Morosità (sanatoria)

29 Novembre 2018

Nel contratto di locazione, l'inadempimento del conduttore alla sua principale obbligazione contrattuale, quella di pagare il canone, viene definita morosità. La morosità, costituendo un inadempimento grave, può, dunque, determinare la risoluzione del contratto, tuttavia l'art. 55 della l. n. 392/1978 stabilisce che la morosità del conduttore nel pagamento del canone “può essere sanata in sede giudiziale...
Inquadramento

L'obbligazione fondamentale del conduttore - nello schema sinallagmatico del contratto di locazione - è quella di pagare il canone convenuto; da ciò consegue che il relativo inadempimento (c.d. morosità) costituisce senz'altro causa di risoluzione del contratto. Nell'ambito del contratto di locazione, tuttavia, la disciplina specifica delle locazioni abitative si articola su di una particolare attenzione per la stabilità del rapporto e, in definitiva, per la tutela delle esigenze abitative del conduttore. Questa particolare finalità è il portato di quella legislazione, particolarmente attenta agli aspetti sociali e perequativi, che si è andata formando in particolare negli anni settanta. E, infatti, la disciplina posta dalla l. n. 392/1978 stabilisce, con specifico riguardo alle locazioni abitative, che la morosità del conduttore può essere sanata in sede giudiziale sino a tre volte nel corso di un quadriennio. Si tratta, dunque, di uno strumento che consente di adempiere, sia pure in ritardo ed a seguito della domanda giudiziale del locatore, per fare salvo il contratto di locazione. L'istituto è, dunque, finalizzato alla tutela delle esigenze abitative del conduttore cui resta sacrificato il diritto del locatore ad ottenere la risoluzione del contratto di cui pure ricorrerebbero i presupposti. L'art. 55 della l. n. 392/1978 stabilisce peraltro che ai fini della sanatoria il conduttore deve versare alla prima udienza o nel termine, non superiore a novanta giorni, in quella sede assegnato dal giudice (se sussistono comprovate ragioni di difficoltà), tutti i canoni scaduti, gli oneri accessori maturati, maggiorati dagli interessi e dalle spese processuali liquidate dal giudice. Quale ulteriore corollario la norma in commento prevede che la morosità non possa essere sanata più di quattro volte nel corso del quadriennio e che il termine possa essere di centoventi giorni se l'inadempienza non si sia protratta per oltre due mensilità e se le precarie condizioni economiche del conduttore siano insorte dopo la stipulazione del contratto e siano dipese da disoccupazione, malattia o gravi comprovate condizioni di difficoltà. L'effetto del pagamento eseguito dal conduttore nei termini indicati è, come si è detto, di escludere la risoluzione del contratto.

L'ambito oggettivo di applicabilità della sanatoria

Come si è visto, la disciplina che regola la locazione degli immobili, e segnatamente l'art. 55 della l. n. 392/1978, consente di sanare nell'ambito del giudizio di sfratto, per tre volte nell'arco di un quadriennio, la morosità eventualmente determinatasi a carico del conduttore. Il meccanismo della sanatoria, a grandi linee, è tale che il conduttore, convenuto nel giudizio di sfratto, può sanare alla prima udienza ovvero nel termine assegnato dal giudice la morosità relativa ai canoni offrendo altresì di pagare gli oneri accessori e le spese legali liquidate dal giudice. Il primo problema che si è posto è stato quello di determinare l'ambito oggettivo di applicabilità della sanatoria in questione che consente al conduttore che se ne avvalga di evitare la risoluzione del contratto.

