Prescrizione del recupero delle somme versate in esecuzione della sentenza riformata in appello

Francesco Bartolini
13 Dicembre 2018

Nella pronuncia in esame la Suprema Corte si è occupata di stabilire se, nel corso del giudizio di appello avverso la sentenza di condanna, sia consentita la proposizione della domanda di restituzione delle somme versate in esecuzione della pronuncia impugnata.
Massima

Nel corso del giudizio di appello avverso la sentenza di condanna è consentita la proposizione della domanda di restituzione delle somme versate in esecuzione della pronuncia impugnata; tale domanda non è da ritenere nuova in quanto è conseguente alla richiesta di riforma. In assenza della domanda di restituzione la notifica dell'atto di appello avverso la decisione non ha effetti interruttivi della prescrizione nel separato giudizio di ripetizione delle somme versate in esecuzione della sentenza impugnata, posto che non sussistono gli estremi per applicare l'art. 336, comma 2, c.p.c., per il quale la riforma (o la cassazione) estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla parte riformata o cassata: non esiste, infatti, relazione di conseguenzialità necessaria tra la richiesta di riforma della sentenza di condanna e la pretesa di ripetere le somme versate.

Il caso

Con sentenza pretorile la RFI s.p.a. fu condannata ad una prestazione pecuniaria a favore di un ex dipendente; la sentenza fu riformata in appello e la successiva impugnazione del lavoratore fu respinta. Nel frattempo la società datrice di lavoro chiese in altro giudizio la restituzione delle somme da essa versate in esecuzione della prima pronuncia. Il diritto a ripeterle fu dichiarato prescritto e la decisione fu confermata dal giudice di secondo grado. La soccombente società ha denunciato con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. l'avvenuta violazione o falsa applicazione degli artt. 2943 e 2945 c.c..

La questione

L'art. 2943 c.c. sancisce l'effetto interruttivo della prescrizione del preteso diritto dal momento della notifica dell'atto con il quale si inizia un giudizio o nel corso di un giudizio viene proposta una domanda. A sua volta l'art. 2945 stabilisce che in tali casi la prescrizione non corre sino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il processo. Richiamando il combinato disposto di queste norme il ricorrente sosteneva che la prescrizione del suo diritto a ripetere le somme versate in esecuzione della sentenza pretorile, poi riformata, era stata interrotta dal ricorso in appello proposto contro di essa; e che il decorso della prescrizione era rimasto sospeso sino al termine del giudizio, avvenuto con il rigetto del gravame di legittimità. Non aveva rilevanza la mancata proposizione, in quel procedimento, di una espressa richiesta di restituzione, posto che doveva applicarsi in proposito il principio per il quale la proposizione della domanda giudiziale (nella specie, avvenuta con la notifica del ricorso in appello) interrompe la prescrizione anche con riguardo ai diritti collegati al rapporto dedotto in causa con stretto nesso di causalità, pur se azionati in altra sede.

Le soluzioni giuridiche

La Corte ha ricordato che il vigente testo dell'art. 336, comma 2, c.p.c. non prevede più, come era disposto in precedenza, che la sentenza di riforma (o la cassazione) produca i suoi effetti dal momento del suo passaggio in giudicato. Gli effetti decorrono attualmente sin dalla pubblicazione del provvedimento di contenuto difforme e riguardano tanto la stessa efficacia esecutiva della condanna resa in primo grado quanto la giustificazione degli atti di esecuzione compiuti, siano essi spontanei o coattivi, con conseguente obbligo di restituzione delle somme riscosse (e, più in generale, di ripristino dello status quo ante). In forza di questa regola, nella vicenda in esame il lasso temporale trascorso a decorrere dalla pubblicazione della sentenza di riforma della pronuncia pretorile risultava idoneo a determinare l'estinzione del diritto alla ripetizione delle somme versate dalla società azionato nell'altro processo. In ordine alla pretesa interruzione di detto termine prescrizionale, doveva prendersi atto della mancata proposizione da parte della stessa società, nel giudizio di impugnazione della pronuncia di condanna, di una espressa domanda di restituzione di quelle somme. Una siffatta domanda è per giurisprudenza costante ammissibile anche in appello e non è considerata nuova perchè conseguente alla richiesta di modifica della decisione impugnata. La questione inerente all'asserita interruzione della prescrizione si risolveva, allora, nel verificare l'ulteriore assunto della ricorrente secondo cui sussistevano nella vicenda processuale gli estremi della fattispecie regolata dall'art. 336, comma 2, c.p.c., per il quale gli effetti della riforma (o la cassazione) si estendono ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla parte riformata (o cassata). La notifica dell'atto di appello avverso la sentenza di condanna, sosteneva la ricorrente, aveva determinato ex se l'interruzione della prescrizione del diritto a ripetere quanto indebitamente versato. La Corte non ha condiviso queste argomentazioni.

