Procedimento arbitrale

Mauro Di Marzio
30 Giugno 2023

La recente riforma del 2022 ha regolato la translatio iudicii tra giudizio arbitrale e giudizio ordinario e tra giudizio ordinario e giudizio arbitrale. Si tratta di un intervento in cui si concentra un notevole rilievo sistematico, poiché il fatto che si possa passare dagli arbitri al giudice e dal giudice agli arbitri, sta a significare che gli uni e gli altri sono in definitiva parte di un unico sistema.
Inquadramento

Anche ad una superficiale osservazione, la differente attenzione riservata dal legislatore alla conformazione del procedimento arbitrale, rispetto al modello del giudizio devoluto al giudice ordinario, il modello della cognizione ordinaria, emerge manifesta: in un caso, quello del giudizio dinanzi al giudice ordinario, viene apprestata una disciplina del procedimento completa e dettagliata; nell'altro caso, quello del giudizio arbitrale, il procedimento è scheletricamente regolato soltanto per grandissime linee.

Il che non è ovviamente casuale, ma risponde ad un'intuitiva giustificazione, giacché la natura privata del giudizio arbitrale si riverbera anche sull'affidamento ai privati contendenti, ferma una soglia minima da rispettare, della scelta delle regole processuali da applicare, eventualmente sotto pena di nullità. Ed in tale prospettiva, coerentemente, l'ordinamento ammette le parti alla scelta applicativa di regolamenti arbitrali precostituiti, nel quadro dell'espletamento dei cosiddetti arbitrati amministrati previsti dall'art. 832 c.p.c. D'altro canto, l'art. 829, comma 1, n. 7, c.p.c. fa discendere la nullità del lodo, tra le altre ipotesi ivi considerate, proprio dall'inosservanza delle forme prescritte dalle parti, quando convenute a pena di nullità.

La sede dell'arbitrato

Il capo terzo del titolo ottavo del quarto libro del codice di rito, dedicato al procedimento arbitrale, si apre con l'art. 816 c.p.c., dettato con riguardo alla sede dell'arbitrato. Ed in tale norma subito emerge il rilievo della volontà delle parti, giacché sono queste ultime, ovvero in loro vece gli arbitri, a determinare la sede dell'arbitrato, sede che si radica nel luogo in cui è stata stipulata la convenzione di arbitrato solo se né le parti né gli arbitri vi hanno provveduto, salvo il caso in cui la convenzione di arbitrato sia stata stipulata all'estero, nella quale ipotesi la sede è automaticamente fissata in Roma.

Nella stessa disposizione, poi, al comma 3, si afferma che, salvo la convenzione di arbitrato non disponga diversamente, gli arbitri possono tenere udienza, compiere atti istruttori, deliberare ed apporre la loro sottoscrizione al lodo anche in luoghi di diversi dalla sede dell'arbitrato, ed anche all'estero: sicché anche sotto tale profilo la signoria in ordine al concreto espletamento dell'arbitrato è affidata in prima battuta alle parti, in sede di convenzione di arbitrato, ed in mancanza agli stessi arbitri.

Va a tal riguardo sottolineato che l'individuazione della sede dell'arbitrato determina ripercussioni anche sugli interventi giudiziali eventualmente ricollegati allo svolgimento del giudizio arbitrale: basti dire che il fondamentale intervento suppletivo previsto in occasione della nomina degli arbitri, ai sensi dell'art. 810 c.p.c., è per l'appunto devoluto al presidente del tribunale del circondario nel quale è la sede dell'arbitrato. In riferimento a detta norma è qui il caso di rammentare che essa è stata recentemente novellata, con il d.lgs. n. 149/2022, attraverso l'introduzione della prescrizione secondo cui: «La nomina avviene nel rispetto di criteri che assicurano trasparenza, rotazione ed efficienza e, a tal fine, della nomina viene data notizia sul sito dell'ufficio giudiziario». Tornando alla sede, più in generale, essa individua, secondo l'art. 828 c.p.c., l'ufficio giudiziario competente a decidere sull'impugnazione per nullità del lodo arbitrale.

