Sovraindebitamento: l’impossibilità di falcidiare l’IVA è contrario al principio di neutralità

23 Novembre 2018

Con provvedimento del 10 settembre 2018, il Tribunale di La Spezia ha sancito che anche nella procedura di accordo della composizione della crisi, come in quella di concordato preventivo, è possibile falcidiare l'IVA, in quanto, in caso contrario, verrebbe violato il principio di neutralità fiscale indicato dall'Unione Europea.
Massima

Con provvedimento del 10 settembre 2018, il Tribunale di La Spezia ha sancito che anche nella procedura di accordo della composizione della crisi, come in quella di concordato preventivo, è possibile falcidiare l'IVA, in quanto, in caso contrario, verrebbe violato il principio di neutralità fiscale indicato dall'Unione Europea.

Ciò sarebbe coerente con una recente ordinanza del Tribunale di Udine, secondo il quale la norma che prevede l'impossibilità per il debitore di falcidiare l'IVA nell'ambito della procedura di sovra-indebitamento, è costituzionalmente illegittima, in quanto viola gli articoli 3 e 97 della Costituzione.

Il caso

Un'impresa individuale depositava una proposta di accordo di composizione della crisi, la quale prevedeva la continuità dell'attività da parte della proponente e l'utilizzo dei proventi mensili per il pagamento dei creditori secondo determinati ordini preferenziali.

Nell'ambito dei crediti chirografari, era previsto (i) il pagamento nella misura del 13% di alcuni crediti con privilegio generale, ivi compreso quello relativo all'imposta sul valore aggiunto (c.d. debito IVA), entro 60 mesi dal passaggio in giudicato del decreto di omologa (creditori costituenti la classe 1, onere piano Euro 54.470,24) e (ii) il pagamento nella misura del 5% dei crediti chirografari, entro 60 mesi dal passaggio in giudicato del decreto di omologa (creditori costituenti la classe 2, onere piano Euro 1.579,91).

A seguito del provvedimento del Tribunale di La Spezia, il quale riteneva non ammissibile la proposta, atteso che la previsione del pagamento solo parziale del c.d. debito IVA si pone(va) in contrasto con l'art. 7, comma 1, terzo periodo L. n. 3/2012, l'impresa individuale produceva memoria con alcune osservazioni contro tale decisione.

In particolare, la proponente deduceva in diritto che la proposta di accordo era ammissibile pur prevedendo la soddisfazione solo parziale del debito IVA, considerato che la più recente giurisprudenza (Corte di Giustizia dell'Unione Europea, seconda sezione, sentenza del 07.04.2016 pronunciata nella causa C-546/2014 e Corte di Cassazione a Sezioni Unite sentenza n. 26988/2016), nonché gli ultimi interventi normativi (art. 1 comma 81 Legge 232/2016 che ha modificato l'art. 182-ter RD 267/1942) consentono di affermare quale principio generale, applicabile a tutte le procedure previste dalla legislazione nazionale per la composizione concordata delle situazioni di crisi-insolvenza, quello della soddisfazione in misura anche solo parziale del debito per omesso pagamento dell'imposta sul valore aggiunto.

Accogliendo questi motivi, il Tribunale di La Spezia, in ragione del contrasto tra il principio di neutralità fiscale imposto dall'Unione Europea e l'art. 7, comma 1, terzo periodo L. n. 3/2012 nella parte in cui dispone l'inammissibilità della proposta di accordo di composizione della crisi avanzata dall'imprenditore la quale preveda il pagamento solo parziale del debito a titolo di imposta sul valore aggiunto, ha disapplicato l'art. 7, comma 1, terzo periodo L. n. 3/2012 limitatamente al c.d. divieto di falcidia dell'IVA.

