L'impugnazione della sentenza va proposta anche nei confronti del difensore distrattario?

18 Dicembre 2018

Nella vicenda in esame si pongono varie questioni inerenti alle modalità di proposizione dell'eccezione di responsabilità pro quota dei coeredi di cui all'art. 754 c.c. ed alla legittimazione del difensore distrattario o dei suoi eredi a partecipare al giudizio di impugnazione della sentenza contenente la statuizione di distrazione delle spese processuali.
Massima

Gli eredi del difensore distrattario, obbligato alla restituzione delle somme incassate a titolo di spese legali in forza di una sentenza di primo grado successivamente riformata in appello, al pari del loro dante causa non sono parte del processo nel quale le statuizioni sulle spese di lite assumono carattere meramente accessorio, e in tale veste subiscono gli effetti dell'eventuale riforma in sede di gravame, senza avere diritto ad interloquire sul merito della controversia o sulle statuizioni inerenti alle spese processuali, salvo che per ciò che concerne la distrazione concessa, od omessa nonostante la richiesta.

Il caso

Tizio conveniva in giudizio, dinanzi al tribunale di Catania, gli eredi dell'avv. Caio per sentirli condannare alla restituzione, in proporzione alle rispettive quote ereditarie, delle somme percepite da quest'ultimo, in qualità di distrattario delle spese processuali, in esecuzione di una sentenza di primo grado interamente riformata in appello.

Il tribunale accoglieva la domanda e, rilevato che i convenuti non avevano specificato l'entità delle rispettive quote ereditarie, condannava gli eredi dell'avv. Caio, in solido, alla restituzione delle somme percepite dal loro dante causa.

Gli eredi dell'avv. Caio proponevano appello, deducendo: 1) il vizio di ultrapetizione della sentenza di primo grado in relazione alla condanna disposta nei loro confronti in solido, posto che era stato proprio l'attore Tizio a chiedere, invece, la condanna dei convenuti in proporzione alle quote di eredità; 2) l'erroneità della sentenza impugnata per aver disatteso l'eccezione di nullità dell'atto di citazione per indeterminatezza del suo contenuto, posto che l'attore Tizio non aveva precisato l'esatta misura del credito restitutorio vantato singolarmente nei confronti di ciascuno di loro; 3) il difetto di motivazione in ordine all'eccepita nullità della sentenza d'appello posta a fondamento della pretesa restitutoria.

La questione

Nella vicenda in esame si pongono varie questioni inerenti alle modalità di proposizione dell'eccezione di responsabilità pro quota dei coeredi di cui all'art. 754 c.c. ed alla legittimazione del difensore distrattario o dei suoi eredi a partecipare al giudizio di impugnazione della sentenza contenente la statuizione di distrazione delle spese processuali.

Le soluzioni giuridiche

La Corte d'appello di Catania ha accolto il primo motivo di impugnazione, ritenendo che erroneamente il giudice di primo grado avesse condannato gli appellanti, in qualità di eredi dell'avv. Caio, alla restituzione in solido, anziché pro quota, delle somme percepite da quest'ultimo in qualità di distrattario delle spese processuali liquidate in separato giudizio.

É pur vero che, come sostenuto nella sentenza di primo grado, l'art. 754 c.c., per il quale gli eredi rispondono dei debiti del de cuius in relazione al valore della quota nella quale sono stati chiamati a succedere, con esclusione di qualsivoglia relazione di solidarietà tra le rispettive obbligazioni (giusto il principio "nomina et debita haereditaria ipso iure dividuntur"), si interpreta nel senso che il coerede convenuto per il pagamento di un debito ereditario ha l'onere di indicare al creditore la sua condizione di coobbligato passivo entro i limiti della propria quota, sicché, integrando tale dichiarazione gli estremi dell'istituto processuale dell'eccezione propria, la sua mancata proposizione consente al creditore di chiedere legittimamente il pagamento per l'intero (Cass. civ., 31 marzo 2015, n. 6431; Cass. civ., 12 luglio 2007, n. 15592; Cass. civ., 5 agosto 1997, n. 7216). Tuttavia, nel caso di specie, l'attore Tizio aveva già chiesto, fin dall'atto di citazione, la condanna degli eredi dell'avv. Caio alla restituzione delle spese giudiziali “in proporzione alle quote di eredità” (essendo tardiva la domanda di condanna “in solido” formulata solo all'udienza di precisazione delle conclusioni), ragion per cui non era necessario che i convenuti, al fine di avvalersi del carattere parziario della propria responsabilità, sollevassero tempestivamente (ossia nei termini di cui all'art. 166 c.p.c.) la predetta eccezione ex art. 754 c.c., né a fortiori era richiesto che tale eccezione fosse formulata specificando anche il valore delle rispettive quote ereditarie, trattandosi di onere in ogni caso non desumibile dal richiamato orientamento giurisprudenziale.