La convenzione di arbitrato come fonte delle regole procedurali

Fondamentale rilievo, ai fini della descrizione del procedimento arbitrale, va inoltre riconosciuto al successivo art. 816-bis c.p.c., secondo il quale le parti possono stabilire nella convenzione di arbitrato, oppure con separato atto scritto, purché anteriore all'inizio del giudizio arbitrale, le norme che gli arbitri debbono osservare nel procedimento e la lingua dell'arbitrato. In mancanza di tali norme gli arbitri hanno facoltà di regolare lo svolgimento del giudizio e determinare la lingua dell'arbitrato nel modo che ritengono più opportuno. Le parti o gli arbitri possono autorizzare il presidente del collegio arbitrale a deliberare con ordinanza le modalità di svolgimento del procedimento. In ogni caso, su tutte le questioni che si presentano nel corso del procedimento gli arbitri, se non ritengono di provvedere con lodo non definitivo, provvedono con ordinanza revocabile non soggetta a deposito.

Il solo limite inderogabile, la soglia minima cui già poc'anzi si faceva riferimento, è l'obbligo imposto agli arbitri di «attuare il principio del contraddittorio, concedendo alle parti ragionevoli ed equivalenti possibilità di difesa». Tale previsione, contenuta nel comma 1 dell'art. 816-bis c.p.c., si collega con la previsione di nullità e conseguente impugnabilità del lodo per nullità ex art. 829, comma 1, n. 9, c.p.c.. In tale prospettiva la norma fissa la facoltà delle parti di avvalersi dell'assistenza di difensori officiati a mezzo di procura, la quale si intende estesa a qualsiasi atto processuale, ivi compresa la nomina degli arbitri, ed altresì la rinuncia agli atti e la determinazione o proroga del termine per la pronuncia del lodo. In ogni caso, poi, il difensore può essere destinatario della comunicazione della notificazione del lodo e della notificazione della sua impugnazione.

In tale contesto, la Suprema Corte esclude l'automatica applicabilità al procedimento arbitrale della disciplina del codice di rito. È stato affermato in tal senso, che:

In evidenza

Il procedimento arbitrale è ispirato alla libertà delle forme, con la conseguenza che gli arbitri non sono tenuti all'osservanza delle norme del codice di procedura civile relative al giudizio ordinario di cognizione, a meno che le parti non vi abbiano fatto esplicito richiamo, nel conferimento dell'incarico arbitrale (Cass. civ., 17 febbraio 2011, n. 3917, in Riv. arb., 2011, 653, con nota di Clifano, Sul principio del contraddittorio nella fase istruttoria dell'arbitrato rituale, che ha confermato la sentenza impugnata la quale aveva escluso che avesse comportato una violazione del contraddittorio l'ammissione e l'espletamento della prova testimoniale richiesta dalla parte in una memoria istruttoria tardivamente depositata, senza concedere all'altra parte un termine per formulare controdeduzioni o per un differimento, avendo il suo difensore partecipato all'udienza di assunzione della prova senza opporsi al suo espletamento; nello stesso senso in precedenza Cass. civ., 7 marzo 2007, n. 5274).

Ed ancora, l'atto introduttivo del procedimento arbitrale può ritenersi soggetto alle disposizioni di cui all'art. 163 c.p.c. — dettate in tema di citazione dinanzi al giudice ordinario — soltanto nell'ipotesi in cui le parti o gli arbitri abbiano disposto che il procedimento stesso si svolga secondo la disciplina del processo ordinario, sicché, in mancanza di regole procedimentali stabilite dalle parti o dagli arbitri a pena di nullità, può denunciarsi l'invalidità del lodo soltanto se la formulazione dei quesiti, oggetto di giudizio, sia stata effettuata senza rispettare il principio del contraddittorio (Cass. civ., 19 febbraio 2003, n. 2472). Lo stesso discorso è stato fatto con riguardo alla procura alle liti (Cass. civ., sez. un., 5 maggio 2011, n. 9839).

Il limite del principio del contraddittorio

Sicché rimane confermato che il procedimento arbitrale deve comunque essere condotto nel rispetto delle norme di ordine pubblico, che fissano i principi cardine del processo, di rango costituzionale, come il principio del contraddittorio, rafforzato dalla specifica previsione della lesione di tale principio come motivo di nullità del lodo, ai sensi dell'art. 829, comma 9, c.p.c. (Cass. civ., 10 luglio 2013, n. 17099). In tale quadro è legittima la fissazione, da parte degli arbitri alle parti, di termini perentori, ad es. quelli dell'allora vigente art. 184 c.p.c., quale frutto della libera e lecita scelta di recepimento di un modello processuale ispirato ad esigenze di speditezza e concentrazione istruttoria (Cass. civ., 14 febbraio 2014, n. 3558).

