Il danno non patrimoniale alla luce del codice delle assicurazioni

Giuseppe Sileci
18 Dicembre 2018

Se l'art. 2059 c.c. ammette il risarcimento del danno non patrimoniale solo nei casi determinati dalla legge, questi non possono individuarsi unicamente nell'art. 185 c.p. (danni cagionati da un fatto illecito che costituisce reato) e nelle leggi ordinarie che lo riconoscono espressamente: e ciò perché, come ha avuto modo di chiarire la Cassazione, «al di fuori dei casi determinati dalla legge, in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, la tutela è estesa ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione»...
Il danno non patrimoniale nell'ordinamento: gli artt. 138 e 139 cod. ass.

Nel tentativo di delimitare l'area del danno risarcibile quando la lesione del diritto non incide sul patrimonio del danneggiato, non si può prescindere – a mio avviso – dall'unico dato normativo che attualmente offre una definizione di danno non patrimoniale, e cioè gli artt. 138 e 139 cod. ass.

Le norme, come noto, si applicano ai danni derivanti dalla circolazione stradale e adesso anche a quelli causati da colpa medica: dunque esulerebbero dal loro ambito tutti i danni alla persona che abbiano una diversa causa.

Tuttavia, non può neppure negarsi che gli artt. 138 e 139 cod. ass., almeno limitatamente alla materia del danno alla persona, abbiano una valenza di carattere generale.

L'art. 138, definendo il danno biologico come la lesione temporanea o permanente all'integrità psicofisica della persona, suscettibile di accertamento medico legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito, indica i criteri al quale dovrà attenersi il Ministro della sviluppo economico – di concerto con altri Ministeri – nel predisporre una tabella unica nazionale che assicuri un pieno risarcimento del danno non patrimoniale per lesioni di non lieve entità, e cioè le menomazioni all'integrità psicofisica superiori al 9%,

Ed il pieno risarcimento sarà garantito da un “sistema a punto variabile in funzione dell'età e del grado di invalidità” (art. 138, comma 2 lett. B cod. ass.).

L'art. 138 comma 2 cod. ass. e prevede che il valore economico del punto (di invalidità) è funzione crescente della percentuale di invalidità (lett. C) ed è funzione decrescente dell'età del danneggiato (lett. D).

La lett. E del comma 2 stabilisce un ulteriore criterio, al quale dovrà attenersi il Ministero quando predisporrà queste tabelle nazionali: infatti, «al fine di considerare la componente del danno morale da lesione all'integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico stabilita in applicazione dei criteri di cui alla lettera da a) a d) è incrementata in via percentuale e progressiva per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione complessiva della liquidazione».

La previgente formulazione dell'art. 138 (il testo attuale è stato introdotto dalla l. 4 agosto 2017 n. 124), oltre ad intitolare la norma “danno biologico per lesioni di non lieve entità”, non prevedeva affatto – tra i criteri da adoperare per determinare il valore pecuniario da attribuire a ciascun punto di invalidità – la componente del danno morale.

Ebbene, non è trascurabile che il legislatore – modificando l'art. 138 – abbia innanzitutto cambiato la sua intitolazione sostituendola con “danno non patrimoniale per lesioni di non lieve entità”: è difficile dubitare della volontà della legge di recepire le più recenti indicazioni della giurisprudenza in materia di valutazione del danno non patrimoniale (peraltro, adesso espressamente richiamati dalla norma) e dunque di elevare al rango di norma ordinaria i principi ribaditi proprio dalle Sezioni Unite nel 2008 (ed ancora prima da Cass. civ.,sez. III, sent., 31 maggio 2003 nn. 8827 e 8828), ed in particolare che «la rilettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., come norma deputata alla tutela risarcitoria del danno non patrimoniale inteso nella sua più ampia accezione, riporta il sistema della responsabilità aquiliana nell'ambito della bipolarità prevista dal vigente codice civile tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale».

Ma ancora più rilevante è l'introduzione di un ulteriore criterio, che non era contemplato dalla norma prima della riforma del 2017: il Ministero, nel determinare il valore pecuniario di ciascun punto di invalidità, dovrà prevedere un incremento percentuale di detto punto tenendo in considerazione “la componente del danno morale”.

È difficile non leggere nel riferimento alla suddetta “componente” il chiaro recepimento della complessiva sistemazione della materia operata dalle Sezione Unite quando affermano «che, nell'ambito della categoria generale del danno non patrimoniale, la formula danno morale non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento» (Cass. civ., Sez. Un., sent., 11 novembre 2008 n. 26972).

