Cure ayurvetiche e imputazione per omicidio colposo. Il necessario accertamento della condotta alternativa lecita
02 Novembre 2018
Massima
Sussiste il nesso di causa tra l'omessa adozione, da parte del medico, di misure atte a rallentare o bloccare il decorso della patologia e il decesso del paziente, allorché risulti accertato, secondo il principio di controffattualità, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica, che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l'evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore o con modalità migliorative, anche sotto il profilo dell'intensità del dolo. Il caso
La sentenza in oggetto vedeva imputato il dott. S.G., in qualità di medico chirurgo, per il reato di omicidio colposo ex art. 589 c.p. per aver provocato il decesso di un paziente affetto da adenocarcinoma rettale avendolo convinto – secondo l'ipotesi accusatoria - a non sottoporsi ad intervento chirurgico o a seguire le terapie tradizionali ma a ricorrere alle terapie da lui prescritte a base di medicinali di tipo ayurvetico e di diete vegetariane. Il sanitario, condannato in primo e secondo grado, proponeva ricorso per Cassazione eccependo vizio di legge e di motivazione. Il primo profilo riguardava la mancata considerazione del “consenso informato” del paziente deceduto, che secondo la difesa del medico sarebbe invece chiaramente emerso da alcune dichiarazioni di quest'ultimo di rifiuto della medicina tradizionale rilasciate in una videoregistrazione. Il secondo aveva ad oggetto il vizio di motivazione della sentenza di appello sotto il profilo del nesso di causa tra la condotta dell'imputato (la cura con medicina ayurvetica) e la riduzione della prospettiva di sopravvivenza. La questione
La sentenza in epigrafe si incentra principalmente sulla problematica della prova della sussistenza del nesso causale tra la condotta e l'evento; questione di particolare rilevanza e difficoltà probatoria quando si verta in un'ipotesi, come quella del caso di specie, di responsabilità medica e venga in rilievo una condotta omissiva. Infatti la condotta contestata all'imputato sarebbe consistita nel non aver tenuto la condotta doverosa, ossia nell'aver dissuaso il paziente, seppur affetto da una grave forma tumorale, dal sottoporsi ad intervento chirurgico e dal seguire le terapie farmacologiche tradizionali, così incidendo negativamente sulla possibilità e sul periodo di sopravvivenza del paziente e sull'intensità della sintomatologia dolorosa. Le soluzioni giuridiche
La Corte di cassazione annulla con rinvio ai soli effetti civili, essendo il reato prescritto, l'impugnata sentenza di condanna, accogliendo il secondo motivo di ricorso in relazione alla prova della sussistenza del nesso di causa. Con riferimento al primo motivo, sull'omessa valutazione in merito alla validità del consenso informato, ribadendo l'orientamento ormai consolidato, afferma come sia precluso al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, potendo al più valutare la coerenza strutturale della decisione, l'iter logico – giuridico seguito dei giudici di merito, non censurabile nel caso di specie né sotto un profilo di contraddittorietà né di manifesta illogicità. Sotto il secondo profilo, invece, i supremi giudici ritengono fondato il motivo di ricorso. La Corte, infatti, richiama l'ormai consolidato assunto giurisprudenziale in materia di nesso di causa secondo il quale la teoria della causalità fatta propria dal nostro ordinamento si basa sul giudizio controfattuale. Fondamentalmente, la Corte ritiene che per poter procedere al giudizio controfattuale occorra in primo luogo ricostruire i fatti (c.d. giudizio esplicativo) ossia ricostruire la sequenza fattuale che ha condotto all'evento. Solo all'esito di tale indagine si può procedere con quell'operazione intellettuale definita giudizio controfattuale attraverso il quale si elimina mentalmente una determinata condizione (la condotta attiva tenuta dall'agente) e ci si chiede se nella situazione così mutata si sarebbe verificata o no la medesima conseguenza. In caso di risposta positiva, evidentemente, la condotta dell'imputato non potrebbe essere considerata causa dell'evento. Si procede in maniera analoga in caso di condotta omissiva. Il giudizio controfattuale deve essere condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica – universale o statistica secondo il criterio “dell'alto grado di credibilità razionale”. Il medesimo procedimento deve essere svolto in tema di responsabilità medica, con il necessario accertamento di tutti i passaggi della sequenza eziologica dell'evoluzione della malattia, dal momento iniziale fino all'evento lesivo. Il giudizio deve basarsi su leggi scientifiche o massime di esperienza che si attaglino al caso concreto, in base alla specifica attività posta in essere o omessa. Può essere ritenuto sussistente il nesso causale tra l'evento lesivo e la condotta del medico anche quanto questi abbia omesso di adottare le dovute misure idonee a rallentare o bloccare il decorso della patologia o il decesso del paziente o, ancora, atte ad incidere sulla qualità della vita per il tempo residuo, rispetto alla sofferenza provocata