Inammissibilità del reclamo cautelare contro le ordinanze rese nei procedimenti di opposizione a provvedimenti della PA
20 Dicembre 2018
Massima
Sono manifestamente infondate, rispetto agli artt. 3 e 76 Cost., le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 1, richiamato dagli artt. 6 e 32 del d.lgs. n. 150/2011, nella parte in cui escludono la reclamabilità dell'ordinanza che decide sulla sospensione dell'efficacia dell'atto impugnato, in quanto non sussiste eccesso di delega, trattandosi di misura coerente con gli obiettivi di semplificazione della legge delega, né ricorre disparità di trattamento con riguardo agli invocati tertia comparationis per la natura solo latamente cautelare di siffatti provvedimenti e per l'inidoneità degli stessi a determinare un pregiudizio irreparabile.
Il caso
Con tre distinte ordinanze di rimessione, il tribunale di Napoli adiva la Corte costituzionale per dedurre il contrasto con gli artt. 76 Cost., quanto al cd. eccesso di delega, e 3 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento rispetto ad altri provvedimenti di natura cautelare, dell'art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 150/2011 (sulla semplificazione dei riti civili), nella parte in cui esclude il reclamo cautelare contro le ordinanze che si pronunciano sulla sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, stabilendo che la relativa decisione è assunta con “ordinanza non impugnabile”. In particolare, in concreto, era dedotta l'illegittimità di tale disposizione in quanto richiamata sia dall'art. 6 per i procedimenti in materia di opposizione ad ordinanza di ingiunzione, sia dell'art. 32 del medesimo decreto per le ingiunzioni amministrative previste dal R.d. n. 639/1910. La questione
La problematica posta all'attenzione della Corte costituzionale attiene sia alla possibilità di prevedere, da parte del legislatore delegato, un regime siffatto da parte del d.lgs. n. 150/2011 per le ordinanze in questione, sia alla disparità di trattamento con provvedimenti aventi, parimenti, natura cautelare. Le soluzioni giuridiche
La Corte costituzionale, affrontando unitamente le questioni sollevate, ne sancisce la manifesta infondatezza rispetto ad entrambi i parametri invocati. La pronuncia in commento disattende la prospettata questione di legittimità costituzionale in relazione al parametro di cui all'art. 76 Cost., osservando che l'art. 5, comma 1, d.lgs. n. 150/2011, non è viziato da eccesso di delega rispetto alla legge delegante, ossia all'art. 54 della legge n. 69/2009, essendo coerente con la relativa finalità di semplificazione processuale. Rispetto alla più delicata questione concernente la compatibilità della scelta del legislatore ordinario con l'art. 3 Cost., la Corte costituzionale sottolinea, in primo luogo, la peculiarità delle controversie rispetto alle quali opera il disposto del predetto art. 5, ossia i procedimenti di opposizione a sanzione amministrativa, «connotati dalle caratteristiche della celerità, della mera eventualità di un'istruzione in senso stretto - siccome essenzialmente documentale - e dalla particolarità del relativo oggetto, che si risolve nella contestazione della legittimità della pretesa sanzionatoria della pubblica amministrazione» e quelli previsti dall'art. 32, comma 3, dello stesso d.lgs., aventi ad oggetto un credito dell'Amministrazione fatto valere tramite l'ingiunzione emessa ai sensi dell'art. 2 del r.d. n. 639/1910, che, «pur quando riconducibile nell'ambito di rapporti obbligatori di diritto privato, costituisce manifestazione, comunque, del potere di auto-accertamento ed autotutela della PA che, da un lato, è idoneo a dar vita ad un giudizio sulla legittimità della pretesa e, dall'altro, cumula le funzioni del titolo esecutivo e del precetto». La Corte costituzionale assume quindi la legittimità della scelta del legislatore ordinario evidenziando la natura solo latamente cautelare delle ordinanze di sospensione rese in tali procedimenti, piuttosto assimilabili sul piano strutturale a quelli di opposizione a decreto ingiuntivo, nei quali pure è esclusa la reclamabilità