Sanzione del doppio contributo unificato e ricorribilità per cassazione
12 Novembre 2018
Massima
La pronuncia di rigetto, di improcedibilità o di inammissibilità dell'impugnazione costituisce il presupposto giurisdizionale legittimante in astratto la conseguente debenza, a carico dell'impugnante, di un importo pari al contributo unificato di iscrizione a ruolo, come dispone l'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115; spetta esclusivamente all'Amministrazione giudiziaria il compito di verificare l'effettiva sussistenza dell'obbligo, avente natura tributaria, di pagamento derivante dalla pronuncia e di adottare i provvedimenti conseguenti, avverso i quali l'interessato può esperire i mezzi di tutela di natura amministrativa. Il caso
Il ricorrente per cassazione aveva impugnato con reclamo una ordinanza del giudice dell'esecuzione in una procedura alla quale era assoggettato in veste di debitore. Il reclamo fu dichiarato inammissibile e analoga pronuncia fu emessa nel giudizio di appello in riferimento al proposto gravame. Con la sentenza l'allora appellante fu condannato, tra l'altro, al pagamento del cd. doppio contributo unificato, in osservanza del disposto della norma dettata dall'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, in tema di spese di giustizia. Con il successivo ricorso si è impugnata la decisione per asserita violazione o falsa applicazione di legge, deducendosi che la Corte territoriale aveva dichiarato da lui dovuto il versamento nonostante egli fosse stato ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, con conseguente prenotazione a debito del contributo di iscrizione a ruolo. La questione
Il motivo di ricorso riguardava direttamente la sussistenza dell'obbligo di versare una somma pari al contributo unificato di iscrizione a ruolo quale conseguenza sanzionatoria della definizione sfavorevole del precedente giudizio di appello: obbligo che il preteso destinatario assumeva essere insussistente in quanto egli era stato ammesso al patrocinio dei non abbienti. Come è noto, in conseguenza dell'ammissione a questo beneficio, il contributo iniziale è prenotato a debito, a carico del beneficiario, per essere eventualmente riscosso ex post secondo la normativa che regola specificamente questa materia. Il ricorrente contestava la legittimità della decisione a suo carico come inosservante della specifica sua situazione personale di soggetto esente dal tributo. La Corte di cassazione si è posta d'ufficio la diversa e in ordine logico preliminare questione che, risolta negativamente, ha reso superfluo esprimersi sul punto oggetto del ricorso. L'interrogativo affrontato dal collegio era il seguente: la pronuncia del giudice di appello che, con la sentenza di rigetto dell'impugnazione o di improcedibilità o di inammissibilità della stessa, dichiara dovuta dall'appellante una somma di importo pari al contributo unificato di iscrizione a ruolo, costituisce un provvedimento impugnabile? Le soluzioni giuridiche
La Corte ha osservato che la norma di cui all'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002 (per la quale la parte che inutilmente ha proposto l'impugnazione è tenuta a versare una somma di importo pari a quello dovuto per il contributo unificato di iscrizione a ruolo; e il giudice deve dare atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di siffatto obbligo, il quale poi sorge concretamente quando il provvedimento è depositato), va interpretata in modo ragionevole e tenendo conto dell'estraneità alla giurisdizione civile della cognizione avente ad oggetto il contributo suddetto. Il giudice, quando dichiara l'infondatezza, l'ìmprocedibilità o l'inammissibilità del gravame, ha il compito di attestare la ricorrenza in astratto delle condizioni che in forza della sua stessa pronuncia fondano il sorgere dell'obbligo pecuniario per il soccombente; ma non anche il compito di affermare che la parte è realmente tenuta al versamento concreto del contributo. L'accertamento in proposito compete all'Amministrazione giudiziaria, attraverso il funzionario di cancelleria, cui spetta di rilevare