L'avvocato non è legittimato ad impugnare il provvedimento di revoca del gratuito patrocinio
07 Novembre 2018
Massima
In materia di gratuito patrocinio, la legittimazione del difensore in proprio è limitata soltanto alla controversia in tema di liquidazione di compensi ma non è configurabile anche con riferimento all'opposizione avverso il decreto di rigetto dell'istanza di ammissione o di revoca del gratuito patrocinio; in tali casi, infatti, detta legittimazione è riconoscibile al solo interessato, ovvero propriamente alla parte che si vuole avvalere del gratuito patrocinio o che vi è stata ammessa ma il cui beneficio sia stato poi revocato.
Il caso
L'avv. P.M. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, avverso l'ordinanza del Presidente del Tribunale di Catanzaro, con la quale, decidendo sull'opposizione – formulata dallo stesso ricorrente in proprio – avverso il provvedimento di revoca del patrocinio a spese dello Stato adottato nei confronti di M.M. (difesa in altro procedimento dal medesimo avvocato), la dichiarava inammissibile per carenza di legittimazione. In particolare, con il primo motivo di ricorso, l'avv. P.M. sostiene che, diversamente da quanto statuito all'esito dell'opposizione, avrebbe dovuto riconoscersi, anche in relazione al procedimento per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, una titolarità di impugnazione autonoma e parallela, rispetto a quella attribuita all'imputato, a favore del difensore, esercitabile anche in sede di reclamo ai sensi dell'art. 99, comma 1, d.P.R. n. 115/2002 e di presentazione di ricorso per cassazione nei riguardi dell'ordinanza di reiezione del reclamo stesso. La questione
In estrema sintesi, la questione che il Giudice di legittimità si trova a dover scrutinare è se il provvedimento di revoca del patrocinio a spese dello Stato possa essere impugnato dal difensore della parte già ammessa al beneficio.
Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte risolve il quesito nel senso che l'avvocato non è legittimato ad impugnare il provvedimento di revoca del patrocinio a spese dello Stato. A tal riguardo i Giudici di legittimità hanno osservato che il tribunale di Catanzaro aveva revocato l'ammissione di M.M. — rappresentata e difesa dal ricorrente avvocato P.M. — al patrocinio dello Stato in apposito giudizio civile risarcitorio, dichiarando, conseguentemente, inammissibile la richiesta di liquidazione del compenso al difensore. Il provvedimento di revoca è stato, quindi, impugnato dall'avvocato P.M.. Con l'ordinanza oggetto di ricorso per cassazione, il Giudice investito dell'opposizione ha dichiarato legittimamente l'inammissibilità del ricorso siccome proposto direttamente ed in via esclusiva dallo stesso difensore, da considerarsi sprovvisto della relativa legittimazione "ad opponendum". Infatti, in materia di gratuito patrocinio, la legittimazione del difensore in proprio è limitata soltanto alla controversia in tema di liquidazione di compensi (cfr. Cass. civ., sez. II, 15 maggio 2014, n. 10705; Cass. civ., sez. VI, 27 gennaio 2015, n. 1539; Cass. civ., Sez.Un. 23 dicembre 2016, n. 26907) ma non è configurabile anche con riferimento all'opposizione avverso il decreto di rigetto dell'istanza di ammissione o di revoca del gratuito patrocinio; in tali casi, infatti, detta legittimazione è riconoscibile al solo interessato, ovvero propriamente alla parte che si vuole avvalere del gratuito patrocinio o che vi è stata ammessa ma il cui beneficio sia stato poi revocato. Tanto si desume, sul piano dell'ermeneutica letterale e sistematica, dal raffronto tra l'art. 93 e 99 del d.P.R. n. 115/2002, laddove, nel primo, la legittimazione della presentazione dell'istanza è attribuita all'interessato e al difensore, mentre, nel secondo, essa è conferita al solo interessato e tale differenziazione trova rispondenza anche nel contenuto degli artt. 112 e 113 dello stesso d.P.R. proprio in materia di revoca del decreto di ammissione al gratuito patrocinio. Pertanto, poiché — nel caso di specie — l'opposizione proposta al Presidente del Tribunale di Catanzaro concerneva propriamente il decreto di revoca della pregressa ammissione al gratuito patrocinio (da cui era conseguita, come effetto automatico e privo di autonomia decisoria, siccome rinveniente il suo presupposto giustificativo proprio nella sopravvenuta revoca, l'inammissibilità della richiesta di liquidazione del compenso al difensore), appare evidente come non poteva che essere dichiarata l'inammissibilità del ricorso in opposizione formulato direttamente ed esclusivamente dal difensore, in quanto carente di una propria legittimazione, non controvertendosi della liquidazione dei compensi ad esso spettanti che avrebbe presupposto la conservazione del provvedimento di ammissione al beneficio del gratuito patrocinio. É, invero, indiscutibile che, una volta intervenuta la revoca di quest'ultimo provvedimento – che produce, come effetto, quello di ripristinare retroattivamente l'obbligo della parte di sopportare personalmente le spese della sua difesa –, è a quest'ultima soltanto che spetta la legittimazione ad opporsi alla intervenuta revoca, proprio perché esclusiva titolare del diritto all'ammissione al patrocinio a spese dello Stato. In virtù della valutazione della sussistenza di tale assorbente ragione – impeditiva dell'esame di altri profili di doglianza – è altrettanto evidente che il giudice dell'opposizione non avrebbe potuto né dovuto prendere in considerazione altre deduzioni dell'opponente privo di legittimazione, così rimanendo esclusa in radice la ipotetica violazione dell'art. 112 c.p.c., così come prospettata dal ricorrente con la seconda censura. Osservazioni