Il quadro normativo

L'art. 7, comma 1, L. n. 3/2012, applicabile all'accordo di composizione delle crisi da sovra-indebitamento e al piano del consumatore, stabilisce che la proposta formulata dal debitore non fallibile – con l'ausilio dell'organismo di composizione della crisi – può prevedere che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possono non essere soddisfatti integralmente, allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dall'Organismo di composizione della crisi (OCC).

Inoltre, il suddetto articolo, alla terza parte del comma 1, evidenzia che "In ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell'Unione europea, all'imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento". Ergo, la rigida e letterale applicazione di tale principio renderebbe inammissibile la proposta che preveda la falcidia dell'IVA.

Il divieto di falcidia dell'IVA nelle procedure concorsuali risale all'art. 182-ter del R.D. 267/42 (Legge Fallimentare) in relazione all'istituto della transazione fiscale facoltativamente attivabile nell'ambito del concordato preventivo e nell'accordo di ristrutturazione dei debiti. Invero, nella versione precedente a quella attuale come modificata dalla legge 11 dicembre 2016, n. 232 (c.d. Legge di bilancio 2017), la disposizione in esame consentiva per tali procedure solamente la dilazione dei tributi costituenti risorse proprie dell'Unione Europea, senza alcuna possibilità di riduzione del relativo debito. Sino al 31 dicembre 2016, pertanto, l'art. 7, comma 1., L. n. 3/2012 era coerente – avendo una formulazione analoga – con l'art. 182-ter.

La falcidiabilità dell'IVA nel concordato preventivo

Il problema della falcidiabilità (o meno) del credito IVA e delle ritenute è stato affrontato anzitutto con riferimento alla procedura di concordato preventivo.

Su iniziativa del Tribunale di Udine, è dapprima intervenuta la Corte di Giustizia Europea con la sentenza del 7 aprile 2016, la quale, sul presupposto che l'IVA non potesse considerarsi una risorsa finanziaria propria dell'Unione Europea, ha ritenuto compatibile la normativa italiana con quella europea “interpretata nel senso che un imprenditore in stato di insolvenza può presentare a un giudice una domanda di apertura di una procedura di concordato preventivo, al fine di saldare i propri debiti mediante la liquidazione del suo patrimonio, con la quale proponga di pagare solo parzialmente un debito IVA attestando, sulla base dell'accertamento di un esperto indipendente, che tale debito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di proprio fallimento”.

In buona sostanza, per il giudice europeo, il debitore italiano avrebbe potuto presentare un concordato preventivo liquidatorio, proponendo il pagamento parziale del debito IVA, a condizione che un esperto indipendente attestasse che tale debito non avrebbe ricevuto un trattamento migliore nel caso di proprio fallimento.

Sulla scorta di tale pronuncia, molti tribunali di merito italiani hanno pertanto iniziato a riconoscere la falcidiabilità dei crediti IVA e ritenute nei concordati preventivi.

Il decisum della Corte di Giustizia Europea è stato d'impulso per l'intervento -seppur tardivo- delle Sezioni Unite della Cassazione del 27 dicembre 2016 n. 26988 e del 13 gennaio 2017, n. 760, le quali hanno sancito il seguente principio di diritto con riferimento all'art. 182 ter L.Fall., in vigore fino al 31 dicembre 2016: “la previsione dell'infalcidiabilità del credito IVA di cui all'articolo 182 ter l.fall. trova applicazione solo nell'ipotesi di proposta di concordato accompagnata da una transazione fiscale”. Secondo i giudici di legittimità, quindi, la transazione fiscale non sarebbe obbligatoria e al debitore, dunque, sarebbe consentito ricorrere a due tipologie di concordato: una principale, che prescinde da un previo accordo con il fisco; l'altra speciale, che include la transazione fiscale. Ma se si esclude che la transazione fiscale debba accompagnare necessariamente ogni ipotesi di concordato preventivo con debiti tributari, deve riconoscersi che la regola dell'infalcidiabilità operi solo per la transazione fiscale.

