Il Fallimento conclude il contratto definitivo di compravendita immobiliare: quale la sorte dell’ipoteca gravante sull'immobile?

Filippo Lo Presti
19 Dicembre 2018

La sentenza della Cassazione Civile n. 3310 del 08 febbraio 2017, in commento, decide in merito ad una fattispecie concreta così riassunta. Tizio conclude con la società Alfa un contratto preliminare di compravendita, debitamente trascritto ex art. 2645 bis c.c., avente ad oggetto un immobile destinato ad uso abitativo, sul quale grava un'ipoteca precedentemente iscritta, a garanzia di un finanziamento concesso dalla Banca Beta in favore di Alfa.
La fattispecie concreta

La sentenza della Cassazione Civile n. 3310 del 08 febbraio 2017, in commento, decide in merito ad una fattispecie concreta così riassunta.

Tizio conclude con la società Alfa un contratto preliminare di compravendita, debitamente trascritto ex art. 2645-bis c.c., avente ad oggetto un immobile destinato ad uso abitativo, sul quale grava un'ipoteca precedentemente iscritta, a garanzia di un finanziamento concesso dalla Banca Beta in favore di Alfa.

Il contratto preliminare prevede, tra le altre, la fissazione di un termine per la conclusione del definitivo, il versamento da parte del promissario acquirente della somma pattuita a titolo di caparra, nonché l'impegno del promittente alienante a liberare l'immobile dal vincolo ipotecario all'atto della sottoscrizione della compravendita.

Tuttavia, in pendenza del termine pattuito per la conclusione del definitivo è dichiarato il fallimento della società Alfa.

La Curatela, in applicazione dell'art. 72, ultimo comma, l.fall., subentra nel contratto preliminare in luogo della fallita, assumendone, dunque, i relativi obblighi: conclude il contratto definitivo di compravendita, trasferendo la proprietà dell'immobile ed incassando la restante parte del prezzo, nonché chiede al Giudice Delegato l'autorizzazione alla cancellazione dell'ipoteca ai sensi dell'art. 108, comma secondo, l.fall..

Il provvedimento di autorizzazione viene, tuttavia, impugnato dalla Banca Beta titolare della garanzia ipotecaria ed il reclamo è poi rigettato dal Tribunale, che conferma l'applicazione dell'art. 108, secondo comma, l.fall. e l'effetto purgativo susseguente alla compravendita dell'immobile in sede fallimentare.

Avverso tale provvedimento del Tribunale, la Banca creditrice ipotecaria propone ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost..

La decisione della Suprema Corte n. 3310 del 08 febbraio 2017

Con la sentenza n. 3310 del 08 febbraio 2017, i Giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso proposto dalla banca, affermando l'applicazione dell'art. 108, secondo comma, l.fall. e la conseguente cancellazione dell'ipoteca.

A fondamento della propria decisione, la Corte pone una motivazione alquanto laconica che si limita a presupporre la sostanziale parificazione tra vendita fallimentare attuata nelle forme contrattuali (quale quella del caso di specie) e vendita fallimentare competitiva, attuata nelle forme dell'esecuzione coattiva:

in tema di vendita fallimentare, anche se attuata nelle forme contrattuali e non tramite esecuzione coattiva, trova applicazione l'art. 108, comma 2, l.fall., con la conseguente cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione ad opera del giudice delegato ed ammissione del creditore ipotecario al concorso, con rango privilegiato, sull'intero prezzo pagato, ivi compreso l'acconto eventualmente versato al venditore ancora "in bonis" ”.

Quanto alla tutela del creditore ipotecario (che perde così il diritto di sequela sul bene), la Cassazione risolve il punto affermando l'ammissione al passivo fallimentare del credito relativo all'intero prezzo dell'immobile, con riconoscimento del rango privilegiato.

I Giudici di legittimità dimostrano, dunque, di aver ben presente la circostanza – assai frequente nella prassi – del precedente versamento di una parte del prezzo a titolo di acconto e/o caparra in favore della società in bonis e la conseguente fondata possibilità che detta somma non sia più recuperabile dalla Curatela nell'attivo fallimentare e, ciononostante, ritengono che questo non possa condizionare negativamente l'applicazione dell'art. 108, secondo comma, l.fall..

La tutela del promissario acquirente di immobili ad uso abitativo quale fondamento della scelta della Cassazione

L'introduzione dell'ultimo comma dell'art. 72 l.fall. costituisce espressione della volontà del legislatore di tutelare la posizione del promissario acquirente di un immobile destinato ad abitazione principale a seguito del fallimento della società promittente venditrice, e ciò anche e soprattutto nell'ipotesi in cui il promissario acquirente abbia già versato una parte del prezzo a titolo di acconto.