A tale riguardo ci si è domandati, in primo luogo, se la sanatoria sia applicabile solo alle locazioni di immobili per uso abitativo o anche alle locazioni relative agli immobili commerciali. Al riguardo si è pronunciata la Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. III, 28 dicembre 1998, n. 448) chiarendo che l'art. 55 della l. n. 392/1978 non si applica al settore dei contratti locativi aventi ad oggetto immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo. Il ragionamento seguito dai giudici di legittimità, appare lineare e convincente, tra l'altro, laddove sottolinea che la morosità che può esser sanata è quella descritta nella prima parte dell'art. 55 che richiama l'art. 5 della l. n. 392/1978. Dal combinato disposto delle due disposizioni si deduce che la sanatoria è applicabile alle sole locazioni abitative. L'interpretazione dell'art. 55 della l. n. 392/1978 «condotta in base alla sua connessione con l'art. 5 prevede al possibilità di escludere la risoluzione per inadempimento,che dovrebbe essere pronunciata in base all'art. 5, e, non applicandosi l'art. 5 al di fuori delle locazioni abitative, è dentro questo campo che si colloca anche l'art. 55» (Cass. civ., sez. un., 28 aprile 1999, n. 272). Tale interpretazione è inoltre corroborata dal rilievo che «gli artt. 5 e 55 della legge, intesi nel senso di riguardare le locazioni abitative, danno luogo ad una disciplina degli effetti dell'inadempimento di cui sono state chiarite le ragioni e la interna razionalità. Il legislatore, nell'intento di favorire l'accesso del conduttore al godimento dell'abitazione ha regolato l'ammontare del canone; come contrappeso, ha imposto al conduttore rigide regole di comportamento nell'adempiere all'obbligazione di pagare il canone; per controbilanciarle gli ha dato la possibilità di sanare entro certi limiti e termini il proprio inadempimento» (Cass. civ. sez. un., 28 aprile 1999 n. 272).

Va anche detto che tanto la previsione dell'art. 5 della l. n. 392/1978 quanto quella della sanatoria giudiziale in questione non appaiono applicabili alle locazioni transitorie mentre sembrano senz'altro potersi riferire anche alle nuove locazioni abitative, a canone libero o a canone concertato, disciplinate dalla l. n. 431/1998.

Nella prassi ed a livello interpretativo si è, altresì, affrontato il tema della derogabilità o meno della disciplina che consente la sanatoria giudiziale della morosità. La questione sembra vada senz'altro risolta nel senso della inderogabilità della disciplina in questione.

In evidenza

La disciplina della sanatoria giudiziale della morosità posta dagli artt. 5 e 55 della l. n. 392/1978 deve considerarsi inderogabile in quanto posta a tutela del contraente debole, nelle locazioni abitative.

In effetti, va sottolineato come la sanatoria giudiziale in questione svolga una funzione protettiva del contraente più debole, ossia del conduttore, mediante il meccanismo del “salvataggio” del contratto che proprio per tale ragione non può tollerare di essere derogata in peggio, cioè a sfavore del conduttore, sulla base di accordi tra le parti. Tenuto conto del valore sociale del bene primario “casa” che soddisfa l'esigenza abitativa del conduttore si deve, dunque, escludere la derogabilità in peggio della disciplina che regola la sanatoria giudiziale della morosità in vista dell'estremo salvataggio del contratto di locazione. Ad analogo risultato ermeneutico si giunge ove si consideri la natura processuale della disciplina posta dall'art. 55 della l. n. 392/1978: in questo caso sarebbe, infatti, il contenuto processuale della norma ad escluderne la derogabilità. Proprio tale ultima sottolineatura sul carattere processuale della norma consente di soffermarsi su di un altro aspetto della disciplina in commento ossia se la sanatoria giudiziale sia applicabile anche nel caso in cui il locatore abbia introdotto il giudizio di risoluzione con rito locativo ordinario e non con la specifica procedura di sfratto. Mentre in un primo tempo si sono avute diverse sentenza che hanno escluso che in un giudizio introdotto con il rito locativo ordinario potesse trovare luogo la sanatoria giudiziale di cui all'art. 55 della l. n. 392/1978 (Cass. civ., sez. III, 12 febbraio 1991, n. 1451), successivamente si è consolidato il diverso orientamento secondo cui la sanatoria è senz'altro applicabile anche ove il giudizio di risoluzione sia stato introdotto con rito ordinario. La Corte Costituzionale, investita della questione, ha peraltro chiarito come «gli effetti del pagamento dei canoni scaduti nella sede giudiziale possono prodursi sia nella procedura sommaria di sfratto per morosità che in quella ordinaria di risoluzione per inadempimento, rispondendo alla medesima finalità» (Corte Cost., 21 gennaio 1999, n. 3). Sulla scorta di tale insegnamento, anche la Cassazione ha poi confermato che lo speciale istituto della sanatoria della morosità, per le locazioni aventi ad oggetto immobili adibiti ad uso abitativo, trova applicazione tanto nel procedimento di convalida di sfratto per morosità quanto nel caso in cui la domanda per far cessare il contratto ed ottenere la restituzione dell'immobile sia stata introdotta dal locatore con l'ordinario giudizio di risoluzione contrattuale per inadempimento (Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2000, n. 2087). Risponde alle stesse innanzi menzionate finalità il rilievo secondo cui l'eventuale clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto di locazione, che contrasti con la disciplina della sanatoria giudiziale delle morosità resta paralizzata, dovendosi dare prevalenza al meccanismo sanante in questione. E, invero, varie sono le ragioni poste a fondamento di una tale conclusione: si è parlato di nullità della relativa clausola o di provvisoria sospensione dei suoi effetti, sino alla prima udienza, onde verificare se il conduttore voglia avvalersi della sanatoria (Cass.civ., sez. III, 7 maggio 1991, n. 5031). A prescindere dalla giustificazione che si voglia dare della norma, vero è che la eventuale clausola risolutiva è, in ogni caso, inefficace sino alla prima udienza per consentire al conduttore di avvalersi della sanatoria giudiziale ciò anche in conformità con il già ricordato principio della inderogabilità della disciplina che consente al conduttore di avvalersi della sanatoria giudiziale. È infatti evidente che altrimenti ove fosse consentita la piena efficacia della clausola risolutiva espressa resterebbe frustrato il principio della inderogabilità della sanatoria giudiziale.

