Parti comuni (relazione di accessorietà)

Gian Andrea Chiesi
12 Dicembre 2018

Il condominio negli edifici si fonda, oltre che sul fatto che l'immobile non sia in proprietà esclusiva di un unico soggetto (o in comproprietà indivisa), sulla coesistenza di parti di proprietà individuale e parti di titolarità comune: l'edificio di cui discorre l'art. 1117 c.c., infatti, non è dato dall'insieme delle sole sue parti comuni - nel senso che queste si identifichino...
Inquadramento

Il novellato art. 1117 c.c. chiarisce che sono oggetto di proprietà comune, se non risulta il contrario dal titolo, (a) tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune (quali l'area di sedime su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate), (b) le aree destinate a parcheggio e i locali per i servizi in comune - strumentali, dunque, ad una migliore utilizzazione del condominio e dei servizi dallo stesso offerti (come, ad esempio, la portineria e l'alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti - ove destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune) nonché (c) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune (come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell'aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche).

L'incipt della norma, inoltre, estende la disciplina in questione anche in favore dei proprietari “aventi diritto a godimento periodico” dell'unità immobiliare sita nell'edificio, così attraendo nell'orbita della normativa condominiale anche il fenomeno della multiproprietà, regolata dagli artt. 69 ss. del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, come novellati dall'art. 12, comma 1, del d.lgs. 23 maggio 2011, n. 79.

In sostanza, il novellato testo dell'art. 1117 c.c., «pur senza apportare eclatanti innovazioni, ma recependo, in gran parte, gli orientamenti cui è pervenuta l'elaborazione della giurisprudenza di legittimità più recente, dà una definizione più articolata della nozione di “parti comuni”».

La tripartizione ex art. 1117 c.c. e la “relazione di accessorietà”

Dalla tripartizione contenuta nell'art. 1117, nn. 1), 2) e 3), c.c. si coglie, dunque, che i beni comuni sono, sostanzialmente, quelli assolutamente necessari ed indispensabili per l'esistenza stessa dell'edificio condominiale ovvero stabilmente destinati all'uso comune da parte dei proprietari dei singoli appartamenti (arg. ex art. 1117, n. 1, c.c. “[…] tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune […]” e n. 3, c.c.: “[…] le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune […]”). In questa seconda categoria rientrano, poi, i c.d. beni comuni facoltativi o di pertinenza (art. 1117, n. 2, c.c.) e, cioè, porzioni di edificio che di per sé non sono indispensabili per l'esistenza del condominio, ma che sono comuni a tutti i partecipanti per la loro specifica destinazione che può essere strutturale (come accade per la guardiola della portineria), ovvero convenzionale (come accade, ad esempio, per l'alloggio del portiere costituito da uno degli appartamenti dell'edificio condominiale). In tal senso, peraltro, era già chiara la Relazione al Re, nella quale veniva evidenziato come la sostanza dell'istituto andasse ricercata nella compresenza, all'interno dell'edificio condominiale, di parti in proprietà individuale e di parti dell'edificio stesso, costituenti “accessori per lo più necessari” delle prime: “con l'art. 341 vengono presi in considerazione gli edifici divisi per piani, per appartamenti o in altro modo, intendendosi in questa locuzione anche gli edifici i cui locali, in tutto o in parte, non siano adibiti ad abitazione, ma destinati ad usi diversi, per es. negozi, uffici, laboratori, ecc. Si enumerano, quindi, le parti dell'edificio le quali debbono rimanere in comunione forzosa pro indiviso, a meno che sussista un titolo di proprietà distinta. Non si è creduto di ammettere che la determinazione delle parti comuni possa essere mutata anche per effetto del possesso”.

L'elencazione contenuta all'art. 1117 c.c. ha tuttavia, carattere esemplificativo e non tassativo (Cass. civ., sez. II, 14 giugno 2017, n. 14794), con la conseguenza che partecipano della natura condominiale, salvo titolo contrario, tutti quei beni e servizi comunque catalogabili nella tripatrizione di cui si è detto, secondo una valutazione da condurre in relazione alle singole fattispecie, mediante l'individuazione della precipua funzione oggettivamente svolta dalle singole parti, in rapporto alla proprietà esclusiva ed alla struttura ed alle caratteristiche dell'intero edificio.

