Vito Amendolagine
18 Dicembre 2018

L'art. 447-bis c.p.c. ha introdotto per le controversie relative ai rapporti di locazione degli immobili urbani il rito del lavoro. La ragione della scelta del rito lavoristico è stata individuata nell'idoneità di esso ad assicurare risposte giurisdizionali pronte ed efficaci in un settore particolare della vita quotidiana di relazione, in cui esse si palesano maggiormente necessarie. Nel corso della trattazione, si approfondiscono
Inquadramento

Il testo dell'art. 447-bis c.p.c. introdotto dall'art.70della l. 26 novembre 1990, n.353, accoglie una nozione omnicomprensiva di controversie in materia di locazione, a tale fine, prevedendo che le controversie in materia di locazione e comodato di immobili urbani e quelle di affitto di aziende sono disciplinate dagli artt. 414 e ss. Sul piano applicativo del perimetro dell'art. 447-bis c.p.c. riguardante gli immobili urbani, quest'ultimi non sono soltanto gli immobili situati in area urbana, ma anche tutti gli immobili collocati in area extraurbana non destinati ad un'attività agricola, sia pure per connessione, in quanto, ai fini dell'applicabilità della normativa sulle locazioni urbane la qualifica dell'immobile come “urbano” non è collegata, di per sé, all'ubicazione dello stesso, bensì alla natura dell'attività che in esso si svolge, come peraltro può evincersi anche dalla l. n. 431/1998, la quale, nel disciplinare le locazioni abitative, non contiene alcun riferimento al carattere “urbano” degli immobili concessi in locazione.

La norma anzidetta indica dunque espressamente quali norme del rito del lavoro trovano applicazione alle controversie oggetto del processo locatizio.

Ciò premesso, nell'ampia nozione di cause relative a rapporti di locazione di immobili urbani, soggette al rito speciale di cui all'art. 447-bis c.p.c., sono da ricomprendere tutte le controversie comunque riferibili ad un contratto di locazione, che attengano, cioè, non solo alla sua esistenza, validità ed efficacia, ma altresì a tutte le altre possibili sue vicende, e segnatamente, a quelle che involgano l'adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto in base alla disciplina codicistica od a quella di settore della legislazione speciale.

Il rito locatizio

In via di principio si rammenta che nell'ampia nozione di cause relative a rapporti di locazione di immobili urbani, soggette al rito speciale di cui all'art. 447-bis c.p.c., sono da ricomprendere tutte le controversie comunque riferibili ad un contratto di locazione, che attengano, cioè, non solo alla sua esistenza, validità ed efficacia, ma altresì a tutte le altre possibili sue vicende, e segnatamente, a quelle che involgano l'adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto (Cass. civ., sez.III, 3 aprile 2013, n.8114).

Le controversie locatizie sono trattate attraverso il rito del lavoro secondo quanto previsto dall'art. 447-bis, c.p.c. nel cui ambito ricade anche il procedimento sommario di intimazione di sfratto o licenza ove non dia luogo alla pronuncia dell'ordinanza di convalida, che va anch'esso a confluire nel rito locatizio ordinario o a cognizione piena attraverso lo snodo dell'ordinanza di trasformazione del rito cui si riferisce l'art. 667 c.p.c.

L'ambito di applicazione del rito locatizio è tassativamente circoscritto alle controversie in materia di locazione e comodato di immobili urbani e di affitto di aziende, atteso che l'operatività dell'art. 447-bis c.p.c. è ricollegata a contratti tipici (Trib. Roma 28 gennaio 2017).

In passato, si è anche discusso in ordine all'applicabilità del rito sommario di cognizione alle controversie locatizie. La posizione assunta dalla giurisprudenza di merito su tale questione non è stata univoca, essendosi confrontati due orientamenti, uno favorevole all'applicazione del rito disciplinato dall'art. 702-bis c.p.c. nelle controversie rientranti in quelle disciplinate dal rito del lavoro, e, quindi, nel perimetro normativo dell'art. 447 bis c.p.c. (Trib. Napoli 25 gennaio 2011), ed un altro nettamente sfavorevole (Trib. Modena 18 gennaio 2010).

Ciò premesso, la trattazione della causa con il rito locatizio, che si conforma, con i dovuti adattamenti, a quello del lavoro, anziché con quello ordinario, non involge una questione di costituzione del giudice, cui è estranea la distinzione tra giudice ordinario e giudice del lavoro, e determina, pertanto, solo una nullità relativa da considerarsi sanata allorché non sia fatta valere nella prima difesa o istanza successiva al compimento dell'atto processuale viziato (Cass. civ., sez. I, 19 gennaio 2017, n.1332).

