Concorso tra l’azione sociale di responsabilità e quella individuale esercitate dal socio di s.r.l.

03 Dicembre 2018

La legittimazione straordinaria del socio a proporre l'azione di responsabilità sociale prevista dall'art. 2476, comma 3, c.c. è cumulativa, non privativa della legittimazione spettante al titolare del diritto (cioè alla società) e permane anche in fase di gravame.
Massima

La legittimazione straordinaria del socio a proporre l'azione di responsabilità sociale prevista dall'art. 2476, comma 3, c.c. è cumulativa, non privativa della legittimazione spettante al titolare del diritto (cioè alla società) e permane anche in fase di gravame.

Il socio è, pertanto, legittimato a proporre appello avverso la sentenza di rigetto della domanda, ove la società intervenuta in primo grado con posizione analoga abbia tuttavia omesso di impugnare la pronuncia.

L'atto gestorio o liquidatorio irragionevole – nella specie costituito dalla svendita di un ramo di azienda a un terzo (nel caso in esame a una società riconducibile a due soci persone fisiche titolari della metà del capitale), a fronte di una proposta più conveniente formulata dalla società attrice (titolare dell'altra metà del capitale sociale) – è idoneo a ledere il patrimonio sociale e, dunque, a fondare la responsabilità del liquidatore (nel caso in esame di nomina giudiziale) nei confronti della società, ma pure il patrimonio individuale del socio, fondando la responsabilità del liquidatore pure nei suoi confronti.

Ove la società acquirente si sia attivata per mezzo dei suoi soci, esercitando pressioni sul liquidatore – nella specie evincibili dalla sottoscrizione di una manleva in suo favore per la responsabilità derivante dal compimento dell'atto – sussistono gli estremi della concorrente responsabilità dei soci ai sensi dell'art. 2476, comma 7, c.c. e della terza acquirente loro riconducibile ai sensi dell'art. 2043 c.c.

Il caso

La Corte di appello di Milano – ribaltando la decisione dei giudici di primo grado che avevano ritenuto l'operato del liquidatore giudiziale conforme ai suoi obblighi, per avere egli effettuato una valutazione congrua, secondo criteri prudenziali, degli elementi a sua disposizione al momento della scelta dell'acquirente di un ramo di azienda – con sentenza non definitiva sull'an debeatur, ha affermato la responsabilità concorrente, nei confronti della società e del socio, attore in sostituzione e in proprio, del liquidatore, degli atri soci e della società acquirente, disponendo con separata ordinanza la prosecuzione del giudizio per la quantificazione del danno.

Secondo la tesi in fatto recepita dai giudici di secondo grado, la società acquirente – grazie alle pressioni esercitate sul liquidatore dai propri soci, soci pure della società venditrice in liquidazione, mediante la sottoscrizione di una manleva – era stata preferita nella vendita rispetto alla società attrice, pure socia della venditrice, che aveva formulato una proposta di gran lunga più conveniente.

La Suprema Corte, con la statuizione in esame, ha rigettato tutti i ricorsi principali e incidentali, ne ha dichiarati inammissibili due per ragioni processuali e, in motivazione, ha ritenuto assorbiti quelli incidentali condizionati, compensando integralmente le spese in ragione della reciproca soccombenza.

Le questioni giuridiche

Nella motivazione della pronuncia in commento, la S.C. ha innanzitutto avuto modo di affrontare diverse questioni processuali e sostanziali di carattere generale, risolvendole alla luce di consolidati principi. In particolare, ha ribadito:

1) l'inidoneità del giudicato sulla pronuncia relativa al quantum, intervenuto nelle more del giudizio di impugnazione avente a oggetto la sentenza sull'an, a elidere l'interesse delle parti alla pronuncia in tale giudizio, essendo gli effetti del primo giudicato condizionati alla formazione del secondo (Cass., Sez. Un., n. 22004/05);

