Le azioni riscattande

Francesca Maria Bava
28 Novembre 2018

Secondo la massima n. 67/2018 del Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Firenze, Pistoia e Prato, è possibile la creazione di azioni “riscattande”, ossia di una categoria di azioni che incorpora il diritto di ottenere il loro acquisto (inteso come “opzione put”) da parte della società o degli altri soci.

Secondo la massima n. 67/2018 del Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Firenze, Pistoia e Prato, è possibile la creazione di azioni “riscattande”, ossia di una categoria di azioni che incorpora il diritto di ottenere il loro acquisto (inteso come “opzione put”) da parte della società o degli altri soci.

Tale caratteristica differenzia le suddette azioni da quelle “riscattabili”, che comportano la soggezione dei loro titolari al potere di acquisto altrui (inteso come “opzione call”) e che sono espressamente disciplinate all'art. 2437-sexies c.c.

La ratio della previsione statutaria della categoria di azioni “riscattande” risponde all'esigenza di garantire un disinvestimento delle partecipazioni al verificarsi di determinate condizioni, riferibili ad esempio alla società o ai soci, o -se si ritiene ammissibile il recesso ad nutum- alla semplice volontà del socio titolare delle medesime.

Incorporando tali azioni un diritto di riscatto e non una posizione di soggezione, il prezzo di vendita delle stesse non è soggetto ai limiti previsti per le azioni riscattabili e, quindi, al rispetto della disciplina in tema di recesso di cui agli artT. 2437 ter e 2437 quater c.c.

Tuttavia, la libertà nella determinazione del prezzo del disinvestimento non può spingersi fino a sterilizzare il rischio di impresa, stante il divieto del patto leonino di cui all'art. 2265 c.c.

Al riguardo, nulla quaestio se onerata all'acquisto delle azioni è la società in quanto la presenza di utili o riserve disponibili, quale presupposto per acquistare azioni proprie ai sensi dell'art. 2357 c.c., è condizione sufficiente perché sia garantito il rispetto del divieto del patto leonino.

Se invece onerati sono gli altri soci, il divieto di cui sopra è sicuramente rispettato quando il prezzo risulta individuato sulla base di criteri connessi all'effettivo valore della società; più discussa rimane, tuttavia, l'ammissibilità in statuto di un prezzo determinato in misura fissa, nonostante il recente orientamento della Corte di legittimità (Cass. 4 luglio 2018, n. 17498) che ha riconosciuto la validità di una “opzione put” ad un prezzo predeterminato pari a quello dell'acquisto con l'aggiunta di interessi e con il rimborso dei versamenti nelle more operati in favore della società.

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