Principio che ha trovato compiuta attuazione nelle Tabelle elaborate dall'Osservatorio sulla Giustizia Civile del Tribunale di Milano che, recependo le indicazioni della Suprema Corte, propose la liquidazione congiunta del danno non patrimoniale conseguente alla lesione dell'integrità psicofisica suscettibile di accertamento medico legale (ex danno biologico) e del danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di dolore e/o sofferenza soggettiva (ex danno morale), non senza prevedere anche che i valori monetari medi così stabiliti possono essere ulteriormente incrementati (c.d. personalizzazione) in presenza di casi peculiari.

Ebbene, il novellato art. 138 cod. ass. non è nulla di più della enunciazione normativa di un principio che è stato dapprima affermato dalla giurisprudenza di legittimità perché, laddove prevede che si tenga conto – nel determinare il valore pecuniario di ciascun punto di invalidità – anche della “componente del danno morale” altro non è che la attuazione della danno non patrimoniale nella sua accezione unitaria.

Anche l'art. 139 cod. ass. è stato modificato tanto nella intitolazione, dove non si fa più riferimento al danno biologico bensì a quello non patrimoniale per lesioni di lieve entità, quanto nella parte in cui prevede un adeguamento dell'ammontare del risarcimento.

Invero, a differenza delle macrolesioni – le quali attendono ancora le tabelle ministeriali che adesso dovranno essere predisposte secondo i nuovi criteri sopra brevemente illustrati – per le lesioni di lieve entità esistono da tempo criteri “legali” di liquidazione del danno non patrimoniale: l'art. 139, infatti, prevede un valore per ciascun punto di invalidità permanente da uno a nove.

La norma è stata sospettata di illegittimità costituzionale, che però il Giudice delle leggi (Corte Cost. 16 ottobre 2014 n. 235) ha escluso osservando che:

a) «il danno morale – e cioè la sofferenza personale suscettibile di costituire ulteriore posta risarcibile (comunque unitariamente) del danno non patrimoniale, nell'ipotesi in cui l'illecito configuri reato – rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente»;

b) la norma non nega il risarcimento del danno morale perché il giudice, ricorrendone i presupposti, «può avvalersi della possibilità di incremento dell'ammontare del danno biologico, secondo la previsione, e nei limiti, di cui alla disposizione del citato comma 3», e cioè in misura non superiore ad un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato.

Nonostante la norma avesse superato il vaglio di costituzionalità, il legislatore ha ritenuto opportuno modificarla al fine di rendere la liquidazione del danno non patrimoniale di lieve entità più aderente agli arresti della giurisprudenza di legittimità precisando che il giudice potrà aumentare l'ammontare del risarcimento fino al 20% se:

  • la menomazione incide in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico – relazionali personali documentati e obiettivamente accertati;
  • causa o ha causato una sofferenza psicofisica di particolare intensità.

Dunque, si ribadisce che il danno non patrimoniale è unitario, che la sofferenza soggettiva è una conseguenza fisiologica di qualunque lesione della integrità psicofisica ma che – in casi eccezionali – può essere diversamente valutata (al pari di specifici aspetti dinamico – relazionali della persona che la menomazione abbia inciso in maniera rilevante) dal giudice se il danneggiato allega e prova queste peculiari circostanze.

Infine, non è trascurabile la ulteriore precisazione, che vale per tutte le ipotesi di danno alla persona di natura non patrimoniale che sia stato causato dalla circolazione stradale ed ora da colpa medica: il risarcimento liquidato ai sensi degli artt. 138 e 139 cod. ass. è esaustivo e dunque non ammette ulteriori maggiorazioni sotto qualunque forma.

Le tabelle del Tribunale di Milano

Quanto vale per i danni da circolazione stradale e da colpa medica, per il limitato ambito di applicazione della normativa in esame, non varrebbe in tutti gli altri casi di danno alla persona senza ripercussioni sulle capacità reddituali del danneggiato.

Tuttavia, nell'ottica di assicurare una uniforme liquidazione del danno che incide sulla integrità psicofisica della persona, da tempo la Cassazione ritiene che, in difetto di previsioni normative, i parametri devono essere «individuati in quelli tabellari elaborati presso il Tribunale di Milano, da modularsi a seconda delle circostanze del caso concreto» (Cass. civ., sez. III, sent., 7 giugno 2011 n. 12408).

Principio costantemente applicato dalla Suprema Corte, la quale ha recentemente ribadito che «nella liquidazione del danno non patrimoniale non è consentito, in mancanza di criteri stabiliti dalla legge, il ricorso a una liquidazione equitativa pura, non fondata su criteri obiettivi, unici a permettere la verifica ex post del ragionamento seguito dal giudice nell'apprezzare ciascun profilo di nocumento del caso concreto, mentre va preferita l'adozione del criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, idoneo a garantire l'uniformità di trattamento di situazioni analoghe» (Cass. civ., sez. III, sent., 18 maggio 2017 n. 12470).

