Sulla rilevabilità d'ufficio delle cause di nullità del licenziamento
08 Novembre 2018
Massima
La disciplina della invalidità del licenziamento è caratterizzata da specialità, rispetto a quella generale della invalidità negoziale, desumibile dalla previsione di un termine di decadenza per impugnarlo e di termini perentori per il promovimento della successiva azione di impugnativa, che resta circoscritta all'atto e non è idonea a estendere l'oggetto del processo al rapporto, non essendo equiparabile all'azione con la quale si fanno valere diritti autodeterminati.
Conseguentemente, l'eventuale nullità del licenziamento non può essere rilevata d'ufficio, dovendo la pronuncia rimanere circoscritta alle ragioni di illegittimità ritualmente dedotte dalla parte. Il caso
Una lavoratrice, con ricorso ex art. 1, commi 47 ss., l. n. 92 del 2012, impugnava il licenziamento per giusta causa irrogatole il 5 novembre 2014 dal Comune di Napoli, a seguito di contestazione disciplinare del 15 novembre 2004, tra l'altro eccependo, per quanto qui rileva, la nullità del procedimento disciplinare sulla base della dedotta mancanza della qualifica dirigenziale del soggetto che aveva gestito il procedimento ed aveva adottato la sanzione disciplinare.
Il Tribunale di Napoli respingeva il predetto ricorso, nonché la successiva opposizione della lavoratrice.
La Corte di appello di Napoli respingeva, altresì, il reclamo della dipendente avverso la sentenza ex art. 1, comma 57, l. n. 92 del 2012, rilevando, in relazione alla causa di nullità eccepita, che risultava documentalmente provato che il Comune di Napoli aveva costituito l'Ufficio Procedimenti Disciplinari all'interno del Servizio Autonomo Personale (al quale erano stati addetti vari dipendenti, tra cui F.M., di qualifica dirigenziale) con provvedimento n. 45 del 1° ottobre 2013 (e, dunque, precedentemente al recesso) e che l'intera procedura disciplinare era stata gestita da tale Ufficio, il quale aveva adottato il provvedimento.
La lavoratrice proponeva ricorso per cassazione, lamentando, in sostanza, che la Corte territoriale aveva omesso di considerare che la contestazione disciplinare risultava effettuata precedentemente alla costituzione dell'U.P.D.; il che avrebbe costituito causa di nullità degli atti del procedimento disciplinare e, dunque, del licenziamento.
La Suprema Corte dichiarava inammissibile il ricorso, in quanto la ricorrente, nei precedenti giudizi di merito, mai aveva eccepito tale causa di nullità, la quale, per altro verso, non poteva ritenersi rilevabile d'ufficio (o dalla parte in ogni stato e grado del giudizio). La questione
La questione in esame è la seguente: le cause di nullità del licenziamento sono rilevabili d'ufficio (o ad istanza di parte in ogni stato e grado del giudizio)? Le soluzioni giuridiche
Il presupposto da cui la pronuncia muove è l'affermazione per cui la causa petendi dell'azione di impugnazione giudiziale del recesso è da individuarsi “nello specifico motivo di illegittimità dell'atto dedotto nel ricorso introduttivo, in quanto ciascuno dei molteplici vizi, dai quali può derivare la illegittimità del recesso, discende da circostanze di fatto che è onere dei ricorrente dedurre e allegare”.
Ne consegue che la prospettazione di un profilo di illegittimità non tempestivamente dedotto costituisce domanda nuova e, pertanto, inammissibile nel corso dello stesso giudizio di primo grado (e, a fortiori, in sede di impugnazione).
Tale inammissibilità, secondo la sentenza in commento, riguarda anche la deduzione di cause di nullità del licenziamento, di cui, per altro verso, va esclusa la rilevabilità d'ufficio, per plurime ragioni.
