Sulla trasmissione a mezzo Pec degli atti di parte: c'è realmente un contrasto in Cassazione?
07 Novembre 2018
Massima
Sull'uso della Posta elettronica certificata per il deposito delle istanze si registra un contrasto di giurisprudenza all'interno della Corte di cassazione tra l'orientamento secondo cui l'uso della Pec, anche se non rende l'atto irricevibile o inammissibile, comporta un dovere di diligenza del mittente di accertarsi della sottoposizione tempestiva dell'atto al giudice e altro orientamento, che esclude comunque l'utilizzo della Pec per istanze di rinvio (nel caso di specie si lamentava la violazione del diritto alla difesa effettiva per aver la Corte di appello deciso la causa, nominando un difensore d'ufficio, malgrado l'invio alla cancelleria di una Pec da parte del difensore in cui questi dichiarava di aderire all'astensione di categoria: la Corte di cassazione, pur ritenendo il ricorso non manifestamente infondato per l'asserito contrasto - in realtà solo apparente, ndr -, ha annullato senza rinvio la decisione, essendo il reato prescritto). Il caso
La Corte d'appello di Firenze con sentenza pronunciata in data 10 aprile 2017 confermava la pronuncia del giudice di primo grado che aveva condannato due imputati alla pena di 1 mese di arresto e 10.550,00 euro di ammenda per il reato di violazione urbanistica in concorso. Avverso la sentenza emessa dal giudice di secondo grado, ha proposto ricorso in cassazione il difensore dei due imputati deducendo, quale univo motivo, la violazione di legge per aver la Corte d'appello di Firenze deciso la causa all'udienza del 10 aprile 2017, violando il diritto alla difesa effettiva, in quanto il difensore medesimo aveva trasmesso a mezzo posta elettronica certificata (di seguito, Pec) alla cancelleria della Corte d'appello di Firenze una richiesta di rinvio dell'udienza per l'adesione del difensore all'astensione di categoria e la Corte aveva ritenuto di nominare un difensore d'ufficio e di portare la causa in decisione. La terza Sezione della Corte di cassazione, con la sentenza n. 43184 del 1° ottobre 2018 (ud. 17 maggio 2018) che qui si commenta, ha ritenuto non manifestamente infondato il ricorso, anche se poi, essendo il reato prescritto, ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata, revocando l'ordine di demolizione. La questione
La questione che la Corte affronta, sia pur per evidenziare la non manifesta infondatezza del ricorso, riguarda la possibilità per la parte privata, e più specificamente per il difensore, di depositare atti trasmettendoli con Pec Si tratta della questione sulla quale si registrano i maggiori e più recenti arresti della Suprema Corte. Acclarato infatti che la disciplina normativa prevede che le notificazioni di atti da parte delle cancellerie alle parti private diverse dall'imputato vada effettuata con Pec, la Corte è sempre più spesso chiamata a pronunciarsi sull'ipotesi inversa, ossia sui casi in cui l'atto venga depositato telematicamente, per essere stato trasmesso alla A.G. dalla parte privata utilizzando la Pec. Le soluzioni giuridiche
La decisione in esame si pone sulla scia di questo filone giurisprudenziale: come si vedrà, in essa la Corte ripercorre, in modo tuttavia disorganico, gli orientamenti giurisprudenziali in ordine alla possibilità per il privato di trasmettere atti alla A.G. utilizzando la Pec, e arriva alla conclusione che vi sia un contrasto nella giurisprudenza della Suprema Corte, che, a parere di chi scrive, non si configura, apparendo per converso la Corte granitica nei principi generali affermati. Si afferma dunque nella pronuncia in commento che, a fronte di un orientamento secondo cui l'uso della Pec, anche se non rende l'atto irricevibile o inammissibile, comporta un dovere di diligenza del mittente che dovrà accertarsi della sottoposizione tempestiva dell'atto al giudice, ve ne sarebbe un altro che ritiene valida la Pec per la presentazione di richieste e memorie delle parti nel procedimento di convalida del Daspo (Cass. pen., Sez. III, n. 14832/2017, Barzanti e altri) e un altro ancora che esclude del tutto l'utilizzo della Pec per istanze di rinvio (Cass. pen., Sez. II, n. 31314/2017, P.) o per la presentazione delle memorie nel giudizio di legittimità (Cass. pen., Sez. III, n. 48584/2016, Cacciatore) o di impugnazioni cautelari, anche da parte del P.M. (Cass. pen., Sez. V,n.24332/2015, Pmt in proc. Alamaru e altri). Il primo orientamento – come precedente è indicata la sentenza della Sez. II, n. 47427 del 07 novembre 2014, Pigionanti– viene criticato dalla Corte perché non risulterebbe chiarito come (e perché) il professionista debba interferire con l'organizzazione giudiziaria, per accertarsi dell'arrivo della Pec, quando la stessa, si osserva, automaticamente certifica la ricezione al destinatario della e-mail, a tacer del fatto che, secondo la Corte, ciò comporta un onere a carico del difensore che non è previsto dalla legge e che appare di difficile (se non impossibile) esecuzione. A tal proposito si indica come precedente la sentenza della Cass. pen., Sez. I, n. 1904/2017, Deriù secondo cui l'impossibilità di attivazione, del difensore, per le verifiche sarebbe dimostrabile per escludere colpe dello stesso. Sugli altri orientamenti la Corte non si pronuncia, e in conclusione, al di là della critica all'orientamento che mostra una certa apertura, non esprime, nè fa propria, alcuna delle soluzioni ritenute in contrasto, perchè tronca il discorso affermando che il reato è prescritto, e annulla senza rinvio la sentenza impugnata. La sentenza in commento merita una riflessione. Essa ritiene sussistente un contrasto di giurisprudenza, all'interno della Corte di cassazione, sull'uso della Pec per il deposito delle istanze. È proprio questa affermazione che merita di essere rivista: il contrasto di cui parla la Corte risulta, alla luce della attuale casistica, apparente e quelli che la Corte ritiene orientamenti contrapposti, appaiono, a parere di chi scrive, espressione tutti di uno stesso principio (Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit) La Corte è infatti ferma nel ritenere, in generale, che le notificazioni o comunque le comunicazioni da parte dei privati, rivolte alla A.G., non possano farsi con Pec, da un lato perchè la Pec è lo strumento normativamente previsto (dall'art. 16, comma 4,d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 e succ. modificazione) per le notificazioni (non anche per le comunicazioni, a rigore) che la cancelleria effettua a persona diversa dall'imputato, mentre il contrario (ossia dal privato alla cancelleria) non è normativamente disciplinato, almeno non nella legge in questione; da un altro lato, perchè manca una norma che preveda e quindi consenta in via esclusiva il deposito telematico degli atti, come invece è previsto nel procedimento civile (all'art. 16-bis del d.l. 179/2012). In base dunque all'attuale assetto normativo e tenuto conto che la maggior parte degli atti che il privato trasmette alla A.G. vanno depositati in cancelleria, difetta la normativa di rifermento che consenta il deposito telematico degli atti e dunque, di riflesso, la loro trasmissione alla A.G. da parte del privato a mezzo Pec. In questo quadro normativo di riferimento, la Corte opera però dei distinguo e così, a parere di chi scrive, andrebbero lette le sentenze che sono state ritenute in contrasto. Si tratta, a ben vedere, di differenze che rispondono al più generale principio secondo cui ciò che non è scritto in una legge se per un verso si presume che non sia stato voluto dal legislatore, per altro verso non significa che sia vietato (Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit). Quando infatti il Legislatore prevede una modalità tassativa di trasmissione (ubi lex voluit...), allora la Pec va sicuramente esclusa e su questo la Corte è assolutamente granitica. In questo senso si spiegano le sentenze richiamate dalla decisione in commento: nel caso delle impugnazioni, i mezzi per presentarla (spedizione dell'atto mediante lettera raccomandata o telegramma) sono tassativi e tra essi non è contemplata la Pec; lo stesso principio si estende alle impugnazioni cautelari, anche proposte dal p.m., o al deposito di memorie davanti alla Corte di cassazione, ossia a quei casi contemplati dalle sentenze espressamente richiamate. A essi possono aggiungersi gli ulteriori casi, non contemplati nella sentenza in commento, in cui la giurisprudenza della Corte esclude la possibilità di ricorrere