Processo agli enti, tra qualche punto fermo e diverse questioni aperte

Ciro Santoriello
10 Dicembre 2018

Una società era condannata in sede di merito essendosi riconosciuta la sua responsabilità da reato ex d.lgs. 231/2001 e si vedeva applicata, oltre che il pagamento di una sanzione pecuniaria, la confisca delle quote sociali e di alcuni suoi beni. In sede di cassazione, la decisione della Corte d'appello era censurata, per quanto di interesse in questa sede, sotto due profili. In primo luogo, si lamentava la violazione del diritto di difesa dell'ente accusato ed in particolare l'inosservanza degli artt. 39 e 40 d.lgs.231/2001 e ciò in quanto l'ente si era costituito in giudizio e aveva partecipato...
Massima

Il giudice, se il reato presupposto dalla persona fisica è prescritto, non può ordinare la confisca delle quote sociali e dei beni nell'ambito di un procedimento per la responsabilità amministrativa dell'ente, senza che abbia dimostrato la sussistenza di un vantaggio per l'ente e determinatone la sua consistenza.

Il caso

Una società era condannata in sede di merito essendosi riconosciuta la sua responsabilità da reato ex d.lgs. 231/2001 e si vedeva applicata, oltre che il pagamento di una sanzione pecuniaria, la confisca delle quote sociali e di alcuni suoi beni.

In sede di cassazione, la decisione della Corte d'appello era censurata, per quanto di interesse in questa sede, sotto due profili.

In primo luogo, si lamentava la violazione del diritto di difesa dell'ente accusato ed in particolare l'inosservanza degli artt. 39 e 40 d.lgs.231/2001 e ciò in quanto l'ente si era costituito in giudizio e aveva partecipato allo stesso mediante il difensore di fiducia nominato dal proprio rappresentante legale, imputato del reato da cui dipendeva l'illecito amministrativo e pertanto incompatibile ai sensi dell'articolo 39 citato e solo nel giudizio di appello la società si era costituita con il ministero di difensore nominato dal nuovo rappresentante legale non imputato; doveva quindi riconoscersi che la società, almeno per il giudizio di primo grado, era rimasta priva di un difensore, perché invalidamente nominato da un legale rappresentante.

L'iniziale illegittimità della nomina del difensore di fiducia da parte dell'ente collettivo avrebbe determinato, secondo la difesa, anche la prescrizione dell'illecito amministrativo contestato alla persona giuridica. Infatti, se è corretto – come sostenuto dai giudici di merito - che la richiesta di rinvio a giudizio interrompe la prescrizione con sospensione dei relativi termini sino al passaggio in giudicato della sentenza, sarebbe da considerare, secondo i ricorrenti, che tale particolare disciplina della prescrizione delle sanzioni amministrative applicabili agli enti collettivi presuppone la conoscenza giuridica dell'atto da parte dell'ente e ciò nel caso di specie non si sarebbe verificato, essendo la società rimasta priva di un difensore sin dalla fase preliminare con conseguente nullità della richiesta di rinvio a giudizio ed invalidazione di tutti gli atti consecutivi.

Inoltre, secondo le difese, la richiesta di rinvio a giudizio è atto ricettizio, per cui la prescrizione non è interrotta dalla mera emissione del provvedimento di contestazione dell'illecito amministrativo dell'ente ma dalla avvenuta notifica all'ente del provvedimento stesso, notifica che nel caso di specie doveva ritenersi non avvenuta sempre in ragione della nomina invalida del difensore.

La questione

Si ricorda che la costituzione della società deve avvenire secondo le modalità indicate nell'art. 39d.lgs. 231/2001, il quale prevede che la persona giuridica interviene in giudizio con il proprio rappresentante legale quale risulta dalla legge o dallo statuto societario: in caso di mancata costituzione, ne viene invece dichiarata la contumacia conformemente ai principi generali del processo penale.

La dichiarazione di costituzione va presentata nella cancelleria o segreteria dell'autorità giudiziaria che procede e deve contenere le medesime indicazioni richiamate dall'art. 84 c.p.p. In particolare, è prevista l'indicazione della denominazione dell'ente e delle generalità del legale rappresentante dello stesso; in secondo luogo, va effettuata la nomina del difensore – di cui va trascritto il nome e il cognome –, il quale a sua volta deve sottoscrivere l'atto e deve essere munito di apposita procura ad litem, essendosi per tale profilo parificata la posizione della persona giuridica interveniente nel processo penale che la riguarda a quella del convenuto nel giudizio civile; infine, occorre anche l'indicazione o l'elezione di domicilio della società e l'assenza di tali elementi determina – in assoluta divergenza rispetto a quanto previsto per le posizioni dell'imputato e delle altri private – l'inammissibilità della costituzione.