In evidenza

In tema di condominio, il presupposto per l'attribuzione della proprietà comune viene meno se le cose, gli impianti, i servizi di uso comune, per oggettivi caratteri strutturali e funzionali, siano destinati all'uso o al servizio di alcuni soltanto dei piani o delle porzioni dell'edificio; ne deriva che il condomino la cui unità immobiliare non sia servita, per ragioni di conformazione strutturale dell'edificio, dall'ascensore non può legittimamente vantare alcun diritto sull'impianto medesimo, perché questo non è legato alla detta unità immobiliare da una relazione di accessorietà (Trib. Firenze 3 luglio 2017).

Al fine di partecipare del regime di condominialità delineato dall'art. 1117 c.c., dunque, occorre una relazione di accessorietà fra i beni, gli impianti o i servizi comuni e l'edificio in comunione, nonché un collegamento funzionale fra i primi e le unità immobiliari di proprietà esclusiva tali per cui, ove un bene, per le proprie caratteristiche strutturali, serva al godimento di tutte le parti singole dell'edificio e sia ad esse funzionalmente collegato, si presume - indipendentemente dal fatto che la cosa sia, o possa essere, utilizzata da tutti i condomini, o soltanto da alcuni di essi, e dall'entità del collegamento e della possibile utilizzazione concreta - la contitolarità necessaria di tutti i condomini sul bene.

In evidenza

La disciplina del condominio degli edifici è ravvisabile ogni qual volta sia accertato in fatto un rapporto di accessorietà necessaria che lega alcune parti comuni - quali quelle elencate in via esemplificativa dall'art. 1117 c.c.- ad unità o porzioni di proprietà individuale, delle quali le prime rendono possibile l'esistenza stessa o l'uso. Pertanto, anche i proprietari esclusivi di spazi destinati a posti auto compresi nel complesso condominiale possono dirsi condomini, e quindi presumersi comproprietari (nonché obbligati a concorrere alle relative spese, ex art. 1123 c.c.) di quelle parti comuni che, al momento della formazione del condominio, si trovino in rapporto di accessorietà, strutturale e funzionale, con detti spazi (Cass. civ., sez. II, 16 gennaio 2018, n. 884).

Sotto altro profilo, poi, si è osservato che le cose possono ritenersi attratte al regime della condominialità, laddove tra queste e le singole unità immobiliari sussista un legame materiale di incorporazione che rende le prime indissolubilmente legate alle seconde ed essenziali per la stessa esistenza o per l'uso di queste ultime, dalle quali le prime (e, in specie, muri, pilastri, travi portanti, tetti, fondazioni, facciate ecc.) non possono essere separati: il collegamento, pertanto, implica un legame di diversa resistenza a seconda che le parti comuni siano essenziali per il godimento ovvero per l'esistenza delle unità singole, ed in tale ultimo caso il vincolo di destinazione è caratterizzato dall'indivisibilità (Cass. civ., sez. II, 18 gennaio 2005, n. 962).

Ancora sulla relazione di accessorietà

In particolare, si è osservato in dottrina (Mazzon) che le tipologie relazionali possono essere varie, nel senso che (a) può sussistere un legame materiale di incorporazione, che rende le prime indissolubilmente legate alle seconde ed essenziali per la stessa esistenza o per l'uso di queste, dalle quali i beni comuni (muri, pilastri, travi portanti, tetti, fondazioni, ecc.) non possono essere separati; ovvero (b) può ravvisarsi una congiunzione tra cose che possono essere fisicamente separate senza pregiudizio reciproco, fondata sulla destinazione che, a propria volta, importa un legame di diversa resistenza: b.1) le parti comuni possono, infatti, essere essenziali per l'esistenza ed il godimento delle unità singole, nel qual caso il vincolo di destinazione è caratterizzato dalla indivisibilità; b.2) le parti comuni sono semplicemente funzionali all'uso e al godimento delle unità singole, nel qual caso la cessione in proprietà esclusiva può essere separata dal diritto di condominio sui beni comuni, con conseguente superamento della presunzione ex art. 1117 c.c. in base al titolo.

