È possibile il concorso tra responsabilità civile e contabile degli amministratori di società in house?

Valentina Guerrieri
14 Dicembre 2018

In tema di società in house, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario per le azioni civili in caso di responsabilità dei componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate; si configura, invece, la giurisdizione della Corte dei Conti per il danno erariale causato da amministratori e dipendenti delle società in house.
Massima

In tema di società in house, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario per le azioni civili in caso di responsabilità dei componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate; si configura, invece, la giurisdizione della Corte dei Conti per il danno erariale causato da amministratori e dipendenti delle società in house.

Il caso

Le Sezioni Unite, in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, hanno aggiunto un ulteriore tassello all'evoluzione giurisprudenziale relativa al riparto di giurisdizione in tema di responsabilità degli organi di governance delle società pubbliche (nella specie invocata dalla curatela fallimentare nei confronti degli amministratori di una società in house di un Comune operante nel settore dei servizi pubblici locali).

La Cassazione conclude in ordine alla possibilità di concorso tra la giurisdizione ordinaria e quella contabile in caso di danni arrecati alla società in house dai membri degli organi sociali, in caso di sussistenza di un danno erariale.

Le questioni

La questione principale oggetto della sentenza in esame attiene al riparto di giurisdizione per le controversie che hanno ad oggetto la responsabilità dei membri degli organi di governo societario. In particolare, nel caso in esame l'azione è stata proposta da un fallimento- e non, come accade generalmente, dal Procuratore presso la Corte dei Conti – nei confronti degli amministratori della società in house per gli illeciti da loro perpetrati e causativi di danno per la società stessa.

In altre parole, le Sezioni Unite della Cassazione sono state chiamate ad individuare il giudice competente – tra quello ordinario e quello contabile - nella questione de qua.

La pronuncia si inserisce nel filone giurisprudenziale che a partire dal 2009 (Cass. S.U., sentenza 19 dicembre 2009, n. 26806) ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario sull'azione di responsabilità degli amministratori delle società in mano pubblica per i danni a quest'ultima cagionati.

Infatti, in tal caso, non è “configurabile, avuto riguardo all'autonoma personalità giuridica della società, né un rapporto di servizio tra l'agente e l'ente pubblico titolare della partecipazione, né un danno direttamente arrecato allo Stato o ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della Corte dei conti”.

Tuttavia, la stessa Cassazione ha riconosciuto la giurisdizione contabile qualora “l'azione di responsabilità trovi fondamento nel comportamento di chi, quale rappresentante dell'ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio (…) pregiudicando il valore della partecipazione, ovvero in comportamenti degli amministratori o dei sindaci tali da compromettere la ragione stessa della partecipazione sociale dell'ente pubblico (…) o da arrecare direttamente pregiudizio al suo patrimonio”.

La giurisprudenza successiva - richiamata dal collegio nel caso in analisi – ha ribadito il predetto orientamento facendo salve solo le società soggette per legge a una disciplina speciale che permette di considerarle “veri e propri enti pubblici, soggetti al controllo della Corte dei conti” (Cass., S.U., sentenza 22 dicembre 2009, n. 27092 – caso Rai s.p.a. e Cass., S.U., sentenza 3 marzo 2010, n. 5032 – caso Enav s.p.a.).

Ancora, la S.C., al fine di dare atto dell'ormai consolidato e univoco quadro interpretativo, richiama anche il principale arresto giurisprudenziale relativo alle società in house, chiarendo che, ai fini della fattispecie concreta in esame, debba intendersi “quella costituita da uno o più enti pubblici per l'esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente i medesimi enti possano essere soci, che statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggetta a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici”. Più nel dettaglio, le Sezioni unite, con la nota sentenza 25 novembre 2013, n. 26283, hanno riconosciuto la giurisdizione del giudice contabile nel caso di compagini sociali riconducibili al fenomeno dell'in house providing, ponendo l'accento sulla “totale assenza di un potere decisionale suo proprio, in conseguenza del totale assoggettamento dei suoi organi al potere gerarchico dell'ente pubblico titolare della partecipazione sociale”. Infatti, le peculiari caratteristiche strutturali delle società in house costituiscono, per il riparto di giurisdizione, delle mere articolazioni dell'amministrazione controllante: “l'impossibilità di configurare un rapporto di alterità tra l'ente pubblico e la società in house si riflette anche sulla qualificazione del patrimonio, da intendersi in termini di mera separazione e non di distinta titolarità, con conseguente affermazione della natura erariale del danno cagionato dagli atti illegittimi dei suoi amministratori”.

