Il “valore monetario base” nella tabella per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale

Giuseppe Chiriatti
06 Dicembre 2018

La modifica formale apportata dalla nota del 5 luglio 2018 (da “valore monetario medio” a “valore monetario base”) parrebbe legittimare la tesi secondo cui i valori monetari previsti nella prima colonna della nuova tabella costituiscano un minimum inderogabile e, dunque, risulta antitetica rispetto all'esigenza dichiarata nella nota illustrativa delle tabelle 2018. D'altro canto, la mancata previsione di un valore risarcitorio minimo renderebbe la tabella inidonea a garantire quell'uniformità di trattamento richiamata dalla c.d. sentenza Amatucci.
Premessa

Almeno ad una primissima lettura, la nuova edizione delle “Tabelle Milanesi” non avrebbe apportato sostanziali modifiche al meccanismo di liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale che era già stato proposto dall'Osservatorio meneghino a far data dal 2009.

Il Gruppo 3 (incaricato della revisione della tabella) si sarebbe infatti limitato:

  • da un lato, a includere espressamente nel catalogo dei legittimati attivi anche coloro che siano parte di un'unione civile di cui alla sopravvenuta l. n. 76 del 2016, specificando, altresì, che «il giudice potrà riconoscere il danno da perdita del rapporto parentale anche a soggetti diversi da quelli previsti in Tabella, purché venga fornita la prova di un intenso legame affettivo e di un reale sconvolgimento della vita della vittima secondaria a seguito della morte (ma ciò vale anche per la grave lesione biologica) del congiunto» (così la nota esplicativa);

  • dall'altro, a ribadire che «non esiste un minimo garantito da liquidarsi in ogni caso», chiarendo nondimeno che «i valori indicati in tabella sono quelli medi che, di regola, la prassi giurisprudenziale ha ritenuto congruo ristoro compensativo nei rispettivi casi di decesso e relazioni parentali ivi previsti» (così sempre la nota esplicativa).

E proprio al fine di rendere più intellegibile tale ultimo passaggio, il Gruppo 3 ha deciso di sostituire la “vecchia” forbice con una nuova veste grafica che riporta i valori monetari di riferimento in due colonne: la prima, titolata “valore monetario medio”; la seconda, “aumento personalizzato (fino a max)”.

Nondimeno, la nuova nomenclatura (pur a fronte della chiosa contenuta nella nota esplicativa) ha suscitato alcuni dubbi tra gli interpreti. In particolare, non sarebbe risultata chiara «la parte in cui si indica che i valori indicati in tabella rappresenterebbero quelli ‘medi': infatti, tra l'indicazione di un importo minimo e di uno massimo (fra loro, peraltro, notevolmente distanti) sarebbe lecito attendersi che il parametro medio stia nel mezzo, non già all'estremo più basso» (così BONA M., Tabelle milanesi oltre il seminato: critica ai parametri per i danni da premorienza e terminali, Ridare.it, 17 aprile 2018).

“Valore monetario medio”…

Invero, dagli stralci dalla nota esplicativa sopra riportati ben emerge come l'obiettivo dichiarato dell'Osservatorio fosse proprio quello di superare eventuali equivoci che potessero derivare dall'utilizzo della “vecchia” forbice (da un minimo a un massimo) e, dunque, di prevenire la liquidazione automatica degli importi posti al limite inferiore della tabella storica.

Tale modifica, oltretutto, sarebbe stata deliberata all'esito di «un ampio monitoraggio di decisioni sulla materia in esame per verificare in base a quali parametri, in concreto, i singoli giudici liquidino il danno nell'ambito dei lavori minimi e massimi previsti nell'ampia forbice della tabella”. In particolare, “per avere un paniere significativo di decisioni che tenesse coto delle peculiarità delle prassi giurisprudenziali spalmate sull'intero territorio italiano, le sentenze sono state reperite tra 14 Tribunali di diversi distretti di Corte d'Appello» (così SPERA D., Tabelle milanesi 2018 e danno non patrimoniale, Le Officine del Diritto – Civile e Processo, Milano, pag. 37 e ss.).

Ebbene, da tale monitoraggio era emerso, tra le altre, che su 124 domande formulate dal genitore per la morte del figlio, in ben 12 casi (pari, dunque, a circa il 10% del totale) il giudice ha ritenuto di liquidare un importo inferiore al “valore monetario medio”, motivando tale scelta in ragione del fatto che il superstite risiedesse in altro luogo e che le frequentazioni col congiunto deceduto fossero scarse.