La ratio della norma, infatti, risponde all'esigenza di realizzare una tutela effettiva e concreta del promissario acquirente di immobili ad uso abitativo, proteggendo i risparmi investiti nell'acquisto della casa di abitazione.

La ratio della disposizione è quella di realizzare una tutela concreta ed effettiva in favore del promissario acquirente attraverso uno strumento che garantisca:

  • in primis, il bene “casa”, inteso quale bisogno primario e fondamentale di ogni individuo, sede della famiglia e, dunque, rientrante nell'alveo dei diritti costituzionalmente garantiti (da qui il requisito che si tratti di immobile destinato ad abitazione principale);
  • in secundis, i risparmi (magari di una vita intera) del privato promissario acquirente, impiegati per l'acquisto della propria abitazione e che, in caso di fallimento del promittente venditore e mancata conclusione del definitivo, spesso non riescono ad essere nemmeno restituiti dalla procedura fallimentare.

Ebbene, che il legislatore avesse a cuore la posizione del promissario acquirente e la necessità di introdurre un sistema di tutela in suo favore, si deduce dal fatto che, ancor prima dell'introduzione dell'ultimo comma dell'art. 72 L.F., lo stesso legislatore aveva tentato di risolvere il problema attraverso l'introduzione del privilegio speciale ex art. 2775-bis c.c. che assiste i crediti del promissario acquirente sull'immobile oggetto del preliminare in caso di mancata esecuzione del preliminare trascritto.

Tuttavia, anche alla luce della pronuncia delle Sezioni Unite n. 21045 del 01.10.2009, tale privilegio speciale restava sottratto alla regola generale di prevalenza del privilegio sull'ipoteca e soggiaceva agli ordinari principi in tema di pubblicità degli atti. Con la conseguenza che, nel caso in cui il curatore del fallimento della promittente venditrice avesse optato per lo scioglimento del contratto preliminare, il conseguente credito del promissario acquirente – benché assistito da privilegio speciale – sarebbe stato collocato con grado inferiore, in sede di riparto, rispetto a quello dell'istituto di credito che, precedentemente alla trascrizione del preliminare, avesse iscritto sullo stesso immobile ipoteca a garanzia del finanziamento concesso.

Pertanto, in ipotesi di mancata conclusione del contratto definitivo da parte del curatore, permaneva un vuoto di tutela in capo al promissario acquirente, il cui credito alla restituzione dell'acconto o della caparra rimaneva subordinato al preventivo pieno soddisfacimento del creditore ipotecario, con la conseguenza della (quasi certa) perdita da parte del promissario acquirente dei risparmi versati alla società in bonis.

Essendo così vanificata l'esigenza di realizzare una tutela effettiva del promissario acquirente attraverso il riconoscimento del privilegio speciale, il successivo intervento legislativo (l'introduzione dell'ultimo comma dell'art. 72 l.fall.) opera in punto di conclusione del contratto definitivo, escludendo, per l'ipotesi di pendenza di preliminare alla data del fallimento, la facoltà di scelta del curatore ed affermando il carattere di atto dovuto del subentro del curatore stesso.

Ebbene, tenendo a mente tali presupposti,

  • se la finalità della norma è quella di accrescere la tutela del promissario acquirente di immobile destinato a casa di abitazione, come indicato nella relazione alla legge, e
  • se lo strumento ritenuto a tal fine più idoneo dal legislatore è far subentrare il curatore nel preliminare e, per l'effetto, assumere diritti ed obblighi che da questo derivano,

allora, negare un coordinamento della norma dell'art. 72, ultimo comma, l.fall. con l'art. 108, secondo comma, l.fall. escludendo la cancellazione delle ipoteche gravanti sull'immobile trasferito, significa negare la norma stessa dell'art. 72, ultimo comma, l.fall. e la ratio che le sottende.

Si verificherebbe, infatti, il paradosso per cui il legislatore, da un lato, con l'art. 72, ultimo comma, l.fall., tutela il promissario acquirente favorendo la conclusione del definitivo e quindi l'acquisto della casa e, dall'altro, negando l'applicazione dell'art. 108 l.fall., ammette che su quel medesimo immobile permanga una garanzia ipotecaria, tale per cui inevitabilmente si verificherà, dopo poco tempo dall'acquisto della proprietà, la vendita coattiva e, dunque, l'espropriazione della casa acquistata, con, in più, la perdita dell'intera somma versata a titolo di prezzo per l'acquisto.