In altri termini, a fondamento del diritto di condominio l'art. 1117 c.c. contempla due differenti forme di collegamento tra le cose, gli impianti e i servizi di uso comune, da un lato, e le unità immobiliari in proprietà esclusiva, dall'altro: l'incorporazione (fisica) tra beni inscindibili (superabile solo in base al titolo contrario) e la congiunzione stabile tra beni separabili, determinata dalla destinazione all'uso o al servizio. Dall'incorporazione, che rende le cose proprie e comuni inseparabili le une dalle altre, ha origine la relazione fisica indissolubile; dal collegamento funzionale, in che la destinazione consiste, scaturisce la congiunzione tra cose che possono separarsi.

Cause ostative alla natura comune del bene fondata sulla “relazione di accessorietà”

Come noto, la formulazione letterale dell'incipit dell'art. 1117 c.c. (“sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell'edificio […] se non risulta il contrario dal titolo”), in ciò non interessato dalla novella del 2012, ha portato a discorre di una “presunzione” di condominialità, nel senso che la norma conterrebbe una presunzione di comunione relativamente a quelle parti dell'edificio ovvero ai servizi che servono all'uso e al godimento di tutti i condomini (in tal senso, v. anche, recentemente, Cass. civ., sez. II, 1 marzo 2018, n. 4906, in tema di lastrico solare), avente carattere semplice (o iuris tantum), in quanto suscettibile di essere superata dalla prova dell'esistenza di un titolo contrario.

È altrettanto noto, però, che, intervenute sul punto, le Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 7 luglio 1993, n. 7449) hanno chiarito che l'art. 1117 c.c. non sancisce affatto una presunzione legale di comunione, limitandosi essa, piuttosto, a precisare che i beni ivi elencati - recte, quelli con le caratteristiche ivi riportate - sono comuni, a meno che non risultino di proprietà esclusiva in base al titolo: la norma, cioè, si preoccupa di delineare il regime di condominialità

In evidenza

Nella parte in cui avevano ritenuto che “la destinazione particolare vince la presunzione legale di condominio alla stessa stregua di un titolo contrario", le precedenti pronunzie di legittimità, benché avessero erroneamente richiamato il concetto di presunzione, avevano però enunciato il principio, indubbiamente corretto, secondo cui una cosa non può proprio rientrare nel novero di quelle comuni se serva per le sue caratteristiche strutturali soltanto all'uso e al godimento di una parte dell'immobile oggetto di un autonomo diritto di proprietà. Sicché, in ultima analisi, l'equivoco di fondo in relazione al regime proprietario e probatorio di cui all'art. 1117 c.c. consiste nel ritenere che la cd. presunzione legale di condominialità possa essere vinta sia dalla destinazione particolare del bene, sia dal titolo, mentre è solo da quest'ultimo che una cosa comune può risultare di proprietà singola, in quanto la destinazione particolare esclude già all'origine che il bene rientri nella categoria delle cose comuni e che ad esso possa quindi riferirsi la norma dell'art. 1117 c.c. (Cass. civ., sez. un., 7 luglio 1993, n. 7449).

Emerge da quanto precede che il regime proprietario dei beni e servizi che partecipano della natura e funzione di quelli elencati all'art. 1117 c.c. è quello della titolarità esclusiva, solo laddove il titolo precluda l'insorgenza ex lege del rapporto di condominialità giacché, in mancanza ed ove si tratti di strutture essenziali all'esistenza stessa del fabbricato, si ricade nel regime di proprietà comune, indipendentemente dall'uso concreto che di tali beni facciano i condomini.

Titolo contrario al regime di condominialità fondato sull'accessorietà

Atti inter vivos

a) Al fine di stabilire se sussista un titolo contrario alla presunzione di comunione di cui all'art. 1117 c.c., occorre fare riferimento all'atto costitutivo del condominio e, quindi, al primo atto di trasferimento di un'unità immobiliare dell'originario proprietario ad altro soggetto. Pertanto, se in occasione della prima vendita la proprietà di un bene potenzialmente rientrante nell'ambito dei beni comuni risulti riservata ad uno solo dei contraenti, deve escludersi che tale bene possa farsi rientrare nel novero di quelli comuni (Cass. civ., sez. II, 9 agosto 2018, n. 20693);

b) il regolamento contrattuale di condominio predisposto dall'originario unico proprietario;

c) clausole derogatorie del regime legale di riparto delle spese (Cass. civ., sez. II, n. 14 luglio 2015, n. 14697);

d) deliberazione assembleare adottata - successivamente alla costituzione del condominio - dall'unanimità dei valori millesimali (dunque, mille millesimi), con cui venga accertata l'estensione dei diritti di proprietà esclusiva dei singoli (Cass. civ., sez. II, 20 marzo 2015, n. 5657).

