Tentativo di conciliazione e operatività del termine di decadenza
13 Novembre 2018
Massima. In ipotesi di impugnazione di licenziamento, ove l'impugnazione stragiudiziale venga seguita dalla richiesta di tentativo di conciliazione, il successivo termine decadenziale di 60 giorni per il deposito del ricorso nella cancelleria del Tribunale, trova applicazione al solo caso di mancata effettuazione della procedura conciliativa per rifiuto della stessa o mancato accordo al suo espletamento.
In tal caso non potrà viceversa essere invocato il diverso ulteriore termine sospensivo di 20 giorni previsto dal comma 2 dell'art. 410, c.p.c., poiché riferito alla diversa fattispecie di tentativo di conciliazione effettivamente espletato, pur con esito negativo
Il caso. La Corte d'appello di Milano aveva confermato la pronuncia di primo grado che, all'esito del procedimento ex lege n. 92 del 2012, aveva accertato la decadenza (di cui all'art. 6, l. n. 604 del 1966, come modificato dalla l. n. 183 del 2010) del lavoratore dalla impugnativa del licenziamento a lui intimato per non aver depositato il ricorso giudiziale entro il termine di 60 giorni dal rifiuto della azienda della richiesta di conciliazione.
Il lavoratore aveva infatti proposto reclamo ai giudici di appello di Milano sostenenendo che, per effetto della combinata applicazione di quanto previsto dal citato art. 6, l. 604, e dal comma 2 dell'art. 410, c.p.c. “il termine entro cui depositare il ricorso giudiziale a fronte del rifiuto del datore di lavoro di conciliare è di 80 giorni (20 + 60)”.
Contro la decisione della Corte d'appello di Milano il lavoratore proponeva quindi ricorso in Cassazione.
Tentativo di conciliazione e termini di decadenza. Nella ipotesi posta alla attenzione della Corte di cassazione ricorre la fattispecie regolata dall'ultima parte del comma 2 dell'art. 6, l. n. 604 del 1966, poiché l'esito negativo del componimento stragiudiziale è determinato dall'immediato esplicito rifiuto della controparte di intraprendere la procedura conciliativa richiesta, equiparato, per espressa previsione legale, al caso del mancato accordo necessario al relativo espletamento.
Da tali eventi significativi della non accettazione della procedura – che pertanto abortisce in partenza e non viene svolta – decorre un nuovo ed autonomo termine di decadenza, non più sottoposto al regime pregresso, che l'ultima parte del comma 2 dell'art. 6 citato fissa, inequivocabilmente, in un lasso temporale di sessanta giorni.
Tale ulteriore termine assume, per la specifica regola che lo contiene, un evidente connotato di specialità che lo rende insensibile alla disciplina generale della sospensione dei termini di decadenza prevista dal comma 2 dell'art. 410, c.p.c., anche per l'incompatibilità strutturale con tale ultima disposizione.
Invero la norma del codice di rito – introdotta con la novella del d.lgs. n. 80 del 1998 che ha reso obbligatorio il tentativo di conciliazione e rimasta immutata nella formulazione del suo secondo comma anche con la sostituzione operata dal comma 1 dell'art. 31, l. n. 183 del 2010 – presuppone necessariamente due segmenti temporali che si inseriscono in un termine di decadenza che viene sospeso per poi riprendere a decorrere.
Un primo periodo disospensione che va dalla comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione sino alla conclusione della procedura.
Un secondo periodo che va da tale conclusione sino al ventesimo giorno successivo.
La Corte di cassaziione rigetta quindi il ricorso. |