Il comma 2 dell'art. 447-bis c.p.c. enuncia espressamente che sono nulle le clausole di deroga alla competenza.

Il riferimento è alla sola competenza per territorio, con la conseguenza che la clausola di compromissione in arbitri di una controversia ordinaria in materia locativa non è colpita dalla sanzione della nullità stabilita dalla suddetta norma (Cass. civ., sez.I, 26 ottobre 2015, n. 21709; Cass. civ., sez.I, 22 agosto 2013, n.19393; Cass. civ., sez. I, 19 febbraio 2000, n. 1914).

Il giudice può disporre d'ufficio, in qualsiasi momento, l'ammissione di ogni mezzo di prova indicato dalle parti, ad eccezione del giuramento decisorio.

Le sentenze di condanna di primo grado sono provvisoriamente esecutive, ed all'esecuzione si può procedere anche con la sola copia del dispositivo in pendenza del termine per il deposito della sentenza.

Il giudice d'appello può disporre con ordinanza non impugnabile che l'efficacia esecutiva o l'esecuzione siano sospese quando dalle stesse possa derivare all'altra parte gravissimo danno.

In evidenza

La disciplina dettata dall'art. 29, comma 2, della l. 27 luglio 1978, n. 392, con riguardo agli immobili adibiti all'esercizio di albergo, pensione o locanda, trova applicazione anche con riguardo agli immobili adibiti all'esercizio dell'attività di affittacamere (Cass. civ., sez. III, 13 luglio 1982, n.4124).

Il rito locatizio in primo grado

Nel procedimento per convalida di licenza o sfratto, l'opposizione dell'intimato dà luogo alla trasformazione del giudizio in un processo di cognizione, destinato a svolgersi nelle forme di cui all'art. 447-bis c.p.c., con la conseguenza che, non essendo previsti specifici contenuti degli atti introduttivi del giudizio, il thema decidendum risulta cristallizzato solo in virtù della combinazione degli atti della fase sommaria e delle memorie integrative di cui all'art. 426 c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 16 dicembre 2014, n.26356).

L'onere di determinare l'oggetto della domanda è validamente assolto anche quando l'istante ometta di indicare esattamente la somma pretesa dalla parte convenuta, a condizione che abbia però indicato i titoli posti a fondamento della propria pretesa, ponendo in tale modo il medesimo convenuto in condizione di formulare le proprie difese (Cass. civ., sez.III, 28 maggio 2009, n. 12567).

Conseguentemente, nel rito del lavoro applicabile alle controversie in materia di locazione ex art. 447-bis c.p.c., la valutazione di nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, per mancata determinazione dell'oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto sulle quali questa si fonda, implica una interpretazione dell'atto introduttivo della lite da parte del giudice del merito (Cass. civ., sez.III, 9 marzo 2018, n.5637).

Al riguardo, va precisato che sebbene nel rito del lavoro, caratterizzato dall'esigenza di contemperare il principio dispositivo con quello della ricerca della verità materiale, l'uso dei poteri istruttori da parte del giudice ex art. 421 c.p.c. ed ex art. 447-bis, comma 3, c.p.c., non ha carattere discrezionale, ma costituisce un potere-dovere del cui esercizio o mancato esercizio lo stesso giudice è tenuto a dare conto (Cass. civ., sez.lav., 25 ottobre 2017, n.25374), è altrettanto vero che tali poteri, non possono travalicare i limiti dell'accertamento dei fatti allegati puntualmente e tempestivamente dalle parti costituite (Cass. civ., sez.lav., 11 agosto 2004, n.15618; Cass. civ., sez. lav., 25 agosto 2003, n.12477), atteso che l'attività del giudice può sopperire alla fase istruttoria, non già alla fase che attiene all'esposizione dei fatti (Cass. civ., sez.III, 5 luglio 2018, n.17596).

Nelle controversie soggette al rito di cui agli artt. 409 ss. c.p.c. l'inosservanza dell'onere, posto dall'art. 418 c.p.c. a carico del convenuto, di chiedere la fissazione di una nuova udienza comporta la decadenza dalla riconvenzionale e l'inammissibilità di questa, decadenza che non è sanata dall'emissione da parte del giudice, in difetto della specifica istanza, del decreto di fissazione della nuova udienza o dall'accettazione del contraddittorio ad opera della controparte o per avere quest'ultima sollevato l'eccezione esclusivamente nel corso del giudizio di appello e che, attenendo alla regolarità del contraddittorio, è rilevabile anche d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo (Cass. civ., sez. III, 17 maggio 2005, n.10335; Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2003, n. 2777, Cass., sez. lav., 21 luglio 2001, n. 9965; da ultimo, sulla inammissibilità della domanda riconvenzionale proposta in violazione dell'art. 418 c.p.c., v. Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 2017, n.3549; Cass. civ., sez.III, 26 maggio 2014, n. 11679).