La mancanza di uno dei requisiti indicati nel citato art. 39, comma 2, lett.a), b), c) e d), d.lgs. 231/2001 determina l'inammissibilità della dichiarazione di costituzione: ovviamente nulla esclude che la dichiarazione inammissibile possa essere rinnovata eliminando i precedenti vizi, posto che non è previsto alcun termine per la costituzione dell'ente nel processo.

Va precisato che la disciplina in discorso – e in particolare la normativa in tema di dichiarazione o elezione di domicilio – opera solo laddove la persona giuridica intenda costituirsi nel procedimento; allorquando invece l'ente non proceda alla costituzione saranno applicabili – secondo il dettato degli artt. 34 e 35 d.lgs. 231/2001 – le ordinarie norme processuali del codice di rito, e l'elezione o dichiarazione di domicilio andrà effettuata nelle forme di cui all'art. 162 c.p.p.

Per diverso tempo sono state discusse le conseguenze che si riteneva dovessero derivare nel caso di mancata costituzione dell'ente, con particolare riferimento alle facoltà difensive che la persona giuridica può esercitare in caso di omessa osservanza delle formalità di cui all'art. 39 citato, giacché alcune pronunce (Cass. pen., Sez. VI, 5 febbraio 2008, n. 15689, S.r.l. A.R.I. INTERNATIONAL; Cass. pen., Sez. IV, 19 dicembre 2014, n. 3786, VB101) sostenevano che l'esercizio dei diritti di difesa da parte dell'ente in qualsiasi fase del procedimento a suo carico fosse subordinato all'atto formale di costituzione a norma dell'art. 39, mentre altre decisioni (Cass. pen., Sez. VI, 5 novembre 2007, n. 43642, Quisqueyana. Nello stesso senso, Cass. pen., Sez. VI, 23 giugno 2006, n. 32627) ritenevano che «l'esercizio del diritto di difesa da parte della persona giuridica non è subordinato all'atto formale di costituzione e l'ente, non appena venuto a conoscenza dell'instaurazione di un procedimento a proprio carico, non solo ha la facoltà di nominare nei modi previsti dall'art. 96 c.p.p., alla stregua di ogni altra persona sottoposta alle indagini o imputata, un difensore di fiducia, ma gode ovviamente del diritto di fruire dell'assistenza difensiva (ivi comprese le facoltà che il nostro codice riconosce al difensore) indipendentemente dall'atto formale di costituzione posto in essere a norma dell'art. 39».

Il contrasto è stato risolto dalle Sezioni unite (Cass. pen., Sez.unite, 28 maggio 2015, n. 33041) secondo cui l'onere di formale costituzione ai sensi dell'art. 39, previsto come condizione per la partecipazione attiva dell'ente collettivo al procedimento che lo riguarda, opera sin dalla fase delle indagini preliminari ed è subordinata alla sua previa costituzione, quale formalità individuata dalla succitata disposizione di cui all'art. 39 come mezzo di esternazione della volontà diverso e più articolato di quelli dell'imputato persona fisica, in quanto corrispondente alla struttura complessa di tale figura soggettiva e idoneo a rendere quanto prima ostensibile l'eventuale conflitto di interessi derivante dall'essere il legale rappresentante indagato o imputato del reato da cui dipende l'illecito amministrativo.

In particolare, secondo le Sezioni unite, il rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto non può provvedere, a causa di tale condizione di incompatibilità, alla nomina del difensore dell'ente, per il generale e assoluto divieto di rappresentanza posto dal su citato art. 39, il quale non ammette deroghe in quanto funzionale ad assicurare la piena garanzia del diritto di difesa al soggetto collettivo, diritto che risulterebbe del tutto compromesso se l'ente partecipasse al procedimento attraverso la rappresentanza di un soggetto portatore di interessi confliggenti da un punto di vista sostanziale e processuale. Per questa ragione l'esistenza del "conflitto" è presunta iuris et de iure e la sua sussistenza non deve essere accertata in concreto, con l'ulteriore conseguenza che il divieto scatta in presenza della situazione contemplata dalla norma, cioè quando il rappresentante legale risulta essere imputato del reato da cui dipende l'illecito amministrativo, sicché il giudice deve solo accertare che ricorra tale presupposto (da ultimo, Cass. pen., Sez. VI, 28 aprile 2017, n. 35219, secondo cui la nomina del difensore di fiducia dell'ente da parte del rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto, in violazione del divieto previsto dall'art. 39 comporta l'inefficacia di tutte le attività svolte dal rappresentante legale incompatibile all'interno del procedimento che riguarda l'ente).