Quindi, solo “in presenza di specifiche circostanze di fatto, che valgano a superare le conseguenze ordinarie già previste e compensate nella liquidazione forfettaria assicurata dalle previsioni tabellari, (il giudice) può procedere alla personalizzazione del danno entro le percentuali massime di aumento previste nelle stesse tabelle, dando adeguatamente conto nella motivazione della sussistenza di peculiari ragioni di apprezzamento meritevoli di tradursi in una differente (più ricca, e dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari” (Cass. civ., sez. III, sent. 15 maggio 2018 n. 11754).

Se così è, non pare potersi dubitare quindi della generalizzata applicazione della Tabelle del Tribunale di Milano tutte le volte in cui venga in rilievo una lesione della integrità psicofisica.

In tale ottica, il risarcimento del danno alla persona, che non incida sulla capacità reddituale del danneggiato, dovrebbe essere liquidato secondo i criteri previsti dalle suddette Tabelle e dunque al danneggiato dovrebbe essere riconosciuto il valore stabilito per ciascun punto di invalidità permanente (che già comprende il danno morale e/o la sofferenza soggettiva), con la possibilità di una maggiorazione solo in presenza di specifiche circostanze che siano state allegate e provate e senza alcuna possibilità di attribuire un quid pluris a titolo di danno morale e/o sofferenza soggettiva.

Le sentenze della Cassazione del 2018

Tuttavia, ha recentemente affermato la Cassazione che «in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno esistenziale, mentre, come confermato dall'art. 138, comma 2, lettera e) del d.lgs. n. 209 del 2005, nel testo modificato dalla l. n. 124 del 2017, una differente ed autonoma valutazione deve essere compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto, posto che la fenomenologia del pregiudizio non patrimoniale comprende tanto l'aspetto interiore del danno sofferto (danno morale sub specie di dolore, vergogna, disistima di sé, paura, disperazione), quanto quello dinamico-relazionale, coincidente con la modificazione peggiorativa delle relazioni di vita esterne del soggetto» (Cass. civ., sez. III, sent., 20 agosto 2018 n. 20795).

Questa pronuncia si colloca nel solco di due precedenti arresti della Suprema Corte (Cass. civ., 17 gennaio 2018 n. 901 e Cass. civ., 27 marzo 2018 n. 7513), dandovi continuità.

L'iter argomentativo seguito dal Collegio (Cass. civ., sez. IIII, sent., 17 gennaio 2018 n. 901) si può riassumere come segue:

a) l'ordinamento positivo conosce e disciplina soltanto la fattispecie del danno patrimoniale e quella del danno non patrimoniale;

b) il danno non patrimoniale ha natura “unitaria” nel senso che esso ristora «la lesione di qualsiasi interesse costituzionalmente rilevante non suscettibile di valutazione economica»;

c) il danno non patrimoniale ha natura onnicomprensiva nel senso che il giudice, nel determinare l'ammontare del risarcimento, «deve tenere conto di tutte le conseguenze che sono derivate dall'evento di danno, nessuna esclusa» evitando di attribuire nomi diversi ad identici pregiudizi ed i risarcimenti cd. “bagatellari”;

d) il danno agli aspetti dinamico – relazionale della vita di un soggetto che lamenti la lesione della salute costituisce certamente una componente del danno cd. biologico, rispetto al quale rappresenta una duplicazione se riconosciuto sotto forma di danno esistenziale;

e) il danno “relazionale” è invece predicabile in tutti i casi di lesione di altri diritti costituzionalmente tutelati;

f) il danno “relazionale” a sua volta consiste nella sofferenza interiore e nella alterazione delle dinamiche relazionali di una vita che cambia;

g) questi principi troverebbero un solido appiglio nella formulazione letterale dell'art. 138 cod. ass., laddove prevede espressamente che «al fine di considerare la componente del danno morale da lesione all'integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico stabilita in applicazione dei criteri di cui alle lettere da a) a d) è incrementata in via percentuale e progressiva per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione complessiva della liquidazione».

Ha infine meglio esplicitato il suddetto iter argomentativo la nota pronuncia di marzo della Cassazione (Cass.civ., 27 marzo 2018 n. 7513), che ha elaborato un decalogo di principi cui dovrebbe attenersi il giudice quando deve liquidare il danno non patrimoniale.