In evidenza

Il mutamento del rito da ordinario a speciale non determina - neppure a seguito di fissazione del termine perentorio di cui all'art. 426 c.p.c. per l'integrazione degli atti introduttivi - la rimessione in termini rispetto alle preclusioni già maturate alla stregua della normativa del rito ordinario, dovendosi correlare tale integrazione alle decadenze di cui agli artt. 414 e 416 c.p.c. e non valendo la stessa a ricondurre il processo ad una fase anteriore a quella già svoltasi (Cass. civ., sez.III, 30 dicembre 2014, n.27519).

IL RITO EX ART. 702-BIS C.P.C. NELLE CONTROVERSIE LOCATIZIE: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

No all'applicazione del rito sommario di cognizione nelle

Le controversie soggette al rito locatizio non sono suscettibili di essere trattate nelle forme del rito sommario di cui all'art. 702-bis c.p.c. perché gli atti introduttivi del rito sommario sono modellati sul contenuto dell'atto di citazione e della comparsa di risposta ex artt. 163 e 167 c.p.c. e non del ricorso e della memoria difensiva ex artt. 414 e 416 c.p.c., con la conseguenza, di non poco momento, che l'indicazione in essi dei mezzi di prova non è prevista a pena di decadenza e che diverso è l'onere di contestazione gravante sul convenuto, sicché, ove il giudice ritenga che le difese svolte dalle parti richiedano un'istruzione non sommaria e disponga il prosieguo del processo nelle forme della cognizione piena, non essendo prevista alcuna possibilità di integrazione degli atti, le parti, e soprattutto il convenuto, si troverebbero a non poter dedurre nuovi mezzi di prova e produrre documenti, se non nei limiti dell'art. 420, comma 5, c.p.c. (Trib. Torre Annunziata, 10 febbraio 2010).

Si all'applicazione del rito sommario di cognizione

Il rito sommario di cognizione può trovare applicazione anche per le controversie nelle quali diversamente dovrebbe trovare applicazione il rito del lavoro ex art. 447 -bis c.p.c., atteso che il rito sommario di cognizione è precluso per le cause che rientrano nella competenza decisoria del collegio, indipendentemente dal rito prescritto (Trib. Lamezia Terme 12 marzo 2010).

Controversie locatizie e mediazione

A mente dell'art. 5 del d.lgs. n. 28/2010, la mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale in materia di locazione e detta disposizione non si applica nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'art. 667 c.p.c., il che, a contrario, implica l'applicazione della suddetta disposizione anche al procedimento di convalida successivamente al mutamento del rito disposto dal giudice (Trib. Massa 19 gennaio 2018).

Infatti l'opposizione dell'intimato allo sfratto introduce una controversia civile in materia di diritti disponibili e, in particolare, una controversia in materia di locazione che, in funzione deflativa, va preceduta dal procedimento di mediazione (Trib. Modena 6 marzo 2012).

La proposizione di opposizione alla convalida di sfratto determinando il mutamento del rito con il passaggio al giudizio a cognizione piena in cui l'assetto processuale e l'interesse astratto ad agire delle parti andrà valutato secondo gli ordini criteri, avuto riguardo alle domande delle parti, comporta che è il locatore, che ha introdotto il procedimento con rito sommario, ad avere interesse a coltivare la domanda, ove intenda ottenere l'accertamento nel merito dell'inadempimento del conduttore, conseguendo una pronuncia che statuisca sulla l'intervenuta risoluzione del contratto e sulle spese.

D'altro canto la circostanza che sia stato emessa l'ordinanza provvisoria di rilascio ex art. 665 c.p.c. fa sorgere anche in capo al convenuto opponente l'interesse a coltivare il giudizio, al fine di pervenire ad una pronuncia di accoglimento della opposizione, che travolga nel merito il provvedimento interinale emanato dal giudice al termine della fase sommaria.

Di tal ché, si potrebbe sostenere cheladdove sia stata emessa ordinanza provvisoria di rilascio, pare sussistere interesse di entrambe le parti ad addivenire ad una pronuncia di merito e, conseguentemente, ad attivarsi affinché maturi la condizione di procedibilità e possa pertanto applicarsi, in difetto di positiva condotta delle due parti, totale compensazione delle spese di lite.