In primo luogo, la sentenza in esame richiama le preclusioni e decadenze previste dagli artt. 414 e 416, c.p.c., che impongono la tempestiva allegazione delle circostanze di fatto poste a fondamento dell'azione (e, dunque, per quanto riguarda l'impugnazione di licenziamento, le circostanze da cui discende l'invalidità del recesso), sottolineando che su tali preclusioni e decadenze "la rilevabilità d'ufficio della nullità non può incidere […] ove, attraverso l'exceptio nullitatis, si introducano tardivamente in giudizio questioni di fatto ed accertamenti nuovi e diversi, ponendosi, una diversa soluzione, in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo di cui all'art. 111, Cost." (Cass. 17 maggio 2012, n. 7751, citata in motivazione).
In secondo luogo, la previsione della rilevabilità d'ufficio delle nullità ex art. 1421, c.c., deve essere coordinata: da una parte, con i principi della domanda, della corrispondenza tra il chiesto il pronunciato e della disponibilità delle prove, con la conseguenza per cui il predetto art. 1421, c.c. “non può trovare applicazione quando la parte chieda la declaratoria di invalidità di un atto a sé pregiudizievole, dovendo la pronuncia del giudice rimanere circoscritta, in tale caso, alle ragioni di illegittimità ritualmente dedotte dalla parte stessa" (Cass. 3 luglio 2015, n. 13673, richiamata in motivazione); dall'altra parte, con il principio dispositivo in senso sostanziale, con la conseguenza per cui il rilievo officioso delle cause di nullità può operare “solo nelle controversie promosse per far valere diritti presupponenti la validità del contratto, non anche nella diversa ipotesi in cui la domanda fosse diretta a fare dichiarare l'invalidità del contratto o a farne pronunciare la risoluzione per inadempimento” (in termini analoghi, Cass. 9 agosto 2016, n. 16820, in Nuova giur. civ., 2017, 2, 218).
Di qui, le conclusioni circa la non rilevabilità d'ufficio (o a istanza di parte in ogni stato e grado) delle cause di nullità del licenziamento, già in precedenza espresse da Cass. n. 13673 del 2015 e Cass. 28 settembre 2015, n. 19142 (che, in fattispecie in cui era stata esclusivamente dedotta l'assenza di giusta causa del licenziamento, hanno qualificato come "nuove" le domande di declaratoria di nullità, rispettivamente per discriminatorietà e ritorsività del recesso, formulate solo sulla base di circostanze emergenti dagli atti).
Tali conclusioni si discostano dalla posizione assunta dalle Sezioni unite con Cass., sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242 e Cass., sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26243, entrambe in Giur. it., 2015, 1, 70, secondo le quali, in estrema sintesi: “La ‘rilevazione' ex officio delle nullità negoziali (sotto qualsiasi profilo, anche diverso da quello allegato dalla parte, ed altresì per le ipotesi di nullità speciali o ‘di protezione') è sempre obbligatoria”.
La sentenza in esame, infatti, fa proprie, mediante totalizzante richiamo, le seguenti ragioni di dissenso già espresse da Cass. 30 novembre 2017, n. 28796, in Lav. giur., 2018, 3, 310, e Cass. 24 marzo 2017, n. 7687, in Lav. giur., 2017, 7, 695:
a) premesso che, ai sensi dell'art. 1324, c.c., le norme che regolano i contratti sono applicabili agli atti unilaterali (quale il recesso) solo “in quanto compatibili”, tale compatibilità non potrebbe sussistere tra le ipotesi di nullità del licenziamento, il cui rilievo deve essere necessariamente preceduto da impugnazione sottoposta a termini decadenziali di legge, e una disciplina che, come quella contrattuale, consente, invece, il rilievo della nullità in ogni caso e tempo.