Peraltro, nel procedimento arbitrale:

In evidenza

L'omessa osservanza del principio del contraddittorio non è un vizio formale, ma di attività, con la conseguenza che, ai fini della declaratoria di nullità, è necessario accertare la concreta menomazione del diritto di difesa, tenendo conto della modalità del confronto tra le parti (avuto riguardo alle rispettive pretese) e delle possibilità, per le stesse, di esercitare, nel rispetto della regola audiatur et altera pars, su un piano di uguaglianza le facoltà processuali loro attribuite (Cass. civ., 27 dicembre 2013, n. 28660, che ha rigettato il ricorso con il quale una delle parti sosteneva che l'altra avesse modificato le proprie domande nel «foglio conclusioni» introducendo nuovi temi, i quali, invece, erano stati ampiamente discussi davanti agli arbitri).

Nella stessa prospettiva l'omessa comunicazione al consulente tecnico di parte, già nominato, delle indagini predisposte dal consulente d'ufficio non è causa di nullità, ove il consulente della parte interessata avrebbe potuto essere informato di tali operazioni dal difensore della medesima, regolarmente avvisato (Cass. civ., 28 febbraio 2014, n. 4808).

Resta fermo che la flessibilità procedurale dell'arbitrato non incide sulla sua giurisdizionalità, riassunta nella definizione offerta dell'arbitrato dalla Corte costituzionale come procedimento previsto e disciplinato dal codice di rito preordinato all'applicazione obbiettiva del diritto nel caso concreto, ai fini della risoluzione di una controversia, con le garanzie di contraddittorio e di imparzialità tipiche della giurisdizione civile ordinaria, non differenziandosi lo stesso, per quanto riguarda la ricerca e l'interpretazione delle norme, da quello che si svolge davanti agli organi giurisdizionali statali, posto che a ogni organo giudicante è precluso tanto il potere di disapplicare le leggi, quanto quello di definire il giudizio, applicando leggi di dubbia costituzionalità, con la conseguenza che anche gli arbitri rituali possono e debbono sollevare questione incidentale di legittimità costituzionale delle norme di legge che sono chiamati ad applicare, quando risulti impossibile superare il dubbio attraverso l'opera interpretativa (Corte cost., 28 novembre 2001, n. 376).

L'inizio del procedimento

La Suprema Corte ha da tempo chiarito che, all'esito delle modifiche introdotte dalla l. n. 25/1994 al procedimento arbitrale — in particolare, con l'art. 1 (introduttivo dell'art. 669-octies c.p.c.), 25 (sostitutivo dell'art. 2943, comma 4, c.c., ed additivo del comma 4 all'art. 2945 c.c.) e 26 (additivo di un capoverso agli artt. 2652, 2653, 2690 e 2691 c.c.) — deve ritenersi che tale procedimento si instauri con la notificazione della domanda di accesso all'arbitrato, e non anche con la costituzione del collegio arbitrale, con la conseguenza che, determinatosi l'effetto della pendenza del giudizio con la detta notifica, il giudizio si radica fin da tale momento tra i soggetti sottoscrittori della clausola compromissoria, i soggetti, cioè, legittimati attivamente e passivamente ad agire e resistere nella procedura arbitrale fino alla sua definizione (Cass. civ., 8 aprile 2003, n. 5457). Con tale complesso normativo è stato delineato un paradigma dell'atto introduttivo articolato nei seguenti tre elementi:

In evidenza

  • L'intento di promuovere il procedimento
  • La formulazione della domanda
  • La designazione dell'arbitro