Tuttavia, l'eventuale improcedibilità del giudizio, secondo un orientamento giurisprudenziale di merito (Trib. Bologna 17 novembre 2015), si è ritenuto che non travolga l'ordinanza di rilascio, perché sebbene detta ordinanza non sia idonea ad acquistare autorità di giudicato in ordine al diritto fatto valere dal locatore, può essere qualificato come provvedimento di condanna con riserva delle eccezioni del convenuto, i cui effetti permangono fino a quando non viene emessa la sentenza di merito.

Pertanto, se il giudizio a cognizione piena, per estinzione anche se non espressamente richiamata dagli artt. 665- 667 c.p.c. o per declaratoria di improcedibilità, non sfocia in una pronuncia di merito che prenda il posto dell'ordinanza di rilascio, ne deriva la stabilizzazionedella stessa, in quanto difetta una pronuncia di merito che si saldi a detta ordinanza assorbendola, se si tratta di pronuncia di accoglimento della domanda di condanna al rilascio, oppure caducandola, se si tratta di pronuncia di rigetto della domanda di condanna al rilascio (Trib. Monza 1° dicembre 2017).

Sull'argomento, riguardante una controversia di opposizione a decreto ingiuntivo, si è espressa la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez.III, 3 dicembre 2015, n.24629) affermando che è l'opponente che ha il potere e l'interesse ad introdurre il giudizio di merito, cioè la soluzione più dispendiosa, osteggiata dal legislatore.

È dunque sull'opponente che deve gravare l'onere della mediazione obbligatoria perché è l'opponente che intende precludere la via breve per percorrere la via lunga, con la precisazione che l'adozione di una diversa soluzione sarebbe palesemente irrazionale perché premierebbe la passività dell'opponente (conduttore) e accrescerebbe gli oneri della parte creditrice (locatore).

Un risalente ma non contraddetto orientamento di merito, ha poi ritenuto che l'art. 186-ter c.p.c., non è incompatibile con il rito locatizio, poiché la ratio dell'ordinanza di ingiunzione emessa in corso di causa invita ad estenderne l'applicabilità anche ai procedimenti a tutela differenziata (Pret. Venezia 20 marzo 1997).

Questioni processuali

Gli artt. 21 e 447-bis c.p.c., nell'assegnare inderogabilmente la competenza territoriale al giudice del luogo in cui si trova l'immobile, fa espresso riferimento, fra l'altro, alle “cause in materia di locazione”.

In tale formula, certamente più ampia rispetto al termine “rapporto”, devono ritenersi comprese tutte le controversie comunque collegate alla materia della locazione, e, quindi, anche quelle nelle quali si controverte in ordine ad un rapporto ancora da costituire ma di cui si invoca la costituzione in forma specifica ai sensi dell'art. 2932 c.c. sulla base di un preliminare (Cass. civ., sez.I, 16 gennaio 2003, n.581; contra, Cass. civ., sez.III, 6 ottobre 2005, n.19473, in cui si è affermato il principio che ove sia sollevato regolamento di competenza d'ufficio relativamente alla cognizione di una domanda tendente all'ottenimento di una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. e produttiva degli effetti di compravendita, in relazione all'esercizio del diritto di prelazione connesso ad un preesistente contratto di locazione, deve ritenersi che l'oggetto della causa non inerisca ad una controversia locatizia, cui si applica la disciplina prevista dall'art. 447-bis c.p.c., dovendosi, invece, affermare la competenza territoriale e per materia del giudice che debba conoscere dell'azione concernente l'esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto).

Con specifico riferimento all'obbligazione risarcitoria posta a carico del conduttore dall'art. 1591 c.c., il quale stabilisce che questi debba corrispondere fino al rilascio una somma pari al corrispettivo convenuto, oltre a risarcire l'eventuale maggior danno, l'orientamento della giurisprudenza è nel senso della sicura applicabilità del rito locatizio (Cass. civ., sez. III, 10 settembre 1998, n.8964).

Un tale principio del resto, già affermato per le controversie di lavoro in cui, nonostante l'art. 409 c.p.c. faccia riferimento alla nozione più ristretta desumibile dal termine “rapporti”, si è ritenuto in esso compreso anche i rapporti ancora da costituire come quelli relativi all'assunzione, deve trovare a maggiore ragione applicazione in presenza della normativa in esame che alla nozione più ampia di “materia” fa riferimento.

Indipendentemente dalla definizione della nozione di controversia in materia di locazione di cui all'art. 447 bis c.p.c., si deve fare qui applicazione del costante orientamento dì legittimità (Cass. civ., sez. III, 13 maggio 2008, n. 11903; Cass. civ., sez. III, 18 luglio 2008, n. 19942; Cass. civ., sez. II, 31 ottobre 2013, n. 24561) in forza del quale l'omissione nel cambiamento del rito - da speciale ad ordinario, o da ordinario a speciale - non produce di per sé l'inesistenza o la nullità del processo né della relativa pronuncia (Cass. civ., sez.III, 27 gennaio 2015, n.1448).