Per evitare tale stortura - che porterebbe con ogni evidenza a conseguenze diametralmente opposte rispetto all'intento del legislatore di accrescere la tutela del promissario acquirente -, la soluzione proposta dalla Suprema Corte di riconoscere un coordinamento tra l'art. 72, ultimo comma, l.fall. e l'art. 108, secondo comma l.fall., prevedendo la cancellazione delle ipoteche iscritte sull'immobile trasferito, si porrebbe come quella più aderente alla voluntas legis.

Nella necessità di risolvere la contrapposizione tra due principi cardine per l'ordinamento, il bene casa inteso come abitazione della famiglia, da un lato, ed il principio della priorità delle trascrizioni, dall'altro, la Suprema Corte, seguendo l'indirizzo tracciato dal legislatore, ha dato rilievo all'effettività dell'atto traslativo, formulando una pronuncia anche di natura politica che preferisce la salvaguardia dei beni costituzionalmente rilevanti della famiglia e del risparmio.

Del resto, essendo il subentro nel preliminare un atto dovuto (non avendo il curatore facoltà di scegliere se sciogliersi o meno), l'atto traslativo che ne deriva, in esecuzione del definitivo, potrebbe considerarsi come avente natura di vendita coattiva, con la conseguenza dell'applicazione delle norme previste per le ipotesi di vendite coattive, ivi inclusa quella di cui all'art. 108, secondo comma, l.fall..

Nel senso di presupporre la parificazione tra vendita obbligatoria cui è tenuto il Curatore ex art. 72, ultimo comma, l.fall. e vendita coattiva, si è pronunciato anche il Tribunale di Verona con l'ordinanza del 16.04.2014 (poi confermata dalla pronuncia della Cassazione oggi in commento) ed il Tribunale di Vicenza che, con il decreto di autorizzazione del 24.12.2014 ha autorizzato il Curatore alla stipulazione del contratto di compravendita definitivo ed ordinato, concluso il contratto ed incassato il residuo corrispettivo, la cancellazione delle iscrizioni ipotecarie eseguite sull'immobile compravenduto.

La ricostruzione della Suprema Corte trova altresì conferma nell'opinione di una parte della dottrina che, partendo dal presupposto dell'obbligo per il Curatore di subentrare nella posizione del fallito, fa derivare il potere del GD di emettere il decreto purgativo ex art. 108, comma due, l.fall.

A ciò si aggiunga che l'ultimo comma dell'art. 72 l.fall. dispone l'obbligo di subentro del curatore in luogo del fallito nel preliminare pendente alla data del fallimento, con ciò prevedendo, per l'effetto, che il curatore, inserendosi nella stessa posizione contrattuale del fallito, assuma tutti gli obblighi ed i diritti nascenti dal contratto e, pertanto, debba adempiere a tutte le obbligazioni che gli facevano carico, ivi incluso l'impegno dell'alienante a fare quanto necessario per ottenere lo svincolo degli immobili prima della stipula del contratto definitivo. Del resto, in caso contrario (e cioè permanendo l'ipoteca sull'immobile), il promissario acquirente non avrebbe alcun interesse all'acquisto di una casa che di lì a poco gli verrebbe espropriata.

Le critiche alla sentenza della Cassazione: in particolare, l'ordinanza del Tribunale di Milano del 21 settembre 2017

La sentenza in esame è stata oggetto di immediate critiche da parte della dottrina (si veda, per tutti, F. LAMANNA, La problematica cancellazione delle ipoteche iscritte in caso di subentro del curatore nel preliminare, in questo portale - 13 febbraio 2017), che, non condividendo il presupposto della parificazione tra vendita fallimentare competitiva e vendita attuata nelle forme contrattuali, ha messo in luce le incongruenze che si verrebbero a creare nel nostro ordinamento a seguito dell'affermazione di tale principio e dell'applicazione dell'art. 108, secondo comma, l.fall..

Il ragionamento è stato ripreso e sviluppato compiutamente in una recente pronuncia del Tribunale di Milano del 21 settembre 2017 – successiva, dunque, alla sentenza della Cassazione in commento -, nella quale il Collegio manifesta espressamente il proprio disappunto verso le conclusioni dei Giudici di legittimità.

Al bivio tra i due contrapposti percorsi argomentativi (quello della Cassazione e quello del Tribunale di Milano) sta la configurabilità o meno di un collegamento tra gli artt. 72, ultimo comma, l.fall. e 108, secondo comma, l.fall. ovvero la possibilità di parificare le due forme di vendita attuabili in sede fallimentare, quella competitiva e quella privatistica.

