Le competenze medico legali ed il rischio di duplicazione risarcitoria nel sistema di “liquidazione congiunta” della c.d. tabella milanese
13 Novembre 2018
Le competenze medico-legali
Si dà per scontato che, per giurisprudenza ben consolidata e per dottrina sia giuridica, sia medico-legale, appartengano alla competenza tecnica la quantificazione percentuale del danno biologico, temporaneo e permanente, e la descrizione di peculiari aspetti dinamico-relazionali personali, in nesso causale, attraverso verifica delle relative allegazioni e prove gravanti sulle parti.
La valutazione tecnica della sofferenza morale
Si direbbe di un certo interesse ritornare sulla questione della competenza medico-legale nella valutazione della sofferenza. Sembra utile qui proporre anche considerazioni tecniche (certamente a titolo personale) in ordine al danno esistenziale/dinamico-relazionale: il tutto anche con riferimento a quanto in Cass. civ. sez. III, 27 marzo 2018 n. 7513 (in cui taluno ha voluto vedere una sorta di “decalogo”). Pacifico per giurisprudenza costante di legittimità il distinguo ontologico fra danno biologico e danno da sofferenza morale, la Medicina Legale non poteva non domandarsi cosa debba intendersi, in ultima analisi, per sofferenza morale, psico-fisica. Orbene, dopo due giornate di lavoro in Padova (6 e 7 aprile 2018), attraverso il suo collegio di esperti (cui il sottoscritto si pregia averne fatto parte) la Medicina Legale (SIMLA) ha emesso un documento di sintesi (richiamato anche da SPERA D.,Time out: il “decalogo” della Cassazione sul danno non patrimoniale e i recenti arresti della Medicina legale minano le sentenze di San Martino, in Ridare.it) con la seguente definizione: «La sofferenza morale è uno stato emotivo della persona, temporaneo e/o permanente, produttivo di percezione di disagio/degrado/dolore, rispetto alla condizione anteriore». Ma, come a tutti noto, le sentenze di San Martino 2008 ci hanno finalmente liberati della oltremodo ristrettiva espressione giuridica “praetium doloris”, che riduttivamente identificava il danno morale nel patema/dolore transeunte. Il sopra richiamato Documento di Sintesi SIMLA dichiara, fra l'altro, che lo specialista in Medicina Legale possiede gli strumenti idonei per dare un contributo tecnico motivato all'accertamento e valutazione della sofferenza morale legata a lesioni/menomazioni psico-fisiche (delle sofferenze abiologiche qui non ci si occupa). Orbene, nel già citato “Time-out” è richiamato, nelle sue linee essenziali, il metodo di quantificazione medico-legale della sofferenza elaborato da Ronchi e Coll. (RONCHI E., MATROROBERTO L., GENOVESE U.: Guida alla valutazione medico-legale dell'invalidità permanente, Giuffrè editore, Milano, II ed., 2015). Metodo che può rappresentare un contributo tecnico, un supporto al Giudice, ad evitargli di incorrere in automatismi non consentiti dal dovere di motivazione. E tuttavia la pronuncia di Cassazione in esame, al punto 8 e 9 del decalogo, ben diversamente e chiaramente fa comprendere che nessun contributo medico legale va richiesto nella stima della sofferenza morale. Forse colpito dalla suggestione del metodo, e certamente consapevole della pressante necessità di poter disporre di motivazioni (anche a carattere tecnico) utilizzabili in sentenza, l'Osservatorio della Giustizia Civile di Milano ha recepito lo strumento medico-legale in termini, tanto che nella formula di quesito al CTU dallo stesso elaborata nel 2013 e ampiamente diffusa negli Uffici Giudiziari quanto meno milanesi, ha introdotto la valutazione tecnica della sofferenza morale (nella inabilità temporanea e nella invalidità permanente) con valori in scala da 1 a 5. Ma, a fronte della Tabella Milanese per come concepita, quali utili applicazioni dovrebbe avere l'indicazione in score da 1 a 5, consegnata dal CTU al Giudice? La Tabella, come ricorda lo stesso Damiano Spera nel suo prezioso articolo, già prevede (in funzione di età e crescenti percentuali di invalidità permanenti) valori comprensivi delle seguenti quote di sofferenza morale: aumento del 25% fisso per le invalidità da 1 al 9%; aumento progressivo per punto dal 26 al 50% per le invalidità dal 10 al 34%; aumento ancora fisso del 50% per le invalidità dal 35 al 100%. E queste maggiorazioni sono dalla Tabella assegnate in via automatica, per sussistenza di sofferenza