A seguito dei vari interventi giurisprudenziali, la tematica della falcidiabilità dell'IVA si è riaperta con la L. n. 232/2016 (in vigore dal 1° gennaio 2017), con la quale il legislatore nazionale ha riformulato l'art. 182 ter L.Fall., stabilendo l'obbligatorietà della transazione fiscale nel caso di proposta di pagamento parziale di qualsiasi debito per tributi o contributi, compresi quelli per IVA e ritenute, nel concordato preventivo e nell'accordo di ristrutturazione dei debiti.

Si è pertanto eliminato l'obbligo di procedere esclusivamente ad una richiesta di dilazione, potendosi, con la transazione fiscale e nell'ambito di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis L.Fall., proporre il pagamento anche parziale dei debiti per IVA e ritenute, qualora il piano proposto dal debitore possa prevedere una soddisfazione “in misura inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicato nella relazione del professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d) L.Fall.”.

Nessuna modifica, in tal senso, è stata, invece, apportata all'art. 7, comma 1, L. 3/2012, che continua, pertanto, a prevedere l'impossibilità, per il soggetto non fallibile, di proporre una soddisfazione parziale dei propri debiti per IVA e ritenute. Sicché si è sollevato un problema di costituzionalità dell'art. 7 della predetta legge sul sovraindebitamento, nella parte in cui stabilisce che il credito IVA può essere oggetto solo di dilazione e non di falcidia, con l'art. 3 della Costituzione giacché tratta irragionevolmente in modo diverso situazione eguali: in particolare, quella di un imprenditore commerciale sopra soglia di fallibilità che con un concordato preventivo con transazione fiscale può falcidiare l'IVA e le ritenute, rispetto a quella di un imprenditore commerciale sotto soglia che con un accordo di composizione della crisi non può falcidiare l'IVA e le ritenute, potendo solo proporre la dilazione di pagamento.

Un precedente: la pronuncia del Tribunale di Pistoia del 27 aprile 2016

Il Tribunale di Pistoia è stato uno dei primi giudici di merito ad intervenire sul tema della falcidiabilità dell'IVA con riferimento alla procedura di accordo di composizione della crisi. In particolare, con la pronuncia del 27 aprile 2016 quel giudice aveva sancito la legittimità dell'accordo sulla falcidiabilità dell'IVA anche nell'ambito della procedura di composizione della crisi di cui all'art. 7 della L. 3/2012.

Invero, il fatto che la norma prevedesse esclusivamente la dilazione di pagamento dell'IVA e delle ritenute si sarebbe posto in netto contrasto con quanto statuito dalla Corte di Giustizia Europea in data 7 Aprile 2016 la quale, come noto, ha ritenuto ammissibile il pagamento anche parziale di un debito IVA da parte di un imprenditore in stato d'insolvenza, purché sia accertata l'impossibilità di recuperare il credito IVA in misura maggiore.

Per i giudici toscani, quindi, l'art. 7 della L. 3/2012 si limiterebbe a replicare, in modo neutrale, la regola comunitaria indicata dalla Corte di Giustizia, secondo cui gli Stati membri hanno l'obbligo di garantire il prelievo integrale dell'IVA ma, ove ciò non sia possibile, gli stessi dovranno garantire il miglior prelievo possibile per come accertato nell'ambito di un procedimento sottoposto a controllo giurisdizionale e nell'ambito del quale sia garantita la possibilità di voto e di opposizione del creditore.

La pronuncia, di particolare rilievo, ha pertanto aperto le danze alla falcidiabilità dell'IVA con riferimento alla procedura di accordo di composizione della crisi (per un esame approfondito della pronuncia, si rinvia al commento di Gallio-Greggio in questo portale dell'8 novembre 2017, “Falcidia del credito da IVA anche nell'ambito delle procedure di sovra-indebitamento”).