Per quanto attiene alla seconda doglianza inerente all'asserita nullità della citazione introduttiva del giudizio di primo grado, ai sensi degli artt. 163, nn. 3 e 4, e 164 c.p.c., la Corte d'appello ha ritenuto inconfigurabile tale vizio, posto che l'omessa individuazione della somma partitamente richiesta nei confronti di ciascuno dei coeredi non esclude la determinatezza della vantata pretesa creditoria, che trova il proprio fondamento, pur sempre, nell'unicità genetica dell'obbligazione gravante sul de cuius. Invero, il fatto che, ai sensi dell'art. 754 c.c., ciascuno dei coeredi sia tenuto verso i creditori in proporzione della sua quota, comporta solo che, a seguito della successione, ciascuno dei debitori “non è tenuto a pagare il debito che per la sua parte”, a norma dell'art. 1314 c.c., e non significa anche che sussistono originariamente tanti autonomi rapporti quanti sono gli eredi, giacché il debito di ognuno (pro quota) ha comunque la sua fonte nell'unitaria obbligazione del de cuius (Cass. civ., 27 settembre 2007, n. 20338).

Infine, con il terzo motivo, gli appellanti assumono che la sentenza di appello - che, riformando quella di primo grado, avrebbe fatto insorgere la pretesa restitutoria di Tizio - in quanto nulla per mancata interruzione del giudizio a seguito del decesso dell'avv. Caio, non sarebbe agli stessi opponibile, sicchè Tizio avrebbe dovuto far valere la sua pretesa restitutoria, inerente alle spese processuali, nei confronti della sola parte difesa dall'avv. Caio, e non anche nei confronti di quest'ultimo (rectius: dei suoi eredi), non evocato quale legittimato passivo nel giudizio d'appello conclusosi con la predetta sentenza.

Anche tale doglianza è ritenuta infondata dalla sentenza in commento, in quanto l'impugnazione della sentenza che ha distratto le spese a favore dell'avvocato della parte vittoriosa non deve essere proposta anche nei confronti dell'avvocato distrattario, posto che, da un lato, tale avvocato è legittimato a partecipare al giudizio di impugnazione solo qualora la controversia verta sulla pronuncia di distrazione, e che, dall'altro, il capo della sentenza reso sull'istanza di distrazione è destinato a cadere, in caso di accoglimento dell'impugnazione, nello stesso modo in cui cade quello sulle spese reso nell'ambito dell'unico rapporto processuale.

In sostanza, come il difensore non è parte nel giudizio di primo grado benchè l'art. 93 c.p.c. preveda che il giudice possa condannare la controparte soccombente al pagamento delle spese direttamente in suo favore, allo stesso modo non lo diventa se, disposta la distrazione ed effettuato dal soccombente il pagamento, quest'ultimo richieda in appello la riforma della sentenza per motivi che non si appuntino specificamente contro l'attribuzione delle spese al difensore della parte vittoriosa, ma attengano invece alla causa che si è svolta tra le parti del rapporto controverso. Il difensore distrattario, quindi, subisce fisiologicamente, ai fini restitutori, gli effetti della riforma in peius della sentenza di primo grado, salvo il suo diritto a percepire dalla parte assistita quanto abbia dovuto restituire alla controparte.