Infatti perché essa assuma rilevanza invalidante occorre infatti che la parte che se ne dolga in sede di impugnazione indichi il suo fondato interesse alla rimozione di uno specifico pregiudizio processuale da essa concretamente subito per effetto della mancata adozione del rito diverso.

Ciò in quanto l'individuazione del rito nel caso di specie non deve essere considerata fine a se stessa, ma soltanto nella sua idoneità ad incidere significativamente sul diritto di difesa, sul contraddittorio e, in generale, sulle prerogative processuali protette della controparte.

Non sussiste un rapporto di pregiudizialità che possa giustificare la sospensione del processo ex art. 295 c.p.c. tra la controversia, pendente tra locatore e locatario, per l'intervenuta scadenza del contratto di locazione ed il giudizio di sfratto per morosità intentato dal primo nei confronti del sub-conduttore, sulla scorta della parziale diversità soggettiva delle parti dei rispettivi giudizi, tenuto altresì conto che l'obbligo del sub-conduttore al pagamento dei canoni in favore del sub-locatore perdura fino a quando pende la detenzione dell'immobile, senza che assuma rilievo l'intervenuta risoluzione del primo contratto di locazione (Cass. civ., sez.VI/III, 17 luglio 2015, n.15094).

La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che il provvedimento di sospensione si rende necessario solo se la fattispecie costitutiva del giudizio pregiudicato presenti fra i suoi elementi un fatto-diritto riguardo al quale, fra le stesse parti, penda altro giudizio che abbia direttamente ad oggetto il medesimo fatto-diritto, tale da rendere necessaria la sospensione del processo dipendente, imponendosi un identico accertamento al fine di evitare il contrasto di giudicati (Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2012, n. 16188, in motivazione, nonchè, fra le altre, cfr. Cass. civ., sez. VI, 21 dicembre 2011, n. 27932; Cass. civ., sez. III, 8 aprile 2009, n. 8562; Cass. civ., sez. VI, 30 giugno 2015, n. 13423).

In buona sostanza, deve trattarsi di una decisione che costituisca un indispensabile antecedente logico-giuridico (così Cass. civ., sez. III, 3 agosto 2005, n.16216).

In tema di riparto di giurisdizione nelle controversie concernenti gli alloggi di edilizia economica e popolare, la giurisprudenza di legittimità è costante nell'affermare che sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo quando si controverta dell'annullamento dell'assegnazione per vizi incidenti sulla fase del procedimento amministrativo, fase che è strumentale all'assegnazione medesima ed è caratterizzata dall'assenza di diritti soggettivi in capo all'aspirante al provvedimento, mentre sussiste la giurisdizione del giudice ordinario per tutte le controversie attinenti alla fase successiva al provvedimento di assegnazione, nella quale la P.A. non esercita alcun potere autoritativo, ma agisce quale parte di un rapporto privatistico di locazione (Cass. civ., sez. un., 9 ottobre 2013, n. 22957; Cass. civ., sez. un., 28 dicembre 2011, n. 29095). In tale ultimo àmbito, va ricondotta la controversia avente ad oggetto il diritto alla successione nell'assegnazione del terzo familiare al subentro, quando le condizioni che lo consentono derivano direttamente dalla previsione legislativa, riguardo alle quali manca qualsiasi valutazione discrezionale della P.A. (Cass. civ., sez. un., 21 luglio 2011, n.15977; Cass. civ., sez. un., 16 gennaio 2007, n.757; Cass. civ., sez. un., n. 22079/2017).

In tema di opposizione a decreto ingiuntivo, lo sviluppo di pregressi e consolidati principi processuali ha condotto la giurisprudenza di legittimità ad affermare che la costituzione in giudizio dell'opponente avvenuta mediante deposito in cancelleria, oltre che della nota di iscrizione a ruolo, del proprio fascicolo contenente, tuttavia, copia dell'atto di citazione (velina) anziché, come previsto dall'art. 165 c.p.c., l'originale di essa, non arreca alcuna lesione sostanziale ai diritti della parte opposta e, in difetto di una specifica previsione di improcedibilità dell'opposizione, costituisce mera irregolarità, che resta sanata dal successivo deposito dell'originale medesimo (Cass. civ., sez. I, 20 luglio 2015, n.15130).

