenziale. Essendo indisponibili i diritti patrimoniali conseguenti allo scioglimento del matrimonio è stata, difatti, affermata la nullità per illiceità della causa gli accordi con i quali i coniugi in sede di separazione escludono l'eventuale diritto del coniuge che non ha mezzi adeguati all'assegno divorzile (Cass. civ., sez. I, 30 gennaio 2017, n. 2224; Cass. civ., sez. I, 20 marzo 1998, n. 2955). La Cassazione già in passato riteneva, all'opposto, leciti gli accordi di natura transattiva nei soli casi in cui la transazione ha riguardato rapporti pregressi «senza alcun riferimento esplicito o implicito, al futuro assetto dei rapporti economici tra i coniugi conseguenti all'eventuale pronuncia di divorzio»; precisando altresì (per evitare comunque di far incorrere nella nullità l'accordo posto al suo vaglio) che si esclude che un rapporto tra il negozio transattivo e l'eventuale e futuro divorzio possa ritenersi esistente «per il fatto che una parte di tale accordo sia stata trasfusa nella separazione consensuale, non essendovi alcun nesso di strumentalità o di consequenzialità necessaria tra detta separazione ed il futuro ed eventuale divorzio» (Cass. civ., sez. I, 14 gennaio 2000, n. 8109). Nella giurisprudenza più recente, invece,si è andato sempre più affermando il principio che gli accordi assunti prima del matrimonio o in sede di separazione consensuale in vista del futuro divorzio non siano di per sé contrari all'ordine pubblico. Invero, pur ribadendo la nullità per illiceità della causa di tali accordi in quanto contrastanti con il principio di indisponibilità degli status e dell'assegno divorzile, ha ritenuto valido l'accordo patrimoniale stipulato dai nubendi in relazione ad un eventuale "fallimento" dell'unione matrimoniale purché non attinente a diritti indisponibili (quale quello all'assegno di divorzio) ed adottato in assenza di un coniuge economicamente debole (Cass. civ., sez. I, 21 dicembre 2012, n. 23713; nel caso esaminato dalla Suprema Corte uno dei futuri coniugi si obbligava a trasferire all'altro, in caso di fine del matrimonio, la proprietà di un immobile a titolo di corrispettivo per le spese affrontate per la ristrutturazione di altro locale da adibire a casa familiare). Si è, più in generale, escluso che l'interesse della famiglia sia superiore e trascendente rispetto a quelli coordinati e collegati dei suoi singoli componenti, e si è pertanto ammessa sempre più frequentemente un'ampia autonomia negoziale (cfr. Cass. civ., sez. III, 3 dicembre 2015, n. 24621; Cass. civ., sez. I, 20 agosto 2014, n. 18066), seppur con alcuni limiti in funzione di tutela dei diritti indisponibili del soggetto economicamente più debole e dei figli (cfr. Cass. civ., sez. I, 30 gennaio 2017, n. 2224; nel caso di specie è stata cassata la decisione del giudice di secondo grado che aveva attribuito alla dazione di un assegno con una ingente somma «la valenza di corresponsione una tantum non solo dell'assegno di separazione, ma anche di quello divorzile»).
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