La predetta affermazione di principio è stata ulteriormente approfondita dalla giurisprudenza successiva delle Sezioni Unite, che ha distinto tra atti compiuti dall'ente pubblico in qualità di socio e quelli non legati all'esercizio di poteri pubblicistici. Questa precisazione ha condotto la Cassazione ad affermare che nel modello delle società in house “le azioni concernenti la nomina o la revoca di amministratori e sindaci, ai sensi dell'art. 2449 cod. civ., spettano alla giurisdizione del giudice ordinario, non di quello amministrativo, perché investono atti compiuti dall'ente pubblico uti socius, non jure imperii, e posti in essere a valle della scelta di fondo per l'impiego del modello societario”.

Anche la legislazione più recente ha confermato questa impostazione in senso privatistico per le società pubbliche, dapprima con l'art. 4, comma 13, del D.l. n. 95/2012 e, da ultimo, con l'art. 1, comma 3, D.lgs. n. 175/2016 (T.U. società partecipate) – non applicabile ratione temporis nel caso in esame - che precisa che, per tutto quanto non derogato dalle disposizioni contenute nel T.U., alle società partecipate si applicano le ordinarie norme del codice civile (in tal senso Cass., sentenza 1 dicembre 2016, n. 24591; Cass., S.U., sentenza 27 marzo 2017, n. 7759). Questo rappresenta la diretta conseguenza – precisano le S.U.- della scelta dello strumento privatistico, in virtù del qualeè da ritenersi “del tutto naturale che quella scelta, ove non vi siano specifiche disposizioni in contrario o ragioni ostative di sistema, comporti l'applicazione del regime giuridico proprio dello strumento societario adoperato”.

Questa impostazione è stata seguita anche dalla giurisprudenza successiva, la quale ha ulteriormente precisato - con riguardo alla possibilità di applicare il diritto fallimentare – che “la scelta del legislatore (…) di perseguire l'interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico, comporta che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza pena la violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto ed attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all'interno di uno stesso mercato con identiche forme e medesime modalità”. (Cass., sentenza 7 febbraio 2017, n. 3196).

Chiarito il contesto giurisprudenziale (e legislativo) nel quale si inserisce la vicenda oggetto del caso, la Cassazione focalizza la propria attenzione sulla questione attinente la responsabilità degli amministratori dell'in house promossa dai curatori fallimentari. Viene, dunque, richiamata una fattispecie analoga (nella quale la società non veniva dichiarata fallita) oggetto dell'attenzione delle S.U. nel 2015 (sentenza n. 5648/2015) nella quale il collegio ha messo un ulteriore punto fermo in ordine al riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e contabile in presenza di danni arrecati dai membri degli organi sociali alla società in house.

Più precisamente, gli argomenti che hanno condotto la Cassazione ad affermare la giurisdizione della Corte dei Conti in caso di pregiudizi cagionati alla società in house (attesa l'assenza di un vero rapporto di alterità soggettiva tra la società e l'ente pubblico controllante) non devono portaread escludere la possibilità di una (concorrente) giurisdizione del giudice ordinario investito da un'azione sociale di responsabilità per i medesimi fatti.