La questione affrontata dal Tribunale di La Spezia

In linea con il Tribunale di Pistoia sopra citato, il Tribunale di La Spezia, con pronuncia del 10 settembre 2018, ha ritenuto che l'art. 7 della legge 3/2012 sia in contrasto con il Trattato dell'Unione Europea, in quanto vi sarebbe una palese violazione del principio di neutralità dell'imposta.

Tale principio fiscale, previsto dal diritto dell'Unione Europea, impone al legislatore nazionale di non introdurre, in materia di imposta sul valore aggiunto, significative differenze tra i contribuenti.

Come sopra evidenziato, nell'ambito delle procedure concorsuali italiane, è evidente l'esistenza obiettiva di significative differenze tra contribuenti, in materia di imposta sul valore aggiunto.

Infatti, in forza del disposto dell'art. 7, comma 1, terzo periodo Legge 3/2012, gli imprenditori soggetti alla procedura di accordo di composizione della crisi non possono concordare all'interno di tale procedura il pagamento soltanto parziale del credito dello Stato in materia di imposta sul valore aggiunto. Invece, a norma degli artt. 160 ss RD 267/1942 gli imprenditori soggetti alla procedura di concordato preventivo beneficiano in sede concordataria della possibilità del pagamento ridotto del debito a titolo di imposta sul valore aggiunto.

Emerge, quindi, una significativa differenza tra imprenditori, con riferimento alla stessa imposta sul valore aggiunto, in quanto, da un lato, si impone ad alcuni (soggetti all'applicazione della Legge 3/2012) il pagamento integrale, mentre, dall'altro lato, si consente ad altri (soggetti all'applicazione del RD 267/1942) il pagamento soltanto parziale (senza che il RD 267/1942 preveda espressamente un minimo percentuale quanto alla soddisfazione del debito IVA).

Il suddetto principio di neutralità potrebbe essere derogato solo dalla necessità dell'osservanza di altro principio generale indicato in materia dall'Unione Europea, che sarebbe quello di effettività della riscossione.

Si porrebbe, quindi, la questione se le differenze di disciplina in punto di imposta sul valore aggiunto tra la procedura di concordato preventivo e la procedura di accordo di composizione della crisi siano giustificate dalla necessità di garantire una riscossione effettiva dell'imposta.

La risposta sembrerebbe essere negativa a seguito della sentenza 07.04.2016, causa C-546/14, della Corte di Giustizia europea che ha verificato la compatibilità della disciplina della procedura di concordato preventivo ex artt. 160 ss. RD 267/1942 con il principio di effettività della riscossione dell'imposta sul valore aggiunto.

In particolare, i giudici europei hanno ritenuto che la possibilità per l'imprenditore in concordato preventivo di pagare solo in misura parziale il proprio debito IVA sia compatibile con il principio di effettività della riscossione dell'IVA imposto dall'Unione Europea, poiché la disciplina della procedura di concordato preventivo comporta che il pagamento dell'imposta sul valore aggiunto, ancorché parziale, sia il migliore concretamente realizzabile sia nell'an sia nel quantum.

Orbene, si rileva che le stesse norme previste in punto di concordato preventivo dal RD 267/1942, e valorizzate dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea per affermare la compatibilità, con il principio di effettività della riscossione, del pagamento parziale dell'IVA da parte dell'imprenditore in concordato, sono presenti altresì nella disciplina della procedura di accordo di composizione della crisi di cui alla Legge 3/2012.