2) l'impossibilità, per il ricorrente principale, di proporre ricorso incidentale anche a fronte di quello della controparte, operando l'art. 324 c.p.c. solo a favore del soggetto che prima di essere convenuto abbia mostrato completa acquiescenza alla sentenza impugnata (Cass. n. 6471/93);

3) la configurabilità della responsabilità precontrattuale solo nei confronti del soggetto che, durante le trattative, assuma la qualità di parte, cioè di persona nei cui confronti deve produrre effetto il contratto da concludere (Cass. n. 6386/83);

4) il potere, per i giudici di legittimità, di sindacare l'omesso esame di un fatto da parte dei giudici di merito, solo se tra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica adottata vi sia un rapporto di causalità tale da fare ritenere che la circostanza trascurata, ove esaminata, avrebbe condotto a una soluzione diversa (Cass. n. 24092/13) e, per converso, la sussumibilità, nei poteri di correzione della sentenza previsti dall'art. 384, comma 4, c.p.c., di una mera riqualificazione giuridica del fatto così come ricostruito dal giudice di merito;

5) l'impossibilità di sindacare in sede di legittimità il (denunciato) cattivo esercizio, da parte del giudice di merito, del potere di apprezzamento delle prove non legali (Cass. n. 11892/16);

6) il valore meramente indiziario, non già confessorio, delle ammissioni in fatto contenute negli scritti difensivi sottoscritti solo dal procuratore ad litem (Cass. n. 20701/07);

7) la necessaria specificità delle censure di merito svolte dall'appellante avverso la pronuncia di primo grado (Cass. n. 18932/16).

Osservazioni

Il provvedimento in commento affronta, inoltre, diverse questioni specifiche relative all'azione di responsabilità nelle s.r.l., giungendo a soluzioni che – vertendo su tematiche di diritto societario – vanno in questa sede analizzate.

Tra queste, assume rilievo in primo luogo quella dei rapporti tra l'azione sociale esercitata dal socio in virtù della legittimazione straordinaria sostitutiva riconosciutagli dall'art. 2476, comma 3, c.c. e l'azione sociale esercitata in proprio dalla società (che nel caso di specie è intervenuta, costituendosi in persona di altro liquidatore nominato dopo la revoca di quello convenuto, aderendo alla posizione della società attrice).

La S.C. – nel dichiarare inammissibile il ricorso incidentale proposto dalla società, che si doleva dell'omesso esame in secondo grado dei propri motivi di impugnazione ritenuti tardivi (in tesi erroneamente) dalla Corte d'appello – ha evidenziato che, avendo la società fatto proprie le domande del socio, e, avendo la Corte d'Appello valorizzato la legittimazione sostitutiva del socio e dichiarato la responsabilità del liquidatore nei confronti della società, il ricorso incidentale non è sorretto da interesse.

Tale statuizione, a dire il vero, sembra fondata sull'assunto che, allorquando le due azioni si basino sui medesimi presupposti in fatto, vi sarebbe una sostanziale identità tra le due azioni, con conseguente carenza di interesse della società a coltivare il proprio intervento in secondo grado a sostegno dell'azione sostitutiva esercitata dal socio.

A ben vedere, però, la carenza di interesse va riferita al ricorso in Cassazione e probabilmente discende, non solo dall'accoglimento da parte della Corte d'Appello, dell'azione sostitutiva esercitata dal socio, ma pure dal rigetto da parte della S.C. dei ricorsi dei convenuti, sicché deve ritenersi che, ove l'esito di tali giudizi fosse stato di segno opposto, il ricorso in Cassazione della società sarebbe stato ammissibile. Tale interpretazione è del resto l'unica coerente con le altre considerazioni svolte in sentenza.

I giudici di legittimità, infatti, sempre con la sentenza in esame, hanno ribadito – in linea con le pronunce che riconoscono la qualità di litisconsorte necessario della società nel giudizio di responsabilità avviato dal socio in veste di sostituto processuale (Cass., n. 10936/2016, in questo portale, con nota di Romano, La posizione della società nelle azioni di responsabilità proposte dal socio verso gli amministratori) – che la legittimazione sostitutiva del socio è una legittimazione straordinaria che si cumula a quella del titolare del diritto senza eliderla, e che trova la sua giustificazione nell'esigenza di assicurare al meglio il diritto della società alla reintegrazione del danno che le derivi da atti di mala gestio, attraverso un penetrante controllo del socio sull'amministrazione.