eventuali condizioni di esenzione o di prenotazione a debito (art. 10 d.P.R. n. 115/2002). Il giudice, precisa la Corte, deve soltanto attestare di avere adottato una pronuncia di respingimento, di improcedibilità o di inammissibilità, in modo che sul tenore della sua decisione non vi siano dubbi. Questa attestazione costituisce il presupposto giurisdizionale che legittima in linea di principio la debenza del doppio contributo. Ma è poi attribuzione esclusiva dell'Amministrazione il verificare se, nonostante il tenore della pronuncia, la doppia contribuzione sia effettivamente dovuta oppure no. Le deliberazioni in proposito competono esclusivamente ad essa e contro l'eventuale pretesa illegittima di riscossione la parte deve tutelarsi per mezzo degli specifici strumenti giuridici di natura amministrativa. La Corte ha affermato, nella sua motivazione, che l'attestazione del giudice civile non può essere letta come affermazione della debenza effettiva della doppia contribuzione, non avendo un tale oggetto. E ne ha tratto la conclusione dell'inammissibilità del proposto ricorso in quanto con esso era stata impugnata una statuizione inesistente. Osservazioni
La decisione della Corte porta alle estreme conseguenze l'orientamento giurisprudenziale che in questa incerta materia nega natura ed effetti di provvedimento giurisdizionale all'attestazione, nel provvedimento dichiarativo del rigetto, dell'improcedibilità o dell'inammissibilità dell'impugnazione, della debenza a carico dell'impugnante sconfitto dell'obbligo di versare una somma di importo uguale a quello del contributo unificato di iscrizione a ruolo. Il Supremo collegio ha affermato che una siffatta attestazione rappresenta un mero presupposto per una conseguenza i cui effetti compete poi all'Amministrazione giudiziaria di applicare: sia per ciò che attiene al controllo della rispondenza di questo presupposto alla realtà di fatto e sia per quanto concerne i provvedimenti che risultino occorrenti (ad es.: la riscossione). Si ricava per implicito da questa presa di posizione che, a parere della Corte, l'enunciazione del giudice dell'impugnazione non solo non è costitutiva dell'obbligo di pagamento ma neppure è dichiarativa della sua concreta sussistenza. Essa serve unicamente a indicare all'Amministrazione che esistono le condizioni per l'esercizio di poteri che soltanto ad essa sono conferiti mentre nessun valore di condanna o anche di solo accertamento può essere ravvisato nella mera dichiarazione giudiziale. Sotto questo profilo, anzi, questa dichiarazione neppure esiste, come provvedimento che incida su interessi tutelabili giurisdizionalmente attraverso gli ordinari strumenti di impugnazione. In altre parole, la pronuncia riguardante l'obbligo di versare la somma costituisce una semplice segnalazione finalizzata ad attivare l'autorità amministrativa. L'orientamento così espresso si fonda sull'affermazione secondo cui l'obbligo di versare il doppio contributo unificato sorge direttamente dalla legge e non dipende affatto dalla sua menzione nel provvedimento del giudice. In questo senso più volte si è chiarito che l'obbligo di versamento sorge ex lege per il mero effetto del rigetto dell'impugnazione, della dichiarazione di sua improcedibilità o della dichiarazione di inammissibilità (ad es.: Cass. civ., sez. VI, n. 16079/2018; Cass. civ., n. 5955/2014; Cass. civ., n. 21207/2013; Cons. Stato, sez. III, n. 4167/2016). Proprio perché esso sorge ipso jure neppure occorre che vi sia una espressa statuizione nella sentenza (Cons. Stato, sez. III, n. 4167/2016) e l'obbligo in questione è sottratto alla potestà del giudice, quanto alla possibilità di disporlo e quanto alla determinazione del suo ammontare (Cass. civ., n. 16079/2018 cit.; TAR Molise Campobasso, n. 422/2014). Le decisioni ricordate assumono per risolto il problema della natura giuridica da attribuire all'attestazione del giudice nel senso che essa non sia altro che un richiamo, un memento, un rinvio al disposto di una precisa norma di legge. In proposito la Corte di cassazione si è tuttavia espressa anche in senso