dalla malattia. Nel caso di specie, infatti, all'imputato veniva contestato di aver dissuaso il paziente dal ricorrere alla medicina tradizionale e dal sottoporsi ad un intervento chirurgico che avrebbero rallentato il decorso della malattia o gli avrebbero consentito una miglior qualità della vita, sotto il profilo quanto meno della sopportazione del dolore, per il tempo restante. Sottolinea però la Corte come per poter operare un giudizio controffattuale occorra valutare anche l'incidenza della condotta alternativa lecita ipotizzata come omessa rispetto all'evento lesivo nello specifico caso concreto. Quindi, nel caso in esame si sarebbe dovuta effettuare una verifica delle possibilità di guarigione o delle prospettive di vita sotto l'aspetto della sopravvivenza, della durata e della qualità della vita se il paziente si fosse sottoposto alle cure tumorali tradizionali o ad un intervento chirurgico. Analisi che non è stata effettuata dal giudice di secondo grado, con conseguente censura da parte delle Corte della sentenza impugnata per vizio di motivazione sotto tale profilo. Osservazioni
Nella sentenza in esame viene sottoposta al vaglio del giudice penale la condotta di un medico – chirurgo che aveva convinto un proprio paziente, affetto da una forma tumorale all'intestino retto, a non sottoporsi alle cure tradizionali di tipo chemioterapico e ad un eventuale intervento chirurgico, ma a curarsi con medicamenti naturali di tipo ayurvedico e seguendo una dieta vegetariana. L'analisi effettuata della suprema Corte riguarda la valutazione del nesso di causa, tra la condotta omissiva del medico e il decesso del paziente, quanto meno sotto il profilo della durata e della qualità del periodo di sopravvivenza. I Giudici ripercorrono quella che è ormai la posizione consolidata della giurisprudenza in merito alla teoria condizionalistica che si basa sul c.d. “giudizio controfattuale”. Viene infatti considerato “causa” dell'evento quell'antecedente senza il quale l'evento stesso non si sarebbe verificato. Per tale valutazione si procede con un'operazione intellettuale di eliminazione (o aggiunta in caso di condotta omissiva) della condotta antigiuridica dalla serie degli antecedenti che hanno portato all'evento per determinare se questo si sarebbe comunque verificato oppure no. Giudizio che deve essere effettuato avvalendosi delle leggi scientifiche e/o delle massime di esperienza che si attaglino al caso concreto. Per poter ritenere sussistente il nesso di causa occorre che la condotta contestata, esclusa l'interferenza di fattori eziologici alternativi, sia stata condizione necessaria dell'evento lesivo “con un alto grado di credibilità razionale”. Fondamentale e preliminare per poter effettuare il giudizio controfattuale, sottolinea la stessa Corte, è l'esatta ricostruzione degli eventi, ossia di tutta la sequenza fattuale. In ambito medico è ancor più importante accertare il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia, individuare tutti gli elementi rilevanti in ordine alla causa dell'evento stesso, poiché solo conoscendo tutti gli aspetti fattuali e scientifici del sorgere e del progredire della malattia è possibile analizzare la condotta omissiva del sanitario e procedere al giudizio controfattuale. La Cassazione poi si richiama ai principi enunciati in relazione al profilo eziologico in materia di responsabilità professionale medica pronunciati della sentenza Franzese. in particolare deve essere accertato che ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa, l'evento non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. La sussistenza del nesso causale, inoltre, non può essere dedotta automaticamente sul solo coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica, ma il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze di fatto e dell'evidenza disponibile. In campo medico pertanto il ragionamento deve essere effettuato sulla specifica attività (terapeutica, diagnostica) che il sanitario era chiamato a svolgere e che se avesse posto in essere correttamente avrebbe impedito o comunque ritardato il verificarsi dell'evento lesivo o avrebbe inciso quanto meno sotto il profilo dell'intensità della sintomatologia dolorosa. Deve essere però chiaramente individuata, in base alle leggi scientifiche o alle massime di esperienza, la condotta doverosa che il sanitario avrebbe dovuto tenere nel singolo caso concreto. L'individuazione di tale condotta non può che avvenire attraverso l'accertamento su basi scientifiche dell'incidenza della stessa sotto un profilo, se non di guarigione, per lo meno di durata della vita del paziente o della qualità della stessa per il periodo di sopravvivenza. Nel caso in oggetto, però, la Corte evidenzia come non sia stato analizzato da parte dei giudici d'appello l'effettiva incidenza delle cure alternative poste in essere dall'imputato rispetto alla possibilità di sopravvivenza o sintomatologia dolorosa. Infatti, non era stata individuata la condotta alternativa lecita che il medico avrebbe dovuto seguire, poiché mancava del tutto l'analisi degli effetti che le terapie tradizionali avrebbero avuto, in concreto, sullo specifico caso clinico. |