In particolare:

1) «in presenza di un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico – legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione)»;

2) «ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l'esistenza di uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione»;

3) «il danno non patrimoniale non derivante da una lesione della salute, ma conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, va liquidato, non diversamente che nel caso di danno biologico, tenendo conto tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa (le sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est il danno morale interiore), quanto quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso».

Conclusioni

L'ultimo orientamento della Cassazione, però, non pare avere un solido appiglio normativo per le ragioni sopra ampiamente illustrate esaminando gli artt. 138 e 139 cod. ass. nel loro ultimo dato testuale.

Nel caso di “macrolesioni”, infatti, sarà il ministero – nel predisporre le tabelle di liquidazione del danno da invalidità permanente – che dovrà determinare il valore per punto tenendo conto anche della componente morale del danno; sino ad allora suppliranno le tabelle del Tribunale di Milano che quella componente l'hanno già presa in considerazione nel 2009 in sede di aggiornamento dopo le Sezioni Unite del 2008.

Dunque, non pare proprio che il Giudice possa liquidare autonomamente una voce di danno – la sofferenza morale – che è già compresa nel valore per punto di invalidità stabilito dalle tabelle meneghine e che sarà compresa nelle tabelle ministeriali quando saranno approvate; sarà consentita solo la personalizzazione del risarcimento mediante un aumento del suo ammontare sino al 30% se «la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati».

Nel caso di microlesioni, poiché il valore per punto previsto dall'art. 139 cod. ass. non faceva riferimento alcuno alla componente morale del danno, il legislatore ha opportunamente modificato la norma specificando (direi, in perfetta sintonia con la Cassazione a Sezioni Unite) che l'ammontare del risarcimento può essere aumentato dal giudice (potere già previsto dall'art. 139 ante riforma) se la menomazione: a) ha inciso in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati; b) causi o abbia causato una sofferenza psicofisica di particolare intensità.

Tanto dovrebbe significare che, in presenza di lesioni di lieve entità non potrà mai farsi luogo alla autonoma liquidazione del danno morale e che il giudice potrà personalizzare l'ammontare del risarcimento solo se sarà accertato che la sofferenza è stata di “particolare intensità”.

Ebbene, se questa è la volontà del legislatore, non mi pare che il decalogo, nella parte in cui ammette la autonoma liquidazione della sofferenza soggettiva in presenza di lesioni personali, sia conforme al dato normativo.

Condivisibile invece è il decalogo laddove stabilisce che il danno non patrimoniale conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati debba essere liquidato tenendo conto della sofferenza interiore del danneggiato ed anche della incidenza della lesione sulla dimensione dinamico-relazionale, senza automatismi risarcitori e dopo accurata ed approfondita istruttoria.

In assenza di una definizione normativa del danno non patrimoniale da lesione di valori costituzionali diversi dalla salute, non si potrà prescindere dal prudente apprezzamento del giudice che ben dovrà valutare sia la sofferenza in tutte le sue sfumature sia l'eventuale peggioramento degli aspetti dinamico-relazionali: ma il principio non è nuovo e, semmai, è una esplicitazione di quanto avevano chiarito le Sezioni Unite nel 2008, quando, occupandosi dell'illecito che costituisce reato, avevano affermato che «definitivamente accantonata la figura del c.d. danno morale soggettivo, la sofferenza morale, senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra pregiudizio non patrimoniale. Deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sé considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale. Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento d'animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza. Ove siano dedotte siffatte conseguenze, si rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente».

E poiché – oramai – è pacifico che non è l'art. 185 c.p. il perimetro all'interno del quale il danno non patrimoniale è risarcibile, dovendosene ammettere il ristoro quando è la legge che lo prevede espressamente o quando il fatto illecito incide beni e/o diritti di rango costituzionale, non pare potersi dubitare che il principio enunciato dalle Sezioni Unite e sopra richiamato valga non solo se il fatto illecito costituisce reato ma in tutti i casi in cui vengono in rilievo valori costituzionali.

Quindi il decalogo – laddove stabilisce i criteri cui attenersi nel determinare il danno non patrimoniale da lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati – ha solo indicato alcuni degli elementi (la sofferenza e gli aspetti dinamico-relazionali) che il giudice dovrà considerare nel liquidare il risarcimento ma che non esauriscono le possibili manifestazioni di un pregiudizio privo di conseguenze di natura patrimoniale.

Guida all'approfondimento

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ZIVIZ P., Prima furon le cose, e poi i nomi, in Responsabilità Civile e Previdenza, fasc. 6, 2014, pag. 1842;

ZIVIZ P., Di che cosa parliamo quando parliamo di danno non patrimoniale?, in Responsabilità Civile e Previdenza, fasc. 3, pag. 863

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