Direzione e coordinamento di società non residenti: alcune considerazioni di ordine fiscale

20 Novembre 2018

Quali margini di fattivo coinvolgimento ed intervento possono ritenersi spettare alla controllante nazionale, nell'ambito dell'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento delle proprie partecipate estere?

Quali margini di fattivo coinvolgimento ed intervento possono ritenersi spettare alla controllante nazionale, nell'ambito dell'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento delle proprie partecipate estere? Quali profili di rischio di ordine fiscale occorre considerare nell'ambito di simili valutazioni?

In un'ottica tributaria, è opportuno che l'attività di direzione e coordinamento di regola esercitata dalla controllante nazionale nei confronti delle proprie subsidiaries estere si limiti ad atti di orientamento ed indirizzo strategico di massima nei confronti dell'intero Gruppo, senza che ciò possa in alcun modo qualificarsi come ingerenza gestionale ed amministrativa, quando non addirittura “sostituzione” nell'esercizio dell'attività d'impresa propria delle società estere.

Più precisamente, affinché la cd. sede dell'amministrazione della società estera possa ritenersi effettivamente esistente nel territorio estero e non in Italia – pena la ridomiciliazione del soggetto estero nel territorio nazionale – occorre che lo Stato estero possa essere oggettivamente individuato quale luogo in cui

1) la subsidiary – in piena autonomia giuridica, gestionale, contrattuale e finanziaria – assuma le decisioni rilevanti per la gestione dell'impresa (place of effective management),

2) risulti effettivamente esercitata l'attività d'impresa per il tramite di una struttura organizzativa all'uopo preposta.

In tale contesto, l'eventuale previsione di specifiche autorizzazioni da rilasciarsi da parte della controllante nazionale a che la legal entity estera compia proprie operazioni gestionali potrebbe essere valutata dall'Amministrazione Finanziaria in un'ottica di ridomiciliazione della società estera in Italia; in altri termini, la necessità di una preventiva autorizzazione da parte della controllante italiana al compimento di atti relativi all'impresa della legal entity estera potrebbe indurre a l'Ufficio a valutare se la sede dell'amministrazione della società estera sia in realtà esistente in Italia, posto che ivi risulterebbero, di fatto, (co)assunte le operazioni relative all'impresa.

Peraltro, in ragione di argomentazioni sostanzialmente analoghe a quelle sopra rappresentate, non sarebbe possibile altresì escludere il rischio che la stessa Amministrazione Finanziaria estera possa riqualificare la società estera quale stabile organizzazione della controllante italiana. In tale senso, la preventiva autorizzazione al compimento di atti gestionali della legal entity estera potrebbe essere valorizzata, dalle competenti autorità fiscali, quale indice dell'esistenza di una “sede fissa di affari” sita all'estero “a disposizione” della controllante italiana per lo svolgimento della propria attività d'impresa oltreconfine; in altre parole, un sistema di preventive autorizzazioni potrebbe indurre a ritenere che, di fatto, la legal entity svolga l'attività d'impresa per conto della controllante nazionale, giacché vincolata da istruzioni ed attività di controllo che ne potrebbero mettere in discussione la sostanziale indipendenza.

Al fine di limitare i rischi di natura fiscale sopra rappresentati, è pertanto suggeribile circostanziare il coinvolgimento di soggetti nazionali estranei alla struttura organizzativa della singola legal entity estera nello svolgimento dell'attività della medesima, se del caso, unicamente a livello di formale condivisione delle linee di indirizzo strategico comuni proprie del Gruppo; un simile processo di coinvolgimento, attesa la natura del medesimo, dovrebbe peraltro caratterizzarsi per una frequenza invero sporadica (ad es. nell'ambito di riunioni ad hoc con i rappresentanti delle singole subsidiaries nel cui ambito condividere le linee di indirizzo strategico dell'intero Gruppo, ecc.).

Pertanto, è consigliabile evitare l'intervento dei soggetti nazionali in merito ad operazioni della società estera aventi valore poco rilevante, piuttosto che, più in generale, attinenti l'ordinaria attività d'impresa; si potrebbe al limite ipotizzare un coinvolgimento del legale rappresentante della controllante italiana unicamente con riferimento a quelle (rare) operazioni che, per natura od ammontare, esulano dall'ordinaria gestione dell'impresa estera (ad esempio, acquisti di immobili di particolare valore), ovvero risultano in potenziale conflitto con l'indirizzo strategico del Gruppo.

Quanto alla “natura” del suddetto intervento ad opera della controllante nazionale, è suggeribile rendere tale soggetto destinatario non già di “richieste di autorizzazione”, bensì di preventive “comunicazioni” di carattere informativo; in tale contesto, all'amministratore nazionale – comunque informato nell'ambito della propria attività di supervisione e coordinamento del Gruppo – non competerebbe in ogni caso alcun potere di vincolare e/o condizionare a priori il compimento dell'operazione della legal entity estera.

Da ultimo, si precisa come la stessa residenza dei membri facenti parte dell'organo amministrativo delle controllate estere assuma al riguardo non poco rilievo, alla luce delle disposizioni di cui all'art. 73, comma 5-bis, TUIR in tema di cd. esterovestizione.

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