Dal monitoraggio effettuato emergeva cioè che in non pochi casi la prassi giudiziaria ha derogato agli importi tabellari minimi di cui alla “vecchia” forbice; per l'effetto, tali valori non potrebbero essere considerati alla stregua di un valore minimo.

Del tutto conseguentemente, l'Osservatorio ha quindi ritenuto di superare il meccanismo a forbice che, per come strutturato, avrebbe potuto legittimare interpretazioni e applicazioni della tabella non coerenti con gli esiti del monitoraggio effettuato. In particolare, la scelta di definire come “medi” quei medesimi valori che erano posti nella parte inferiore della “vecchia” forbice, doveva lasciar intendere - anche visivamente - all'interprete che non vi è alcun “minimo garantito” e che, al contrario, ben si possano liquidare importi inferiori in ragione delle peculiarità del caso concreto.

…e “valore monetario base”

Per fugare i dubbi interpretativi di cui si è detto, l'osservatorio ha nondimeno ritenuto di modificare – con una nota “correttiva” pubblicata il 5 luglio 2018 - il “valore monetario medio” in “valore monetario base”.

Ebbene, a parere di scrive, tale ulteriore modifica – almeno da un punto di vista formale – non è coerente con le ragioni che avrebbero giustificato il superamento della “vecchia” forbice: ed infatti, l'utilizzo del lemma “base” parrebbe legittimare proprio la tesi secondo cui quel valore costituirebbe l'importo risarcitorio minimo.

Ciò a maggior ragione ove si consideri che, nella medesima nota correttiva, l'Osservatorio ha tenuto a specificare che «la colonna denominata ‘valore monetario medio', di cui alla Tabella ‘riassuntiva', mirava, in sostanza, a ricalcare la denominazione ed il contenuto della colonna base ‘punto danno non patrimoniale al 2018' della Tabella da lesione del bene salute. Dunque, si intendeva rimarcare come i valori, di cui alla prima colonna, esprimessero la ‘uniformità pecuniaria di base' cui fanno riferimento le note sentenze della Corte costituzionale n. 184/1986, della Cass. n. 12408/2011 e n. 5013/2017». Ed infatti, occorre qui notare come, nella tabella per la liquidazione del danno biologico, il c.d. punto base esprima proprio un valore monetario minimo e uguale per tutti coloro che lamentino il medesimo grado di invalidità permanente; per l'effetto, una piana equiparazione del nuovo “valore monetario medio” al “punto base” si porrebbe in antitesi con le premesse stesse da cui muove la relazione introduttiva alle nuove tabelle, e cioè che «non esiste un minimo garantito da liquidarsi in ogni caso».

Quale significato attribuire, dunque, a tale “nuovo” parametro?

Liquidazione equitativa e uniformità pecuniaria di base

La risposta al quesito non è agevole. Stando a quanto sopra e, dunque, a prescindere dalla questione strettamente nominalistica (“medio” o “base”), verrebbe da dire che il valore di cui si cui discute possa essere definito solo in negativo, e, cioè, che esso non rappresenta un importo risarcitorio minimo.

D'altro canto, una simile conclusione sarebbe alquanto insoddisfacente da un punto di vista sistematico e, soprattutto, non consentirebbe neppure di comprendere in che termini “il valore monetario medio” (oggi “base”) possa garantire quell'uniformità pecuniaria richiamata dallo stesso Osservatorio.

Sul punto, pare opportuno procedere con una breve digressione sui principi che governano la liquidazione equitativa del danno.

Ed infatti, la c.d. sentenza “Amatucci” (Cass. civ., n. 12408/2011) aveva chiarito come l'esercizio del potere di cui all'art. 1226 c.c. debba rispondere a due distinte funzioni: la prima è quella di garantire al danneggiato un ristoro adeguato del pregiudizio patito; la seconda è invece quella di «garantire l'intima coerenza dell'ordinamento, assicurando che casi uguali non siano trattati in modo diseguale, o viceversa: sotto questo profilo l'equità vale ad eliminare le disparità di trattamento e le ingiustizie»(sul punto sia consentito rinviare a CHIRIATTI G., Alla ricerca dell'equità: i danni da premorienza e terminali nelle nuove Tabelle milanesi - Edizione 2018, in Ridare.it, 25 settembre 2018).