La sanatoria giudiziale: la sua operatività

Occorre ora soffermarsi sugli aspetti “procedimentali” della sanatoria giudiziale, sottolineando come la stessa vada richiesta da parte del conduttore in prima udienza e come, in tale sede, quest'ultimo possa direttamente sanare la morosità ovvero chiedere di sanarla nel termine che il giudice vorrà concedere “dinanzi a comprovate condizioni di difficoltà”: termine che non potrà essere superiore a novanta giorni. La precondizione perché la sanatoria sia consentita è che il conduttore non si sia già avvalso di tale forma di tutela del rapporto contrattuale per tre volte nel quadriennio. Il giudice ha inoltre la facoltà di accordare un termine più lungo, sino al limite dei centoventi giorni, ed anche per una quarta volta nel quadriennio, ove a seguito di un esame attento e ponderato, risulti che l'inadempimento che si chiede di sanare sia conseguenza di disoccupazione, malattia o altra grave e comprovata condizione di difficoltà. Tale ipotesi ha dunque certamente un contenuto residuale ed eccezionale rispetto alla disciplina, per così dire, ordinaria. In ogni caso, il termine concesso dal giudice si considera perentorio e, dunque, non sono ammessi ritardi che determinerebbero il cristallizzarsi e il perfezionarsi dell'inadempimento. Dalla natura del termine in parola consegue che «se entro il concesso termine di grazia il conduttore non ha provveduto a sanare la mora, al giudice non è concessa la possibilità di valutare la gravità dell'inadempimento, a norma dell'art. 1455 c.c. (così come avviene quando si tratti di termine essenziale ai sensi dell'art. 1457 c.c.), che deve perciò ritenersi sussistente ope legis» (Cass. civ., sez. III, 17 settembre 2008, n. 23751).

Detto questo, altro aspetto essenziale del procedimento è che la sanatoria giudiziale sia completa. La somma indicata dal giudice e versata dal conduttore deve, cioè, comprendere tutti i canoni scaduti e gli oneri accessori maturati sino alla data della sanatoria, maggiorati degli interessi legali e le spese legali all'uopo liquidate dal giudice. Va, quindi, sottolineato come un pagamento parziale sia del tutto inidoneo al perfezionarsi del meccanismo sanante previsto dalla sanatoria in commento.

Una questione assai rilevante sul piano del procedimento di sfratto e della richiesta del conduttore di avvalersi della sanatoria giudiziale riguarda la possibilità o meno, del conduttore che intenda avvalersi della sanatoria, di contestare altresì il diritto del locatore di agire per lo sfratto ovvero di proporre eccezioni volte a paralizzare tale domanda o quella di risoluzione del contratto. A tale riguardo è necessario dare conto dei vari diversi orientamenti che si contendono il campo in materia.

Razionalizzando la tematica e le risposte formulate dagli interpreti possono ricondursi a due macro orientamenti:

a) l'uno considera la domanda di sanatoria della morosità compatibile con la contestazione della domanda proposta dal locatore e la formulazione di eccezioni volte a paralizzare la domanda avversaria anche a prescindere dalla invocata sanatoria;

b) l'altro considera invece la domanda di sanatoria del tutto incompatibile con l'opposizione allo sfratto e comunque con la formulazione di eccezioni volte a contestare e paralizzare la domanda di risoluzione del contratto. Entrambe le soluzioni presentano indubbi elementi di suggestione a loro sostegno. Il secondo degli indicati orientamenti appare prevalente e si basa sull'affermazione della incompatibilità logica tra l'opposizione allo sfratto e la richiesta di sanatoria.