La giurisprudenza, ha affermato il Supremo Collegio, interpreta concordemente la norma richiamata nel senso che essa presuppone la sussistenza di un legame di stretta consequenzialità del diritto della cui prescrizione si discute rispetto al rapporto oggetto di causa. Un siffatto legame non era ravvisabile nella specie esaminata. Il diritto alla restituzione fatto valere nel separato giudizio non aveva alcuna relazione con lo specifico rapporto di debenza controverso nel giudizio intrapreso dinanzi al pretore. L'obbligo di ripristino dello status quo ante risultava caratterizzato da una propria autonomia, trovando fonte non nella vicenda sostanziale da cui originava quel processo ma in un fatto nascente dal processo, costituito dalla avvenuta esecuzione di un titolo giudiziale e dalla sopravvenuta caducazione di questo titolo, in modo indipendente dalle vicende del rapporto controverso. Non poteva ritenersi sussistente un rapporto di consequenzialità necessaria rispetto alla domanda di riforma della sentenza pretorile di primo grado: il diritto alla restituzione presuppone, si è precisato, un fatto (l'adempimento della sentenza di condanna) che potrebbe del tutto mancare o, comunque, sopravvenire alla proposizione della domanda di appello sicchè esso deve essere autonomamente portato alla cognizione del giudice per la produzione dell'effetto interruttivo della prescrizione.

Il ricorso è stato rigettato con ordinanza in udienza camerale non partecipata e con addebito di versamento, da parte della ricorrente, di una somma di importo pari a quella dovuta a titolo di contributo unificato.

Osservazioni

Nella sua ordinanza la Corte ha assunto come principi conformi a giurisprudenza incontroversa le seguenti proposizioni:

  • Il secondo comma dell'art. 336 c.p.c. è da interpretare nel senso che gli effetti della sentenza di riforma o di cassazione si producono sin dal momento della pubblicazione del provvedimento, senza che occorra attenderne il passaggio in giudicato (si citano, ex plurimis, Cass. civ., sez. III, 30 aprile 2009, n. 10124; Cass. civ., sez. lav., 5 marzo 2009, n. 5323). In proposito la Corte ha ricordato che questo modo di intendere la disposizione consegue all'eliminazione dell'inciso “con sentenza passata in giudicato” che nel testo si leggeva prima dell'intervento di modifica di cui alla l. 26 novembre 1990, n. 353. Può osservarsi che una siffatta interpretazione è consona all'innovazione, dovuta alla stessa legge, per la quale la sentenza di primo grado è immediatamente esecutiva. Per quanto, però, concerne la prescrizione dei diritti che sorgono dalla pronuncia difforme, ne risulta che essa inizia a decorrere da un momento per lo più sconosciuto alle parti, in quanto si risolve in una datazione del deposito della pronuncia effettuata dal cancelliere in epoca che nella pratica è da lui scelta quale libera da adempimenti più urgenti. Se la prescrizione presuppone l'inerzia del titolare del diritto (art. 2935 c.c.), in questo caso essa prende avvio all'insaputa degli interessati, che della pronuncia (ove non sia letta in udienza) vengono a conoscenza solo con la comunicazione di cancelleria.
  • Con l'appello che chiede la riforma della sentenza di condanna, o nel corso del conseguente giudizio, può essere proposta la domanda di restituzione delle somme dovute per effetto della stessa, sia che vengano versate spontaneamente e sia che vengano pretese con una esecuzione forzata: in previsione, ovviamente, di una pronuncia di riforma in senso favorevole all'appellante. La domanda di restituzione è consequenziale alla richiesta di riforma e non è da considerarsi nuova. La Corte ha richiamato le decisioni di Cass. civ., n. 18611/2013; Cass. civ., n. 16152/2010; Cass. civ., n.10124/2009; Cass. civ., n. 5323/2009). Al riguardo Cass. II n. 22983/2017 aggiunge ciò che è ovvio, con il precisare che è consentita la proposizione della domanda per la prima volta in appello a condizione che questo sia poi accolto giacchè, in caso contrario, essa risulta travolta dal rigetto della domanda principale. A sua volta Cass. civ., n. 10124/2009 ha precisato che la domanda in appello deve essere proposta, a pena di decadenza, con l'atto di gravame se l'esecuzione era stata iniziata o con il primo atto difensivo successivo all'esecuzione se questa avviene in corso di causa.
  • La proposizione della domanda giudiziale ha efficacia interruttiva della prescrizione (ai sensi degli artt. 2943 e 2945 c.c.) anche con riguardo a tutti i diritti che si collegano con stretto nesso di causalità al rapporto cui essa inerisce. Si rimanda in proposito a Cass. civ., n. 15669/2011; Cass. civ., n. 1084/2011; Cass. civ., n. 9589/1997; Cass. civ., n. 4031/1988; Cass. civ., n. 4884/1977. Con il riferimento allo stretto nesso di causalità le decisioni intendono, all'evidenza, sottoporre a regole diverse ciò che è legato ad un fatto precedente con un vincolo di necessaria conseguenza rispetto a ciò che è soltanto successivo quanto a svolgersi di vicende o a semplice consecuzione temporale. Ciò che dipende da un fatto può non essere strettamente collegato ad esso e unicamente le conseguenze inevitabilmente discendenti dallo stesso possono essere attinte dagli effetti della pronuncia di riforma. Attraverso questa differenziazione la giurisprudenza assegna, dunque, all'art. 336 c.p.c. un contenuto normativo almeno in parte diverso da quello che dovrebbe intendersi secondo l'espressione letterale da esso utilizzata: il dato testuale è riferito “ai provvedimenti e agli atti dipendenti”, senza alcuna menzione di nesso di causalità necessaria. L'orientamento giurisprudenziale è pertanto notevolmente restrittivo, al punto da escludere che sussista una relazione di necessaria conseguenzialità tra la riforma della sentenza di condanna e la richiesta di riavere quanto eseguito in osservanza della stessa.
  • L'obbligo di ripristino dello status quo ante dopo la pronuncia di riforma o la cassazione è autonomo e a se stante, trovando la sua fonte non nel rapporto oggetto del processo in cui è emanata la pronuncia ma in un fatto diverso e scollegato, che nel processo semplicemente trova l'occasione per nascere: fatto costituito dall'avvenuta esecuzione del titolo giudiziale e dalla sua sopravvenuta caducazione. Poichè l'adempimento della sentenza può essere eseguito o può non avvenire, a scelta della parte, non esiste per la Corte di cassazione un rapporto necessario di causalità con l'eventuale richiesta di restituzione delle somme versate in esecuzione della pronuncia poi riformata o cassata.

L'affermazione cui perviene la giurisprudenza non convince. Sotto un profilo logico non sembra possa negarsi la sussistenza di una relazione tra fatto-presupposto e fatto-conseguenza con riguardo alla sentenza che riforma quella di condanna e la richiesta di recuperare le somme che per effetto di tale sentenza vengono a risultare versate indebitamente. La pronuncia difforme costituisce l'evento dal quale sorge il diritto alla ripetizione pecuniaria. E infatti la relazione di dipendenza è espressamente riconosciuta quando si tratta di consentire la domanda oggettivamente nuova nel corso del giudizio di appello. La sua oggettiva novità non ha, si dice, rilievo in quanto la richiesta di restituzione è conseguente alla riforma o alla cassazione.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.