È dunque tale ultima funzione quella che verrebbe presidiata dall'individuazione del “valore monetario medio” (poi divenuto “base”).

Nondimeno, non pare che la modifica apportata dall'Osservatorio, anche alla luce di quanto riferito nella nota “correttiva” del 5 luglio 2018, sia del tutto aderente con le indicazioni offerte dalla c.d. sentenza “Amatucci”.

In tal senso, potrà ritornare utile un confronto tra il funzionamento della tabella per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale e quella predisposta per la liquidazione del danno biologico.

Quest'ultima è infatti strutturata secondo uno schema bipartito che si articola:

da un lato, nella previsione di valori monetari medi che consente di pervenire ad una liquidazione dei pregiudizi standardizzabili (cioè ordinariamente connessi alla lesione del bene salute e, in quanto tali, uguali per tutti);

dall'altro, nella previsione di un range di personalizzazione che, invece, consente di adeguare quei valori medi alle peculiarità del caso concreto.

Pertanto, come già sottolineato in precedenza, il valore monetario medio, nella tabella per la liquidazione del danno biologico, costituisce il minimum garantito a qualsiasi danneggiato che lamenti il medesimo grado di invalidità permanente.

La tabella per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale sarebbe invece strutturata secondo uno schema differente che, stando a quanto riportato dall'Osservatorio nella nota esplicativa, può essere oggi descritta come una forbice che muove non più da un importo minimo (quello da riconoscere a chiunque lamenti e provi il danno patito), bensì da 0 (zero) - per l'ipotesi in cui il danno non sia provato - fino a 331.920/144.130 euro - per l'ipotesi in cui il danno si sia manifestato con la massima intensità (e fatti salvi i casi in cui le peculiarità del caso concreto impongano di superare quel limite).

È dunque evidente che il “valore monetario base”, costituendo non più un importo minimo (come nella vecchia forbice) ma un mero punto mediano all'interno di tale nuovo range, si riveli di per sé poco significativo per il giudice, il quale dovrà ricavare aliunde (e cioè al di fuori della tabella) i criteri sulla base dei quali individuare l'importo minimo da applicare.

A tal fine, il giudice potrà in primo luogo attingere tra quelli riportati nella nota esplicativa delle tabelle, e, cioè, quelli maggiormente impiegati nella prassi giudiziaria (tra questi: la sopravvivenza o meno di altri congiunti del nucleo familiare primario, la convivenza o meno di questi ultimi, la qualità ed intensità della relazione affettiva familiare residua, qualità della intensità della relazione affettiva che caratterizzava il rapporto parentale con la persona deceduta)

La prova del danno “base” …

In questa sede non è certo possibile passare in rassegna tutti i numerosi elementi fattuali che vengono ordinariamente valorizzati dalla giurisprudenza al fine di pervenire ad una corretta liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale (per una ricognizione sul tema sia consentito rinviare a TRAPUZZANO C., Liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale secondo lo schema elastico proposto dall'Osservatorio di Milano edizione 2018, in Ridare.it, 11 settembre 2018).

Oltretutto, tali criteri esprimono un diverso significato in ragione del rapporto di parentale che legava il de cuius al superstite: si pensi ad esempio alla coabitazione tra nonno e nipote, che potrebbe risultare maggiormente significativa di quanto non sia nell'ambito della famiglia nucleare (rispetto alla quale, invece, rappresenta un elemento fattuale piuttosto ricorrente).

E ancora, si noti come la medesima coabitazione tra partners, alla luce di alcuni importanti mutamenti sociali, economici e culturali che hanno favorito l'emersione di relazioni affettive a distanza con una frequenza di gran lunga maggiore rispetto al passato, non costituisce più un dato fattuale imprescindibile per qualificare il rapporto di convivenza, cioè quello fondato sull'assunzione di un impegno di assistenza e di collaborazione reciproca (in tal senso Cass. civ., 9178/2018 commentata su questa rivista da RUSSO R., Risarcibile il danno per la morte del partner in assenza di coabitazione, in Ridare.it, 17 settembre 2018).

Più in generale, occorre poi notare come tali criteri possano talvolta concorrere; per l'effetto, la valorizzazione di tutti gli elementi fattuali disponibili nel caso concreto si risolve, di volta in volta, in un più complesso processo logico-valutativo di cui il giudice deve sì dare debitamente atto in sentenza, ma che non sempre consente di apprezzare la rilevanza di ogni singolo elemento sotto un profilo strettamente aritmetico/monetario.