degli analoghi provvedimenti pronunciati ai sensi degli artt. 648 e 649 c.p.c., con una scelta ritenuta più volte ragionevole dalla stessa Corte costituzionale. Sottolinea, infine, la Corte costituzionale che non è incoerente rispetto a tale ricostruzione la differente scelta operata con la sentenza n. 144/2008, dichiarativa della illegittimità costituzionale del disposto degli artt. 669-quaterdecies e 695 c.p.c., nella parte in cui non prevedevano la reclamabilità del provvedimento di rigetto dell'istanza di assunzione preventiva dei mezzi di prova, venendo in tale ipotesi in rilievo il pericolo dell'irreparabilità del pregiudizio al diritto a difendersi provando della parte nell'ipotesi di diniego del provvedimento richiesto, pregiudizio che non sussiste, in detti termini, in controversie come quelle in esame, che afferiscono al pagamento di somme di denaro. Osservazioni
La decisione della Corte costituzionale rispetto all'insussistenza dell'invocato contrasto, sotto il profilo della disparità di trattamento, delle disposizioni normative denunciate, con l'art. 3 Cost., in virtù del differente regime previsto per i provvedimenti cautelari, non persuade. Nell'esaminare la questione, difatti, occorre considerare che i provvedimenti cautelari si connotano, come ha più volte avuto occasione di affermare la Corte di Giustizia europea, per i caratteri della provvisorietà e per essere concessi in virtù di un pericolo di pregiudizio che potrebbe manifestarsi nelle more dell'emanazione della decisione di merito (cfr. CGCE, 17 novembre 1998, n. 398, Van Uden). Tali caratteri sono propri, come non disconosce peraltro la Corte costituzionale quando fa riferimento ad una funzione “latamente cautelare”, anche dei provvedimenti di sospensiva pronunciati rispetto ad ordinanze emanate da pubbliche amministrazioni nell'ambito dei relativi procedimenti giudiziali di opposizione. Né, peraltro, convincono le considerazioni della Corte costituzionale sul piano di una differenza strutturale rispetto ai provvedimenti cautelari che ne renderebbe, in sostanza, incompatibile l'estensione della disciplina del reclamo cautelare stante la “clausola di riserva” contemplata dall'art. 669-quaterdecies c.p.c.. In primo luogo, non potrebbe predicarsi nell'ambito di obbligazioni di diritto privato alcun “privilegio” neppure processuale, come quello in esame, in favore della Pubblica Amministrazione. Quanto al riferimento a provvedimenti analoghi, come quelli resi nei procedimenti di opposizione a decreto ingiuntivo ex artt. 648 e 649 c.p.c., la soluzione prevalente, anch'essa avallata dalla Corte costituzionale, non convince da tempo la dottrina più autorevole per la mancanza di ogni tutela a fronte di provvedimenti siffatti, che possono avere una durata “precaria” anche molto lunga, con effetti significativi sul piano esecutivo e delle iscrizioni ipotecarie, e che peraltro sono in giurisprudenza considerati privi di ogni tutela sul piano rimediale, sia quanto al reclamo cautelare che al ricorso straordinario per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost.. Sarebbe quindi opportuno un ripensamento anche sugli orientamenti relativi ai provvedimenti in questione, aventi anch'essi funzione cautelare, piuttosto che una generale chiusura a forme di garanzia dell'effettività della tutela giurisdizionale del cittadino. Infine, a nostro sommesso parere, neppure è convincente l'ultima argomentazione che giustifica la differente posizione assunta dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 144/2008 facendo leva sull'irreparabilità del pregiudizio al diritto alla prova che sarebbe conseguito in mancanza di un sindacato sul provvedimento di diniego dell'istanza di istruzione preventiva, atteso che, come noto, il reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. è rimedio concesso in generale per tutti i provvedimenti aventi natura cautelare e non solo per quelli che devono essere, come le misure d'urgenza di cui all'art. 700 c.p.c, connotati da un pericolo di pregiudizio di carattere irreparabile.
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