Pertanto, sulla scorta delle precedenti argomentazioni le Sezioni Unite concludono nel senso del concorso tra giurisdizione ordinaria e quella contabile, se viene prospettato anche un danno erariale,“al di là di una semplice interferenza fra i due giudizi, deve ritenersi ammissibile la proposizione, per gli stessi fatti, di un giudizio civile e di un giudizio contabile risarcitorio (cfr. anche Cass., S.U, 7 gennaio 2014, n. 63; Cass., 14 luglio 2015, n. 14632, in cui si sottolinea l'insussistenza della violazione del principio del ne bis in idem, stante la tendenziale diversità di oggetto e di funzione fra i due giudizi)”.

Osservazioni

È curioso come la parabola delle società pubbliche - nate come modello derogatorio rispetto al diritto civile - abbia subito, negli anni più recenti, il trionfo del diritto privato sul diritto pubblico.

Questa vis expansiva delle norme societarie è emersa anche con riferimento al regime di responsabilità degli organi di governance delle società pubbliche. Invero, l'assenza - fino al d.lgs. n. 175/2016 (T.U.S.P.) – di una disciplina esaustiva della materia, si è riverberata sulle oscillanti posizioni assunte dalla giurisprudenza ordinaria e contabile, nonché dalla dottrina, con conseguente diffusione di diverse tesi sull'applicabilità della responsabilità civile, o di quella amministrativa, ovvero, della possibile cumulabilità di entrambe.

Un punto di svolta nell'interpretazione giurisprudenziale si è registrato a partire dal 2009, attese anche le spinte verso la c.d. “ibridazione del pubblico con il privato”.

Infatti, il mutamento di indirizzo si è concretizzato con la sentenza del 19 dicembre 2009, n. 26806 – sostanzialmente confermata dall'orientamento successivo (in senso conforme ex multis Cass., S.U., sentenza, 5 luglio 2011, n. 14655; Cass., S.U., sentenza 7 luglio 2011, n. 14957; Cass., S.U., sentenza 12 ottobre 2011, n. 20941; Cass., S.U., sentenza 9 marzo 2012, n. 3692; Cass. S.U., sentenza 5 aprile 2013, n. 835) salvo qualche rara eccezione (Cass. S.U., ord., 9 maggio 2011, n. 10063; Cass. S.U., ord., 9 aprile 2010, n. 8429; Cass. S.U., ord., 3 marzo 2010, n. 5032) - che ha negato la giurisdizione contabile sull'azione di responsabilità degli amministratori delle società in mano pubblica per i danni a quest'ultima cagionati.

La Corte regolatrice ha, infatti, individuato quale criterio di riparto di giurisdizione l'esistenza di un rapporto di servizio tra l'agente e la p.a. (desumibile dalla natura pubblica delle funzioni espletate e delle risorse finanziarie utilizzate), il quale “può intendersi anche una relazione con la pubblica amministrazione caratterizzata dal fatto di investire un soggetto, altrimenti estraneo all'amministrazione medesima, del compito di porre in essere in sua vece un'attività, senza che rilevi né la natura giuridica dell'atto di investitura - provvedimento, convenzione o contratto - né quella del soggetto che la riceve, sia essa una persona giuridica o fisica, privata o pubblica”. Pertanto, non può ritenersi configurabile un “rapporto di servizio tra l'ente pubblico partecipante e l'amministratore (o componente di un organo di controllo) della società partecipata, il cui patrimonio sia stato leso dall'atto di mala gestio, ma neppure sussiste in tale ipotesi un danno qualificabile come danno erariale, inteso come pregiudizio direttamente arrecato al patrimonio dello Stato o di altro ente pubblico che della suindicata società sia socio”.

La S.C. giunge a questa soluzione ponendo l'accento sulla nota distinzione che intercorre tra la personalità giuridica della società e quella dei soci, nonché la piena autonomia patrimoniale dell'una rispetto agli altri, circostanze che non consentono di riferire al patrimonio del socio pubblico il danno che l'illegittimo comportamento degli organi sociali abbia eventualmente arrecato al patrimonio dell'ente. In via di estrema sintesi, la Corte ha, dunque, affermato la sostanziale omogeneità di regime giuridico in relazione alla responsabilità degli organi societari, indipendentemente dalla provenienza pubblica o privata del capitale.