Si è giunti ad affermare che il termine di grazia può essere richiesto a condizione che emerga la volontà di non opporsi alla convalida per contestare in tutto o in parte la morosità (Cass.civ., sez. III, 18 aprile 1989, n. 1835), si parla anche di prevalente volontà solutoria (Cass. civ., sez. III, 23 dicembre 2003, n. 19772); si è altresì sottolineato come la volontà di sanare la morosità sia incompatibile con l'opposizione alla convalida (Cass. civ., sez. III, 15 gennaio 1996, n. 270).

L'orientamento che, invece, ritiene compatibile la sanatoria con l'opposizione allo sfratto si basa sul rilievo che il conduttore, anche se convinto della validità dei motivi di opposizione potrebbe essere indotto a richiedere di sanare la morosità per evitare la convalida dello sfratto, salvaguardando la facoltà di ripetere quanto dovesse ritenersi ingiustamente prestato per effetto della sanatoria avvenuta in corso di giudizio.

Mancata esecuzione della sanatoria: conseguenze

Può accadere che il conduttore pur avendo intenzione di sanare la morosità non riesca ad adempiere, nel termine indicato dal giudice, al pagamento integrale di quanto dovuto. La mancata esecuzione della sanatoria può dunque esplicarsi in due forme distinte: a)sotto forma di ritardo per il decorso del termine indicato dal giudice per il pagamento delle somme indicate, o b) per l'omesso e/o incompleto pagamento. Va, dunque, sottolineato come la specialità della facoltà riconosciuta al conduttore di sanare giudizialmente la morosità ha come contraltare una forte rigidità sul piano della perentorietà del termine assegnato dal giudice e della necessaria completezza del pagamento eseguito in favore del locatore, per cui anche scostamenti lievi sul piano del ritardo o della completezza della somma versata integrano la fattispecie della mancata sanatoria. La rigidità del procedimento è tale che in caso di omessa sanatoria dovrebbe ritenersi non più consentito al giudice di valutare la gravità dell'inadempimento o del ritardo, dovendosi limitare a prendere atto della mancata sanatoria nei termini inderogabilmente fissati. Questa è senz'altro la soluzione prevalente, accolta anche dalla Corte di Cassazione, che ha chiarito come, in caso di sanatoria non completa, una volta scaduto il termine di grazia, viene legittimamente emessa ordinanza di convalida di sfratto, «dovendosi ritenere che la morosità persiste, senza che l'inadempimento residuo sia suscettibile di nuova verifica sotto il profilo della gravità» (Cass. civ., sez. III, 7 agosto 1996, n. 7253). Pur nell'ambito di tale chiave interpretativa della mancata sanatoria, si è posto il dubbio se in caso di concorrente opposizione il giudice debba convalidare lo sfratto o possa limitarsi a concedere l'ordinanza di rilascio, rimettendo alla successiva fase processuale di stabilire il fondamento o meno dell'opposizione proposta dal conduttore. Naturalmente la soluzione accolta sulla preliminare questione della compatibilità della sanatoria giudiziale determina anche la diversa considerazione che viene data alla mancata sanatoria in presenza dell'opposizione formulata dal conduttore contestualmente alla richiesta di potersi avvalere della sanatoria giudiziale.

In evidenza

Alla mancata sanatoria nei termini indicati dal giudice fa necessariamente seguito il provvedimento risolutivo del contratto di locazione sotto forma di convalida dello sfratto o di ordinanza di rilascio.

In conclusione, va sottolineato come la soluzione che consente di svolgere il giudizio e di esaminare l'opposizione anche in esito alla mancata sanatoria appaia piuttosto incongrua rispetto alla scelta del conduttore di avvalersi della sanatoria. L'approdo secondo cui il conduttore potrebbe in ogni caso avvalersi della sanatoria pur non eseguendola e tuttavia successivamente svolgere pienamente le proprie difese in esito alla mancata sanatoria pare incongrua ed andare al di là dei benefici che il legislatore ha voluto riconoscere al conduttore. Si ritiene perciò più coerente ritenere che una volta chiesto il termine di grazia per la sanatoria o il conduttore le dà seguito adempiendo a quanto prescritto o il giudice debba prendere atto del mancato adempimento ed adottare quindi il provvedimento risolutivo del contratto di locazione.