morale ritenuta presunta, scontata: comprensibili esigenze di semplificazione in un ambito in cui sono irrinunciabili convenzioni condivise. E se tali sono i presupposti del sistema di liquidazione congiunta, chi scrive ritiene che il contributo tecnico, in scala 1-5, dovrebbe essere di aiuto al Giudice nel formarsi il convincimento in ordine a quanto il caso in esame sia meritevole di eventuale quid di aumento del valore medio, per sussistenza di sofferenza morale “particolare” (ad esempio per valori di 4 o 5/5): con riferimento alle invalidità sia temporanea sia permanente. Nulla vieta, ovviamente, che il contributo medico legale sia espresso non in score ma attraverso aggettivazioni: nell'uno e nell'altro modo si persegue il medesimo fine. Invero, la duplicazione si verificherebbe solo per uso distorto dello strumento tecnico da parte del Giudice. Segnatamente nei casi in cui, a fronte di indicazioni medico-legali di sofferenza “media” (espressa con descrizioni e/o, conclusivamente, in score), il Giudice procedesse tuttavia col maggiorarne il valore economico muovendo dal già riconosciuto standard monetario di danno sofferenziale “medio” inserito nella costruzione della “curva Tabella Milanese”. Qui non si vuole certo mettere in discussione tale “curva”, ma a chi scrive sembra evidente che dalla stessa ci si dovrebbe discostare (in maggiorazione o riduzione) laddove la componente sofferenziale, attraverso indicazione tecnica, si rivelasse non-allineata con quella media ammessa in via presuntiva ed automatica. E l'applicazione, nella quotidiana pratica, del metodo di quantificazione medico legale della sofferenza ha evidenziato che i discostamenti sono tutt'altro che sporadici nella valutazione del danno stesso. Non raramente si vanno a riscontrare valori di score pari ad 1 o 2/5 in rilevanti invalidità permanenti che in via presuntiva beneficiano di automatico incremento economico della quota di danno sofferenziale. Un attento esame del dato tecnico, poi, dovrebbe portare a maggiorare sensibilmente in via proporzionale il valore economico per danno di sofferenza morale patita nel periodo di invalidità temporanea: in taluni casi penoso e molto protratto, sia pure poi esitato in forma di micro-permanente. La valutazione tecnica della sofferenza morale dopo la legge n.124/2017
Ma se, per le ragioni di cui sopra, non sembra che le indicazioni tecniche in ordine al danno sofferenziale comportino il rischio di duplicazione risarcitoria dello stesso, vi è tuttavia da domandarsi se, con le modifiche apportate dalla legge n. 124/2017 agli artt. 138 e 139 del d. lgs. n. 209/2005, possa ritenersi ancora attuale un contributo medico legale alla valutazione della sofferenza morale, che esprima la crescente intensità della stessa, caso per caso, attraverso aggettivazioni o con punteggio a scala. L'art. 138, nella parte che qui interessa, così recita: «Al fine di considerare la componente del danno morale da lesione all'integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico stabilito in applicazione dei criteri di cui alle lettere da a) a d) è incrementata in via percentuale progressiva per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione complessiva della liquidazione». Si direbbe, dunque, che la somma prevista per danno biologico, in un certo caso, debba essere aumentata di un x%, dove l'incognita “x” a sua volta debba essere di valore crescente, di pari passo con il crescere del valore percentuale dell'invalidità permanente riconosciuta in sede medico legale. Tutto ciò significa anche che potrebbe non esservi più necessità del contributo medico-legale laddove gli incrementi, in via percentuale progressiva per punto di cui al nuovo art. 138, debbano essere considerati come linee invalicabili da cui mai ci si possa discostare in senso maggiorativo o riduttivo, caso per caso. Nella parte che qui interessa, poi, il nuovo art. 139, a proposito delle lesioni di lieve entità, così recita: «Qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati ovvero causi o abbia causato una sofferenza psico-fisica di particolare intensità, l'ammontare del risarcimento del danno … può essere aumentato dal Giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 20 percento». A questo punto ovviamente ognuno si chiede come possa essere tracciato quel confine, superato il quale si passa in territorio di “particolare intensità”. Va da sé che la “menomazione accertata” può essere di natura temporanea e/o permanente. Peraltro, mai o quasi mai una menomazione in micro-permanente comporta sofferenza psico-fisica di “particolare intensità”. Quest'ultima piuttosto, come già accennato, non raramente viene riscontrata nei casi in cui il danneggiato si stabilizza con postumi permanenti di valore inferiore al dieci% ma dopo lunghissimo iter clinico di attività diagnostica e terapeutica (a volte, vero Calvario) contrassegnato, appunto, da “sofferenza psicofisica di particolare intensità”. La valutazione tecnica del danno esistenziale/dinamico-relazionale