A seguito dell'entrata in vigore della l. n. 25/1994, il momento iniziale del giudizio arbitrale va dunque determinato con riferimento al momento della notificazione della domanda di accesso agli arbitri (Cass. civ., 12 dicembre 2003, n. 19025). In materia di arbitrato, l'indubbia natura negoziale dell'atto di nomina non esclude dunque che esso produca anche gli effetti della vocatio in ius; infatti, nel quadro normativo formatosi con la l. n. 25/1994, la notifica della domanda di arbitrato segna l'inizio, a tutti gli effetti, del procedimento arbitrale (Cass. civ., 10 luglio 2013, n. 17099). Il legislatore ha infine recepito tale ricostruzione, con il citato d.lgs. n. 149/2022, introducendo il nuovo art. 816-bis c.p.c., secondo cui: «La domanda di arbitrato produce gli effetti sostanziali della domanda giudiziale e li mantiene nei casi previsti dall'art. 819-quater», e così ulteriormente chiarendo, in via generale, che gli effetti prodotti dalla domanda arbitrale vengono mantenuti anche nel caso di trasmigrazione del processo avanti al giudice ordinario, nelle ipotesi previste dal nuovo art. 819 quater c.p.c.

Quanto all'accettazione da parte degli arbitri dell'incarico ricevuto, la già citata riforma Cartabia ha modificato l'art. 813 c.p.c., stabilendo che: «L'accettazione degli arbitri è data per iscritto, anche mediante sottoscrizione del compromesso o del verbale della prima riunione, ed è accompagnata, a pena di nullità, da una dichiarazione nella quale è indicata ogni circostanza rilevante ai sensi dell'art. 815, comma 1, ovvero la relativa insussistenza. L'arbitro deve rinnovare la dichiarazione in presenza di circostanze sopravvenute. In caso di omessa dichiarazione o di omessa indicazione di circostanze che legittimano la ricusazione, la parte può richiedere, entro dieci giorni dalla accettazione o dalla scoperta delle circostanze, la decadenza dell'arbitro nei modi e con le forme di cui all'art. 813-bis». La norma va letta dunque in combinato disposto con l'art. 815 c.p.c., che elenca i casi di ricusazione, consentendola, a seguito della riforma, anche «se sussistono altre gravi ragioni di convenienza, tali da incidere sull'indipendenza o sull'imparzialità dell'arbitro».

La translatio iudicii

La recente riforma del 2022, già ricordata, ha regolato la translatio iudicii tra giudizio arbitrale e giudizio ordinario e tra giudizio ordinario e giudizio arbitrale. Si tratta di un intervento riformatore in cui si concentra un notevole rilievo sistematico, poiché il fatto che si possa passare dagli arbitri al giudice e dal giudice agli arbitri, sta a significare che gli uni e gli altri sono in definitiva parte di un unico sistema.

Il cammino per giungere alla disposizione di delega, e poi alle disposizioni di cui si dirà, è stato lungo, ed anche travagliato. La Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 819-ter, comma 2, nella parte in cui escludeva l'applicazione all'arbitrato della translatio iudicii (Corte cost. 19 luglio 2013, n. 223). Il giudice delle leggi non ha però previsto, né avrebbe avuto senso farlo, che la dichiarazione di incostituzionalità della norma dovesse comportare l'applicazione dell'art. 50 c.p.c., che disciplina la riassunzione a seguito di dichiarazione di incompetenza: ha viceversa dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 819-ter c.p.c. laddove non prevedeva che «nei rapporti tra arbitrato e processo non si applicano regole corrispondenti agli artt. … 50 …». Dopodiché è stata introdotta la translatio da giudice ad arbitro (d.l. n. 132/2014, recante «Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile», convertito con modificazioni dalla l. n. 162/2014) e si sono succedute alcune pronunce di legittimità che ormai è superfluo ricordare.

Era chiaro che l'intervento sollecitato dalla delega, sulla scia della decisione della Consulta, non avrebbe potuto risolversi in un mero richiamo alle norme che, all'interno della giurisdizione ordinaria, disciplinano la translatio iudicii. Il legislatore delegato ha dunque introdotto l'art. 819-quater c.p.c., rubricato: «Riassunzione della causa», con cui si è stabilito che:

-) il processo instaurato davanti al giudice continua davanti agli arbitri se una delle parti procede a norma dell'art. 810 entro tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza con cui è negata la competenza in ragione di una convenzione di arbitrato o dell'ordinanza di regolamento;

-) il processo instaurato davanti agli arbitri continua davanti al giudice competente se la riassunzione della causa ai sensi dell'art. 125 disp. att. c.p.c. avviene entro tre mesi dal passaggio in giudicato del lodo che declina la competenza arbitrale sulla lite o dalla pubblicazione della sentenza o dell'ordinanza che definisce la sua impugnazione;

-) le prove raccolte nel processo davanti al giudice o all'arbitro dichiarati non competenti possono essere valutate come argomenti di prova nel processo riassunto ai sensi del presente articolo;

-) l'inosservanza dei termini fissati per la riassunzione comporta l'estinzione del processo e si applicano gli artt. 307, comma 4 e 310 c.p.c.

