La successione a titolo particolare nel processo esecutivo ed i rischi di un abuso «di posizione»
14 Novembre 2018
Massima
Qualora il cessionario del credito, ossia l'attuale titolare del diritto di credito per la soddisfazione del quale si procede, abbia spiegato il proprio intervento si verifica l'estromissione automatica del cedente dal processo esecutivo, senza necessità che essa venga disposta espressamente dal giudice, in quanto cedente e cessionario non possono condividere lo stesso ruolo; il cessionario che abbia scelto di intervenire, pertanto, non può avvalersi della posizione del proprio dante causa solo perché a lui più favorevole (ad esempio qualora non abbia compiuto un adempimento necessario ai fini dell'opponibilità ai terzi di un privilegio di cui godeva il cedente). Il caso
La complessa vicenda processuale sottesa alla pronuncia in commento prende le mosse dalla procedura espropriativa immobiliare intrapresa da una società nei confronti dei terzi datori di ipoteca, all'interno della quale intervenivano altri creditori. La società creditrice procedente veniva ammessa al concordato preventivo ed i suoi crediti venivano ceduti ad un'altra società. La cessionaria interveniva nella procedura esecutiva immobiliare, chiedendo la surrogazione nella posizione della cedente e la conseguente attribuzione in suo favore del ricavato della vendita, in quanto creditrice ipotecaria. Un altro creditore eccepiva la mancanza di annotazione della cessione del credito e la conseguente perdita del privilegio ipotecario. La creditrice cessionaria, allora, chiedeva l'attribuzione del ricavato in favore dell'originaria creditrice procedente ed il giudice dell'esecuzione provvedeva in questo senso. A fronte di una controversia in sede distributiva ex art. 512 c.p.c. il g.e. provvedeva ad un nuovo piano di riparto, affermando che nel processo esecutivo in corso non potessero partecipare sia la società cedente sia quella cessionaria, ma solo quest'ultima. La cessionaria in parola proponeva opposizione ai sensi dell'art. 617 c.p.c. (e analogo ricorso veniva proposto dalla cedente). Il tribunale rigettava l'opposizione. Le due società ricorrevano per cassazione, con due distinti ricorsi poi riuniti. Per ciò che più da vicino interessa questa sede, i ricorrenti sostenevano che il giudice avesse errato nell'estromettere il creditore procedente originario e nell'affermare che in seguito alla cessione il cessionario fosse divenuto l'unico creditore della procedura. La questione
La Corte di cassazione, in linea con il suo consolidato orientamento, dopo aver svolto un'ampia ricognizione sui principi che presiedono al tema della successione a titolo particolare del diritto controverso, cala la regola generale all'interno del contesto specifico del processo di esecuzione. Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte afferma preliminarmente che il disposto di cui all'art. 111 c.p.c. trova applicazione anche nell'ambito del processo esecutivo: di conseguenza, in caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso l'esecuzione procede tra le parti originarie, ma con la possibilità da parte dell'avente causa di intervenire. La legittimazione attiva ad causam, dunque, è mantenuta in capo al cedente; tuttavia il cessionario può intervenire nel processo, così estromettendo il proprio dante causa. La conseguenza ultima di quanto affermato è che sul cessionario del credito, ossia l'attuale titolare del diritto di credito azionato in executivis, incombe l'onere di dare impulso al procedimento esecutivo: l'estromissione del cedente avviene in maniera automatica, senza necessità che questa venga espressamente disposta. A corollario del principio affermato – e nell'ottica di evitare usi distorti dell'istituto – la Cassazione afferma che il cessionario non può «trincerarsi dietro la posizione del suo dante causa, se più favorevole, e di giovarsi della più favorevole condizione del suo dante causa, qualora non abbia compiuto un adempimento necessario per rendere opponibile ai terzi anche in suo favore il privilegio di cui godeva il cedente» (così p. 4 della sentenza). Osservazioni
