Licenziamento per riduzione di personale in presenza di lavoratori con mansioni fungibili

Francesco Meiffret
03 Dicembre 2018

In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo basato sulla necessità di riduzione del numero di dipendenti in presenza di personale che svolge prestazioni fungibili, ove sia impossibile adibire il lavoratore ad altre mansioni, la scelta del datore di quali prestatori di lavoro licenziare non deve essere solamente esente da motivazioni discriminatorie, ma, in virtù dei principi di correttezza e buona fede, deve essere basata su criteri oggettivi. Detta condizione è rispettata qualora siano applicati i criteri previsti dall'art. 5, l. n. 223 del 1991, o altri parametri oggettivi
Il caso

Una società ricorre in Cassazione a seguito del ribaltamento del giudizio di I grado da parte della Corte d'appello di Torino che aveva ritenuto illegittimo il licenziamento nei confronti di un lavoratore.

La Corte d'appello aveva, infatti, rilevato che, contrariamente a quanto dedotto dal datore, non era stato soppresso il reparto ove il lavoratore era impiegato, bensì ridotta la sua produzione. Sulla base di tale presupposto, la scelta di licenziare tale lavoratore anziché altri dipendenti che svolgevano le medesime mansioni era risultata immotivata e non ancorata a parametri oggettivi come quelli, ad esempio, indicati nell'art. 5, l. n. 223 del 1991.

Per questi motivi la Corte d'appello condannava la società ad un risarcimento pari a 6 mensilità a favore del lavoratore, non ritenendo sussistente i requisiti dimensionali ex art. 18 commi 8 e 9, l. 300 del 1970, e respingendo, inoltre, la domanda principale del lavoratore che aveva chiesto accertarsi la natura discriminatoria del licenziamento.

La società ricorreva in cassazione dolendosi che la Corte d'appello aveva effettuato un errore di valutazione nel considerare il reparto di falegnameria ove il lavoratore era impiegato non soppresso. Di conseguenza lamentava l'inapplicabilità dei criteri di scelta ex art. 5, l. 223 del 1991, posto che, nel caso di specie, non si trattava di licenziamento per riduzione di personale omogeneo e fungibile, ma causato dalla soppressione del settore ove il lavoratore era impiegato

La questione

Nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo per riduzione di personale, in presenza di personale omogeneo e fungibile, quali sono i criteri di scelta al quale il datore deve attenersi per individuare i lavoratori da licenziare?

La soluzione giuridica

La sentenza in esame innanzitutto dichiara inammissibile la doglianza volta a richiedere una nuova valutazione dei fatti di causa evidenziando che la decisione è censurabile in Cassazione solo nell'ipotesi di manifesta illogicità (Cass. 9 aprile 2014, n. 12928).

Ne consegue, quindi, che il caso sottoposto alla Suprema Corte rientra nell'ipotesi di licenziamento per riduzione di personale che svolge prestazioni omogenee e fungibili.

La Suprema Corte prosegue aderendo al consolidato orientamento in base al quale la scelta dei lavoratori da licenziare da parte del datore di lavoro, oltre a non poter essere discriminatoria, non deve essere nemmeno arbitraria e, quindi, deve essere rispettosa dei principi di correttezza e buona fede. La scelta può ritenersi ancorata ai principi appena richiamati se basata su criteri oggettivi e, per questo motivo, la Corte ritiene applicabile i criteri stabiliti dall'art. 5, l. 223 del 1991, anzianità e carichi di famiglia (cfr. Cass., sez. lav., 25 luglio 2018, n. 19732; Cass.. sez. lav., 21 dicembre 2001, n. 16144).

Osservazioni

I criteri di scelta da applicarsi nel caso LGMO per riduzione di personale omogeneo e fungibile costituiscono uno dei numerosi punti sui quali sussistono contrasti giurisprudenziali all'interno della fattispecie licenziamento per motivi economici.

L'assenza di certezza giuridica dipende dal fatto che il Legislatore non abbia mai statuito su tale problematica nonostante si tratti di una questione tutt'altro che inusuale.

L'orientamento attualmente predominante, e al quale aderisce la sentenza in commento, ritiene applicabile i criteri sussidiari stabiliti dall'art. 5 (cfr. Cass., sez. lav., 25 luglio 2018, n. 19732, con nota su questo portali di Rocchi L., Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: individuazione dei criteri di scelta e tutela applicabile; Cass., sez. lav, 8 luglio 2016, n. 14021; nel merito Corte d'appello Roma, sez. lav, 12 marzo 2018, n. 842; Tribunale Brescia, sez. lav., 2 febbraio 2018, n. 129).

Giova precisare che le stesse sentenze che aderiscono a tale opzione ermeneutica, generalmente lasciano spazio alla possibilità di utilizzo di altri criteri purché siano obbiettivi e misurabili. Uno di questi è, ad esempio, la maggiore produttività.

La sentenza n. 25192 del 7 dicembre 2016 della Suprema Corte ha ritenuto corretta l'individuazione dei lavoratori da licenziare in base al maggiore costo della retribuzione, il minore rendimento lavorativo e le condizioni economiche complessive di ciascun lavoratore poiché tali parametri erano valutabili oggettivamente e permettevano di stilare una graduatoria.