Ad ogni modo, al fine di poter individuare un “macro” criterio che consenta di orientarsi all'interno di un range monetario piuttosto ampio, occorre intanto notare come la sussistenza di un danno (che per comodità potremmo definire “base”), possa essere desunta già dalla mera allegazione del rapporto parentale inciso dall'illecito, specie ove si tratti di una relazione afferente alla famiglia c.d. nucleare (si pensi al figlio che lamenti la morte della madre).

Ed infatti, pur dovendosi ribadire che il pregiudizio in questione costituisce pur sempre un danno conseguenza che deve essere allegato e provato (così Cass. civ., Sez. Un. n. 26972/2008), pare a chi scrive che la prova del danno possa essere ricavata in via presuntiva ex art. 2729 c.c. già solo dal mero rapporto di parentela allegato e provato dal danneggiato.

Non si ignora, invero, quanto statuito da alcuni precedenti di legittimità che ai fini del ristoro del pregiudizio derivante dalla lesione del rapporto parentale richiedono l'allegazione circostanziata di fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita (così Cass. civ., n. 10527/2011).

D'altro canto, in tema di prova presuntiva, la stessa la Corte di Legittimità (Cass. civ., n. 16993/2007) ha più in generale chiarito che «il convincimento del giudice può ben fondarsi anche su una sola presunzione, purché grave e precisa»; e ancora, che «non occorre che tra il fatto noto [n.d.r. il rapporto di parentela] e quello ignoto [n.d.r. lo sconvolgimento della vita familiare a seguito dell'illecito] sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, cioè che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole di esperienza».

Tant'è che sempre la Cassazione ha successivamente statuito che «il fatto illecito, costituito dalla uccisione del congiunto, dà luogo ad un danno non patrimoniale presunto, consistente nella perdita del rapporto parentale, allorché colpisce soggetti legati da uno stretto vincolo di parentela, la cui estinzione lede il diritto all'intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che caratterizza la vita familiare nucleare» (Cass. civ., n. 4253/2012).

In tal senso, particolarmente significativa risulta una più recente pronuncia di legittimità in cui la Corte di Cassazione ha chiarito che, anche ai fini della liquidazione del risarcimento del danno da compromissione del rapporto parentale (quello che deriva non dalla morte bensì dalle lesioni patite dal congiunto e che, dunque, potrebbe sostanziarsi in un gravissimo sconvolgimento delle abitudini di vita dei superstiti chiamati ad assistere l'infermo), è sufficiente la prova dello stretto vincolo di parentela (in quel caso si trattava del coniuge e dei figli della vittima) e delle conseguenze pregiudizievoli patite dal congiunto a seguito del sinistro, risultando invece irrilevanti per l'operare della presunzione altri elementi quali, ad esempio, la convivenza (Cass. civ., n. 12146/2016).

Pertanto, fatta eccezione per quei casi eccezionali in cui possa provarsi, a contrario, che non vi è stato alcun danno (si pensi, ad esempio, alla figlia minorenne che sia stata vittima di abusi da parte del padre defunto fino al momento dell'illecito), il rapporto parentale costituisce un fatto notorio da cui è possibile inferire per massime di esperienza, anche in difetto di ulteriori allegazioni, la prova di un pregiudizio “base” (che si manifesta cioè in modo uguale per tutti i danneggiati che risultino legati al de cuius da quello specifico rapporto di parentela/prossimità).

Tale principio, potrebbe invero non valere per coloro che alleghino un rapporto di parentela non espressamente contemplato dalla tabella, e ciò non perché quest'ultima esaurisca o possa esaurire il catalogo dei potenziali legittimati attivi (in tal senso, è proprio la nota esplicativa ad escluderlo), quanto per il fatto che i rapporti parentali riportati nella tabella sono quelli caratterizzati da una maggiore prossimità col de cuius e, dunque, consentono di inferire in via presuntiva la sussistenza del danno con un maggiore grado di probabilità logica (cfr. Cass. civ., n. 4253/2012).

Ciò detto, resta in ogni caso da comprendere – ed è appunto questo l'oggetto effettivo del presente contributo – se il danno provato in via presuntiva sulla base del mero rapporto di parentela debba essere liquidato con un importo pari al valore monetario medio o con un importo inferiore.