diverso, tanto da far concludere che resta controversa la vera natura della detta pronuncia. In alcune decisioni l'attestazione del giudice relativa all'obbligo di pagamento per una seconda volta del contributo unificato è considerata alla stregua di una pronuncia di condanna: l'obbligo sorge per opera del giudice, la cui enunciazione costituisce un nuovo rapporto debitorio a carico della parte che inutilmente ha proposto l'impugnazione. In questo ordine di idee si è espressa ancora recentemente Cass. civ., sez. VI, n. 17215, per la quale il giudice condanna, con la sentenza di rigetto, di improcedibilità o di inammissibilità l'impugnante al versamento della somma a favore dell'Erario. A sua volta Cass. civ., sez. VI, n. 16079/2018 è giunta ad affermare che la condanna al pagamento può essere legittimamente subordinata dal giudice all'avveramento di una condizione (nella specie, l'obbligo era stato subordinato dal giudice di appello alla debenza originaria del contributo unificato). Deve però prendersi atto che la stessa sezione della Corte si è espressa pressoché contemporaneamente in senso contrario. Con decisione n. 8170/2018 essa ha affermato che l'obbligo di doppio versamento, sorgendo ipso iure, non può costituire un capo del provvedimento giudiziale che sia dotato di contenuto condannatorio né di un contenuto declaratorio (analogamente, per il processo amministrativo si è espresso il TAR Trentino-Alto Adige n. 177/2017). E con decisione n. 15111/2018, ha attribuito alla dichiarazione giudiziale una vera e propria natura amministrativa, più specificamente, una natura tributaria (così Cass. civ., sez. VI, n. 15166/2018; Cass. civ., n. 22867/2016). Un aspetto che logicamente si relaziona alla questione concernente la natura della pronuncia del giudice avente ad oggetto l'obbligo di versare il doppio del contributo concerne il collegamento della detta pronuncia con il capo del provvedimento che regola le spese del processo. Ove si consideri quella pronuncia alla stregua di una condanna ad un esborso cagionato dal processo, appare conseguente ritenere che anch'essa costituisce una parte integrante di quella che accolla al soccombente le (altre) spese del processo. Per tal modo dovrebbe ritenersi risolto il problema di ordine pratico che si pone allorchè le (vere) spese processuali vengono compensate tra le parti. Anche la duplicazione del contributo deve essere considerata tra gli importi che tra loro si compensano? Cass. civ., sez. VI, n. 29681/2017 ha risposto di sì, sull'assunto per cui anche l'obbligo relativo deve seguire il regime determinato per le spese del giudizio (nella specie, di cui all'art. 15, comma 2-ter, d.lgs. n. 546/1992). Per l'opinione contraria si registra un maggior numero di decisioni, aventi per dato di partenza comune l'affermazione dell'insorgenza ex lege dell'obbligo a carico dell'impugnante: se deriva direttamente dalla legge ed è predeterminato nell'importo, esso non può che risolversi in un onere autonomo, del tutto svincolato dai poteri discrezionali del giudice di liquidare e ripartire le spese del processo. Si vedano, tra le altre, Cass. civ., sez. VI, n. 8170/2018 che ha espressamente definito “errore del giudice” l'aver collegato l'obbligo relativo al doppio contributo con la compensazione delle spese; e Cass. civ., sez. VI, n. 10306/2014 che proprio sul punto ha chiaramente affermato che l'obbligo in argomento non è collegato alla condanna alle spese ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, dell'impugnazione. Le questioni sulle quali si è formato il contrasto di decisioni non hanno un rilievo meramente teorico e dottrinale. Dalla loro risoluzione dipende una conseguenza di palese importanza, sul piano della tutela giudiziaria. Se alla pronuncia avente ad oggetto l'obbligo di versare un contributo doppio si riconosce natura giurisdizionale, altrettanto giurisdizionale dovrà essere la difesa esperibile dal soggetto che si vede indicato come destinatario di tale obbligo. Al contrario, se quella pronuncia non è una pronuncia di giurisdizione, l'obbligato dovrà servirsi di mezzi di difesa