Secondo il Tribunale meneghino, esiste una differenza sostanziale tra le due forme di vendita, in quanto le vendite competitive sono realizzate con le formalità richieste ex artt. 105 e ss. l.fall. e costituiscono “atti di liquidazione”, “in esecuzione del programma di liquidazione”, secondo le “modalità di vendita del singolo cespite” che devono caratterizzarsi per l'obbligatoria previsione dell'effettuazione della vendita “tramite procedure competitive e solo a seguito di stime e adeguata pubblicità”; per converso, le vendite ex art. 72, ultimo comma, l.fall. non costituiscono atti di liquidazione dell'attivo, non sono effettuate in esecuzione del programma di liquidazione, né svolte tramite procedure competitive, né caratterizzate per essere effettuate tramite un iter procedimentale previsto dalla legge.

Escludendo, dunque, la parificazione delle due forme di vendita, il Tribunale conclude nel senso dell'inapplicabilità, alla vendita ex art. 72, ultimo comma, l.fall., della disciplina sulle vendite giudiziali, ivi incluso l'art. 108, comma 2, l.fall..

Secondo il giudice di merito, ragionando a contrariis e cioè ammettendo la cancellazione dell'ipoteca anche in ipotesi di vendita ex art. 72, ultimo comma, l.fall., si realizzerebbe una duplice incongruenza.

In primo luogo, sarebbero ingiustificatamente lesi gli interessi del creditore ipotecario, il quale perderebbe il diritto di sequela sul bene ipotecato e subirebbe una perdita economica pari alla differenza tra il credito ipotecariamente garantito e il minor importo incassato dalla curatela.

Secondo il Tribunale, il nostro ordinamento giustifica un soddisfacimento del creditore ipotecario in misura inferiore rispetto all'importo garantito esclusivamente a seguito dell'esperimento di una procedura di vendita coattiva: circostanza che non si realizzerebbe nell'ipotesi di vendita ex art. 72, ultimo comma, l.fall..

Tuttavia, il Tribunale sembra non tener conto delle indicazioni - pur telegrafiche - fornite dalla Suprema Corte che, anche in una fattispecie concreta in cui si era verificato il previo pagamento di parte del prezzo al promittente venditore in bonis, riconosce al creditore ipotecario un credito di rango privilegiato sull'intero prezzo, parlando di “ammissione del creditore ipotecario al concorso, con rango privilegiato, sull'intero prezzo pagato, ivi compreso l'acconto eventualmente versato al venditore ancora "in bonis"”.

In secondo luogo, se si ammettesse l'autorizzazione alla cancellazione dell'ipoteca anche in ipotesi di vendita ex art. 72, ultimo comma, l.fall., si realizzerebbe, secondo il Tribunale meneghino, una disparità di trattamento tra creditore del promittente venditore dichiarato fallito e creditore del promittente venditore in bonis, in quanto, in ipotesi di fallimento del promittente venditore, il promissario acquirente avrebbe la possibilità, pagando il prezzo residuo, di ottenere il bene libero da ipoteche a seguito dell'ordine giudiziale di cancellazione; mentre, in ipotesi di promittente venditore rimasto in bonis, la liberazione dalle ipoteche dipenderebbe esclusivamente dall'esatto adempimento da parte del promittente venditore.

Anche in questo caso, il Tribunale ritiene espressamente di non dover tener conto della ratio della disposizione dell'ultimo comma dell'art. 72 L.F. ovvero, più esattamente, di non poter ammettere che la ratio legis (la tutela del promissario acquirente) sia argomento sufficiente a motivare lo squilibrio di trattamento che si verrebbe a creare.

A tal proposito, peraltro, il Tribunale richiama la tutela offerta dal legislatore anche attraverso l'introduzione dell'art. 67, comma terzo, lett. c) l.fall., che, tuttavia, non colma il vuoto di tutela in capo al promissario acquirente con riferimento alla sua effettiva possibilità di mantenere la titolarità e disponibilità dell'immobile.

Conclusioni

È evidente come la sentenza della Suprema Corte qui commentata non ponga una risposta definitiva alle problematiche sollevate, generando, al contrario, un vivace e fervente dibattito, sia in dottrina che in giurisprudenza, in ordine alla posizione più aderente ai dettami e principi dell'ordinamento. Trattasi di problematica che sottende anche scelte di ordine politico, rispetto alle quali un più chiaro intervento legislativo potrebbe fornire una soluzione definitiva, soprattutto con riferimento al punctum dolens della questione, inerente le sorti dell'ipoteca previamente iscritta sull'immobile compravenduto.

Nella riforma della legge fallimentare, purtroppo, non si riscontra una definitiva presa di posizione del legislatore.

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