I rimedi esperibili nei confronti dell'accertamento sul credito nell'espropriazione presso terzi
12 Dicembre 2018
Massima
A seguito della riforma di cui alla l. 228/2012, l'opposizione agli atti esecutivi è l'unico rimedio esperibile avverso l'ordinanza del giudice dell'esecuzione che accerta sommariamente l'esistenza del credito pignorato, eventualmente disponendone anche l'assegnazione. Il caso
La Corte d'appello di Torino dichiarava inammissibile l'appello proposto da Z.Y. avverso l'ordinanza del 3-11 novembre 2014, con cui il tribunale di Torino, in funzione di giudice dell'esecuzione, aveva assegnato alla Suprema Corte le somme pignorate con atto notificato al debitore in data 5 settembre 2014. Avverso la sentenza della Corte d'appello Z.Y. proponeva ricorso per cassazione, affermando la correttezza del rimedio esperito avverso l'ordinanza di assegnazione pronunciata dal giudice dell'esecuzione, trattandosi di provvedimento avente valore sostanziale di sentenza. La questione
Le soluzioni giuridiche
La Corte ha respinto il ricorso, enucleando il principio di diritto riportato nella massima. A sostegno della propria decisione, il Giudice di legittimità ha ricordato che, a seguito delle modifiche introdotte dall'art. 1, comma 20, l. 24 dicembre 2012, n. 228, l'art. 549 c.p.c. prevede che qualsiasi contestazione sull'esistenza e sui termini dell'obbligo del terzo debba essere risolta dal giudice dell'esecuzione con un'ordinanza resa all'esito degli opportuni accertamenti, che si svolgono, nel rispetto del principio del contraddittorio, nell'ambito di un subprocedimento interno al medesimo processo esecutivo. È da ritenersi, dunque, superata la disciplina previgente di cui all'art. 548 c.p.c., il quale prevedeva che, in caso di mancata o contestata dichiarazione del terzo, seguisse necessariamente un giudizio a cognizione piena sull'esistenza del credito pignorato, essendo nel frattempo sospesa la procedura esecutiva. Qualora, poi, il giudice dell'esecuzione dovesse ritenere esistente il credito pignorato, egli assegna le somme nei termini ivi indicati, potendo provvedere in tal senso sia contestualmente all'accertamento del credito che, separatamente, con successiva ordinanza, pronunciata ai sensi dell'art. 553 c.p.c., nel caso in cui, ad esempio, occorra procedere ad un'attività di calcolo. In ogni caso, l'accertamento in ordine all'esistenza del credito mediante le regole della cognizione piena deve avvenire necessariamente attraverso l'opposizione agli atti esecutivi, essendo questo il rimedio previsto dall'art. 549 c.p.c. contro l'ordinanza con cui il giudice dell'esecuzione risolve le contestazioni insorte sulla dichiarazione del terzo pignorato. In definitiva, nel contesto normativo successivo alla riforma di cui alla l. n. 228/2012, non residua alcun margine per l'esperimento dell'appello avverso il provvedimento con cui il giudice dell'esecuzione si pronuncia direttamente sull'esistenza del credito pignorato, e, dunque, nel caso in cui tale mezzo di impugnazione venga proposto, esso deve essere dichiarato inammissibile. Osservazioni
Con la sentenza in commento la Suprema Corte enuncia un principio di diritto nuovo, ad ulteriore precisazione di quanto in precedenza statuito da Cass. civ., sez. VI, 24 marzo 2017, n. 7706, richiamata in motivazione e così massimata: «[i]n tema di espropriazione presso terzi, il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi è l'unico esperibile avverso l'ordinanza di assegnazione del credito ex art. 553 c.p.c., anche quando la stessa risolve questioni relative alla partecipazione dei creditori alla distribuzione della somma di cui il terzo si è dichiarato debitore». Le riforme introdotte nel 2005/2006 (con riferimento alle controversie distributive) e nel 2012/2015 (con riferimento all'accertamento dell'obbligo del terzo nell'espropriazione presso terzi) hanno infatti consegnato al giudice dell'esecuzione veri e propri poteri di accertamento, il cui esercizio esita nella pronuncia di un'ordinanza impugnabile esclusivamente attraverso l'opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., per come espressamente chiarito anche dai medesimi artt. 512 e 549 c.p.c.. Diviene in tal modo inattuale quell'orientamento giurisprudenziale secondo cui le decisioni emesse dall'organo esecutivo rispetto al diritto sostanziale sotteso all'esecuzione forzata acquisiscono efficacia sostanziale di sentenza e come tali sono appellabili (ovvero ricorribili per cassazione nel regime dell'art. 616 c.p.c., introdotto dalla l. 52/2006 e vigente fino alla l. 69/2009): in tal senso, tra le molte pronunce, si vedano Cass. civ., sez. III, 13 aprile 2012, n. 5895; Cass. civ., sez. III, 9 marzo 2011, n. 5529; Cass. civ., sez. III, 23 aprile 2003, n. 6432. Fermo quanto precede, non vi è tuttavia unanimità di vedute in ordine alla natura dell'oggetto del procedimento di cui all'art. 549 c.p.c., ravvisabile, secondo un primo orientamento, cui sembrerebbe aderire la sentenza in commento, nella situazione sostanziale oggetto del pignoramento, ossia nel medesimo diritto di credito (così sembrerebbero ritenere anche Cass. civ., sez. VI, 12 dicembre 2017, n. 29837; Cass. civ., sez. III, 30 gennaio 2013, n. 2240). Altro – e, allo stato, prevalente – orientamento ritiene, invece, che l'oggetto del predetto procedimento abbia natura processuale, vertendo, a seguito della riforma del 2012, esclusivamente sul diritto di procedere ad esecuzione forzata (in tal senso, si vedano Cass. civ., sez. III, 28 febbraio 2017, n. 5037; Cass. civ., sez. III, 10 maggio 2016, n. 9390; Cass. civ., sez. VI, 4 aprile 2016, n. 6519; Cass. civ., sez. III, 31 marzo 2016, n. 6236; nonché, nella giurisprudenza di merito, Trib. Bologna, sez. IV, 13 febbraio 2017, n. 323; Trib. Milano, 3 marzo 2015). L'adesione all'una o all'altra impostazione non ha un rilievo meramente teorico, ridondando sugli effetti da riconoscere al provvedimento emanato all'esito dell'accertamento compiuto dal giudice dell'esecuzione ovvero dal giudice dinanzi al quale l'ordinanza pronunciata in sede esecutiva venga impugnata. Nel primo caso, infatti, dovrà essere riconosciuta efficacia di cosa giudicata all'accertamento svolto in sede esecutiva, con la conseguente impossibilità di instaurare un nuovo giudizio sulla medesima situazione sostanziale in una separata sede. Al contrario, nella seconda ipotesi prospettata, all'accertamento svolto nell'ambito del procedimento di cui all'art. 549 c.p.c. andrebbe riconosciuta efficacia meramente endoesecutiva, essendo pertanto possibile rimetterne in discussione l'esito nell'ambito di un ordinario giudizio a cognizione piena, eventualmente instaurato in via di opposizione ex art. 615 c.p.c.. Approfondimenti
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