Quanto alla disciplina in tema di prescrizione nel processo contro gli enti, come è noto la stessa si presenta decisamente differente rispetto alla regolamentazione che dell'analogo istituto è presente nel codice di procedura penale giacché, in particolare, è previsto che quando la prescrizione sia stata interrotta mediante la contestazione dell'illecito amministrativo dipendente da reato, la stessa non corra fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio. Le ragioni per cui il Legislatore è pervenuto a una regolamentazione dell'istituto della prescrizione nell'ambito del procedimento contro le persone giuridiche così divergente rispetto al regime che il medesimo istituto ha in sede di processo penale nei confronti di persone fisiche sono rinvenute nella circostanza che da un lato l'illecito dell'ente è un illecito amministrativo e quindi pare opportuno il richiamo a quanto in tema di prescrizione dispone l'art. 28 l. 689/1981 e dall'altro che la disciplina contenuta nel d.lgs. 231/2018 realizza un adeguato bilanciamento fra le esigenze di durata ragionevole del processo – essendo comunque previsto un termine di prescrizione breve, pari a soli cinque anni dalla consumazione dell'illecito – e le esigenze di garantire un'adeguata completezza dell'accertamento giurisdizionale riferito a una fattispecie complessa come quella relativa all'illecito amministrativo dell'ente. In particolare, l'effetto di un tale bilanciamento risiede nella tendenziale riduzione del rischio di prescrizione una volta che, esercitata l'azione penale, si instauri il giudizio, con il contrappeso rappresentato dalla ridotta durata del termine di prescrizione, fissato per tutti gli illeciti in cinque anni, termine sensibilmente più breve rispetto a quanto previsto dal codice penale.

In giurisprudenza si discute se la richiesta di rinvio a giudizio della persona giuridica interrompe il corso della prescrizione solo se, oltre che emessa, sia stata anche notificata entro cinque anni dalla consumazione del reato presupposto ovvero se sia sufficiente che il predetto atto venga per l'appunto emesso, essendo irrilevante la sua notifica alla persona giuridica. Nelle decisioni che si pronunciano nel primo senso (Cass. pen., Sez. VI, 12 febbraio 2015, Buonamico, in Mass. Uff., n. 263171), si fa richiamo alla previsione di cui all'art. 11, primo comma, lett. r), l. 29 settembre 2000, n. 300, che alla lett. r) espressamente dispone di «prevedere che le sanzioni amministrative [che verranno poi introdotte con il d.lgs. n. 231 del 2001] si prescrivono decorsi cinque anni dalla consumazione dei reati … che l'interruzione della prescrizione è regolata dalle norme del codice civile»; l'orientamento contrario invece reputa sufficiente, per l'interruzione della prescrizione la sola emissione della richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell'ente, in quanto che l'art. 59 del d.lgs. 231/2001 rinvia all'art. 405, comma 1, c.p.p.che individua come atto di contestazione dell'illecito, ove prevista, la richiesta di rinvio al giudizio, ovvero un atto la cui efficacia prescinde dalla notifica alle parti, che non è prevista dalla legge (Cass. pen.,Sez. V, 22 settembre 2015, n. 5012, D'Errico), mentre il richiamo che la legge delega effettua alle norme del codice civile non consentirebbe di trasformare la richiesta di rinvio a giudizio in un atto recettizio, in assenza di ogni indicazione normativa al riguardo (Cass. pen., Sez. III, 20 giugno 2018, n. 41012).

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione ha ritenuto parzialmente fondate le censure difensive, accogliendo comunque le richieste dei ricorrenti sia pure per ragioni parzialmente diverse da quelle indicate negli atti di gravame.