Dal complesso delle disposizioni richiamate discende, in breve, una sostanziale equiparazione degli effetti tra domanda arbitrale e domanda giudiziale, in vista dell'operatività della translatio iudicii nei rapporti tra giudici e arbitri. Difatti, l'art. 819-quater c.p.c. prescrive che, in caso di dichiarazione di incompetenza dell'arbitro o del giudice, siano fatti salvi gli effetti della domanda in caso di tempestiva riassunzione presso il giudice o arbitro competente, riassunzione da attuarsi entro un trimestre dalla data in cui la declinatoria della competenza è divenuta definitiva, eventualmente all'esito delle impugnazioni esperibili. Ovvio, poi, che, una volta posto il principio secondo cui l'uno o l'altro giudizio prosegue senza soluzione di continuità, a seconda dei casi, dinanzi al giudice o all'arbitro, l'inattività delle parti, manifestatasi attraverso la mancata riassunzione, dia luogo all'estinzione del processo secondo le regole dettate per il rito civile. In armonia con quanto già prevede l'art. 59 l. n. 69/2009 con riguardo alla translatio iudicii tra differenti plessi giurisdizionali, le prove raccolte nel processo davanti al giudice o all'arbitro dichiaratisi incompetenti valgono quali argomenti di prova nel processo riassunto.

Convenzione di arbitrato ed oggetto del giudizio arbitrale

Dall'art. 817, comma 3, c.p.c., secondo cui la parte che nel corso del giudizio arbitrale non abbia eccepito che le conclusioni altrui esorbitano dai limiti della convenzione di arbitrato non può, per questo motivo, impugnare il lodo, si desume che le parti possono ampliare l'ambito oggettivo del giudizio delimitato nella convenzione, sempre che tra di esse vi sia un sostanziale accordo.

Un possibile ampliamento dell'oggetto del giudizio discende anche dalla previsione dell'art. 817-bis c.p.c., secondo il quale gli arbitri sono competenti a conoscere dell'eccezione di compensazione, entro il valore della domanda, quantunque il controcredito non sia sottoposto alla convenzione. La dilatazione dell'oggetto del giudizio può d'altro canto discendere dall'intervento del terzo, alle condizioni di cui all'art. 816-quinquies c.p.c., ossia l'accordo delle parti ed il consenso degli arbitri.

L'istruttoria

Nell'ambito del procedimento arbitrale, la fase istruttoria è regolata dall'art. 816-ter c.p.c., secondo cui l'istruttoria o singoli atti di istruzione possono essere delegati dagli arbitri a uno di essi. Gli arbitri possono assumere direttamente presso di sé la testimonianza, ovvero deliberare di assumere la deposizione del testimone, ove questi vi consenta, nella sua abitazione o nel suo ufficio. Possono altresì deliberare di assumere la deposizione richiedendo al testimone di fornire per iscritto risposte a quesiti nel termine che essi stessi stabiliscono. Se un testimone rifiuta di comparire davanti agli arbitri, questi, quando lo ritengono opportuno, possono richiedere al presidente del tribunale che ne ordini la comparizione dinanzi a loro.

Gli arbitri possono inoltre farsi assistere da uno o più consulenti tecnici, che possono essere anche enti, e possono chiedere alla pubblica amministrazione informazioni scritte.

Non competono agli arbitri, come è intuitivo, gli accertamenti tali da richiedere l'esercizio di poteri imperativi: l'ordine di esibizione a un terzo, il giuramento e la querela di falso.

Quanto alle produzioni documentali, gli arbitri devono osservare il già menzionato principio del contraddittorio, assegnando alle parti secondo opportunità appositi termini, nonché per il deposito di eventuali memorie.

