Intervento del terzo e preclusioni

Giulio Amodio
03 Dicembre 2018

La questione analizzata nella sentenza in commento concerne la corretta ricostruzione del regime delle preclusioni istruttorie e dei poteri processuali riservati al terzo che intenda agire nel giudizio civile pendente inter alios.
Massima

Le preclusioni istruttorie ex art. 268 c.p.c. non violano l'effettiva tutela del diritto del terzo interveniente, essendo espressione del principio di regolare e spedito svolgimento del giudizio, nonché dell'equo processo.

Tali preclusioni restano ferme anche nel caso in cui le stesse parti intervenute nel giudizio inter alios instaurino un autonomo giudizio identico al primo per poi riunirlo allo stesso.

Costituisce "abuso dello strumento processuale" l'instaurazione, successivamente al dispiegato intervento volontario in un giudizio inter alios, di una distinta causa dinanzi al medesimo Ufficio giudiziario, identica a quella proposta con la comparsa di intervento, al solo scopo di aggirare, mediante la riunione dei giudizi, le preclusioni istruttorie già compiutesi nel giudizio pendente.

Il caso

La vicenda trae origine dal giudizio instaurato dinanzi al tribunale di Forlì dall'attore nei confronti della società di trasporti, al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza del decesso del padre, caduto da un treno in corsa.

Scaduti i termini assegnati ai sensi dell'art. 183, comma 6, c.p.c., la causa veniva definita con transazione.

In tale fase del giudizio, spiegavano intervento volontario i nipoti della vittima, le cui istanze istruttorie venivano respinte dal giudice istruttore, il quale rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni.

Nelle more, uno degli interventori proponeva autonomo giudizio al fine di proporre la medesima domanda risarcitoria nei confronti della società di trasporti. Anche gli altri nipoti (già intervenuti nel primo giudizio) spiegavano intervento in tale secondo giudizio.

Riuniti i due giudizi, il tribunale di Forlì, con sentenza del 5.5.2009, dichiarava la cessata materia del contendere con riguardo alle domande proposte da parte attrice, stante la transazione intervenuta con la società di trasporti, e rigettava le altre domande ed istanze formulate dalle parti intervenute, riconoscendo l'impossibilità di eludere le preclusioni istruttorie mediante la proposizione di un nuovo giudizio, poi riunito al primo.

La Corte d'appello confermava la pronuncia di primo grado.

Avverso tale sentenza proponevano ricorso in Cassazione i nipoti della vittima (interventori nel primo giudizio ed attori del secondo giudizio riunito al primo), prospettando in via preliminare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 268 c.p.c., in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., nonché la questione di pregiudizialità comunitaria sulla interpretazione dei principi di diritto comunitario in relazione all'art. 268 c.p.c..

La questione

La questione analizzata nella sentenza in commento, eminentemente di diritto processuale, concerne la corretta ricostruzione del regime delle preclusioni istruttorie e dei poteri processuali riservati al terzo che intenda agire nel giudizio civile pendente inter alios.

La Suprema Corte, in particolare, è stata chiamata a verificare se il regime delle preclusioni sancito dall'art. 268 c.p.c. sia compatibile con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., nonché con il principio generale di tutela giurisdizionale effettiva sancito dall'art. 47, par. 1 CDFUE.

Poste tali questioni preliminari, il principale dubbio interpretativo ha riguardato la possibilità di applicare tali preclusioni istruttorie anche nell'ipotesi in cui il soggetto interveniente nel giudizio instaurato inter alios abbia successivamente proposto la medesima domanda in un nuovo giudizio e questo sia stato riunito al primo.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione, con la sentenza in commento, ha in primo luogo escluso la rilevanza della questione di pregiudizialità comunitaria, non venendo in rilievo nel caso di specie norme attributive di diritti di fonte sovranazionale.

In secondo luogo la Corte, nel far proprie le argomentazioni già svolte dalle pronunce della Corte costituzionale n. 215/2005 e n. 331/2008, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 268 c.p.c., ponendo alcuni punti fermi con riguardo al sistema delle preclusioni processuali in tema di intervento del terzo.

Osserva la Corte, infatti, che il legislatore è libero di conformare gli istituti processuali secondo la propria discrezionalità, pur con il limite della razionalità della scelta; con riguardo al sistema delle preclusioni processuali, introdotto dalla riforma della legge n. 353/1990, il legislatore ha inteso scandire il processo in fasi distinte tra loro, collocate in sequenza, al fine di favorire la decisione della lite in un tempo ragionevole.

Eventuali regressioni delle fasi processuali o rimessioni in termini rappresentano vicende processuali eccezionali, relegate alle sole ipotesi di vizi di nullità insanabile degli atti del processo o al caso in cui la parte sia incorsa in decadenza per causa ad essa non imputabile, secondo il disposto dell'art. 153, comma 2, c.p.c..