… e la sua quantificazione

Da un esame delle pronunce monitorate dall'osservatorio, ben emerge come la liquidazione di importi inferiori all'attuale “valore monetario base” sia stato giustificata proprio dalla mancata prova dell'intensità del legame effettivo e, ancora, dalla residenza in luoghi diversi: ciò lascerebbe intendere che, in quei casi, il danno sia stato provato in via presuntiva proprio sulla base del mero rapporto parentale (per una ricognizione sia consentito rinviare a SPERA, cit.).

In tal senso, occorre del resto segnalare come nella nota esplicativa si affermi che «ai fini della liquidazione dell'importo indicato in tabella (ad esempio: Euro 165.960,00) il giudice, in presenza di specifiche allegazioni di parte, potrà fare utile applicazione anche e soprattutto della prova presuntiva».

Ebbene, l'espresso riferimento a “specifiche allegazioni di parte” parrebbe escludere che la mera allegazione del rapporto di parentale possa giustificare una liquidazione pari o prossima al “valore monetario base”.

D'altro canto, contestualmente all'approvazione della nota “correttiva” del 5 luglio 2018, l'Osservatorio ha pubblicato un ulteriore documento in cui vengono aggiornati gli esiti dell'attività di monitoraggio delle pronunce di merito di cui si è già detto (il documento è stato pubblicato su questa rivista: SPERA D., CASSANO CICUTO A., Danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale: nuova veste grafica e chiarimenti sui criteri orientativi della Tabella edizione 2018, in Ridare.it, 17 luglio 2018).

In particolare, in tale report si riferisce invece che il ricorso ai “valori monetari base” (o a valori prossimi allo stesso) è stato talvolta motivato, tra le altre, dalla «la scarsità di allegazioni e/o mancanza di prova su circostanze di fatto idonee a personalizzare il danno»; conseguentemente, «il danno è stato ritenuto provato in base a presunzioni».

In atri termini, stando a tale ultimo documento, il “valore monetario base” ben potrebbe essere riconosciuto anche a chi non si sia premurato di “arricchire” la propria domanda risarcitoria con allegazioni ulteriori rispetto al mero rapporto parentale.

Quale, dunque, la soluzione?

La nuova tabella non ha e non può assumere valore “para-normativo”

Ora, si è già avuto modo di segnalare come la modifica originariamente apportata dall'Osservatorio fosse finalizzata proprio a prevenire l'applicazione automatica dei valori minimi di cui alla vecchia forbice (poi divenuti “valore monetario medio” e, successivamente, “valore monetario base”).

È dunque in tale solco che, per il momento e fintanto che l'attività di monitoraggio tuttora in corso non venga completata, occorrerebbe muoversi per una corretta comprensione del funzionamento della tabella; per l'effetto, nei casi in cui il danneggiato si limiti ad allegare il mero rapporto parentale sarebbe legittimo attendersi la liquidazione di importi certamente inferiori all'attuale “valore monetario base.

Ciò detto, la soluzione da noi prospettata, se da un lato pare maggiormente coerente con gli obiettivi dichiarati dall'Osservatorio nella nota esplicativa delle Tabelle 2018, dall'altro non restituisce un valore monetario certo da utilizzare per la liquidazione del danno “base”, e, cioè, quello che dovrebbe essere uguale per tutti, ma che, allo stato, potrebbe invece essere risarcito, almeno teoricamente, con un importo da 1 (uno) euro fino al “valore monetario medio” (oggi “base”) previsto dalla tabella in ragione del rapporto parentale dedotto.

Verrebbe dunque da chiedersi se il meccanismo tabellare, per come “modificato” dall'Osservatorio, possa ancora godere del valore para-normativo che, come noto, è stato attribuito alle tabelle “storiche” dalla già richiamata sentenza “Amatucci”.

Invero, occorrerebbe prima ancora chiedersi se la sentenza “Amatucci” avesse effettivamente eletto a parametro di riferimento anche la tabella per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale.

Ed infatti, da un attento esame di quella pronuncia, parrebbe che la Cassazione si sia pronunciata esclusivamente sulle tabelle per la liquidazione del danno biologico.