I provvedimenti arbitrali

Gli arbitri possono pronunciare:

  • ordinanze non impugnabili, ma revocabili e non soggette a deposito, con le quali adottano ogni provvedimento ordinatorio del procedimento volto a risolvere le questioni che si siano prospettate nel corso di esso;
  • lodi in senso lato non definitivi, volti cioè sia a risolvere questioni senza definire il giudizio, sia a decidere parzialmente il merito della controversia;
  • lodi definitivi, aventi ad oggetto la decisione finale della lite.

Può qui soltanto accennarsi che la riforma del 2022 contiene una ulteriore novità di grande impatto sistematico. L'art. 818 c.p.c., nel testo precedente, escludeva che gli arbitri potessero rilasciare provvedimenti cautelari, mentre la norma novellata stabilisce che:

-) le parti, anche mediante rinvio a regolamenti arbitrali, possono attribuire agli arbitri il potere di concedere misure cautelari con la convenzione di arbitrato o con atto scritto anteriore all'instaurazione del giudizio arbitrale; la competenza cautelare attribuita agli arbitri è esclusiva,

-) prima dell'accettazione dell'arbitro unico o della costituzione del collegio arbitrale, la domanda cautelare si propone al giudice competente ai sensi dell'art. 669-quinquies.

Abbiamo dunque un quadro in cui: i) in linea generale, se una controversia è compromessa in arbitri, ad essi non competono poteri cautelari se le parti non glieli hanno attribuiti; ii) in materia di arbitrato societario, se la controversia è compromessa in arbitri, essi hanno anche poteri cautelari di sospensione di delibere ivi impugnate. Cosa, quest'ultima, ovvia, giacché intervenire su una delibera assembleare senza poterla interinalmente sospendere, sarebbe un non-senso, dal momento che si risolverebbe nell'attendere che i buoi fuggano dal recinto prima di chiudere il cancello: poteri cautelari operanti, però, «salvo quanto previsto dall'art. 818», e cioè sempre che gli arbitri abbiano già accettato, altrimenti il pallino, anche in questo caso di arbitrato societario, è ancora nella mani del giudice.

Il lodo definitivo va pronunciato entro il termine stabilito dalle parti ed accettato dagli arbitri unitamente alla nomina. In mancanza di termine stabilito dalle parti si applica quello di 240 giorni dall'accettazione da parte degli arbitri, ai sensi dell'art. 820 c.p.c.

In diversi frangenti detto termine può essere oggetto di proroga.

Il comma 3 dell'art. 820 c.p.c. contempla il potere delle parti di prorogare consensualmente il termine per la decisione mediante dichiarazioni scritte rivolte agli arbitri. Non è necessaria la contestualità delle rispettive manifestazioni di volontà (Cass. civ., 5 agosto 2011, n. 17022). Occorre però che si tratti di manifestazioni di volontà espresse: la proroga del termine per la pronuncia del lodo arbitrale non può dunque essere ravvisata implicitamente nella concessione, ad opera degli arbitri, di un termine per memorie istruttorie su richiesta di una delle parti, ma postula l'effettiva ammissione di mezzi di prova, consentendosi altrimenti una proroga tacita del termine per la decisione senza il consenso di entrambi i contendenti, con inammissibile alterazione del contraddittorio (Cass. civ., 3 settembre 2014, n. 18607).

Lo stesso comma prevede una proroga del termine, discrezionalmente disposta dal presidente del tribunale del luogo ove ha sede l'arbitrato, su istanza motivata di una delle parti o degli arbitri.

Il comma 4 dell'art. 820 c.p.c. disciplina ipotesi di proroga ex lege del termine per la pronuncia del lodo: 1) quando vengono assunti mezzi di prova; 2) quando è disposta una consulenza tecnica d'ufficio; 3) quando viene pronunciato un lodo non definitivo o un lodo parziale; tuttavia, gli arbitri ai quali le parti hanno assegnato un primo termine per statuire su alcuni capi della domanda, ed un secondo termine per definire la controversia, non possono prorogare quest'ultimo invocando detta disposizione, la quale presuppone che entro l'unico termine stabilito dalle parti il mandato sia stato adempiuto almeno in parte; 4) quando è modificata la composizione del collegio arbitrale o è sostituito l'arbitro unico.

In detti casi il termine per la pronuncia del lodo è prorogato di centottanta giorni e per non più di una volta nell'ambito di ognuno di essi.