diversi. Il quesito in proposito può essere sintetizzato in questa domanda: è ammissibile il ricorso per cassazione? La sentenza in commento si è espressa con una affermazione drastica: sotto il profilo della tutela giurisdizionale la pronuncia riguardante l'obbligo di versare somma pari al contributo unificato neppure esiste: e il ricorso per cassazione eventualmente proposto è in radice inammissibile. Sia pure con diversa motivazione, riferendosi alla natura tributaria dell'obbligazione, avevano escluso il ricorso anche Cass. civ., sez. VI, n. 15166/2018, e Cass. civ., sez. VI, n. 22867/2016. Per queste decisioni la tutela dell'obbligato trova la sua sede fuori dalla giurisdizione civile e per il tramite degli strumenti amministrativi azionabili nel momento in cui è pretesa la riscossione. In posizione autonoma Cass. civ., sez. VI, n. 8170/2018, ha dichiarato che, ove il ricorso per cassazione sia presentato, questo non può condurre alla cassazione della sentenza impugnata ma può solo consentire un'attestazione ex lege della non debenza dell'ulteriore contributo: il che per l'interprete equivale a dire che l'impugnazione non è ammessa ma che, se è proposta, conduce comunque al risultato utile di sentir affermare che l'obbligo di pagamento non sussiste. Hanno, invece, ritenuto consentito il ricorso: Cass. civ., sez. VI, n. 23281/2017, per la quale la pronuncia sul doppio contributo, pur trattandosi di un atto dovuto, collegato al dato oggettivo della definizione del giudizio in senso sfavorevole all'impugnante, incide in maniera definitiva sul diritto di questi all'accertamento giurisdizionale dell'obbligo e, ove si ritenesse che la sua difesa debba esser fatta valere in sede di riscossione, ne risulterebbero inosservati l'art. 6 della CEDU e l'art. 47 della Carta fondamentale dell'Unione Europea. Con identica motivazione, per l'ipotesi in cui l'appellante era stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, si era espressa Cass. civ., sez. VI, n. 13935/2017. In questa situazione di contrasto interpretativo, come deve comportarsi il difensore che ritenga non corretta l'attestazione del giudice dell'impugnazione a carico del suo assistito? Proporre il ricorso o attendere la richiesta di pagamento e sperare che l'Amministrazione accetti di sconfessare la sentenza del giudice? Per l'Ufficio il dictum giudiziario potrebbe essere da considerare intangibile e definitivo. Ne seguirebbe una situazione di impossibile tutela. Deve dunque ritenersi legittima ed ammissibile l'impugnazione per cassazione onde far risultare l'errata applicazione della norma di cui all'art. 13d.P.R. n. 115/2002, derivante dall'insussistenza del presupposto da cui dipende l'accollo del pagamento ulteriore. Non può essere considerata esente da gravame giurisdizionale una pronuncia che, ad esempio, abbia dichiarato l'inammissibilità dell'impugnazione mentre ricorrevano gli estremi per la dichiarazione di estinzione del giudizio. Un siffatto controllo non spetta certamente all'Amministrazione in sede di riscossione né con il ricorso si tratterebbe di discutere di un rapporto avente natura tributaria. Si tratterebbe, per contro, di verificare l'esistenza effettiva del titolo (il rigetto, l'inammissibilità o l'improcedibilità dell'impugnazione) che costituisce la ragione del sorgere del rapporto tributario. Si accetti pure l'opinione per la quale l'obbligo di versamento ulteriore dipende e sorge direttamente dalla legge per il fatto oggettivo del provvedimento che respinge l'impugnazione o la dichiara inammissibile o improcedibile. Ma chi controlla l'esistenza effettiva di questo dato oggettivo? Non pare possibile attribuire il potere di sindacare la pronuncia giudiziaria (il titolo dell'obbligo) all'organo amministrativo che, di contrario avviso, neghi l'obbligo di pagamento risultante dalla pronuncia passata in giudicato. Diverso discorso è quello che concerne l'applicazione delle eventuali esenzioni, dovute nella specie, delle quali tener conto nella competente sede: cui non osta la contraria dichiarazione giudiziale dell'astratta debenza del pagamento. |