Partendo da tali premesse, la Corte d'appello di Catania ha quindi sostenuto che, qualora venga riformata in appello la sentenza di primo grado che abbia distratto le spese processuali a favore del difensore della parte vittoriosa, il soggetto tenuto alla restituzione delle somme corrisposte a tale titolo è il medesimo difensore distrattario, quale parte del rapporto intercorrente tra chi ha ricevuto il pagamento non dovuto e chi lo ha effettuato; quest'ultimo, ossia il solvens, anche in separato giudizio, può agire per ottenere la rifusione dell'intera diminuzione patrimoniale subita, con gli interessi dal giorno del pagamento (Cass. civ., 4 aprile 2013, n. 8215). Non rileva, in proposito, al fine di pregiudicare il diritto alla restituzione delle spese processuali, l'eventuale vizio da cui sia affetta la sentenza d'appello (che abbia riformato quella di primo grado contenente la distrazione delle spese), se tale vizio (che non può essere fatto valere dal difensore distrattario qualora non attenga specificamente alla distrazione delle spese) non sia stato contestato in sede di legittimità dalla parte che se ne ritenga pregiudicata, in quanto nessuna lesione al diritto di difesa del procuratore distrattario è ipotizzabile, non essendo egli parte del processo, né legittimato ad interloquire sul merito della controversia, sull'esito della stessa, sulle conseguenti statuizioni concernenti le spese di lite, con l'unica limitata eccezione di quelle che dispongano, o non dispongano, la distrazione.

Pertanto, la Corte d'appello di Catania, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha condannato gli appellanti, in qualità di coeredi dell'avv. Caio, alla restituzione, in proporzione delle rispettive quote ereditarie (anziché in solido), delle spese di lite percepite da quest'ultimo.

Osservazioni

I principi affermati nella sentenza in commento sono condivisibili.

Per costante giurisprudenza, i coeredi, che intendano avvalersi della limitazione di responsabilità prevista dall'art. 754 c.c., devono sollevare tempestivamente la relativa eccezione, al fine di non incorrere nelle decadenze di cui all'art. 167 c.p.c.. Invero, anche di recente, si è ribadito che l'esclusione del vincolo di solidarietà passiva, in ordine ai debiti del de cuius, costituisce un'eccezione in senso stretto, soggetta alle relative decadenze (Cass. civ., sez. lav., 28 settembre 2016, n. 19186, la quale ha confermato la decisione di merito sulla tardività della suddetta eccezione, proposta in corso di causa, e non già con l'atto di opposizione a decreto ingiuntivo, da eredi convenuti per la restituzione di somme a loro corrisposte in esecuzione di una sentenza riformata in grado di appello).

Nel caso in esame, tuttavia, la questione della tempestiva proposizione dell'eccezione di responsabilità pro quota dei coeredi neppure si poneva, in quanto il creditore del de cuius aveva agito in giudizio chiedendo ab origine la condanna dei convenuti pro quota, sicchè il giudice di primo grado non avrebbe potuto, a pena di violare il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ex art. 112 c.p.c., condannare invece i coeredi in solido.

In ordine alla legittimazione dell'avvocato distrattario, deve invece rammentarsi che, in linea di principio, l'istanza di distrazione delle spese processuali consiste nel sollecitare l'esercizio del potere/dovere del giudice di sostituire un soggetto (il difensore) ad altro (la parte) nella legittimazione a ricevere dal soccombente il pagamento delle spese processuali e non introduce, dunque, una nuova domanda nel giudizio, perchè non ha fondamento in un rapporto di diritto sostanziale connesso a quello da cui trae origine la domanda principale; ne consegue, da un lato, che, non essendo applicabili le norme processuali sui rapporti dipendenti, l'impugnazione della sentenza non deve essere rivolta anche contro il difensore distrattario, benchè il capo della sentenza reso sull'istanza di distrazione sia destinato a cadere nello stesso modo in cui cade quello sulle spese reso nell'ambito dell'unico rapporto processuale, e che, dall'altro, il difensore distrattario subisce legittimamente gli effetti della sentenza di appello di condanna alla restituzione delle somme già percepite in esecuzione della sentenza di primo grado, benchè non evocato personalmente in giudizio (Cass. civ., 25 ottobre 2017, n. 25247; Cass. civ., 15 aprile 2010, n. 9062).