Casistica

CASISTICA

Sanatoria e gravità dell'inadempimento

La sanatoria della morosità del conduttore prevista dalla l. 27 luglio 1978, n. 392, art. 55, è subordinata al pagamento integrale dei canoni, degli interessi e delle spese, senza che l'inadempimento residuo sia suscettibile di nuova verifica sotto il profilo della gravità. (Cass. civ., sez. III, 9 agosto 2016, n. 16669).

Sanatoria e giudizio locativo ordinario o procedimento arbitrale

La speciale sanatoria della morosità del conduttore, disciplinata dall'art. 55 della l. 27 luglio 1978, n. 392, per le sole locazioni abitative di immobili urbani, si applica, oltre che nel procedimento di convalida di sfratto, anche quando la domanda di risoluzione contrattuale sia stata introdotta in via ordinaria, ovvero sia stata deferita agli arbitri. (Cass. civ., sez. III, 15 ottobre 2014, n. 13189).

Sanatoria incompatibile con le locazioni c.d. transitorie

L'art. 55, comma 1, della l. n. 392/1978, nella parte in cui prevede la concessione di un termine (c.d. termine di grazia) per la sanatoria, in sede giudiziale, della morosità del conduttore nel pagamento dei canoni e degli oneri accessori, non riguarda le locazioni di immobili stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria, in quanto, ex art. 26, comma 1, della medesima legge, a tali locazioni non si applica il capo I, di cui fa parte l'art. 5 e, conseguentemente, l'art. 55, il quale è inscindibilmente connesso con il primo (Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 2014, n. 2964).

Sanatoria, suo inadempimento e provvedimenti conseguenti

- In tema di locazione di immobili urbani, il conduttore che, convenuto in un giudizio di sfratto per morosità, abbia richiesto la concessione del cd. "termine di grazia", manifesta implicitamente, per ciò solo, una volontà incompatibile con quella di opporsi alla convalida, sicché al mancato adempimento nel termine fissato dal giudice consegue ipso facto l'emissione da parte di questi dell'ordinanza di convalida ex art. 663 c.p.c., senza che possano assumere rilievo eventuali eccezioni o contestazioni circa la sussistenza e/o l'entità del credito vantato dal locatore sollevate dopo la predetta richiesta di termine per sanare la morosità, giacché, a norma dell'art. 55 della l. 27 luglio 1978, n. 392, il comportamento del conduttore sanante la morosità deve consistere nell'estinzione di tutto quanto dovuto per canoni, oneri accessori, interessi e spese fino alla scadenza del termine di grazia, senza che l'inadempimento residuo sia suscettibile di nuova verifica sotto il profilo della gravità. Il giudice non ha infatti il potere di valutare se il superamento, ancorché esiguo, del suddetto termine di grazia concesso al conduttore per sanare la morosità costituisca inadempimento grave, ma solo la possibilità di fissare il termine entro il limite minimo e massimo stabilito dal legislatore; e d'altro canto l'obbligazione di pagamento del canone, in mancanza di diversa pattuizione, deve essere adempiuta al domicilio del creditore al tempo della scadenza, e perciò il rischio di ritardo o mancata ricezione restando pertanto a carico del debitore, in quanto attiene alla fase preparatoria del pagamento (Cass. civ., sez. III, 5 aprile 2012, n. 5540).

- La sanatoria della morosità del conduttore prevista dalla legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 55, è subordinata al pagamento integrale dei canoni, degli interessi e delle spese, senza che l'inadempimento residuo sia suscettibile di nuova verifica sotto il profilo della gravità (Cass. civ., sez. III, 29 luglio 2013, n. 18224).

Guida all'approfondimento

Giove, Sanatoria per morosità e locazioni ad uso non abitativo, in I contratti, 1999, fasc. 7;

D'Alessandro, Sanatoria giudiziale della morosità e ripetizione dell'indebito, in Giur. it., 1998, fasc. 2;

Izzo, Condanna del comproprietario al rilascio del bene, comune locatogli e inapplicabilità della sanatoria della morosità nel giudizio ordinario di prosecuzione della fase sommaria, in Corr. giur., 2008, fasc. 11;

Di Marzio, Il canone e le altre obbligazioni pecuniarie del conduttore, in La locazione, Torino, 2015, 1220.

Sommario