In questo quadro, tuttavia, ha assunto una particolare rilevanza la distinzione tra danno al patrimonio sociale e pregiudizio afferente al patrimonio dell'ente partecipante. Questa classificazione non ha valore puramente teorico poiché incide operativamente sulla individuazione del giudice competente sull'azione di responsabilità nei confronti dei membri degli organi di governance.

In particolare, in relazione ai danni “prodotti immediatamente nella sfera giuridico - patrimoniale del socio e che non consistano nella semplice ripercussione di un danno inferto alla società, solo il socio stesso è legittimato a dolersi”. Al contrario, per i pregiudizi sociali, “solo alla società compete il risarcimento, di modo che per il socio anche il ristoro è destinato a realizzarsi unicamente nella medesima maniera indiretta in cui si è prodotto il suo pregiudizio”.

La predetta “precisazione” appare conforme agli orientamenti affermatisi nel diritto societario, di cui si è già dato atto, nel cui ambito si distingue tra la responsabilità degli organi sociali nei confronti della società per il danno arrecato direttamente al patrimonio perseguibile con l'azione sociale di responsabilità (artt. 2393, 2393-bis, 2394, 2476 commi 1, 3, 4, 5 c.c.) e la responsabilità degli amministratori verso i singoli soci o i terzi per i pregiudizi arrecati direttamente al patrimonio individuale, che ricadono, invece, nell'area dell'azione individuale di responsabilità (artt. 2395 e 2476 c.c.).

Pertanto, “il danno inferto dagli organi della società al patrimonio sociale, che nel sistema del codice civile può dar vita all'azione sociale di responsabilità ed eventualmente a quella dei creditori sociali, non è idoneo a configurare anche un'ipotesi di azione ricadente nella giurisdizione della Corte di conti: perché non implica alcun danno erariale, bensì unicamente un danno sofferto da un soggetto privato (appunto la società), riferibile al patrimonio appartenente soltanto a quel soggetto e non certo ai singoli soci - pubblici o privati - i quali sono unicamente titolari delle rispettive quote di partecipazione ed i cui originari conferimenti restano confusi ed assorbiti nell'unico patrimonio sociale”.

La giurisdizione della Corte di Conti, viene, dunque, circoscritta al solo danno direttamente cagionato all'ente pubblico. Infatti, l'azione individuale del socio pubblico e quella del procuratore contabile non sono esperibili nei confronti dell'organo di amministrazione della società pubblica quando il pregiudizio non si riverbera direttamente nel suo patrimonio, ma costituisce un mero riflesso del danno al patrimonio sociale, poiché l'art. 2395 richiede che il singolo sia stato “direttamente danneggiat(o) da atti colposi o dolosi degli amministratori”.

In altre parole, la distinta personalità e l'autonomia patrimoniale della società rispetto ai soci implica che i danni arrecati a questa da atti di mala gestio degli organi sociali non integrano gli estremi del danno erariale, poiché si risolvono in un pregiudizio gravante sul patrimonio della società e non su quello del socio pubblico. Infatti, il danno erariale può eventualmente legittimare l'azione del procuratore contabile nei confronti del rappresentante dell'ente partecipante che abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio ed abbia perciò pregiudicato il valore della partecipazione.

La giurisprudenza successiva ha recepito in maniera pressoché univoca questo orientamento (ex multis Cass., S.U., sentenza 15 gennaio 2010, n. 159; Cass., S.U., ordinanza, 3 marzo 2010, n. 5019; Cass., S.U., ordinanza, 5 luglio 2011, n. 14655; Cass., S.U., ordinanza, 12 ottobre 2011, n. 20941; Cass., S.U., sentenza 12 ottobre 2011, n. 20940; Cass., S.U., sentenza 9 marzo 2012, n. 3692; Cass., S.U., sentenza 31 luglio 2012, n. 13619; Cass., S.U., sentenza 8 febbraio 2013, n. 3038. In senso parzialmente difforme si segnalano Cass., S.U., sentenza 9 maggio 2011, n. 10063 e Cass., S.U., ordinanza 30 dicembre 2011, n. 30786).