alla Pec: il ricorso in cassazione (Cass. pen., Sez. V, n. 12347/2017; Cass. pen., Sez. IV, n. 18823/2016); l'opposizione a decreto penale di condanna (Cass. pen., Sez. IV, n. 21056/2018; Cass. pen., Sez. III, n. 50932/2017); il deposito della lista testimoniale (Cass. pen., Sez. III, n. 6883/2016). Sono questi tutti casi in cui il Legislatore prevede una modalità esclusiva di trasmissione, tra cui non rientra la Pec. Quando invece il Legislatore non prevede una modalità esclusiva di trasmissione, allora occorre distinguere: se la normativa di settore consente una qualunque forma di trasmissione, e dunque non solo il deposito, allora la Pec può essere ammessa ed in questo caso può anche non essere richiesto quel dovere di diligenza del mittente nell'accertarsi della sottoposizione tempestiva dell'atto al giudice; se non vi è una specifica normativa di settore o se la normativa prevede genericamente il deposito dell'atto ma non come forma esclusiva di trasmissione, allora, a seconda della tipologia dell'atto, può anche ammettersi che esso venga trasmesso con Pec, ma in questo caso il difensore si assume un rischio, potendo quell'atto non essere stato portato tempestivamente a conoscenza del giudice. Nella prima categoria rientra il caso del Daspo. La Corte, in questa ipotesi, ha applicato la normativa di settore, avendo espressamente affermato che «Nel procedimento di convalida del divieto di accedere a manifestazioni sportive con obbligo di presentazione all'ufficio di P.S., è ammissibile la presentazione delle richieste e delle memorie delle parti al giudice competente tramite Pec, atteso che l'art. 6, comma 2-bis, legge 13 dicembre 1989, n. 401 non prescrive che i predetti atti debbano essere necessariamente depositati in cancelleria ed essendo ciò connaturale alla particolare natura, cartolare ed informale, del procedimento ed alla ristrettezza dei termini, stabiliti "ad horas", entro cui deve concludersi il controllo di legalità di provvedimenti che limitano la libertà personale, pena l'inefficacia delle relative prescrizioni» (Cass. pen., Sez. III, n. 14832/2017, Barzanti e altri). In questi casi, dunque, è la normativa di settore che, non prevedendo il deposito o altra modalità esclusiva di trasmissione e disciplinando un istituto con connotazioni peculiari, lascia spazio a forme diverse di trasmissione dell'atto, purchè idonee, e dunque consente il ricorso anche alla Pec. Nello stesso ambito, pur se non richiamate dalla sentenza in commento, si collocano altresì quelle decisioni che, applicando la specifica disciplina di settore (l'art. 3 del codice di autoregolamentazione, secondo cui l'atto contenente la dichiarazione di astensione va «trasmesso o depositato nella cancelleria del giudice o nella segreteria del pubblico ministero») hanno ammesso l'invio a mezzo Pec della richiesta di rinvio presentata dal difensore che aderisca all'astensione dalle udienze. Ne è un esempio la sentenza Cass. pen., Sez. IV, n. 35683/2018 secondo cui, nel caso della comunicazione di istanza di rinvio per adesione del difensore all'astensione di categoria «che costituisce l'esercizio di un diritto costituzionalmente, garantito ex art. 40 Cost. e prescinde, pertanto, dalla disciplina del processo», opera, come precisato dalle Sezioni unite (Cass. pen., Sez. unite, n. 40187/2014), in base ai criteri di specialità e di competenza, la norma posta dalla fonte speciale e competente a regolare la specifica materia, ossia, attualmente, dall'art. 3 del vigente codice di autoregolamentazione». Nella seconda (e ultima) categoria rientrano gli altri casi in cui il difensore voglia trasmettere istanze o memorie. Qui non c'è né una indicazione esclusiva sulle modalità di trasmissione (come per le impugnazioni), né una normativa di settore specifica (come per il Daspo o il rinvio per adesione all'astensione) ed è in questo ambito che si registrano decisioni differenti, tra chi non ammette il ricorso alla Pec e chi mostra una certa apertura. Neanche questa categoria di casi sembra tuttavia registrare un contrasto, potendosi ritenere che le sentenze che aprono alla Pec siano appunto espressione dell'applicazione di quel principio interpretativo secondo cui ciò che non è previsto, non è voluto, ma non è