In particolare, nel caso da cui era originata quella pronuncia, oggetto della domanda era il risarcimento dell'invalidità permanente patita dalla vittima primaria. Ed anche il principio diritto enucleato dalla pronuncia alla lettera b) parrebbe fare espresso riferimento alla liquidazione del danno biologico («poiché l'equità va intesa anche come parità di trattamento, la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona da lesione dell'integrità psico-fisica presuppone l'adozione da parte di tutti i giudici di merito di parametri di valutazione uniformi che, in difetto di previsioni normative (come l'art. 139 del codice delle assicurazioni private, per le lesioni di lieve entità conseguenti alla sola circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), vanno individuati in quelli tabellari elaborati presso il tribunale di Milano, da modularsi a seconda delle circostanze del caso concreto»).

D'altro canto, è noto che la tabella per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale acceda formalmente a quella predisposta per la quantificazione del pregiudizio biologico.

In ogni caso, aderendo alla tesi secondo cui la “nuova” tabella non individua un valore risarcitorio minimo, dovremmo a quel punto concludere che la stessa non garantisce quell'uniformità di trattamento che, come detto, è strettamente connaturata all'istituto della liquidazione equitativa del danno.

Conclusioni

Alla luce di quanto sopra, parrebbe che i due documenti pubblicati dall'Osservatorio al fine di chiarire l'effettiva portata applicativa della “nuova” tabella legittimino letture antitetiche rispetto ai principi enunciati nella relazione illustrativa.

Ed infatti:

ove attribuissimo al “valore monetario medio” (ora “base”) la medesima funzione svolta dal c.d. punto base nella tabella per la liquidazione del danno biologico (così la nota correttiva del 5 luglio 2018); e ancora, ove tale valore venisse impiegato per ristorare il danno nell'ipotesi in cui le allegazioni di parte siano carenti o comunque difetti la prova su circostanze di fatto idonee a personalizzare il danno (così il documento del 17 luglio 2018), il nuovo valore si risolverebbe in un minimum risarcitorio che, a quel punto, potrebbe essere liquidato anche nell'ipotesi in cui il danneggiato si sia limitato ad allegare il mero rapporto parentale (che, come detto, può costituire un fatto notorio da cui inferire la sussistenza di un danno “base”).

Ed anzi, tale lettura sarebbe ulteriormente confermata, sul piano formale, proprio dalla modifica del titolo di cui alla prima colonna della tabella, da “valore monetario medio” (posto cioè nel punto mediano del range monetario) in “valore monetario base”.

D'altro canto, solo la previsione di un valore risarcitorio minimo e uguale per tutti consentirebbe di presidiare quell'uniformità monetaria che deve pur sempre essere garantita dal corretto esercizio del potere equitativo da parte del giudice (così c.d. sentenza “Amatucci”).

A parere di scrive, sarebbe dunque auspicabile che l'Osservatorio procedesse con un'ulteriore revisione del meccanismo tabellare, da un lato ristabilendo espressamente un valore minimo in grado di garantire quell'uniformità di trattamento richiamata dalla sentenza “Amatucci”, dall'altro rivedendo al ribasso tale valore (ciò che, appunto, consentirebbe di conseguire il medesimo risultato perseguito dall'Osservatorio, e cioè quello di prevenire la liquidazione automatica del valore “medio”/”base” in difetto di specifiche allegazioni).

In tal senso, riteniamo che il completamento dell'attività di monitoraggio (tuttora in corso) possa restituire alcune evidenze ancor più significative per poter individuare con maggior esattezza il valore risarcitorio minimo da riconoscere ogni qual volta il danno risulti provato, in via presuntiva, in ragione del mero rapporto parentale.

Guida all'approfondimento

BONA M., Tabelle milanesi oltre il seminato: critica ai parametri per i danni da premorienza e terminali, in Ridare.it, 17 aprile 2018

CHIRIATTI G., Alla ricerca dell'equità: i danni da premorienza e terminali nelle nuove Tabelle milanesi - Edizione 2018, in Ridare.it, 25 settembre 2018

RUSSO R., Risarcibile il danno per la morte del partner in assenza di coabitazione, in Ridare.it, 17 settembre 2018

SPERA D., CASSANO CICUTO A., Danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale: nuova veste grafica e chiarimenti sui criteri orientativi della Tabella edizione 2018, in Ridare.it, 17 luglio 2018

SPERA D., Tabelle milanesi 2018 e danno non patrimoniale, Le Officine del Diritto – Civile e Processo, Giuffré, pagg. 60 e ss.)

TRAPUZZANO C., Liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale secondo lo schema elastico proposto dall'Osservatorio di Milano edizione 2018, in Ridare.it, 11 settembre 2018

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