In combinazione di tale principio con l'altro consolidato (Cass. civ., sez. VI, 29 dicembre 2016, n. 27343), secondo cui la proposizione di opposizione a decreto ingiuntivo in materia locatizia erroneamente avvenuta con rito ordinario anziché con il dovuto rito del lavoro resta sanata in caso di deposito dell'atto di citazione mediante iscrizione a ruolo della causa entro il termine perentorio di quaranta giorni dalla notifica del monitorio, è evidente che l'opposizione a decreto ingiuntivo in materia locatizia avvenuta mediante tempestiva iscrizione a ruolo della sola velina è rituale, purché l'iscrizione a ruolo abbia luogo entro il termine fissato per l'opposizione e sia seguito dal deposito dell'originale (Cass. civ., sez.VI, 19 settembre 2017, n.21671).

Le impugnazioni

Nel rito del lavoro e, conseguentemente, nel c.d. rito locatizio, al quale art. 447-bis c.p.c., estende le sue norme in quanto applicabili, il termine di dieci giorni assegnato all'appellante per la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza di discussione ex art. 435, comma 2, c.p.c., non è perentorio e, pertanto, la sua inosservanza non comporta decadenza, sempre che resti garantito all'appellato lo spatium deliberandi non inferiore a venticinque giorni prima dell'udienza di discussione della causa ai sensi dell'art. 435, comma 3, c.p.c., perché egli possa apprestare le proprie difese (Cass. civ., sez. VI, 14 luglio 2011, n. 15590; Cass. civ., sez. VI, 15 ottobre 2010, n. 21358).

Invero - come osservato in specie nella sentenza n. 21358/2010 - l'art. 435, comma 2, c.p.c., alla stregua del quale l'appellante, nei dieci giorni successivi al deposito del decreto, provvede alla notifica del ricorso e del decreto all'appellato, deve essere letto e interpretato in relazione al contenuto del successivo comma 3 dello stesso articolo, alla stregua del quale, tra la data di notificazione all'appellato e quella dell'udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di venticinque giorni.

Il che evidenzia come lo stesso legislatore, nel porre il suddetto termine ordinatorio di cui al comma 2, abbia disciplinato le conseguenze di una eventuale inosservanza di tale termine, prevedendo, in buona sostanza, al comma 3, che la notifica effettuata mantiene i suoi effetti, anche in caso di mancato rispetto del termine di cui al comma precedente, allorché tra la data di notificazione e quella dell'udienza permanga un termine non inferiore a venticinque giorni.

In sostanza appare chiaro, dal complesso dei due commi della disposizione all'esame, che il legislatore ha regolato normativamente le conseguenze della inosservanza del termine di cui al comma 2, prevedendo in via generalizzata il permanere degli effetti della compiuta notifica nell'ipotesi prevista dal comma 3, in tale modo superando - alla stregua delle stesse previsioni codicistiche - la necessità di uno specifico provvedimento autorizzatorio o di proroga da parte del giudice prima della scadenza dello stesso termine (Cass. civ., sez.VI, 16 luglio 2012, n.12158).

Inoltre, nelle controversie cui è applicabile il rito locatizio ex art. 447-bis c.p.c., ai fini della tempestività dell'appello erroneamente proposto con atto di citazione anziché con ricorso assume rilievo soltanto la data del deposito in cancelleria, considerandosi in tal modo esso perfezionato, con il conseguente impedimento di ogni decadenza dall'impugnazione, alla stregua del principio di conservazione degli atti processuali, anche in relazione al termine di impugnazione ex art. 327 c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 22 aprile 2010, n. 9530).

La giurisprudenza di legittimità ha avuto altresì più volte modo di affermare che il deposito in Cancelleria, in luogo dell'originale, di copia - ancorché informale - dell'atto è invero idoneo a soddisfare la finalità presupposta dalla norma di radicare il procedimento di impugnazione, e di consentire al giudice di procedere alla preliminare verifica in ordine alla ricorrenza della relative condizioni di ammissibilità e procedibilità e alla costituzione del contraddittorio, costituendo al più mera irregolarità rispetto alla modalità stabilita dalla legge non arrecante alcuna lesione sostanziale ai diritti della controparte, sicché non può derivarne l'improcedibilità del gravame, non essendo riconducibile ad alcuna delle ipotesi di mancata tempestiva costituzione dell'appellante (Cass. civ., sez.III, 26 maggio 2011, n.11591).