La soluzione adottata dalla Suprema Corte con l'ordinanza in rassegna appare condivisibile. Si rendono, però, necessarie alcune precisazioni. A pag. 3 dell'ordinanza si legge che, nell'ambito di un “giudizio civile risarcitorio”, l'avvocato P.M. ha assistito la signora M.M., ammessa al patrocinio a spese dello Stato. Trovano, perciò, applicazione nella fattispecie in esame le disposizioni del d.P.R. n. 115/2002, che disciplinano il patrocinio a spese dello Stato nel processo civile. Appare, perciò, non del tutto pertinente il richiamo operato tout court dalla Suprema Corte agli artt. 93, 99, 112 e 113 che regolano il patrocinio a spese dello Stato nel processo penale. Avrebbe, dovuto, farsi più correttamente richiamo alle disposizioni sulla revoca del patrocinio a spese dello Stato nel processo civile (art. 136 d.P.R. n. 115/2002). É ben vero che la norma citata non regolamenta il procedimento di opposizione alla revoca. E, tuttavia, secondo l'opinione più accreditata, la disciplina applicabile alla fattispecie deve essere individuata nell'art. 170 T.U.S.G., atteso che la giurisprudenza di legittimità ne ha riconosciuto la portata generale, valevole per tutti i provvedimenti per i quali non sia prevista una disciplina specifica (Cass. civ., sez. I, 23 giugno 2011 n.13807; nello stesso senso Cass. civ., sez. VI, 23 settembre 2013, n. 21685). Vi è, tuttavia, da registrare un orientamento minoritario – al quale sembra aderire la Suprema Corte nell'ordinanza in rassegna – secondo il quale «al provvedimento di revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato nei giudizi civili, in mancanza di espressa previsione normativa, sono applicabili per analogia le norme dettate in materia di procedimenti penali» (Cass. civ., sez. VI, 15 dicembre 2011, n. 26966) In ogni caso, sia che si voglia accedere alla tesi condivisa dalla Suprema Corte, sia che si voglia ricondurre la fattispecie nell'ambito dell'art. 170 d.P.R. n. 115/2002, si deve convenire sul fatto che la legittimazione a promuovere tale giudizio spetta necessariamente soltanto al soggetto che ha subito la revoca e non anche al suo difensore che non ha titolo per dolersi della privazione del beneficio concesso – al ricorrere dei presupposti di legge, primo fra tutti quello reddituale – alla parte. Dall'inquadramento dell'opposizione alla revoca del patrocinio a spese dello Stato nel processo civile possono, tuttavia, discendere, a livello pratico importanti conseguenze soprattutto per quanto concerne il termine per esperire il rimedio. Invero, l'art. 113 d.P.R. n. 115/2002 prevede, all'uopo, un termine di venti giorni dalla notizia avuta ai sensi dell'art. 97 per proporre ricorso per cassazione avverso il decreto che decide sulla richiesta di revoca ai sensi della lettera d), comma 1, dell'art. 112. D'altro canto, l'art. 170 d.P.R. n. 115/2002, nell'attuale formulazione, non detta alcun termine. Sono state prospettate, al riguardo, quattro diverse soluzioni. Secondo una prima impostazione, il legislatore ha omesso volutamente l'indicazione del termine perché ha voluto svincolare definitivamente il procedimento di opposizione dal giudizio principale, portando alle estreme conseguenze la sua qualificazione come un autonomo giudizio a cognizione piena, avente ad oggetto l'accertamento del diritto soggettivo alla “spesa di giustizia”. La conseguenza sarebbe che l'opposizione può essere proposta entro il termine ordinario di prescrizione ex art. 2946 c.c., ossia entro dieci anni dalla pubblicazione del decreto. Secondo un'altra opinione, poiché nei processi “impugnatori” ricondotti al rito sommario il termine per agire in giudizio è di solito determinato in trenta giorni, esso è applicabile analogicamente anche al procedimento di opposizione ex art. 170 T.U.S.G. Una terza opzione è quella che reputa l'opposizione soggetta al termine e alle forme del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, come affermato in passato dalla giurisprudenza per le opposizioni avverso i decreti di liquidazione concernenti gli ausiliari diversi da quelli contemplati dalla l. n. 319/1980. Altra soluzione è quella di continuare a ritenere l'opposizione soggetta al termine di venti giorni precedentemente previsto, atteso che dalle relazioni di accompagnamento e dai pareri delle Commissioni Parlamentari non risulta la volontà di abrogarlo o modificarlo. A conforto di tale esegesi va evidenziato che il predetto termine continua ad essere previsto per l'opposizione ex dall'art. 99 d.P.R. n. 115/2002. che disciplina un procedimento di opposizione sovrapponibile a quello disciplinato più in generale dal citato art. 170.
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