Conformemente alla giurisprudenza consolidata, richiamata in precedenza, la Cassazione ricorda che la preclusione stabilita dall'art. 39 d.lgs. 231/2001 per il rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto di provvedere, a causa di tale condizione di incompatibilità, alla nomina del difensore dell'ente, è assoluta e incondizionata e opera a partire dalle fasi delle indagini preliminari. Il divieto di rappresentanza, inoltre, non ammette deroghe in quanto funzionale ad assicurare la piena garanzia del diritto di difesa al soggetto collettivo, diritto che risulterebbe del tutto compromesso se l'ente partecipasse al procedimento attraverso la rappresentanza di un soggetto portatore di interessi confliggenti da un punto di vista sostanziale e processuale. Per questa ragione l'esistenza del "conflitto" è presunta iuris et de iure e la sua sussistenza non deve essere accertata in concreto, con l'ulteriore conseguenza che il divieto scatta in presenza della situazione contemplata dalla norma, cioè quando il rappresentante legale risulta essere imputato del reato da cui dipende l'illecito amministrativo, sicché il giudice deve solo accertare che ricorra tale presupposto.

Nel caso di specie, era acclarato che il principio stabilito dall'art. 39 d.lgs. 231/2001 non era stato osservato e da ciò non poteva non derivare una rigorosa conseguenza sul piano processuale, dovendo tutte le attività svolte dal rappresentante "incompatibile" all'interno del procedimento penale che riguarda l'ente essere considerate inefficaci e disporsi l'annullamento della sentenza impugnata.

Tuttavia, diversamente da quanto richiesto dalle difese, che richiedevano l'annullamento senza rinvio della pronuncia di merito, per essere l'illecito amministrativo estinto, la Cassazione dispone il rinvio degli atti al giudice di primo grado negando l'intervenuta estinzione dell'illecito per il trascorrere del tempo.

In proposito, i giudici di legittimità evidenziano come l'art. 43, comma 2, d.lgs.231/2001 individua una sola eccezione al divieto di rappresentanza, in quanto riconosce espressamente l'efficacia delle notifiche eseguite mediante la consegna al legale rappresentante anche se imputato del reato da cui dipende l'illecito amministrativo. Il detto articolo al comma 1 statuisce che per la prima notificazione all'ente si osservano le disposizioni dell'art. 154, comma 3, c.p.p., secondo cui la notifica va effettuata nelle forme stabilite per il processo civile, ai sensi dell'art. 145 c.p.c. la notificazione delle persone giuridiche si esegue nella loro sede mediante consegna di copia dell'atto alla rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni e comunque può essere sempre eseguita alla persona fisica che rappresenta l'ente. Inoltre, , al secondo comma dell'art. 43 citato si precisa che sono valide le notifiche eseguite mediante consegna al legale rappresentante anche se imputato del reato da cui dipende l'illecito amministrativo. Di conseguenza la richiesta di rinvio a giudizio da parte del pubblico ministero doveva ritenersi essere stata regolarmente eseguita nelle mani della rappresentante legale della società.

Inoltre, il rinvio degli atti al giudice di merito era imposto anche dalla circostanza che nel caso in esame non poteva dirsi ricorrere neppure l'ipotesi di decadenza dalla contestazione prevista dall'art. 60 d.lgs. 231/2001 – secondo cui «non può procedersi alla contestazione [dell'illecito amministrativo] quando il reato da cui dipende l'illecito amministrativo dell'ente è estinto per prescrizione» –, poiché al momento della contestazione i reati da cui dipendeva l'illecito amministrativo non erano affatto estinti per prescrizione, dovendo perciò trovare applicazione la massima giurisprudenziale secondo cui in tema di responsabilità da reato degli enti, l'intervenuta prescrizione del reato presupposto successivamente alla contestazione all'ente dell'illecito non ne determina l'estinzione per il medesimo motivo, giacché il relativo termine, una volta esercitata l'azione, rimane sospeso fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento nei confronti della persona giuridica.

La circostanza che la sentenza impugnata sia stata annullata (non senza rinvio, come chiedevano le difese, ma) con rinvio al giudice di merito non significa però che la Cassazione abbia trascurato il profilo della intervenuta prescrizione del reato presupposto sottolineata nei ricorsi. Infatti, i giudici di legittimità censurano la scelta della Corte di appello di motivare in maniera estremamente sintetica sulla responsabilità personale dell'amministratore della società coinvolta, imputato del reato presupposto di truffa aggravata, limitandosi all'uopo a richiamare le argomentazioni esposte nella sentenza di primo grado ed affermando genericamente che tale reato era stato chiaramente commesso nell'interesse a vantaggio dell'ente societario, senza tuttavia alcuna specifica indicazione di un elemento di fatto che potesse supportare tale affermazione e senza considerare che i detti reati erano stati dichiarati prescritti già in primo grado, il che aveva indotto il primo giudice a rendere una motivazione meno esaustiva al riguardo.