Il termine per la pronuncia del lodo è sospeso nelle diverse ipotesi di sospensione del processo arbitrale (artt. 819-bis, 816-ter, 816-sexies) e riprende il suo corso dal giorno in cui è proposta istanza per la prosecuzione del giudizio. Tale termine, ove inferiore a novanta giorni, si prolunga fino alla detta soglia.

Va rammentato che l'istituto della sospensione feriale dei termini processuali non si applica all'arbitrato (Cass. civ., 8 ottobre 2008, n. 24866).

Se di loro competenza, gli arbitri devono decidere sul merito della controversia loro devoluta, statuendo, in ossequio all'ordinario principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, applicabile anche in sede arbitrale, su tutte le domande e le eccezioni proposte, entro i limiti della convenzione di arbitrato, pena la nullità del lodo, impugnabile ai sensi dell'art. 829, comma 1, nn. 10 e 12, c.p.c..

Nel decidere del merito i giudici privati applicano, di regola, le norme di diritto, salvo che risulti in qualsiasi modo manifestata la volontà delle parti di avvalersi di un giudizio di equità, disponendo così della facoltà prevista dall'art. 822 c.p.c.. Secondo che la pronuncia sia di diritto o equità muta il regime di impugnabilità del lodo. L'art. 829, comma 3, c.p.c. dispone infatti che l'impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa solo se esplicitamente disposta dalle parti o prevista dalla legge.

L'art. 823, comma 2, c.p.c. definisce modalità di deliberazione e contenuto del lodo.

Alla stregua della disposizione, non è più indispensabile come in passato (da ult. Cass. civ.,27 aprile 2001, n. 6115) la conferenza personale, la quale può tuttavia essere richiesta da ciascun arbitro. Deve pertanto ritenersi ammissibile non soltanto la deliberazione in conferenza videotelefonica, prevista dall'abrogato art. 837 c.p.c., dettato per l'arbitrato internazionale, ma anche la formazione progressiva della deliberazione, come, ad esempio, nel caso della predisposizione di una bozza di lodo da parte di un arbitro che venga poi condivisa dalla maggioranza.

Nondimeno, la conferenza personale di tutti i componenti del collegio - nel medesimo luogo e in ogni fase del procedimento deliberativo del lodo sino all'adozione della decisione definitiva - costituisce requisito essenziale del lodo, a pena di nullità, non derogabile dalle parti, al fine di garantire che le questioni oggetto di controversia siano esaminate con la massima accuratezza e completezza da tutti gli arbitri, sicché il singolo arbitro può allontanarsi solo dopo la discussione al fine di astenersi dalla votazione (Cass. civ., 4 agosto 2017, n. 19612).

Al momento della deliberazione del lodo non è necessaria la materiale redazione e sottoscrizione di un dispositivo (Cass. civ., 15 luglio 1992, n. 8595). Assunta la deliberazione, non è richiesta la partecipazione di tutti gli arbitri alla redazione del lodo. Difatti, alla decisione, necessariamente collegiale del dispositivo del lodo, può seguire l'incarico ad un solo arbitro di redigere la motivazione, in quanto in base all'art. 823, comma 1, che ricalca il modello di cui all'art. 276 c.p.c., occorre distinguere il momento della deliberazione del lodo, adottata a maggioranza dei voti con la partecipazione di tutti gli arbitri, da quello della successiva stesura della motivazione della decisione affidata ad un solo arbitro (Cass. civ., 24 ottobre 2017, n. 25189).

Il comma 2 dell'art. 823 c.p.c. individua i requisiti formali del lodo, la cui mancanza può dar luogo a nullità del medesimo a norma dell'art. 829, n. 5, nel solo caso di mancanza dei requisiti di cui ai nn. 5, 6, e 7. Tra i requisiti previsti non è compresa l'intestazione «Repubblica italiana - In nome del popolo italiano», non richiesta neppure per l'exequatur (Cass. civ., 23 novembre 1973, n. 3171).

Il n. 1 richiede l'indicazione degli arbitri, non prescritta a pena di nullità.