Quanto sopra, a proposito della competenza medico-legale nella quantificazione tecnica della sofferenza morale, comprensibilmente messa in dubbio da taluni operatori del diritto. Gli artt. 138 e 139, comma 3, del d. gs. n. 209/2005, come novellati dalla l. n. 124/2017, esprimono a chiare lettere la volontà del Legislatore di tener conto, nella liquidazione del danno non patrimoniale, anche di negative ricadute, documentate e obiettivamente accertate, su specifici aspetti dinamico-relazionali personali, prodotte dalla accertata menomazione. L'incidenza negativa in discorso deve essere di misura “rilevante” e, ovviamente, può avere interessato la sola fase della invalidità temporanea, la sola invalidità permanente o entrambe. In ordine alla misura “rilevante” va da sé che al consulente medico-legale compete di stabilire se sussista nesso causale fra il riscontrato danno-biologico-base e quanto lamentato dalla persona sul versamento dinamico-relazionale; ovvero di stabilire se il riferimento eziologico sia piuttosto da porre con fattori diversi, indipendenti dall'evento lesivo de quo. Frequentemente sono in gioco attività ludico-sportive praticate nello stato anteriore, ma anche piccoli lavori del tipo orto/vigneto come nella sovra richiamata sentenza di Cassazione: ed in tali casi utile sarebbe che il CTU offrisse qualche indicazione quantitativo-descrittiva a far comprendere se quella certa attività sia da ritenere impedita totalmente o solo in parte. È fuori discussione, poi, che «il CTU non dovrà mai supplire agli oneri di allegazione e prova gravanti sulle parti e, solo previa specifica integrazione del quesito medico-legale da parte del Giudice, potrà prendere posizione e chiarire comprovati peculiari aspetti dinamico-relazionali personali che il difensore della vittima assume essere stati pregiudicati, in tutto o in parte, dalla menomazione psico-fisica e che siano stati già comprovati nel giudizio» (SPERA D., cit.). E con lo stesso Autore si concorda in ordine alla non-condivisibilità della sentenza di Cassazione in esame che nega la personalizzazione del danno (come detto, a proposito della cura dell'orto e del vigneto) secondo l'asserito principio che «le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l'id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento» (punto 7 del “decalogo”). Infatti, seguendo quella linea di ragionamento verrebbe del tutto svuotata la norma di cui al comma 3 degli artt. 138 e 139, in quanto di fatto non si riconoscerebbero mai gli aspetti di personalizzazione, sulla pretesa base che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe più dilettarsi col pianoforte o violino, dedicarsi a tornei di tennis, bocce, dedicarsi all'orto e al vigneto, ecc. Ed a chi scrive sembra evidente che, ai fini dell'applicazione della norma, non rileva far riferimento a qualunque persona con la medesima invalidità, ma importa solo “quel” danneggiato che, di fatto, possedeva “quella” capacità/abilità nello stato anteriore. Parimenti, appare logico ritenere che, a parità di menomazione (temporanea o permanente) debbano beneficiare del quid di personalizzazione “tutti” coloro che (nell'esempio portato) comprovatamente si dedicavano all'orto-vigneto nello stato anteriore; mentre non devono goderne tutti coloro che, con pari invalidità, a quell'attività non si dedicavano. Conclusioni
La Medicina Forense, proprio perché tale, resta sempre al servizio del diritto e con questo converge nella finalità di dare la più corretta applicazione alle norme. Quasi sempre propone di fare passi avanti ma, perché no, ne può fare anche indietro: purché si sia in presenza di motivazioni convincenti.
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