La (necessaria) struttura bifasica delle opposizioni esecutive e le conseguenze dell'omissione della fase sommaria
06 Novembre 2018
Massima
La fase sommaria delle opposizioni (postesecutive) davanti al giudice dell'esecuzione è necessaria ed inderogabile e la sua omissione determina l'improcedibilità del giudizio di opposizione a cognizione piena. Il caso
Davanti al tribunale di Santa Maria Capua Vetere il creditore aveva proposto – con ricorso ex art. 186-bis disp. att. c.p.c. – opposizione agli atti esecutivi nei confronti del provvedimento che, limitatamente ad alcuni beni pignorati, dichiarava l'improcedibilità dell'espropriazione forzata immobiliare. L'opponente aveva, dunque, omesso di investire del ricorso introduttivo il giudice dell'esecuzione, bypassando così la fase sommaria. Dal proprio canto il debitore aveva eccepito che l'opposizione agli atti esecutivi è strutturata in due diverse fasi: la prima – necessaria e sommaria – che si svolge davanti al giudice dell'esecuzione; la seconda – eventuale ed a cognizione piena – davanti al giudice cui è affidato il giudizio di merito. Il tribunale campano ha aderito alla tesi del creditore opponente, affermando che la fase sommaria sarebbe facoltativa, in quanto prevista a tutela dell'opponente; pertanto qualora la parte non abbia interesse ad ottenere un provvedimento cautelare, la trattazione del merito potrebbe richiedersi direttamente davanti al giudice competente per valore e per materia. Avverso la decisione del tribunale è stato proposto ricorso in Cassazione. La questione
La terza Sezione della Cassazione ha stabilito che la decisione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha violato le disposizioni di cui agli artt. 617, 618 c.p.c. in materia di competenza funzionale del giudice dell'esecuzione, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 2, c.p.c.; nonché agli artt. 617, 618 c.p.c., 186-bis disp. att. c.p.c. e 624, comma 3, c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.. Le soluzioni giuridiche
Per la Cassazione, la fase sommaria davanti algiudice dell'esecuzione è necessaria: essa presidia diversi interessi, che eccedono quelli propri della parte opponente, anche «di carattere pubblicistico e di tutela delle altre parti del processo esecutivo, nonché del regolare andamento di quest'ultimo». La struttura bifasica non può, pertanto, considerarsi nella esclusiva disponibilità dell'opponente. Segnatamente, la fase sommaria è funzionale ad attuare «i meccanismi deflattivi previsti dalla legge», in quanto consente alle parti di valutare l'effettiva convenienza del giudizio di merito rispetto ad altre soluzioni; al contempo consente di rendere edotti della proposizione dell'opposizione il giudice dell'esecuzione (che può, conseguentemente, adottare i provvedimenti di revoca di cui all'art. 487 c.p.c.) e le altre parti del processo esecutivo (si pensi ai creditori intervenuti) non direttamente coinvolte dall'opposizione, nonché i terzi (interessati all'acquisto, custodi) per i quali rileva conoscere della proposizione di eventuali opposizioni. La migliore riprova della necessarietà della fase introduttiva è fornita dal fatto che la mancata o tardiva introduzione della fase di merito (rispetto ai termini concessi dal g.e e qualora sia stata disposta la sospensione) determina l'improcedibilità dell'azione di cognizione; nonché dello stesso processo esecutivo. Ed infatti l'art. 624, comma 3, c.p.c. stabilisce che la mancata introduzione del merito nei termini concessi dal g.e. importa l'estinzionedella procedura. Stesso discorso va fatto – a fortiori – laddove la fase sommaria innanzi al giudice dell'esecuzione sia stata del tutto omessa. La seconda parte della decisione si presenta più complessa. Segnatamente il Collegio ha esaminato, oltre all'ipotesi in cui l'atto ha la forma dell'atto di citazione e non quella del ricorso, la fattispecie in cui: i)la domanda giudiziale, priva dell'istanza di sospensione, sia rivolta direttamente al tribunale, inteso come giudice competente a conoscere il merito (e non al giudice dell'esecuzione) e, pertanto, iscritta al ruolo generale degli affari contenziosi, come occorso nel caso di specie; ii) la domanda, recante l'istanza di sospensione, iscritta per mero errore materiale al ruolo generale degli affari contenziosi e non invece depositata nel fascicolo dell'esecuzione. Le fattispecie summenzionate – nell'interpretazione della Corte – integrano delle ipotesi di «nullità dell'atto», in quanto precludono al giudice dell'esecuzione di conoscere il contenuto dell'opposizione. Tuttavia tali nullità possono essere oggetto di sanatoria ex art. 156, comma 3, c.p.c., per raggiungimento dello scopo «laddove l'atto introduttivo difforme dal modello legale pervenga agli atti del fascicolo dell'esecuzione». Le ricadute pratiche di questa decisione rilevano in punto di tempestività dell'opposizione ovvero di individuazione del momento dal quale opera la sanatoria. Ed infatti laddove l'atto introduttivo – nonostante l'omesso inserimento nel fascicolo dell'esecuzione – sia rivolto al giudice dell'esecuzione ovvero contenga la richiesta di sospensione, la sanatoria è destinata ad operare «fin dalla data del deposito del ricorso (o quanto meno della sua iscrizione a ruolo, in caso di opposizione erroneamente avanzata con atto di citazione)». Se invece l'opponente ha inteso di bypassare la fase sommaria, la sanatoria opera dal momento in cui il giudice del merito ha trasmesso gli atti al g.e.; ovvero da quando la parte abbia richiesto la trasmissione, sanando l'originaria nullità. Osservazioni