Il difensore distrattario, invero, assume la qualità di parte, sia attivamente che passivamente, esclusivamente quando sorga controversia sulla distrazione, ossia quando la sentenza impugnata non abbia pronunciato sull'istanza di distrazione o l'abbia respinta, oppure quando il gravame investa la pronuncia stessa di distrazione (Cass. civ., 4 novembre 2014, n. 23444). In applicazione di tale principio, si è, ad es., ritenuto che il difensore antistatario in favore del quale siano state distratte le spese, liquidate con decreto ingiuntivo emesso a favore del suo assistito, non sia legittimato ad intervenire nel giudizio di opposizione ex art. 645 c.p.c. se non quando nello stesso si controverta anche sulla disposta distrazione, e con una possibilità di interlocuzione limitata al profilo della distrazione e non anche estesa alla sussistenza del credito azionato in via monitoria o alla misura delle spese liquidate (Cass. civ., 28 dicembre 2016, n. 27166). Deve, tuttavia, rilevarsi che la richiamata giurisprudenza appare superata nell'ipotesi in cui il giudice abbia omesso qualsivoglia statuizione in ordine alla, pur richiesta, distrazione delle spese processuali: in tal caso, infatti, il difensore, anziché proporre impugnazione, potrà ricorrere al procedimento di correzione degli errori materiali disciplinato dagli artt. 287 e 288 c.p.c., come stabilito di recente dalle Sezioni Unite (sent. 7 luglio 2010, n. 16037; conforme Cass. civ., 17 maggio 2017, n. 12437), le quali, per esigenze di economia processuale ed in ossequio al principio di ragionevole durata del processo, hanno superato il precedente contrario orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., 9 gennaio 1997, n. 110).

In ogni caso, va rammentato che la sentenza d'appello che, in riforma di quella di primo grado, faccia sorgere il diritto alla restituzione degli importi pagati in esecuzione di questa, non costituisce, in mancanza di un'espressa statuizione di condanna alla ripetizione di dette somme, titolo esecutivo, occorrendo all'uopo che il solvens attivi un autonomo giudizio, ovvero che formuli in sede di gravame un'apposita domanda in tal senso (Cass. civ., 16 giugno 2016, n. 12387).

Nel primo caso (autonomo giudizio), non sarà opponibile al solvens il giudicato derivante dalla mancata impugnazione della sentenza per omessa pronuncia, perché la rinuncia implicita alla domanda di cui all'art. 346 c.p.c. ha valore processuale e non anche sostanziale (Cass. civ., 10 luglio 2018, n. 18062).

Nel secondo caso, la domanda di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado, essendo conseguente alla richiesta di modifica della decisione impugnata, non costituisce domanda nuova ex art. 345 c.p.c.. La giurisprudenza non è, però, concorde nell'individuazione dei limiti temporali di proponibilità di tale domanda, atteso che, secondo una prima tesi, la stessa andrebbe formulata, a pena di decadenza, con l'atto di appello, se proposto successivamente all'esecuzione della sentenza impugnata, essendo invece ammissibile la proposizione nel corso del giudizio soltanto qualora l'esecuzione della sentenza sia avvenuta successivamente alla proposizione dell'impugnazione (Cass. civ., 24 luglio 2017, n. 18203; Cass. civ., 5 maggio 2011, n. 9987; Cass. civ., 19 dicembre 2007, n. 26795); resta in ogni caso inammissibile la domanda di restituzione proposta con la comparsa conclusionale in appello (Cass. civ., 4 ottobre 2013, n. 22753). Secondo altro, minoritario, orientamento, invece, la condanna alla restituzione può essere pronunciata d'ufficio dal giudice d'appello a prescindere da una tempestiva domanda dell'appellante, purchè quest'ultimo quanto meno alleghi la circostanza dell'intervenuta esecuzione dell'impugnata sentenza (Cass. civ., 12 febbraio 2016, n. 2819; Cass. civ., 9 ottobre 2012, n. 17227).

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