Procedura per il rilascio

Il procedimento per diniego di rinnovazione alla prima scadenza di cui all'art. 30 l. n. 392/1978, anch'esso modellato sul rito del lavoro è tutt'ora vigente, e prevede che avvenuta la comunicazione di cui al comma 3 dell'art. 29 della stessa l. n.392/1978 e prima della data per la quale è richiesta la disponibilità, ovvero, quando tale data sia trascorsa senza che il conduttore abbia rilasciato l'immobile, il locatore può convenire in giudizio il conduttore, osservando le norme previste dall'art. 447-bis c.p.c.

La competenza per territorio è ovviamente il giudice nella cui circoscrizione è posto l'immobile, e in tale ottica, la norma prevede che sono nulle le eventuali clausole derogative.

Alla prima udienza, se il convenuto compare e non si oppone, il giudice ad istanza del locatore, pronuncia l'ordinanza di rilascio per la scadenza di cui alla comunicazione prevista dall'art. 29 della l. n.392/1978 che costituisce titolo esecutivo e definisce il giudizio.

Nel caso di opposizione del convenuto, il giudice esperisce il tentativo di conciliazione: se riesce viene redatto verbale che costituisce titolo esecutivo. In caso contrario o nella contumacia del convenuto si procede a norma dell'art. 420 ss. c.p.c.

Il giudice, su istanza del ricorrente, alla prima udienza e comunque in ogni stato del giudizio, valutate le ragioni addotte dalle parti e le prove raccolte, può disporre il rilascio dell'immobile con ordinanza costituente titolo esecutivo.

Casistica

CASISTICA

Omesso mutamento del rito

L'omesso mutamento del rito, da quello speciale del lavoro a quello ordinario e viceversa, non determina ipso jure l'inesistenza o la nullità della sentenza ma assume rilevanza invalidante soltanto se la parte che se ne dolga in sede di impugnazione indichi lo specifico pregiudizio processuale concretamente derivatole dalla mancata adozione del rito diverso, quali una precisa e apprezzabile lesione del diritto di difesa, del contraddittorio e, in generale, delle prerogative processuali della parte (Cass. civ., sez. III, 27 gennaio 2015, n. 1448).

Omessa lettura dispositivo

Nelle controversie soggette al rito del lavoro l'omessa lettura del dispositivo all'udienza di discussione determina, ai sensi dell'art. 156, comma 2 c.p.c., la nullità insanabile della sentenza per mancanza del requisito formale indispensabile per il raggiungimento dello scopo dell'atto, correlato alle esigenze di concentrazione del giudizio e di immutabilità della decisione (Cass. civ., sez.VI, 28 novembre 2014, n.25305).

Tuttavia, sebbene nel rito locatizio il dispositivo della sentenza deve essere letto in udienza ai sensi dell'art. 429 c.p.c., richiamato dall'art. 447-bis c.p.c. di talchè, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, la mancata lettura produce una nullità che può essere fatta valere come motivo di impugnazione, l'espletamento dell'incombente non deve necessariamente risultare da una esplicita e formale menzione contenuta nel verbale di udienza, ben potendo essere attestata dalla sentenza (Cass. civ., sez.VI, 12 settembre 2014, n.19328).

Ultrattività del rito

La controversia che sia stata trattata in primo grado con rito ordinario in luogo di quello del lavoro, al quale è assoggettata, soggiace al rito ordinario anche per la proposizione dell'appello e dell'eventuale appello incidentale. Pertanto, in tale ipotesi specificamente considerata, l'appello va proposto con citazione ad udienza fissa, mentre ove, invece, la controversia sia stata trattata con il rito del lavoro anzichè con quello ordinario, la proposizione dell'appello segue le forme della cognizione speciale. Ciò, in ossequio al principio dell'ultrattività del rito, che - quale specificazione del più generale principio per cui l'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile deve avvenire in base al principio dell'apparenza, cioè con riguardo esclusivo alla qualificazione, anche implicita, dell'azione e del provvedimento compiuta dal giudice - trova specifico fondamento nel fatto che il mutamento del rito con cui il processo è erroneamente iniziato compete esclusivamente al giudice (Cass. civ., sez.VI/III, 9 agosto 2018, n.20705; Cass. civ., sez.III, 22 gennaio 2015, n.1148).

Ammissione mezzi istruttori in appello

Secondo l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità, nel rito del lavoro applicabile ratione materiae alle controversie di natura locatizia, l'acquisizione di nuovi documenti o l'ammissione di nuove prove da parte del giudice d'appello rientra tra i poteri discrezionali allo stesso riconosciuti dagli artt. 421 e 437 c.p.c., e tale esercizio è insindacabile in sede di legittimità anche quando manchi un'espressa motivazione in ordine all'indispensabilità o necessità del mezzo istruttorio ammesso ai fini della decisione, dovendosi la motivazione ritenere implicita nel provvedimento adottato (Cass. civ., sez.III, 19 dicembre 2016, n.26117; Cass. civ., sez. III, 9 gennaio 2007,n.209).