Il sistema delle preclusioni, unitamente al correlato criterio di non regressione delle fasi processuali, è volto ad attuare il principio della ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost..

In tale prospettiva si colloca l'art. 268 c.p.c., il quale, lungi dall'introdurre una preclusione irragionevole e/o dal pregiudicare la posizione del terzo, fa piena applicazione dei principi richiamati con riguardo all'intervento del terzo. Difatti, il comma 2 dell'art. 268 c.p.c. sancisce il principio secondo cui il terzo che interviene nel giudizio accetta la causa in statu et terminis, subendo le preclusioni nel frattempo maturate.

Le preclusioni probatorie previste dalla disposizione citata rappresentano, secondo giurisprudenza consolidata (Cass. civ., ord., n. 124/2005), uno strumento coerente e proporzionale per garantire lo svolgimento del processo ordinato e celere, eliminando il rischio che l'intervento del terzo possa essere utilizzato come strumento dilatorio, volto ad ottenere la riapertura dell'istruttoria, svilendo sia la ragionevole durata del processo, sia il diritto di difesa della parte a cui favore siano maturate le preclusioni.

In tal senso, la Corte condivide e fa proprio l'orientamento giurisprudenziale secondo cui il simultaneus processus non è oggetto di garanzia costituzionale ma è semplicemente uno strumento volto a favorire l'economia processuale, nonché ad evitare giudicati contrastanti, onde la facoltà del terzo di proporre – oltre ai rimedi di cui agli artt. 274, 344 e 404 c.p.c. – un autonomo giudizio, ove ritenga che l'intervento nel giudizio instaurato inter alios possa essere fonte di pregiudizi per la propria posizione sostanziale.

Viceversa, allorquando il terzo decida di intervenire in un processo nel quale sia stata già esaurita la fase della deduzione istruttoria – piuttosto che agire a tutela del proprio diritto in un autonomo giudizio – egli non potrà che sottostare al sistema delle preclusioni ed al divieto di regressione delle fasi processuali, potendo solo partecipare al giudizio rebus sic stantibus; resta ferma la facoltà del terzo intervenuto di avanzare la propria pretesa ed ampliare l'oggetto del giudizio esercitando il proprio potere di allegazione dei fatti costitutivi della domanda, così realizzando un cumulo soggettivo successivo per connessione oggettiva.

Sulla base di tali argomentazioni, la Corte di cassazione, con la sentenza in commento, riconosce che il meccanismo delle preclusioni istruttorie previsto dal legislatore all'art. 268 c.p.c. realizza un sapiente punto di equilibrio tra l'opportunità di garantire il simultaneus processus tra cause oggettivamente connesse (evitando giudicati contrastanti), e le esigenze di celerità e speditezza del processo, scongiurando rischi di utilizzi dilatori dell'intervento in giudizio.

Esclusa l'illegittimità costituzionale della norma richiamata, la Suprema Corte conferma la decisione impugnata nella parte in cui ha escluso che al potere di intervenire in giudizio e introdurre nuove domande dovesse necessariamente seguire, ai sensi dell'art. 2697 c.c., il potere di deduzione probatoria. Sul punto, la Corte condivide e fa proprio il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui le preclusioni processuali determinate dalla scadenza dei termini ex art. 183, comma 6, c.p.c. operano anche nei confronti dei terzi successivamente intervenuti (Cass. civ., sez. I, 22 dicembre 2015, n. 25798; id., sez. I, 14 maggio 1999, n. 4771).

Le preclusioni istruttorie, aggiunge la Corte, restano ferme anche nel caso in cui la parte che abbia spiegato intervento nel giudizio pendente, proponga una domanda identica in un successivo giudizio, chiedendone poi la riunione con il primo. Una simile condotta processuale avrebbe come unico scopo quello di eludere le preclusioni istruttorie maturate nel primo giudizio e configurerebbe un abuso dello strumento processuale.

Osservazioni

L'intervento volontario litisconsortile spiegato dai nipoti della vittima nella fattispecie analizzata dalla sentenza in commento non rappresentava la scelta processuale più idonea a soddisfare le esigenze di tutela dei terzi interventori, potendo questi evitare di incorrere in preclusioni istruttorie mediante la semplice proposizione di un'autonoma domanda, non preceduta da alcun intervento nel giudizio inter alios.

L'intervento del terzo nel giudizio già pendente rappresenta una valida strategia processuale nel solo caso in cui gli interventori, nonostante le preclusioni istruttorie maturate, riescano ad ottenere tutela sulla base delle sole allegazioni dei fatti costitutivi della domanda, non assolvendo il convenuto all'onere della prova liberatoria.

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