Secondo la Cassazione una tale motivazione si presente decisamente censurabile e ciò in quanto in tema di responsabilità degli enti, in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi dell'art. 8, comma 1, lett. b) d.lgs. 231/2001, deve procedere all'accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l'illecito fu commesso che, però, non può prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato, mentre nella pronuncia impugnata mancavano due elementi per la corretta determinazione della confisca per equivalente ovvero la determinazione dell'illecito vantaggio dell'ente – che potrebbe non coincidere con il profitto ricavato dalla persona fisica – e il valore dei beni sottoposti a confisca. Di conseguenza, la Cassazione ha deciso di annullare la decisione di confisca di tali beni, i quali tuttavia, in attesa della decisione di merito, rimangono sottoposti a seqeestro preventivo.

Osservazioni

La sentenza in rassegna per diversi aspetti rappresenta un momento di consolidamento della giurisprudenza in ordine all'interpretazione di diversi profili della disciplina in tema di processo nei confronti degli enti collettivi. È il caso, ad esempio, della tematica relativa alle modalità di costituzione della società nel processo che la riguarda, essendo ormai acclarato a) che in nessun caso ed in nessun modo il rappresentante legale della società che sia indagato può procedere alla nomina del difensore dell'ente e che b) qualora tale circostanza si verifica se ne determina l'inefficacia di tutti gli atti processuali successivi.

Parimenti indiscussa è la possibilità – ammessa dall'art. 43, comma 2, d.lgs. 231/2001 letto in combinato disposto con l'art. 154, comma 3, c.p.p. e 145 c.p.c. – di eseguire le notifiche all'ente collettivo anche mediante consegna dell'atto al legale rappresentante "anche se imputato del reato da cui dipende l'illecito amministrativo".

Apprezzabile infine la circostanza che la Cassazione abbia ribadito che l'intervenuta prescrizione del reato presupposto della responsabilità della società non legittimi il giudice ad assumere frettolose conclusioni in punto responsabilità della società, non soffermandosi – stante per l'appunto la prescrizione dell'illecito commesso dalla persona fisica – sulla circostanza del vantaggio ottenuto o dell'interesse perseguito mediante la commissione del reato presupposto. Deve dunque ritenersi consolidato che, nell'ambito di un processo nei confronti di un ente collettivo, in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi dell'art. 8, comma 1, lett. b) d.lgs. n. 231 del 2001, deve procedere all'accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l'illecito fu commesso che, però, non può prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato (Cass. pen., Sez. IV, 21 maggio 2018, n. 22468).

La Cassazione però non definisce due aspetti della disciplina in tema di processo nei confronti degli enti collettivi. In primo luogo, rimane aperto il contrasto – di cui si è dato conto in precedenza – circa la necessità che la richiesta di rinvio a giudizio della persona giuridica, per interrompere il corso della prescrizione, debba essere, oltre che “emessa”, anche “notificata” entro cinque anni dalla consumazione del reato presupposto ovvero se sia sufficiente che il predetto atto venga per l'appunto emesso, essendo irrilevante la sua notifica alla persona giuridica.

Rimane invece aperto, a nostro parere, il profilo attinente le conseguenze della mancata (o irregolare) costituzione dell'ente in giudizio, con particolare riferimento a quali facoltà difensive la società possa esercitare quando non abbia fatto regolare ricorso alla procedura di cui all'art. 39 d.lgs. 231/2001.

Sul punto, a ben vedere, le Sezioni unite nella sentenza citata in precedenza hanno adottato una soluzione di compromesso, sostenendo che, seppure la costituzione dell'ente collettivo nel processo non può essere effettuata se non facendo ricorso al particolare procedimento descritto dal citato art. 39, occorre però riconoscere che il sistema processuale delineato dal citato decreto consente comunque all'ente di nominare comunque un difensore di fiducia anche in assenza di una sua formale costituzione nel procedimento – da intendersi tale espressione come facente riferimento non solo alla fase del giudizio ma anche alla fase delle indagini preliminari.