Invero, con riferimento alla procedura di concordato preventivo, la Corte di Giustizia Europea ha evidenziato che: (i) il pagamento parziale di un credito privilegiato può essere ammesso solo se un esperto indipendente attesta che tale credito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di alienazione del bene del debitore sul quale insiste la causa di prelazione. Ne deriva che la proposta di concordato può prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca possano non essere soddisfatti integralmente purché il piano ne preveda la soddisfazione, in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione (cfr. art. 160 co. 2 RD 267/1942); (ii) tale procedura prevede che il concordato sia sottoposto al voto di tutti i creditori per i quali la proposta di concordato non preveda il pagamento integrale e che la stessa debba essere approvata dai creditori rappresentanti la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Tuttavia, i crediti muniti di privilegio, pegno e ipoteca dei quali la proposta preveda l'integrale pagamento non hanno diritto al voto se non rinunciano in tutto o in parte al diritto di prelazione (cfr. art. 177 Rd 267/1942); (iii) il creditore che abbia espresso un voto negativo rispetto alla proposta di concordato avrà il diritto di contestarla sia dinanzi al medesimo Giudice della procedura (una volta conclusosi il voto dei creditori e prima dell'omologazione della proposta) tramite l'opposizione al concordato o, successivamente all'omologazione, contestando la legittimità nel rito e nel merito del provvedimento di omologa (cfr. artt. 180 e 183 RD 267/1942).

Ebbene, come anticipato, la disciplina descritta per la procedura di concordato preventivo, si riscontra anche nella diversa procedura di accordo di composizione della crisi, atteso che: (i) all'art. 7 della Legge 3/2012 è previsto che i crediti muniti di privilegio, pegno ed ipoteca possano non essere soddisfatti integralmente purché il piano ne preveda la soddisfazione, in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione; (ii) l'art. 11 co. 2 Legge 3/2012 sancisce che ai fini dell'omologazione è necessario che l'accordo sia raggiunto con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti e che i creditori muniti di privilegio, pegno e ipoteca di cui è previsto l'integrale pagamento non siano computati ai fini del raggiungimento della maggioranza e non possano esprimersi sulla proposta; (iii) l'art. 12 della Legge 3/2012 stabilisce che i creditori hanno la possibilità di contestare sia la proposta dinanzi al Giudice (successivamente al voto e prima dell'omologazione) che il provvedimento di omologa innanzi ad altro Giudice.

Per i motivi sopra esposti, la diversità di trattamento in materia di imposta sul valore aggiunto tra i creditori soggetti alla disciplina del concordato preventivo e gli imprenditori soggetti alla disciplina della procedura di accordo di composizione della crisi non sarebbe giustificata dal principio di effettività della riscossione dell'imposta sul valore aggiunto.

Conseguentemente, secondo il Tribunale di La Spezia, la disciplina di cui all'art. 7 co. 1 terzo periodo Legge 3/2012, limitatamente al c.d. divieto di falcidia dell'IVA, si pone in contrasto con il principio di neutralità fiscale previsto dall'Unione Europea, e vincolante per il legislatore nazionale.

Come anticipato, tale pronuncia è coerente con i principi (già) sanciti nell'ordinanza del Tribunale di Udine 30 ottobre 2014 in cui si è affermato che l'art. 7 della legge 3/2012 sarebbe in contrasto con l'articolo 3 e con l'art. 97 della Costituzione.

Infatti, quanto all'art. 3 della Cost.In merito al primo articolo, la previsione della norma in commento violerebbe il principio di uguaglianza di trattamento di tutti soggetti debitori (persone fisiche, giuridiche, enti collettivi in generale) che si trovano nella medesima situazione di crisi e, per questo motivo, vogliono effettuare una transazione concordataria con i propri creditori.

In merito, invece, alla violazione dell'art. 97 Cost., secondo cui la legge deve organizzare i pubblici uffici in modo da assicurarne il buon andamento, la relativa illegittimità si verificherebbe in quanto verrebbe precluso alla Pubblica Amministrazione di condursi secondo criteri di economicità e di massimizzazione delle risorse nel caso concreto; e questo anche quando in realtà ciò sarebbe possibile consentendo ad un pagamento del credito IVA parziale, ma in termini più rapidi ed in misura non inferiore alle alternative meramente liquidatorie.

In conclusione

Con il provvedimento in oggetto, il Tribunale di La Spezia ripropone, come già fatto in precedenza da altri giudici, la questione della legittimità di una norma che impedisce di ridurre il debito IVA.