Il n. 2 concerne l'indicazione della sede dell'arbitrato determinata dalle parti o dagli arbitri a norma dell'art. 816, anch'essa non richiesta a pena di nullità, ma tale da comportare, anzi, una mera irregolarità formale suscettibile di correzione ai sensi dell'art. 829, n. 5 (per Cass. civ.,8 settembre 2011, n. 18452, in mancanza di elementi di segno contrario, sono idonei ad identificare la sede dell'arbitrato la clausola compromissoria, richiamata nel lodo, e l'indicazione del luogo di sottoscrizione dello stesso).

Il n. 3 concerne l'indicazione delle parti, la cui omissione non è causa di nullità del lodo se dal contesto di esso sia comunque possibile desumere la loro identità (Cass. civ., 17 marzo 1971, n. 746).

Il n. 4 concerne l'indicazione della convenzione arbitrale e delle conclusioni delle parti, ancora una volta non prevista a pena di nullità.

Il n. 5 riguarda l'esposizione sommaria dei motivi, richiesta a pena di nullità del lodo. In particolare, la motivazione, che rappresenta elemento indispensabile per la validità della pronuncia e per l'individuazione della sua incidenza sul rapporto dedotto in causa, non può essere costituita o sostituita dalla parte dispositiva della decisione (Cass. civ., 13 aprile 2006, n. 8697). Peraltro, si ritiene soddisfatto l'obbligo di motivazione del lodo a condizione che sia individuabile la ratio decidendi, restando invece preclusa ogni possibilità di controllo sulla congruità della motivazione adottata dagli arbitri (Cass. civ., 19 maggio 2005,n. 10600).

Il n. 6 richiede a pena di nullità il dispositivo. Peraltro il lodo arbitrale costituisce un tutt'uno inscindibile, e nessuna specifica disposizione prescrive che il dispositivo sia formalmente distinto dalla motivazione, e che, a pena di nullità, debba costituire la parte finale della decisione, nella quale, conseguentemente, il dispositivo va coordinato con la motivazione (Cass. civ., 25 luglio 2002, n. 10924, che ha escluso la nullità nel lodo mancante, nel dispositivo, della decisione adottata su una domanda di risoluzione per inadempimento rigettata in motivazione).

Il n. 7 concerne le sottoscrizioni degli arbitri, le quali, ai sensi dell'art. 816 c.p.c., possono essere apposte «anche in luoghi diversi dalla sede dell'arbitrato ed anche all'estero»; neppure è prevista la contestualità delle diverse sottoscrizioni, che dunque possono avvenire anche in luoghi e momenti diversi. Le sottoscrizioni sono richieste a pena di nullità, mentre non determina nullità del lodo la mancanza della firma su tutti i fogli del lodo, giacché con la sottoscrizione apposta in calce all'ultima pagina gli arbitri si assumono la paternità dell'atto nel suo complesso (Cass. civ., 14 febbraio 1997,n. 1404). È d'altronde sufficiente, secondo la norma, la sottoscrizione della maggioranza degli arbitri, se accompagnata dalla dichiarazione (non necessaria se tutti hanno sottoscritto) che il lodo è stato deliberato con la partecipazione di tutti e che gli altri non abbiano voluto o potuto sottoscriverlo. L'attestazione che la deliberazione è stata adottata in conferenza personale di tutti gli arbitri e che, in ipotesi di omessa sottoscrizione da parte di arbitro dissenziente, questi non abbia voluto sottoscriverlo, benché costituisca requisito di validità della pronuncia, non richiede formule particolari, essendo sufficiente che dal testo del provvedimento risulti, anche in modo implicito, l'osservanza di dette modalità di deliberazione (Cass. civ., 30 aprile 2014,n. 9544).

Il n. 8 concerne la data delle sottoscrizioni, non richiesta a pena di nullità.

Riferimenti
  • Boccagna, L'impugnazione per nullità del lodo, Napoli, 2005;
  • Cavallini, L'arbitrato rituale, Milano, 2009;
  • Consolo, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, Padova, 2008;
  • La China, L'arbitrato. Il sistema e l'esperienza, Milano, 2007;
  • Punzi, Disegno sistematico dell'arbitrato, Padova, 2012;
  • Ricci, La prova nell'arbitrato rituale, Milano, 1974;
  • Verde, Lineamenti di diritto dell'arbitrato, Torino, 2010;
  • Zucconi Galli Fonseca, La convenzione arbitrale rituale rispetto ai terzi, Milano, 2004.

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