Atti mortis causa

Testamento (Cass. civ., sez. II, 2 marzo 2017, n. 5337).

Usucapione

In tal caso, il titolo non è costituito dall'usucapione - che, in sé e per sé rappresenta un fatto - bensì dalla sentenza che la accerta: ed infatti, l'usucapione non integra, di per sé, un titolo di proprietà ma costituisce, piuttosto, l'effetto legale di un possesso pubblico, pacifico, ininterrotto e continuato. (Cass. civ., sez. II, 9 novembre 1998, n. 11268).

Non occorre, peraltro, che il superamento regime condominiale si tragga in maniera espressa dal titolo, essendo sufficiente che da questo emergano elementi univoci in contrasto con la reale esistenza di un diritto di comunione, dovendo la citata presunzione fondarsi sempre su elementi obiettivi che rivelino l'attitudine funzionale del bene al servizio o al godimento collettivo.

In evidenza

Ne consegue che viene meno il presupposto della suddetta presunzione quando il bene, per le sue obiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all'uso o al godimento di una sola parte dell'immobile, oggetto di un autonomo diritto di proprietà, o risulta comunque essere stato a suo tempo destinato dall'originario proprietario dell'intero immobile ad un uso esclusivo, così da rivelare - sulla base di elementi oggettivi, secondo l'incensurabile apprezzamento del giudice di merito - che si tratta di un bene dotato di propria autonomia e perciò non destinato a servizio dell'edificio condominiale (Cass. civ., sez. II., 24 aprile 2018, n. 10073).

Il “caso” del regolamento contrattuale di condominio

Il regolamento contrattuale predisposto dall'originario costruttore può avere vario contenuto: ai fini che in questa sede interessano, tuttavia, è pacificamente ammesso che esso possa contenere, oltre all'indicazione delle parti dell'edificio di proprietà comune ed alle norme relative all'amministrazione e gestione delle cose comuni, anche la previsione dell'uso esclusivo di una parte dell'edificio definita comune a favore di una frazione di proprietà esclusiva.

Ove ciò avvenga e, dunque, il regolamento contrattuale individui beni o parti dell'edificio destinati al godimento di una unità immobiliare in proprietà esclusiva, il rapporto che si instaura tra questa ed il bene astrattamente riconducibile al novero di quelli di cui all'art. 1117 c.c. ha natura pertinenziale in senso proprio, essendo stato posto in essere dall'originario unico proprietario dell'edificio e, dunque, dal soggetto legittimato, per tale sua originaria qualità all'instaurazione e al successivo trasferimento del rapporto stesso ai sensi degli art. 817 comma 2 e 818 c.c.. In altri termini, viene mero il rapporto di accessorietà sui generis che nel condominio lega, ai sensi dell'art. 1117 c.c., le parti comuni a quelle individuali (per cui, con il trasferimento della proprietà esclusiva su quest'ultime, viene altresì trasferito il diritto di comproprietà sulle prime) e torna ad essere attuale il principio generale accessorium sequitur principale, con una perfetta sovrapposizione del diritto (di proprietà singolare) trasferito relativamente ai due beni (principale ed accessorio).

Guida all'approfondimento

Chiesi, Art. 1117 c.c. (commento all'), in Codice del condominio, diretto da Celeste, Milano, 2018;

De Giorgi, Le parti comuni dell'edificio, in Proprietà e diritti reali, a cura di Clarizia, Torino, 2016;

Mazzon, Rapporti di vicinato, Padova, 2018;

Scarpa, La riforma protestante dell'assemblea di condominio, in Immob. & proprietà, 2013, 687.

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