Il criterio della maggiore produttività era stato accolto in astratto anche dalla Corte D'appello di Firenze nella sentenza del 20 ottobre 2016 seppur ritenuto non legittimo nel caso esaminato. La Corte d'appello riteneva, infatti, il criterio della maggiore produttività una valida motivazione per l'individuazione dei lavoratori da licenziare purché fosse oggettivamente rilevabile. Oltre alla possibile misurazione del rendimento, la Corte stabiliva che la differente capacità produttiva dei lavoratori non doveva essere imputabile ad una carente formazione da parte del datore di lavoro. Per questo motivo la Corte d'Appello aveva dichiarato illegittimo il licenziamento del lavoratore più anziano rispetto a quello più giovane. Era emerso, infatti, che a seguito di alcune modernizzazioni sul sistema produttivo, il datore di lavoro aveva omesso di formare i dipendenti sull'utilizzo dei nuovi strumenti di lavoro. I lavoratori più giovani, tuttavia, erano riusciti più facilmente ad adattarsi alle innovazioni rispetto a quelli più anziani che, quindi, nell'ultimo periodo erano risultati meno produttivi.

A parere dello scrivente una scelta basata sulla capacità produttiva, così come delineata dalla Corte d'Appello (valutazione oggettiva delle capacità produttive e differenze nell'operatività dei prestatori non dovute dall'omessa formazione del datore di lavoro), è del tutto logica e ragionevole in quanto volta a preservare il posto di lavoro dei più meritevoli, nonché in linea con l'art. 40, comma 1, Cost. Lascia, invece, perplesso la possibilità di basare il licenziamento sul minor costo del lavoratore: generalmente il maggior costo del lavoratore, a parità di mansioni e profili professionali, deriva da una maggiore anzianità di servizio di guisa che la scelta declinerebbe chiaramente nella discriminatorietà.

Un altro arresto della Suprema Corte (Cass., sez. lav., 20 settembre 2016, n. 18409,) ha ritenuto che possano essere considerate le esigenze tecniche, organizzativo e produttive. Detto criterio è presente nel più volte richiamato art. 5, ma sino a tale pronuncia è sempre stato ritenuto inapplicabile poiché la scelta riguarda lavoratori fungibili. In questo caso la Corte ha ritenuto legittima la scelta del datore di lavoro, a parità di profili e mansioni, di licenziare il lavoratore part time rispetto a quello a tempo pieno poiché risultava dimostrata la necessità aziendale di un lavoratore full time. Da questo punto di vista le ragioni tecnico, organizzative e produttive possono costituire un criterio valido per la scelta di quale lavoratore confermare.

Meritevole d'interesse è la sentenza del Tribunale di Bari del 3 novembre 2016; il Giudice ha valutato legittima la scelta del lavoratore da licenziare basata sulla maggiore facilità di reinserimento nel mondo del lavoro e sul possesso di redditi diversi rispetto a quelli da lavoro in grado, quindi, di limitare le difficoltà economiche della disoccupazione.

Del tutto minoritaria è la posizione della giurisprudenza che nega l'applicabilità analogica dei criteri di scelta indicati nel più volte citato art. 5, l. n. 223 del 1991, (Cass., 13 ottobre 2008, n. 25043; Cass., 30 novembre 2010, n. 24235). Secondo tale orientamento LGMO e licenziamento collettivo sono ontologicamente diversi.

Invero le due fattispecie, come rilevato nell'orientamento prevalente prima richiamato, hanno una causa sovrapponibile che permette l'applicazione di alcune norme del licenziamento collettivo anche al LGMO. Tra queste norme vi rientrano i criteri di scelta per individuare i lavoratori da licenziare.

Conclusioni

In conclusione sia concesso evidenziare come la sentenza in commento, quasi incidentalmente, intervenga su un'altra questione spinosa del LGMO: il cd obbligo di repechage. Un'attenta e ben argomentata dottrina, di chiaramente stampo prodatoriale, da tempo dubita dell'esistenza nel nostro ordinamento di un aggancio normativo per l'obbligo di repechage, pur precisando come costituisca diritto vivente.

Quasi a voler troncare sul nascere un percorso che potrebbe portare non a limitare i confini dell'obbligo repechage, bensì ad eliminarlo, la sentenza annotata evidenzia come tale obbligo trovi tutela costituzionale (ben 21 volte la nostra Carta costituzionale cita il diritto al lavoro sotto varie declinazioni) e sia l'espressa manifestazione dell'effettiva scelta organizzativa datoriale, scevra da intenti pretestuosi o finalità espulsive del lavoratore. Dunque un aggancio normativo esiste e si fonda sulla nostra Carta Fondamentale che esplicitamente limita la libertà dell'iniziativa economica, sancita all'art. 41, Cost., comma 1, all'utilità sociale (art. 41, comma 2, Cost).

Se il lavoratore, nonostante la scelta imprenditoriale, è ricollocabile in azienda adibendolo a mansioni diverse, persino inferiori, pare evidente che non sussistono la causa organizzative giustificative del licenziamento (a meno che ovviamente il lavoratore non rifiuti la possibilità di essere adibito a mansioni diverse, anche inferiori).

Dall'altra parte l'obbligo di ripescaggio può essere visto come lo strumento attraverso il quale si riempiono di contenuto i principi generali di correttezza e buona fede più volte richiamati. Solo se non è possibile ricollocare il lavoratore, il datore di lavoro, in assenza di gravi inadempimenti del lavoratore, può licenziare. L'istituto del ripescaggio, in sintesi, può essere considerato il banco di prova dell'esistenza della causa riorganizzativa giustificativa del licenziamento

Bibliografia consultata

Ferraresi M., Il giustificato motivo oggettivo di licenziamento, dalla legge 604 del 1966 al contratto a tutele crescenti, Giappichelli, Torino, 2016;

Ferraresi M., Recenti sviluppi del dibattito sul giustificato motivo oggettivo di licenziamento, dall'apparato sanzionatorio alla fattispecie, www.bollettinoadapt.it, 2017;

Carinci M.T., L'obbligo di "ripescaggio" nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo di tipo economico alla luce del jobs act, RIDL, 2017, 2, 217 e ss.