neanche vietato. In questo ambito vi rientrano allora tutte quelle sentenze in cui la Corte ritiene la trasmissione con Pec una forma di invio irrituale, ma non tale da rendere l'atto irricevibile o inammissibile. Di qui l'assunzione del rischio in capo a chi le effettua ed il correlativo onere di diligenza del mittente ad accertarsi della sottoposizione tempestiva al giudice. Si tratta di un onere che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte nella sentenza in esame, si fonda sull'attuale assetto normativo (che non prevede la trasmissione di atti da parte del privato alla A.G. con Pec), e che si giustifica anche in ragione dell'attuale sistema operativo di trasmissione telematica. Va infatti considerato che nessuno dei sistemi operativi adottati dagli uffici giudiziari (nè il sistema S.N.T., nè il sistema Tiap, ossia i due sistemi di notificazione adottati dalla maggior parte degli uffici giudiziari – altri, come la Corte di cassazione, adottano un gestore locale degli atti, cd GL-AP) è abilitato alla recezione della Pec e che non vi è una norma che preveda (come nel caso dell'invio) che quel sistema rilasci un'attestazione dell'avvenuta ricezione della comunicazione alla Pec: deriva da ciò che il difensore – in mancanza di un fondamento normativo che gli consenta di inviare gli atti con Pec – dovrà attivarsi per verificare che l'istanza sia effettivamente pervenuta alla cancelleria del giudice e sia stata tempestivamente portata all'attenzione di quest'ultimo, assumendosi il rischio dell'intempestività e non potrà pretendere di assolvere al proprio dovere di diligenza, limitandosi semplicemente a produrre la certificazione rilasciata in automatico di inoltro al destinatario della Pec Tanto chiarito, l'istanza di rinvio per legittimo impedimento dell'imputato o del difensore rappresenta il caso su cui si registrano entrambi gli orientamenti: quello più rigoroso - espresso da ultimo da Cass. pen., Sez. V, n. 31013/2018; Cass. pen.,Sez. IV, n. 35683/2018; Cass. pen., Sez. II,n. 31314/2017 - e quello che “apre” alla Pec nel senso appena descritto (Cass. pen., Sez. VI, n. 35217/2017, C.). Si tratta di casi, quelli della richiesta di rinvio per legittimo impedimento del difensore o dell'imputato rispetto ai quali non sempre è dato comprendere – data la sinteticità delle pronunce - se la Corte abbia adottato l'interpretazione più rigorosa anche nelle ipotesi in cui l'istanza sita stata portata tempestivamente all'attenzione del giudice (nel quale caso, si potrebbe effettivamente parlare di contrasto) e non solo quando essa non gli sia stata consegnata in tempo utile (ipotesi, queste, in cui è difficile ritenere che vi sia un contrasto tra i due filoni). A tutto voler concedere, dunque, sarebbe essenzialmente questo, ossia quello della richiesta di rinvio per legittimo impedimento, il caso in cui si registrano due orientamenti difformi, pur se, per le ragioni sopraesposte sembra piuttosto trattarsi di un contrasto solo apparente, non potendosi escludere (anzi, potendosi fondatamente ritenere) che essi si riferiscano a situazioni di fatto differenti, ed essendo entrambi espressione di quel principio interpretativo (Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit) che, se declinato in termini restrittivi, porta ad escludere l'uso della Pec; se declinato, come sembra preferibile, in termini sistematici, dovrebbe portare in questi casi ad ammettere l'uso della Pec, con l'assunzione del rischio dell'intempestività a carico del difensore. Questa interpretazione appare preferibile perché avvalorata anche da un ulteriore argomento ermeneutico, di tipo teleologico - sistematico. Il sistema giuridico attuale si mostra infatti favorevole l'utilizzo della telematica nel processo penale (basi pensare alla normativa di settore, al progetto del PPT e simili) e dunque l'interprete, nei casi in cui non vi siano prescrizioni di forma speciali ed in quelli in cui vi siano solo generici riferimenti, dovrebbe prediligere interpretazioni in sintonia con questa evoluzione, arrestandosi per converso soltanto nei casi in cui l'espresso divieto di legge impedisce il ricorso ad altri argomenti interpretativi e non consenta forme "alternative" di comunicazione tra A.G. e parti processuali. |