Impugnabilità della convalida con l'appello

L'ordinanza di convalida della licenza o dello sfratto emessa in applicazione dell'art. 663 c.p.c., pur essendo in linea di principio impugnabile soltanto con l'opposizione tardiva ex art. 668 c.p.c., è tuttavia soggetta al normale rimedio dell'appello se emanata nel difetto dei presupposti prescritti dalla legge, costituiti dalla presenza del locatore all'udienza fissata in citazione e dalla mancanza di eccezioni o difese del conduttore ovvero dalla sua assenza, e, quindi, al di fuori dello schema processuale ad essa relativo, essendo, in tal caso, equiparabile, nella sostanza, ad una sentenza anche ai fini dell'impugnazione (Cass. civ., sez. III, 3 luglio 2014, n. 15230).

Presupposti per l'opposizione tardiva

L'art. 668, comma 1, c.p.c. non si appaga della semplice “irregolarità” della notifica dell'intimazione, concetto più ampio di quello di “nullità”, giacché comprende, in generale, tutte le violazioni delle norme regolanti la notificazione degli atti processuali, anche se non produttive di nullità, ma esige un elemento ulteriore, come requisito di ammissibilità dell'opposizione dopo la convalida, e cioè che l'intimato opponente provi anche il nesso di causalità tra il vizio della notificazione e la mancata conoscenza dell'intimazione che ne era oggetto. L'onere di provare tale collegamento causale tra la mancata, tempestiva conoscenza dell'intimazione di sfratto e il vizio della sua notificazione, al fine dell'esperibilità dell'opposizione tardiva alla convalida, sussiste solo quando il vizio concerna la persona alla quale dev'essere consegnata la copia dell'atto, mentre, nelle ipotesi di nullità della notificazione, per inosservanza delle disposizioni sui luoghi in cui dev'essere effettuata, il fatto stesso della consegna della copia in un luogo diverso da quello in cui si sa che il destinatario si trova implica, di per sè solo, la dimostrazione del collegamento in parola (Cass. civ., sez.III, 20 settembre 2002, n.13755).

Effetti della pronuncia di merito sull'ordinanza di rilascio già emessa

L'ordinanza di rilascio, disposta ai sensi di tale norma, rientrando nella categoria dei provvedimenti di condanna con riserva delle eccezioni del convenuto, ha infatti natura di provvedimento sostanziale provvisorio, i cui effetti - afferenti alla cessazione od alla risoluzione della locazione e, conseguentemente, all'attribuzione del diritto al rilascio dell'immobile, attuabile in via esecutiva - permangono fin quando, ove non vengano definitivamente confermati, siano messi nel nulla dalla sentenza di merito che conclude l'ordinario giudizio di cognizione, salvo restando al conduttore, in caso di estinzione di questo, di far valere, nel termine di prescrizione, le sue eccezioni in autonomo processo (Cass. civ., sez.III, 19 luglio 1996, n.6522).

Spese di lite

L'accettazione della proposta di conciliazione formulata dal giudice ex art. 447-bis c.p.c., nel corso del giudizio di merito non vale ad escludere l'applicazione del generale principio sulla soccombenza ai fini del regolamento delle spese di lite, con onere a carico della parte che l'ha accettata, qualora era prevedibile che l'esito finale del giudizio sarebbe stato per quest'ultima più sfavorevole (App. Firenze 28 dicembre 2012).

Guida all'approfondimento
Carrato - Di Marzio - Giordano - Lazzaro - Scarpa, Procedimenti alternativi al rito ordinario, Milano, 2016, 251;Giordano - Tallaro, Il processo delle locazioni. Rito locatizio, convalida di sfratto, altri procedimenti, esecuzione forzata, Padova, 2014;Di Marzio- Di Mauro, Il processo locatizio. Dalla formazione all'esecuzione del titolo, Milano, 2011;Cuffaro, La locazione, disciplina sostanziale e processuale, Bologna, 2009;Todaro - Rossi, La locazione. Questioni processuali, Milano, 2008;Masoni, Il processo, in Le locazioni a cura di Grasselli, tomo II, Padova, 2007;Carrato, Le locazioni e il processo, in Le locazioni nella pratica del contratto e del processo, a cura di Carrato e Scarpa, Milano, 2005, 387;Locatelli, Contratti collegati ed arbitrato: principio di ambulatorietà della clausola compromissoria anche “a ritroso” se il secondo contratto è integrativo di quello originario, in Riv. arbitrato, 2016, 321.
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