Se si può essere – in linea generale – d'accordo sulla improcedibilità della opposizione non preceduta dalla «necessaria ed indefettibile preventiva fase a cognizione sommaria» davanti al giudice dell'esecuzione, la seconda parte della decisione in commento suscita qualche perplessità. Innanzitutto non sembra condivisibile la qualificazione – operata dal Collegio – in termini di nullità dell'opposizione rivolta direttamente al tribunale (quale giudice della cognizione). Basti al riguardo considerare che in caso di nullità dell'atto ai sensi del n. 1) dell'art. 163 c.p.c., essendo la domanda diretta ad un giudice diverso da quello cui andava correttamente indirizzata è la parte che, su ordine del giudice, rinnova l'atto entro un termine perentorio, concesso dal giudice. Invece nell'interpretazione resa dalla Corte, l'efficacia sanante – anche in ordine alla tempestività dell'opposizione – è una conseguenza dello stesso provvedimento del giudice (adottabile anche d'ufficio) che finisce per rimettere in termini l'opponente che ha erroneamente effettuato l'iscrizione a ruolo. A dire della Corte, l'erronea iscrizione al ruolo generale contenzioso consente la rimessione in termini dell'opponente, si badi al di fuori della previsione di cui all'art. 153 c.p.c., se l'atto è rivolto al giudice dell'esecuzione e non a quello del merito. Anche questo passaggio non sembra trovare alcun riscontro nel dato normativo. Non convince, infine, la soluzione proposta dalla Corte (sanatoria per effetto del provvedimento del giudice) nemmeno in relazione alla disciplina conseguente alla cd. improcedibilità. Se si vuole rimanere nel perimetro delle norme del c.p.c. è appena il caso di rilevare che il primo comma dell'art. 348 c.p.c. sancisce «l'improcedibilità» dell'appello se l'appellante non si costituisce in termini, senza configurare alcuna fattispecie idonea a recuperare l'illegittima condotta di quest'ultimo. Discorso diverso è da farsi in relazione al secondo comma della medesima disposizione ove si prevede che, l'appello è dichiarato improcedibile anche d'ufficio se l'appellante, benché ritualmente costituito, non compare alla prima udienza, né alla successiva. In breve, il secondo comma consente certamente all'appellante di recuperare le conseguenze negative della propria condotta processuale ma l'attività del giudice è limitata al rinvio ad un'udienza successiva, senza che il provvedimento possa avere ex se qualsiasi effetto sanante; ciò in quanto è sempre e solo la condotta della parte – e mai quella del giudice – che può rimediare al vizio occorso.
Se è vero che la fase sommaria, davanti al giudice dell'esecuzione, è necessaria (come affermato dalla prima massima della decisione in commento), ci sembra che il giudice (della cognizione) non abbia il potere di rimediare all'erronea scelta effettuata dall'opponente, al di fuori della disciplina stabilita dall'art. 153 c.p.c. in materia di rimessione in termini. In altre parole, e sviluppando la prima massima formulata dal Supremo Collegio, l'opponente – che abbia correttamente rivolto la domanda al giudice dell'esecuzione ma erroneamente iscritto la causa nel ruolo del contenzioso civile – può chiedere al giudice di essere rimesso in termini solo se dimostri di essere incorso nell'errore per causa non imputabile; si pensi, ad esempio, alle ipotesi in cui il personale degli uffici di cancelleria abbia determinato convincimenti – in merito all'iscrizione a ruolo – errati o fuorvianti nell'opponente. Movendo – poi ed ancora una volta – dal presupposto che la fase sommaria è «oggettivamente» necessaria nella architettura processuale che sorregge le opposizioni, si può concludere che la rimessione in termini: i)deve essere richiesta al giudice dell'esecuzione (e non a quello della cognizione); e che ii)potrebbe essere efficacemente concessa dal g.e., nel rispetto del principio del contraddittorio, sempre che un'esecuzione risulti ancora effettivamente pendente. In definitiva, oltre alla necessità dell'istanza di parte ed alla dimostrazione dell'errore non imputabile occorre che l'opponente investa il g.e. della questione in tempi brevi affinché il rimedio di cui all'art. 153 c.p.c. possa avere in concreto una qualche utilità. Approfondimenti
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