La pronuncia in commento rappresenta un'interessante conferma di alcuni principi già affermati da parte della giurisprudenza di legittimità, pur con ulteriori specificazioni e chiarimenti, dettati dall'esigenza di garantire il corretto svolgimento del processo di esecuzione in una delle sue fasi più delicate e di evitare che da ciò possano derivare abusi. In primo luogo la Cassazione ribadisce l'applicabilità al processo esecutivo del disposto di cui all'art. 111, comma 3, c.p.c., in forza del quale il successore a titolo particolare nel diritto controverso può intervenire nel processo in corso e, salvo il consenso delle altre parti, l'alienante (rectius: il dante causa) può essere estromesso. Come autorevolmente osservato in dottrina (ex pluribus, Mandrioli, Carratta, 3 ss.) il processo esecutivo non è regolato – a livello codicistico – dal solo libro III del codice di rito. È infatti necessario tener presente che le disposizioni di cui al libro I del codice di procedura, che come noto dettato i principi generali del processo, hanno come campo di applicazione anche il processo esecutivo. Tuttavia la circostanza che il legislatore del 1940 abbia redatto le disposizioni di cui al libro I tenendo in considerazione principalmente la struttura e le caratteristiche del processo ordinario di cognizione rendono necessaria una continua opera di raffronto e di adattamento dei principi generali lì contenuti con le peculiarità proprie del processo di esecuzione. Conseguenza di ciò è che, a fronte di una giurisprudenza piuttosto univoca nel senso dell'applicabilità dell'art. 111 c.p.c. al processo di esecuzione (cfr. ad esempio Cass. civ., sez. VI, sent., 22 giugno 2017, n. 15622, con nota di C. Trapuzzano, La successione nel diritto di credito nel corso del processo esecutivo per espropriazione non esclude la legittimazione processuale del creditore originario, in www.ilProcessoCivile.it; Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2016, n. 7780, in Diritto & Giustizia, con nota di Tarantino), sussistono in dottrina diversità di opinioni sul tema (ben chiarite da Mandrioli, Carratta, op. cit., 46 ss.; cfr. Luiso, 41, secondo il quale «non si può […] fondare l'efficacia del titolo esecutivo verso i terzi sulle norme che prevedono genericamente l'efficacia dell'atto verso i terzi, ma bisogna ricorrere alle norme che prevedono specificamente l'efficacia del titolo esecutivo nei confronti di determinati terzi per ricavare – se possibile – un principio generale, che consente di dare, alle ipotesi non espressamente contemplate, una disciplina ricavata in via analogica»; per Soldi, 64 ss., invece, la possibilità di applicare l'art. 111 c.p.c. al processo di esecuzione è logica conseguenza della possibilità di spedire in forma esecutiva il titolo anche a favore del successore). In verità, l'estensione della legittimazione ad agire al cessionario del diritto del credito per il quale si procede può essere affermata – come sostiene anche la dottrina contraria alla trasposizione dell'art. 111 c.p.c. nella sede esecutiva – percorrendo una via maggiormente agevole, rappresentata dall'art. 475, comma 2, c.p.c.. Tale norma, come ben si ricorderà, dispone che la spedizione del titolo in forma esecutiva può essere fatta in favore della parte che risulta creditrice in base al titolo esecutivo e dei «suoi successori», senza distinguere tra successione mortis causa o inter vivos. Se si tiene presente che la spedizione in forma esecutiva del titolo rappresenta una formalità (o, per altri, un formalistico orpello) necessaria per poter procedere all'esecuzione forzata risulta corretta l'affermazione per cui la norma indirettamente detta una regola valida in tema di legittimazione ad agire nel processo esecutivo, enunciando «il limitatissimo margine di applicazione estensiva di questa regola nel senso che l'azione esecutiva spetta anche ai «successori» di colui che nel titolo risulta creditore» (così Mandrioli Carratta, op. cit., 47). E ciò anche qualora la successione nel diritto avvenga a processo già pendente. La Corte di cassazione, inoltre, si premura di sottolineare come l'estromissione del cedente avvenga in maniera immediata, per il solo fatto dell'intervento del cessionario, senza che sia necessaria alcuna declaratoria ad hoc: per una ragione logica, prima ancora che giuridica, i due soggetti non possono condividere lo stesso ruolo processuale. Infine, la pronuncia ha modo di affermare un principio assai rilevante, teso ad evitare ogni forma di strumentalizzazione della vicenda circolatoria del diritto di credito. Il cessionario, infatti, una volta estromesso il cedente, non potrà avvalersi della situazione del suo dante causa, qualora più favorevole. Le eventuali omissioni del cessionario (come, nel caso di specie, la mancata annotazione della cessione del credito ed il conseguente mancato trasferimento del relativo privilegio ipotecario) non potranno essere fatte sanate da un richiamo alla posizione del cedente, tramite una commistione, per così dire di comodo, tra le due differenti posizioni.
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