Il motivo per cui la società non costituitasi può comunque legittimamente nominare un proprio difensore di fiducia è secondo la Corte di cassazione duplice. In primo luogo, a sostegno di questa tesi sta un indice normativo rappresentato dal fatto che la stessa dichiarazione di costituzione dell'ente deve essere sottoscritta dal difensore ed è quindi un atto del difensore fiduciario: ciò inevitabilmente implica, che anche prima di tale costituzione, ben possa essere stata effettuata dal rappresentante legale dell'ente la nomina del difensore di fiducia. In secondo luogo, la Corte invita a considerare come, in relazione a particolari atti investigativi – si pensi ai cosiddetti atti a sorpresa –, occorra riconoscere prontamente alla persona giuridica la possibilità di esercitare le proprie facoltà difensive, secondo le modalità che la stessa ritenga più opportune: sarebbe infatti lesivo dei diritti inviolabili di difesa propri dell'ente collettivo sottoposto a processo ritenere che al difensore di fiducia comunque nominato, sia pur senza previa costituzione ex art. 39 citato, non possa comunque far valere le ragioni della persona giuridica. In sostanza, secondo la Suprema Corte, ogni qualvolta l'ente – a prescindere, lo si ripete, dalla sua costituzione in giudizio – abbia nominato un difensore di fiducia, si deve ritenere che detta nomina esplichi piena efficacia, nel senso di legittimare il difensore all'assunzione di eventuali iniziative quali l'attivazione delle procedure di impugnazione cautelare – al pari d'altronde di quanto sarebbe sicuramente riconosciuto in questo caso al difensore d'ufficio designato in assenza della nomina del difensore di fiducia e pur in manca di costituzione della società, non essendo logico riconoscere al primo soggetto un ambito di poteri più ampio di quello attribuito al soggetto investito da un mandato fiduciario.

Questa conclusione incontra però alcuni limiti. A prescindere dal fatto che il difensore di fiducia dell'ente non costituitosi non può esercitare i cosiddetti diritti personalissimi – quale esempio la scelta di un rito alternativo o formulare istanze istruttorie al pubblico ministero –, vi è un'ipotesi in cui tale particolare nomina fiduciaria rimane sostanzialmente senza effetto. Secondo la Cassazione infatti nessuna facoltà difensionale può esercitare il difensore di fiducia dell'ente non costituitosi quando all'ente medesimo sia stata notificata l'informazione di garanzia e ciò in quanto tale atto dell'Autorità Giudiziaria indica alla persona giuridica quali siano gli oneri che deve assolvere per poter partecipare al procedimento.

Questa conclusione è condivisibile: se infatti la ragione principale per cui deve ammettersi rilevanza ed efficacia alla nomina del difensore di fiducia effettuata dall'ente non costituito risiede nella circostanza che la persona giuridica deve potersi prontamente ed efficacemente difendere in caso di atti investigativi a sorpresa – e quindi non deve vedere la propria strategia difensiva in qualche modo ostacolata dalla necessaria osservanza di particolari procedure, quali potrebbe essere per l'appunto l'obbligatoria costituzione in giudizio prima di poter nominare un difensore di fiducia –, è evidente che tale esigenza non sussiste quando alla società sia stato notificato l'avviso di garanzia; la notifica di tale atto infatti di regola si verifica quando l'Autorità Giudiziaria non ha da compiere alcun atto investigativo a sorpresa e non ha particolari esigenze di segretezza e celerità nella fase delle indagini e quindi in tali circostanza l'ente dispone di un congruo termine per porre in essere gli adempimenti di cui all'art. 39 citato e per l'espletamento dei relativi diritti difensivi.

La seconda limitazione inerente l'efficacia della nomina del difensore di fiducia da parte dell'ente collettivo non riguarda l'ipotesi in cui tale ente non si sia ancora costituito, ma concerne un'ipotesi di carattere più generale inerente il caso in cui la nomina del difensore di fiducia provenga dalla rappresentante legale della società, il quale sia a sua volta indagato o imputato per il medesimo reato presupposto da cui discende l'eventuale responsabilità dell'ente collettivo. In tale circostanza, l'inefficacia della nomina del difensore di fiducia non dipende dal fatto che l'ente, non essendosi costituito, non ha fatto ancora comparsa nel proscenio processuale, quanto dalla presunzione di incompatibilità che in questo caso sussiste fra l'ente collettivo ed il suo rappresentante legale, il quale essendo indagato o imputato per un illecito da cui deriva la responsabilità della persona giuridica presso cui egli stesso operava, si ritiene versare - con presunzione assoluta ed insuscettibile di prova in senso contrario -in una situazione di conflitto di interessi, che lo rende inidoneo ad esercitare qualsiasi facoltà difensiva per conto dell'ente. Ciò comporta quindi che, laddove il rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto abbia provveduto alla nomina del difensore di fiducia dell'ente, tale nomina è da ritenersi priva di qualsiasi efficacia ed eventuali istanze vanno qualificate come inammissibili.