La sentenza ha altresì affermato che, pur non essendo l'inerzia del titolare un presupposto esplicito dell'azione sostitutiva, quest'ultima normalmente supplisce all'inattività dell'assemblea e permane anche in sede di gravame, sicché il sostituto “può spiegare l'impugnazione che la società, intervenuta nella precedente fase del giudizio, abbia mancato di porre in atto”. Aggiunge la Suprema Corte che è lo stesso dettato normativo a chiarire in che termini le scelte della società possono incidere sul diritto di azione del socio – laddove, nell'art. 2476, comma 5, c.c., prevede la possibilità per la società di rinunciare all'azione o transigere a condizione che vi consentano i 2/3 del capitale e gli eventuali dissenzienti non raggiungano 1/10 del capitale – così bilanciando gli interessi contrapposti e ponendo un argine a eventuali iniziative strumentali del socio di minoranza.

Tali conclusioni devono tuttavia ritenersi valide solo laddove la società sia in bonis.

Va, infatti, rammentato che, sempre secondo la giurisprudenza della S.C. (Cass. n. 11264/2016), la legittimazione sostitutiva del socio viene invece meno in caso di fallimento della società, essendo il curatore, non solo l'unico legittimato ex art. 146, comma 2, lett. a) l. fall. all'esercizio dell'azione, ma pure l'unico legittimato a proseguire l'azione sociale esercitata dal socio allorquando la società era in bonis, con conseguente improcedibilità della stessa laddove la curatela, citata in riassunzione, abbia deciso di non coltivare l'azione restando contumace.

Il caso oggetto della sentenza in esame – nel quale la responsabilità discende dal compimento di un atto liquidatorio tipico, quale la vendita di un ramo di azienda – consente inoltre di delineare la portata della business judgement rule chiarendo, nella sostanza, che l'insindacabilità del merito gestorio (nella specie relativo alla fase di liquidazione) non va intesa nel senso di una preclusione all'apprezzamento di situazioni, circostanze di fatto e ragioni connesse alle scelte di gestione, bensì nel senso che la responsabilità dell'amministratore potrà essere ravvisata soltanto qualora il giudice, valutandone la condotta con riferimento al momento in cui fu posta in essere, dunque ex ante, la giudichi non conforme a diligenza.

Ciò che forma oggetto di sindacato da parte del giudice, dunque, non possono essere la convenienza e/o l'utilità dell'atto in sé, né il risultato che abbia eventualmente prodotto, bensì, esclusivamente le modalità di esercizio del potere discrezionale spettante agli amministratori (ed entro certi limiti ai liquidatori) che per essere immuni da critiche non devono travalicare i limiti della ragionevolezza.

La pronuncia è, infine, di estremo interesse perché dà evidenza delle conseguenze derivanti da una condotta, quale è quella all'origine della vicenda che ha dato origine al contenzioso, che è per un verso plurisoggettiva, per altro verso plurioffensiva.

Con riferimento al primo aspetto assumono rilievo le condotte concorrenti del liquidatore, dei soci e del terzo acquirente che fondano la responsabilità solidale di tutti sia pure a diverso titolo, contrattuale nei primi due casi, extracontrattuale nell'ultimo.

Con riferimento al secondo aspetto, la sentenza consente di apprezzare la differenza tra il danno diretto subito dal socio (risarcibile ex art. 2476, comma 6, c.c.) e quello indiretto – rappresentato da una diminuzione di valore della quota a sua volta derivante da una lesione del patrimonio sociale – che il socio non può lamentare in proprio, potendo invece agire (ex art. 2476, comma 3, c.c.) per il risarcimento del danno subito dalla società che beneficerà dell'eventuale pronuncia di accoglimento.