Una peculiare declinazione dei principi espressi dalle Sezioni Unite sulla compensazione giudiziale del credito litigioso
05 Novembre 2018
Massima
In tema di compensazione dei crediti, se è controversa, nel medesimo giudizio instaurato dal creditore principale o in altro già pendente, l'esistenza del controcredito opposto in compensazione, il giudice non può pronunciare la compensazione, neppure quella giudiziale, perché quest'ultima, ex art. 1243, comma 2, c.c., presuppone l'accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale è fatta valere, mentre non può fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda dall'esito di un separato giudizio in corso e prima che il relativo accertamento sia divenuto definitivo. Il caso
L'atto di precetto fondato su una sentenza di primo grado, non passata in giudicato per la proposizione dell'appello avverso la stessa, era oggetto di opposizione ex art. 615, comma 1, c.p.c.. Parte attrice deduceva, tra l'altro, di vantare un controcredito nei confronti della parte convenuta opposta derivante da altra decisione di prime cure, anch'essa oggetto di impugnazione ed assumeva, per entrambi i crediti, la possibilità di farli reciprocamente valere sino alla definizione dei giudizi in questione con sentenze passate in giudicato. Il giudice adito, condivise tali doglianze, accoglieva l'opposizione. La questione
La problematica processuale attiene alla possibilità di operare la compensazione giudiziale nell'ipotesi in cui il controcredito sia contestato, nonché a quella, pure esaminata in concreto dalla decisione in esame, afferente la possibilità di azionare comunque il credito principale nei confronti del debitore in attesa della formazione del giudicato. Le soluzioni giuridiche
La pronuncia in commento fonda il proprio orientamento ripercorrendo la recente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione che, intervenendo a risolvere un contrasto che si era formato sulla questione nella giurisprudenza di legittimità, ha affermato il principio per il quale, in virtù del canone di specialità, se è controversa, in altro giudizio pendente, l'esistenza del controcredito dedotto in compensazione, il giudice non può pronunciare la compensazione, né legale, né tampoco giudiziale, la quale, ai sensi dell'art. 1243, comma 2, c.c., presuppone l'accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale è fatta valere, sicché, almeno prima che l'accertamento sia divenuto definitivo, non può fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda da un altro giudizio in corso, utilizzando a tal fine i meccanismi di sospensione del processo per pregiudizialità dipendenza di carattere generale previsti dagli artt. 295 e 337 c.p.c. (Cass. civ., Sez. Un., 15 novembre 2016, n. 23225). L'intervento delle Sezioni Unite si è posto nel solco della giurisprudenza di legittimità assolutamente dominante, disattendendo le argomentazioni che erano state poste a fondamento della decisione, diffusamente motivata sul piano processuale, che aveva dato luogo al contrasto. Tale pronuncia aveva infatti ammesso la compensazione con il controcredito litigioso prima di una pronuncia definitiva di accertamento sullo stesso, evidenziando, in primo luogo, che il comma 2 dell'art. 1243 c.c. deve essere interpretato nel senso che la sospensione del processo di accertamento del credito principale non è ammessa soltanto nell'ipotesi ivi contemplata nella quale il giudizio sul controcredito penda dinanzi al medesimo giudice, come attestato dalla medesima norma nella parte in cui utilizza la locuzione “può anche sospendere” dalla quale si evince che detta sospensione è una possibilità che non ne esclude altre, ed, in particolare, la sospensione per pregiudizialità ex artt. 295 o 337 c.p.c.. La Suprema Corte non aveva trascurato di osservare, poi, che, in queste ipotesi, l'avvenuta sospensione del processo pregiudicato rispetto al controcredito dedotto in compensazione, non impedisce, nelle more, l'emanazione di una decisione di condanna dello stesso convenuto che ha formulato detta eccezione attraverso il meccanismo della condanna con riserva, correlato, in particolare, all'applicazione analogica dell'art. 35 c.p.c. che, laddove al credito principale venga opposto in compensazione un controcredito contestato il cui valore ecceda la competenza del giudice adito, prevede il ricorso alla condanna con riserva per il credito principale e la rimessione della causa al giudice competente per la decisione relativa alla sola eccezione di compensazione, in caso di credito non controverso o facilmente accertabile (Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 2013, n. 23573). Le Sezioni Unite hanno quindi preferito confermare una sorta di ricostruzione “pan-sostanziale” del fenomeno della compensazione tra crediti contrapposti, in coerenza con l'assunto secondo cui l'istituto della condanna con riserva ha carattere eccezionale, in quanto consente un accertamento incompleto, insuscettibile, pertanto, di applicazione analogica e di interpretazione estensiva (cfr. Franchi, 344). Osservazioni
Non è questa la sede per evidenziare le ragioni per le quali non appare pienamente convincente il ragionamento posto a fondamento della decisione delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, essendo a riguardo sufficiente rilevare che la compensazione tra crediti sottende un rapporto di pregiudizialità dipendenza sui generis che si caratterizza per una doppia connessione incrociata tra credito e controcredito (Tiscini 228, nt. 20), sicché, in applicazione delle regole generali, l'effetto giuridico proprio della causa pregiudicata non può prodursi se non si realizza il simultaneus processus senza che possa costituire un ostacolo la sospensione prevista, in tema di compensazione giudiziale di crediti, dall'art. 1243, comma 2, c.c., in quanto si tratta di un fenomeno assolutamente diverso dalla sospensione ex art. 295 c.p.c., trattandosi di sospensione “atecnica”, rispetto alla quale è difficilmente configurabile un rapporto di specialità rispetto all'istituto della sospensione per pregiudizialità dipendenza (cfr. Giordano, 45 e ss.). Peraltro, anche volendo tenere in non cale tali considerazioni generali in ragione dell'avvenuto intervento risolutore delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, ciò che non convince della decisione in esame sono principalmente le conseguenze che la stessa trae nel caso concreto dal principio enunciato dalle stesse. Difatti, nella fattispecie processuale considerata, il precetto si fondava su una sentenza di primo grado di condanna al pagamento di una somma molto più elevata rispetto al controcredito della parte opponente, anch'esso giudizialmente contestato. Pertanto, poiché la pronuncia posta a fondamento della minacciata esecuzione forzata era provvisoriamente esecutiva ex art. 282 c.p.c. il giudice adito con l'opposizione non avrebbe dovuto, proprio in applicazione dei principi enunciati dalle Sezioni Unite, accogliere la stessa bensì rigettarla, non tenendo conto del dedotto controcredito in quanto giudizialmente contestato, ferma restando la possibilità per la parte opponente di incardinare anch'essa un'azione esecutiva fondata sulla sentenza di condanna della controparte al pagamento di una somma in proprio favore, pur di importo inferiore.
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