È questa conclusione della Suprema Corte – ribadita anche nella decisione in commento – che non pare convincente. Ritenere la costituzione dell'ente quale necessario presupposto per l'esercizio delle sue prerogative difensive confonde le condizioni richieste dal testo normativo perché la società possa partecipare al giudizio con il rispetto dei diritti che indefettibilmente spettano ad ogni accusato nel processo penale. Infatti, mentre l'art. 39 ha la funzione di “materializzare” l'ente nel processo con la sola conseguenza che in caso di inosservanza delle relative prescrizioni ne viene dichiarata la contumacia, i diritti di difesa riconosciuti ed esercitabili dalla persona giuridica vanno individuati e ricostruiti per il tramite del combinato disposto degli artt. 34 e 35 d.lgs. 231/2001, i quali come è noto estendono le regole del processo ordinario e, in particolare quelle riservate ai diritti e alle facoltà dell'imputato, all'ente “imputato” o sottoposto ad indagini preliminari. Indicativo di tale ricostruzione è il contenuto dell'art. 40 d.lgs. 231 del 2001, che prevede la nomina del difensore d'ufficio all'ente che non ha nominato un difensore di fiducia o ne è rimasto privo: tale disposizione, infatti, pur potendo sembrare ultronea rispetto al principio di parificazione tra imputato ed ente previsto dall'art. 35, ha una particolare valenza sistematica nella soluzione della questione in esame proprio perché garantisce la difesa dell'ente a prescindere dalla sua costituzione e la stessa locuzione utilizzata ha come soggetto l'ente e non l'ente “costituito”.

Guida all'approfondimento

BASSI, La costituzione in giudizio dell'ente con specifico riguardo alle procedure incidentali in discussione innanzi al tribunale del riesame, in Resp. amm. soc. enti, 2007, 3, 38;

BELTRANI, La responsabilità dell'ente da reato prescritto (Commento a Cass. pen., n. 21192, 25 gennaio 2013), ivi, 2014, n. 2;

BENDONI, Il rapporto fra confisca per equivalente e prescrizione, Cass. pen., 2014, 1226;

FIDELBO, Le attribuzioni del giudice penale e la partecipazione dell'ente al processo, in Reati e responsabilità degli enti. Guida al d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, Milano, 2010, 465;

GALLUCCIO, Ancora in tema di sospensione condizionale e procedimento penale a carico dell'ente, in Cass. Pen., 2012, 3516;

GIARDA, Procedimento di accertamento della «responsabilità amministrativa degli enti», in CONSO- GREVI - BARGIS, Compendio di procedura penale, Padova, 2014, 1330;

SALVATORE, L'interruzione della prescrizione nel sistema del d.lgs 231/2001, in Riv. Resp. Amm. Enti,2009, n. 2;

VARRASO, La partecipazione e l'assistenza difensiva dell'ente nel procedimento penale a suo carico: tra vuoti normativi ed "etero integrazione" giurisprudenziale, in Cass. pen., 2010, 1385.

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Sulle Sezioni unite 33041/2015:

CIMADOMO, Esigenze difensive dell'ente e formalità della sua partecipazione al procedimento, Dir. pen. cont.;

GALLUCCI, Modalità di esercizio delle facoltà difensive da parte dell'ente indagato. La Suprema Corte individua una soluzione ragionevole e rispettosa dei diritti dell'ente, in Cass. Pen., 2016, 51;

GARUTI, Nel procedimento di impugnazione delle misure cautelari reali, in Giur. It., 2015, 2498;

ROCCHI, Partecipazione dell'ente nel processo: un difficile equilibrio tra esigenze difensive e formalità, in Dir. pen. cont.;

RUSSO, L'ente nel “suo” procedimento tra garanzie difensive e formalità di costituzione, in Cass. pen., 3830

VARRASO, Il "compromesso" delle Sezioni Unite in tema di costituzione ed esercizio dei diritti difensivi dell'ente "incolpato" nel procedimento de societate, in Cass. pen., 64;

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