Tuttavia, in tema di responsabilità dei membri degli organi societari delle società pubbliche la Cassazione ha fornito ulteriori precisazioni con riferimento alle società in house, che si caratterizzano per la contemporanea presenza dei noti tre requisiti: la natura esclusivamente pubblica dei soci, l'esercizio dell'attività in prevalenza a favore dei soci stessi e la sottoposizione a un controllo corrispondente a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici.

Più nel dettaglio, le S.U. nel 2013 (sentenza n. 26283/2013) hanno riconosciuto la giurisdizione della Corte dei Conti in caso di danni da mala gestio arrecati alle società in house, valorizzando proprio la mancanza di autonomia gestionale degli organi di governance societaria, soggetti a un penetrante controllo dell'ente pubblico che ne detiene le partecipazioni e vanta (generalmente per statuto) “il potere di dettare le linee strategiche e le scelte operative della società in house, i cui organi amministrativi vengono pertanto a trovarsi in posizione di vera e propria subordinazione gerarchica”.

Dunque, i predetti elementi costitutivi della società in house hanno condotto i giudici di legittimità a negare la c.d “alterità soggettiva” tra socio pubblico e società, qualificando il genere di società in analisi come una mera articolazione interna della p.a. Secondo le Sezioni unite del 2013, invero, l'ente in house dovrebbe considerarsi una longa manus dei soggetti pubblici controllanti, al punto che l'affidamento diretto non permetterebbe di configurare un rapporto intersoggettivo, ma un rapporto interorganico. Più nel dettaglio, l'ente in house non potrebbe ritenersi un soggetto terzo rispetto all'amministrazione controllante, ma dovrebbe essere considerato un servizio/ufficio dell'amministrazione stessa.

Da detta ricostruzione del fenomeno dell'in house providing conseguechese non risulta possibile configurare un rapporto di alterità tra l'ente pubblico partecipante e la società in house che ad esso fa capo, è giocoforza concludere che anche la distinzione tra il patrimonio dell'ente e quello della società si può porre in termini di separazione patrimoniale, ma non di distinta titolarità”. In detta evenienza “il danno eventualmente inferto al patrimonio della società da atti illegittimi degli amministratori (...) è arrecato ad un patrimonio (separato, ma pur sempre) riconducibile all'ente pubblico: è quindi un danno erariale, che giustifica l'attribuzione alla Corte di conti della giurisdizione sulla relativa azione di responsabilità”.

A porre un ulteriore punto fermo nella materia de qua è intervenuto il legislatore del d.lgs. n. 175/2016 (Testo unico società partecipate), che all'art. 12 comma 1 - recependo totalmente la giurisprudenza delle Sezioni Unite - sottopone i membri degli organi di governance delle società partecipate alle ordinarie azioni civili di responsabilità previste dal codice civile (art. 2392 e ss. c.c.).

Viene, tuttavia, fatta salva - sulla scorta del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità - “la giurisdizione della Corte dei Conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house”. La giurisdizione contabile è stata, altresì, riconosciuta “nei limiti della quota di partecipazione pubblica”per le controversie in materia di danno erariale, di cui, al viene data una precisa definizione che ricalca quella già emersa nella giurisprudenza delle Sezioni unite (Cass., S.U., sentenza 15 gennaio 2010, n. 159; Cass.,S.U., sentenza 25 novembre 2013, n. 26283).

Il danno erariale viene, dunque, qualificato come un pregiudizio “patrimoniale o non patrimoniale, subìto dagli enti partecipanti, ivi compreso il danno conseguente alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere per essi, che, nell'esercizio dei propri diritti di socio, abbiano con dolo o colpa grave pregiudicato il valore della partecipazione”.

Ciò chiarito in termini generali è evidente che la pronuncia in esame si inserisce nel filone della giurisprudenza di legittimità ormai univoca nel riconoscere la giurisdizione del giudice contabile in presenza di danni da mala gestio arrecati a una società in house.