Si badi che anche il Tribunale di Verona, con ordinanza 10 aprile 2013, in relazione agli artt. 160 e 182 ter L.Fall. -nella parte in cui stabilivano che la proposta di concordato con transazione fiscale, con riguardo all'IVA, potesse prevedere esclusivamente la dilazione di pagamento e non la falcidia- ha evidenziato che così facendo era impedito all'amministrazione finanziaria di valutare autonomamente la convenienza di una proposta concordataria con transazione fiscale e di aderirvi tutte le volte in cui questa consentisse un grado di soddisfacimento non inferiore rispetto all'alternativa liquidatoria fallimentare, e ciò in palese violazione con gli articoli 3 e 97 Cost.

Nondimeno, la questione è stata ritenuta infondata dalla Consulta (Corte Cost., 25.7.14, n. 225), la quale ha ribadito che il divieto dell'art. 182 ter era conseguenza del divieto comunitario -per ogni Stato membro- di disporre una rinuncia generale, indiscriminata e preventiva al diritto di procedere ad accertamento e verifica del tributo in questione, principio che trova fonte nella direttiva del Consiglio 28 novembre 2006, 2006/112/CE.

Comunque, preme evidenziare che l'Unione Europea ha espressamente indicato i principi generali a cui devono obbligatoriamente uniformarsi le legislazioni degli Stati membri nella disciplina dell'imposta sul valore aggiunto. Qualora, poi, la norma interna risultasse in contrasto con il principio stabilito dall'Unione Europea, il Giudice dello Stato membro ha il potere (nonché il dovere) di disapplicare la normativa nazionale incompatibile.

Il Tribunale di La Spezia, pertanto, non ha fatto altro che applicare i basilari principi comunitari: nello specifico, il Giudice dello Stato membro ha verificato se la disciplina dell'imposta su valore aggiunto adottata dal legislatore italiano sia conforme ai principi dell'Unione Europea con riferimento all'art. 7, comma 1, terzo periodo Legge 3/2012 nella parte in cui stabilisce l'inammissibilità della proposta di accordo di composizione della crisi avanzata dall'imprenditore che preveda il pagamento parziale del debito a titolo di imposta sul valore aggiunto. Sicché, preso atto che tale normativa interna contrasta con quella comunitaria, l'ha disapplicata.

Il decisum del Tribunale di La Spezia assume significato pregnante soprattutto dopo la sentenza del 7 aprile 2016 della Corte di Giustizia Europea, emessa a seguito di rinvio da parte del citato Tribunale di Udine (ordinanza del 30 ottobre 2014), con la quale si è meglio definito il principio della neutralità fiscale, ritenendo compatibile con l'ordinamento comunitario la legge fallimentare italiana anche quando prevede un pagamento parziale dell'IVA, se inserita nel quadro di un piano controllato e controllabile che dimostri come tale soluzione porti un beneficio non inferiore a quello che si otterrebbe all'esito di una liquidazione forzata dei beni del debitore.

Tuttavia, come visto, il legislatore italiano a seguito della predetta pronuncia della Corte di Giustizia Europea ha recepito soltanto parzialmente i principi in essa stabiliti, modificando l'articolo 1, co. 81, della Legge 31 dicembre 2016, n. 232, che ha riscritto l'art. 182 ter L.Fall. e ammettendo la possibilità di falcidiare l'IVA solo qualora venga presentata una transazione fiscale.

Invece, un'eguale modifica non è stata attuata per la proposta di accordo di composizione della crisi di cui alla Legge 3/2012, sul presupposto che la falcidia dell'IVA non potrebbe essere estesa alle procedure diverse da quelle citate nel nuovo art. 182 ter. Con buona pace del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione.

Ciò porta inevitabilmente ad un contrasto dell'ordinamento interno con la normativa comunitaria, che invece imporrebbe una disapplicazione tout court del diritto interno in contrasto con quello europeo.

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