b) la disciplina delle nullità in ambito giuslavoristico risulterebbe peculiare e differente rispetto a quello delle nullità negoziali di ambito civilistico, come dimostrato, ad esempio, dal disposto del comma 7 dell'art. 18, l. n. 300 del 1970 (come modificato dalla l. n. 92 del 2012 e del d.lgs. n. 23 del 2015) che prevede l'applicazione della disciplina della nullità solo “sulla base della domanda formulata dal lavoratore”;
c) i principi espressi dalle Sezioni Unite secondo cui, in ogni azione contrattuale, il negozio viene in rilievo “nella sua duplice accezione di fatto storico e di fattispecie programmatica” (con la conseguenza che l'oggetto del giudizio è sempre anche il rapporto originato dal negozio medesimo) e secondo cui la domanda di declaratoria di nullità, avendo ad oggetto l'accertamento negativo dell'esistenza del rapporto contrattuale fondamentale, è equiparabile alla domanda di accertamento di diritti autodeterminati (individuati cioè in base alla sola indicazione del loro contenuto, rappresentato dal bene che ne costituisce l'oggetto), non risulterebbero estensibili all'impugnativa di licenziamento. Infatti, tale azione: da un lato, resta circoscritta all'atto del licenziamento e non è idonea a estendere l'oggetto del processo al rapporto; dall'altro lato, concerne diritti da considerarsi non autodeterminati, ma eterodeterminati, attesa la molteplicità dei profili di invalidità che possono inficiare il recesso (e di cui occorre, altresì, la tempestiva allegazione delle circostanze di fatto in base a cui sono prospettati). Osservazioni
La sentenza in esame, ha riaffermato il divieto di ampliamento d'ufficio (o di parte) della causa petendi dell'azione di impugnazione del licenziamento individuata (e circoscritta) dal lavoratore ricorrente con l'atto introduttivo del giudizio, anche a fronte di cause di nullità del recesso successivamente emerse ex actis, ma non tempestivamente dedotte; divieto riconnesso al peculiare sistema di preclusioni del rito del lavoro e alle generali regole processuali di cui agli artt. 99, 112 e 115, c.p.c.
Trattasi di principi in passato ripetutamente ribaditi dalla Sezione Lavoro della Suprema Corte (v. Cass. 17 maggio 2012, n. 7751; Cass. 21 dicembre 2004, n. 23683, in Lav. giur., 2005, 481; Cass. 7 giugno 2003, n. 9167, in Guida al diritto, 2003, 31, 56) e non abbandonati anche a seguito del sopra citato intervento del 2014 con cui le Sezioni Unite hanno affermato l'obbligatorietà del rilievo officioso delle cause di nullità.
Infatti, accanto a sentenze conformi al dictum delle Sezioni Unite (v. Cass. 28 agosto 2015, n. 17286 e Cass. 31 maggio 2017, n. 13804), si sono registrate pronunce difformi (v., ad esempio, Cass. 3 luglio 2015, n. 13673 e Cass. 28 settembre 2015, n. 19142, cit.), le quali, tuttavia, inizialmente, non avevano espressamente indicato i motivi di discostamento dagli arresti delle Sezioni Unite, come invece effettuato dalla sentenza in esame e dai recenti precedenti da quest'ultima integralmente richiamati (Cass. 30 novembre 2017, n. 28796, in Lav. giur., 2018, 3, 310 e Cass. 24 marzo 2017, n. 7687, in Lav. giur., 2017, 7, 695).
Quanto a tali motivi, per esigenze di sintesi, ci si limita qui a rilevare che essi sono pressoché integralmente incentrati su profili di peculiarità (di natura sostanziale e procedurale) della materia giuslavoristica e, specificamente, del licenziamento (anche in quanto atto unilaterale), i quali non consentirebbero una piana sovrapposizione a tale materia delle regole sulle nullità contrattuali.
Per tali ragioni, e posto che la sentenza in esame risulta significativa del consolidarsi di un orientamento dissenziente da quello delle Sezioni Unite, non è da escludersi che le stesse saranno in futuro chiamate a pronuncia specifica in tema di rilevabilità d'ufficio della nullità del licenziamento. |