Tuttavia, la sentenza in commento compie una ulteriore precisazione affermando che la giurisdizione contabile riconosciuta in questo caso non preclude alla possibile concorrenza con l'azione sociale di responsabilità per i medesimi fatti davanti al giudice ordinario. Infatti, al di là di una semplice interferenza tra i due giudizi deve ritenersi legittima la proposizione di un giudizio civile e uno contabile risarcitorio.

In realtà la giurisprudenza precedente aveva già avuto modo di chiarire che “non sussiste violazione del principio del ne bis in idem tra il giudizio civile introdotto dalla P.A., avente ad oggetto l'accertamento del danno derivante dalla lesione di un suo diritto soggettivo conseguente alla violazione di un'obbligazione civile, contrattuale o legale, o della clausola generale di danno aquiliano, da parte di soggetto investito di rapporto di servizio con essa, ed il giudizio promosso per i medesimi fatti innanzi alla Corte dei conti dal Procuratore contabile, nell'esercizio dell'azione obbligatoria che gli compete”. Si giunge a questa conclusione sulla base della tendenziale diversità di oggetto e funzione dei due giudizi. Più nel dettaglio, il giudizio civile è finalizzato “al pieno ristoro del danno, con funzione riparatoria ed integralmente compensativa, a protezione dell'interesse particolare della singola Amministrazione, mentre l'azione contabile “è volta alla tutela dell'interesse pubblico generale, al buon andamento della P.A. e al corretto impiego delle risorse, con funzione essenzialmente o prevalentemente sanzionatoria” (Cass., sentenza 14 luglio 2015, n. 14632).

Conclusioni

Le Sezioni unite nella pronuncia in esame aderiscono pienamente all'orientamento della giurisprudenza di legittimità facendo leva sulla distinzione tra danno erariale, che giustifica l'intervento del giudice contabile e “danno non erariale, al cui ristoro, soprattutto con riferimento alla posizione dei creditori sociali, non è idonea, e pertanto non può avere alcuna efficacia ostativa alle azioni proponibili davanti al giudice ordinario”.

Questa soluzione oggi trova conforto anche nel d.lgs. n. 175/2016 che, sulla liability dei membri degli organi di amministrazione e controllo, ha optato per una disciplina legislativa con una chiara impronta civilistica: la responsabilità dei soggetti apicali delle società in mano pubblica è regolata dalle norme di diritto societario e le relative azioni sono rimesse al giudice ordinario. Solo per le società in house continua a prevalere la componente pubblicistica, riconoscendo alla Corte dei Conti la cognizione sulle azioni di responsabilità per i danni arrecati dai membri degli organi di governance al patrimonio della società di questo tipo.

Il legislatore del T.U. società partecipate riconosce – come chiarito acutamente nel parere del Consiglio di Stato n. 438/2016 reso sul decreto legislativo attuativo della c.d. legge Madia“la legittimazione del procuratore contabile nei soli casi in cui l'ente pubblico abbia subito un “danno diretto” al proprio patrimonio e non anche un “danno indiretto” quale conseguenza mediata del pregiudizio subito alla propria “partecipazione sociale”. Quest'ultimo è, infatti, “assorbito” dall'azione di responsabilità civile promossa nei confronti degli organi di amministrazione e di controllo innanzi al giudice civile. (….) Del resto, lo stesso art. 2395 c.c., in materia di società per azioni, riconosce al socio la legittimazione a proporre azione di risarcimento del danno nei confronti degli amministratori nel caso in cui esso dimostri che sia stato «direttamente» danneggiato da atti colposi o dolosi degli amministratori stessi”.

Ciò nonostante, l'azione contabile può coesistere con il giudizio civile di responsabilità per i fatti di mala gestio. Infatti, “la giurisdizione civile e quella contabile sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali, anche quando investono un medesimo fatto materiale, sicché il rapporto tra le due azioni si pone in termini di alternatività anziché di esclusività” (Cass., sentenza 7 gennaio 2014, n. 63).

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